Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo storicismo tedesco, rappresentato, tra gli altri, dal pensiero di Herder, di Wilhelm von Humbold e di Droysen, trova in Wilhelm Dilthey il suo principale esponente. Con Dilthey si compie quella separazione tra scienze della natura e scienze dello spirito che affida a queste ultime il compito di comprendere l’esperienza storica della vita individuale nelle sue relazioni con altre individualità e con il complesso dei fenomeni storico-sociali che caratterizzano ogni epoca.
Uno storicismo ante litteram
Il nome e l’opera di Wilhelm Dilthey sono spesso associati alla genesi e agli sviluppi dello storicismo tedesco contemporaneo (Historismus). Di storicismo in generale si può parlare almeno a partire da quella particolare congiuntura storico-culturale nella quale, tra la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX, si delinea e si consolida l’idea di coscienza storica come uno dei tratti costitutivi della cultura occidentale e, ancor più, come uno degli elementi che concorrono alla determinazione del sapere storico in una sua autonoma configurazione scientifica e disciplinare. In questo senso, come è stato giustamente osservato da Fulvio Tessitore in Introduzione allo storicismo (1991), la storia del concetto e la storia della parola non sempre coincidono, nel senso che è possibile delineare – almeno a partire da Vico – una teoria e una storia dello storicismo, prima che la parola venga codificata nel linguaggio, tanto scientifico quanto quotidiano.
Due varianti dello storicismo
Anche se esistono molteplici varianti dello storicismo, si possono però distinguere due fondamentali concezioni di esso. Da un lato, lo storicismo è stato inteso come un principio di generale rappresentazione filosofica della realtà storica; dall’altro lato, esso si è caratterizzato in una stretta connessione con il processo di autonomizzazione metodologica e scientifica della conoscenza storica (e, in generale, delle cosiddette scienze dello spirito) e ha tentato di sostituire al principio logico costitutivo della realtà quello storico-reale dell’individualità e delle sue forme di oggettivazione ed espressione. Se si volessero individuare due momenti rappresentativi di questi due filoni dello storicismo si potrebbero indicare lo storicismo assoluto di Benedetto Croce e lo storicismo critico di Wilhelm Dilthey.
Friedrich Meinecke
Fini dello storicismo
Le origini dello storicismo
Diciamo qui brevemente ciò che è essenziale, poi nel volume svilupperemo la questione: il principio primo dello storicismo consiste nel sostituire ad una considerazione generalizzante ed astrattiva delle forze storico-umane la considerazione del loro carattere individuale. Ciò non vuole significare che lo storicismo escluda in senso assoluto la ricerca di leggi generalmente valide e la possibilità di costituire dei tipi entro l’ambito della vita umana. Esso stesso deve tendere a ciò ed unire questo metodo al senso suo particolare della individualità, creando in questa maniera un nuovo modo di sentire la realtà. Con ciò non si è inteso dire che tutto quello che ha carattere di individualità nei riguardi dell’uomo e dei fenomeni culturali e sociali cui l’uomo ha dato origine fosse rimasto del tutto inosservato fino allo storicismo. Ma appunto le intime forze motrici della storia, l’anima, lo spirito umano erano rimaste soggette ad un giudizio generalizzante. Si credeva che l’uomo con la sua ragione ed i suoi dolori, con le sue virtù ed i suoi vizi fosse rimasto in tutti i tempi sostanzialmente lo stesso. Questa opinione contiene bensì un germe di verità, ma non comprende le profonde trasformazioni e la varietà di forme che la vita morale e spirituale dell’individuo e delle comunità subisce ed assume, nonostante il permanere immutato di fondamentali qualità umane. L’atteggiamento giusnaturalistico del pensiero, predominante sin dall’antichità, inculcava la fede nella immutabilità della natura umana, anzi, della ragione umana. Le asserzioni della ragione, si diceva, possono essere offuscate dalle passioni e dalla ignoranza, ma se la ragione si libera da questi offuscamenti, essa asserisce le stesse cose in ogni tempo, è capace di trovare delle verità eterne, di valore assoluto, le quali corrispondono in pieno alla razionalità di tutto l’universo.
