DIARCHIA
Sotto questo termine ("doppia autorità", dal greco δις e ἅρχή) si designa o un governo con duplicità della persona investita della medesima autorità, come il duplice re di Sparta e alcune magistrature romane come lo stesso consolato (v. console), o un governo con duplicità di poteri, spartiti fra i due elementi governativi, come, almeno secondo alcuni storici, fu il caso dell'Impero romano sino a Diocleziano.
La diarchia spartana. - A Sparta vi erano due dinastie regie, gli Agiadi e gli Euripontidi, i cui eponimi Agide ed Euriponte si ritenevano figli di Euristene e Procle, figli alla loro volta di Aristodemo, discendente da Eracle. Si può affermare con sicurezza che le dinastie spartane degli Agiadi e degli Euripontidi non avevano in origine alcuna relazione con Eracle, ma quando con questo si vollero connettere, si fu costretti a escogitare il ripiego di fare gli eponimi di essi figli dei figli di Aristodemo. Quanto all'origine stessa delle due dinastie spartane, è probabile che una famiglia illustre contrastasse la dignità regia alla famiglia regnante e che infine si venisse a un compromesso pel quale ambedue le famiglie regnassero. Infatti alla dinastia degli Agiadi si riconosceva una certa superiorità, segno che era la più antica. La diarchia non è senza esempî fuori di Sparta; e in Omero troviamo Glauco e Sarpedonte ambedue re dei Lici.
Bibl.: C. Wachsmuth, in Jahrbücher für Philologie, 1868, p. 1; M. Duncker, Gesch. des Altert., V, 3ª ed., Lipsia 1881, p. 252 seg.; E. Curtius, Griech. Gesch., 6ª ed., I, Berlino 1887, p. 152; G. Gilbert, Studien zur Altspartan. Gesch., Gottinga 1872; E. Meyer, Geschichte des Altertums, II, 1ª ed., Stoccarda 1893, p. 250 seg.; G. Busolt, Griech. Gesch., I, 2ª ed., Gotha 1893, p. 206 seg.; J. Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., I, i, p. 218 seg.; ii, p. 171 seg.; U. Kahrstedt, Griech. Staatsrecht, I, Gottinga 1922, p. 199 seg.
La diarchia imperiale. - Th. Mommsen chiamò diarchia, "governo di due poteri", il sistema di governo instaurato da Augusto e durato nelle sue linee fondamentali sino a Diocleziano. Nella diarchia si sarebbe avuta la cooperazione del Senato (rappresentante poi il popolo), al quale Augusto, deponendo nel 27 a. C. i suoi poteri straordinarî, restituì il governo dello stato, e del principe, al quale furono legalmente conferiti una serie di poteri che erano o potevano essere inquadrati nella costituzione repubblicana, e che non annullavano nessuna delle ordinarie magistrature repubblicane (impero proconsolare sulle provincie in stato militare e perciò comando dell'esercito; consolato, sostituito nel 23 dalla tribunicia potestas, che gli dava il potere civile in Roma e nell'Italia, ecc.; v. augusto). Al Senato Augusto riconobbe una sovranità eminente di diritto, più ampia sotto certi aspetti del potere di fatto che il Senato aveva esercitato sotto la repubblica (il Senato nominava i governatori delle provincie pacificate, gestiva la cassa dello stato, aveva la giurisdizione criminale e l'appello nelle cause civili, legiferava per mezzo di senatoconsulti, Tiberio vi aggiunse il diritto di eleggere i magistrati in rappresentanza del popolo); ma in pratica i poteri del Senato erano molto limitati, e lo furono sempre più dall'estensione dei poteri del principe.
La definizione del Mommsen non fu da tutti accettata. Non pare infatti potersi chiamare diarchia un sistema di governo nel quale, teoricamente, unica fonte del potere sono il popolo e il Senato, ai quali il principe deve i suoi poteri estesissimi, ma legalmente definiti; una costituzione cioè repubblicana e tale detta e, pare anche, voluta da Augusto. Praticamente poi la costituzione repubblicana non poteva funzionare che sotto la tutela del principe, il quale faceva sentire il peso immenso della sua auctoritas anche nel campo lasciato al Senato. E perciò, anche sotto l'aspetto pratico, il governo del principato non è una diarchia, e non così, ma monarchia lo chiamarono in genere, appunto avendo riguardo allo stato di fatto, i più degli antichi e dei moderni.
Bibl.: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, II, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 745 seg.; III, 1888, p. 1252 seg.; id., Disegno del diritto pubblico romano, trad. di P. Bonfante, Mlano 1904, pp. 219 seg., 400 seg.; O. Hirschfeld, Die kaiserlichen Verwaltungsbeamten bis auf Diocletian, 2ª ed., Berlino 1905, p. 1 seg.; J. Kromayer, Die rechtliche Begründung des Principats, Marburgo 1888; E. Meyer, Kaiser Augustus, in Kleine Schriften, 2ª ed., I, Halle 1924, p. 423; id., Caesars Monarchie und das Principat des Pompeius, 3ª ed., Stoccarda 1922; O. Th. Schulz, Das Wesen des römischen Kaisertums der ersten zwei Jahrhunderte, Paderborn 1916; id., Die Rechstitel und Regierungsprogramme auf römischen Kaisermünzen, ivi 1925; E. Betti, Il carattere giuridico del principato di Augusto, Città di Castello 1915; D. Mc Faiden, in Classical Philology, XVI(1921), p. 34; M. Gelzer, in Meister der Politik, I, Stoccarda-Berlino 1922, p. 154 seg.; H. Dessau, Geschichte der römischen Kaiserzeit, I, Berlino 1924, p. 15 seg.; M. Rostovtzeff, The social and economic history of the Roman empire, Oxford 1926, p. 38 seg.; E. Schönbauer, Wesen und Ursprung des römischen Prinzipats, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung, Roman. Abt., XLVII, p. 264 seg.; P. De Francisci, La costituzione Augustea, in Studi in onore di P. Bonfante, Pavia 1930, I, p. 11 seg.; id., Storia del diritto romano, II, i, Roma 1929, p. 233.