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, Firenze, Sansoni, 1954
Lo storicismo tedesco
È a questa seconda variante che, in modo particolare, vanno ricondotti gli autori e gli orientamenti dello storicismo tedesco contemporaneo. Le prime consapevoli formulazioni di esso sono rinvenibili in J.G. Herder, il quale elabora un’idea di filosofia della storia come il compiersi graduale di un progresso dell’umanità secondo un disegno provvidenziale. Ma è indubbiamente con W. von Humboldt che può individuarsi una prima consapevole teoria dello storicismo, in una direzione che si allontana dal modello hegeliano. Muovendo infatti da una critica alle costruzioni aprioristiche della storia universale, Humboldt ritiene che soltanto attraverso la determinazione empirica delle forme dell’evoluzione storica si possa giungere a una concezione della storia attraverso la comprensione ermeneutica e filologica dei suoi prodotti, a partire da quelli fondamentali del linguaggio. Humboldt può in tal modo esser considerato l’iniziatore di quel percorso dello storicismo tedesco che, attenendosi più all’eredità del criticismo kantiano che non alle conclusioni dell’idealismo hegeliano, sottolinea il ruolo dell’individualità nella storia. L’individualità, così dei singoli individui come delle epoche storiche e delle espressioni della cultura, della religione e della politica, si colloca alla base del processo di comprensione storico-ermeneutica dell’alterità, non solo del Sé e del Noi, ma dell’Altro e del Mondo.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
Il particolare si perde nell’universale
Lezioni sulla filosofia della storia
Tutto il male del mondo, non escluso il male morale, doveva venir compreso nel concetto, e lo spirito pensante esser conciliato con la sua negazione. Ora, è proprio nella storia del mondo che ci si presenta allo sguardo la totale massa del male concreto. (...)
Questa conciliazione può esser raggiunta solo attraverso la conoscenza del positivo, in cui quell’elemento negativo si risolve in qualcosa di subordinato e superato: - attraverso la coscienza tanto di quale sia veramente il fine del mondo quanto del fatto che esso vi si sia attuato, e il male non abbia manifestato accanto ad esso eguale efficacia. La giustificazione mira a rendere intelligibile il male di fronte all’assoluto potere della ragione. Il problema è quello della categoria del negativo, di cui si è già parlato, e che ci fa vedere come nella storia del mondo anche le cose più nobili e belle vengano sacrificate sul suo altare. Questo elemento negativo viene rigettato dalla ragione pensante, che vuole in sua vece un fine positivo. La ragione non può arrestarsi al fatto che singoli individui siano stati colpiti; i fini particolari si perdono nell’universale.
G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, trad. a cura di G. Calogero e C. Fatta, Firenze, La Nuova Italia, 1961
Una tappa fondamentale nel percorso di fondazione teorica dello storicismo tedesco contemporaneo è costituita da J.G. Droysen e dalla sua fondamentale opera teorica e metodologica Historik. L’ampliamento della prospettiva critica kantiana nel senso della definizione delle condizioni di possibilità della conoscenza storica significa – nella prospettiva di Droysen – la definitiva separazione della scienza storica da ogni filosofia e teologia della storia. Sviluppando le premesse della teoria storicistica dell’individualità avviata da Humboldt, Droysen teorizza l’ormai avvenuto passaggio dal soggetto epistemico della ragione pura al soggetto storico-empirico, che non è più solo sede della rappresentazione concettuale, ma anche di tutto ciò che si dà nella totalità delle manifestazioni individuali. Questo spiega, da un lato, la centralità che nella teoria droyseniana della scienza storica assume il Verstehen (“comprendere”) e, dall’altro, il carattere essenzialmente etico dello storicismo.
Lo storicismo tedesco di Wilhelm Dilthey
Il rappresentante più significativo dello storicismo tedesco contemporaneo resta indubbiamente Wilhelm Dilthey, che, dopo aver studiato a Heidelberg e Berlino (dove ha come maestri Savigny, Boeckh e Ranke) e dopo l’abilitazione ottenuta nel 1867 con un saggio sull’analisi della coscienza morale, insegna a Basliea, Kiel e Breslavia e conclude la sua carriera a Berlino. La vicinanza di Dilthey ai temi della filosofia kantiana (criticismo e fenomenalismo) appare evidente a partire dal suo esplicito tentativo di fondare una critica della ragione storica (si veda in proposito la sua Critica della ragione storica che raccoglie testi scritti tra il 1905-1911). Si tratta cioè di ampliare l’obiettivo gnoseologico ed etico-filosofico delle Critiche kantiane, spostandolo dall’ambito della mera deduzione trascendentale dei principi naturali e morali al terreno della conoscenza del mondo spirituale (fatto di singole individualità, ma anche di organizzazioni politico-sociali e di sistemi di cultura) e dell’individuazione delle modalità e dei limiti di costituzione e interpretazione del mondo storico-sociale. L’obiettivo della teoria delle scienze dello spirito è volto, grazie alla connessione strutturale (Strukturzusammenhang) tra esperienza vissuta (Erlebnis), espressione (Ausdruck) e comprensione (Verstehen), ad avviare un reale processo di comprensione dell’esperienza storica della vita individuale nelle sue relazioni con le altre individualità e con il complesso dei fenomeni storico-sociali e di articolarlo nell’insieme delle scienze dello spirito, scopo e oggetto dell’opera Introduzione alle scienze dello spirito del 1883. Viene così introdotta la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, tesa a mostrare l’eterogeneità innanzitutto gnoseologica tra il mondo della natura e quello storico-culturale, tra l’esperienza fisico-naturale e quella del mondo interiore dell’uomo.
L’intero l’impianto storico e filosofico della Introduzione alle scienze dello spirito, è finalizzato a una critica radicale della metafisica. Il secondo tomo dell’opera è in effetti una vera e propria storia critica della metafisica: dal pensiero mitico antico alla nascita della scienza in Europa, dalle metafisiche platonica aristotelica e stoica alla metafisica religiosa del cristianesimo, fino al “dissolversi dell’atteggiamento metafisico dell’uomo di fronte alla realtà effettuale” (Introduzione alle scienze dello spiri to, 1883). La definitiva fuoriuscita dalle pretese metafisiche della ragione astratta dell’idealismo o del metodo naturalistico del positivismo, è resa possibile dalla fondazione prima gnoseologica e poi psicologica delle scienze dello spirito, come Dilthey spiega nel testo del 1894 dal titolo Idee per una psicologia descrittiva ed analitica. Così, connessione psichica e connessione storica concorrono entrambe alla formazione di una più generale connessione, che è quella dell’uomo intero, fatto di pensiero, volontà e sentimento.
È agevole capire come, muovendo da tali premesse, lo storicismo trovi, grazie a Dilthey, un suo definitivo ancoraggio non più nelle filosofie metafisiche della storia (tanto nella versione della filosofia della storia idealistica alla Hegel quanto nella sociologia positivistica alla Comte) ma in una consapevole filosofia della vita (Lebensphilosophie). Ma il concetto diltheyano di vita (Leben) non è certo da intendere nel senso dell’intuizionismo immediato o dell’irrazionalismo. Tutte le manifestazioni della vita e, dunque, anche la coscienza metafisica, anche il bisogno di universalità che si esprime in ogni intuizione del mondo (Weltanschauung), anche l’impenetrabile mistero che si cela dietro la vita stessa, appartengono al processo della storia e trovano la loro limitazione nell’orizzonte della temporalità. Tutto ciò che si presenta nell’esperienza e nelle forme della sua comprensione è la vita “come connessione che abbraccia l’intero genere umano” (Dilthey, Critica della ragione storica, 1905-1911). La vita non è, allora, un’essenza ontologica. Essa si presenta “come un fatto proprio del genere umano”. In tal modo l’originario punto di vista individuale si amplia all’insieme delle oggettivazioni della vita, a tutto il complesso dell’esperienza generale della vita. “Con questa io intendo i principi che si formano in qualsiasi ambito di persone in rapporto reciproco e che sono a esse comuni. Si tratta di asserzioni sul corso della vita, di giudizi di valore, di regole della condotta della vita, di determinazioni di scopi e di beni: il loro contrassegno sta nel fatto che esse sono creazioni della vita collettiva, le quali riguardano tanto la vita dell’uomo singolo quanto la vita delle comunità” (Ibidem).
Negli ultimi anni di vita Dilthey affronta il tema del senso e della funzione della filosofia che, se da un lato, non può prescindere dalla coscienza della propria temporalità e storicità, dall’altro, non deve sfociare in una forma di relativismo scettico, e per questo si affida alla formulazione di una filosofia della filosofia capace di tenere insieme nelle diverse Weltanschauungen la base storica e la struttura universale del pensiero (L’essenza della filosofia, 1907).
In definitiva, lo storicismo di Dilthey può essere definito critico e antimetafisico, proprio perché si caratterizza per la sempre aperta dialettica tra vita e forme della sua comprensione. L’esperienza storica (e la conoscenza che di essa tenta di avere lo storico) si risolve sempre e soltanto nei suoi processi e non certo in astratti principi che aspirano a una astratta validità universale. “Lo storico – afferma Dilthey – non può rinunciare al tentativo di intendere la storia in base a se stessa, sul fondamento dell’analisi delle varie connessioni dinamiche” (Critica della ragione storica, cit.). Lo storicismo, così, mentre ha perso ogni connotato ontologico e metafisico, non si risolve in pura narrazione storica, né esaurisce il suo compito nella metodologia delle scienze umane. Esso è sempre più consapevole fondazione della scienza critica della vita, che si fonda su stessa e sulle sue determinazioni temporali.
Si è spesso tracciata una linea di continuità tra le conclusioni dello storicismo di Dilthey e alcuni esiti delle filosofie relativistiche di Simmel – i valori di un’epoca sono forme transitorie che si danno nell’ininterrotto fluire della vita – e Spengler – i valori e le idee di un’epoca restano indissolubilmente legati alla nascita e al tramonto delle civiltà che li esprimono. Tuttavia, si può più correttamente sostenere una maggiore parentela tra la teoria storicistica delle Weltanschauungen elaborata da Dilthey e il modello tipologico di Max Weber, fondato sul riconoscimento del politeismo dei valori. È da ricordare, infine, che uno dei maggiori rappresentanti dello storicismo tedesco novecentesco, lo storico e filosofo Friedrich Meinecke, è stato autore di un famoso libro sulla genesi dello storicismo, da Leibniz a Goethe, e sulla fondabilità di uno storicismo problematico, in grado di tenere insieme la materialità dei processi storici e la pensabilità di valori etici.
Wilhelm Dilthey
Dalle costruzioni metafisiche hegeliane all’analisi del dato
La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito
Egli (Hegel) ha costruito le comunità sulla base della volontà universale della ragione: noi dobbiamo oggi muovere dalla realtà della vita, poiché nella vita opera la totalità della connessione psichica. Hegel ha costruito metafisicamente; noi analizziamo il dato. E l’analisi attuale dell’esistenza umana suscita in tutti noi la coscienza della fragilità, della forza dell’impulso oscuro, della sofferenza derivante dalle tenebre e dalle illusioni, della finitudine presente in tutto ciò che è vita, anche dove da essa derivano le supreme forme della vita della comunità. Non possiamo quindi intendere lo spirito oggettivo sulla base della ragione, ma dobbiamo rifarci alla connessione strutturale delle unità viventi che si continua nelle comunità. E non possiamo costringere lo spirito oggettivo entro una costruzione ideale, ma dobbiamo piuttosto porre a base la sua realtà nella storia. Noi cerchiamo di intendere e di rappresentare con concetti adeguati questa realtà. E in quanto lo spirito oggettivo viene così liberato dalla sua fondazione unilaterale in una ragione universale, che esprimeva l’essenza dello spirito del mondo, e liberato anche dalla costruzione ideale, diventa allora possibile un nuovo concetto di esso, il quale comprende il linguaggio, il costume, ogni specie di forma della vita e di stile di vita al pari della famiglia, della società civile, dello stato e del diritto. Così cade anche quello che Hegel ha distinto, rispetto allo spirito oggettivo, come spirito assoluto: arte, religione e filosofia rientrano in questo concetto, poiché proprio in esse l’individuo creatore si mostra nel medesimo tempo come rappresentante della comunanza spirituale, e lo spirito si oggettiva proprio in tali forme vigorose, e può esservi riconosciuto.
Lo storicismo tedesco, a cura di P. Rossi, Torino, UTET, 1977