diminutivo
I diminutivi sono un tipo di alterati (➔ alterazione) per derivazione il cui significato è genericamente attenuativo. L’attenuazione ha esiti diversi a seconda della base di derivazione. Rainer (1990: 209) propone la seguente generalizzazione per dar conto dell’effetto dei diminutivi sulle basi: «cerca la più plausibile scala quantitativa rispetto alla base x e assegna al diminutivo di x un basso valore su questa scala». La scala è determinata dalla nostra conoscenza del mondo, oltre che da informazioni contestuali: ad es., per tavolino l’interpretazione più plausibile è di tipo quantitativo-dimensionale, mentre per maestrina si intende in genere una maestra di giovane età; un pretino, oltre (forse) che essere di giovane età, può darsi che sia anche meno simpatico di un prete.
I tipi di attenuazione espressi dai diminutivi hanno a che fare almeno coi seguenti domini concettuali:
(a) volume (ciuffetto, localino, sassolino);
(b) età (maestrina, negretto, tenentino);
(c) estensione (foglietto, spiaggetta, tastierina);
(d) lunghezza (bastoncino, campaniletto, capitoletto);
(e) numero (complessino, manipoletto, orchestrina);
(f) durata (momentino, viaggetto, visitina);
(g) intensità (bottarella, passioncella);
(h) importanza (mafiosetto, avvocaticchio, regaletto).
Come si vede, si tratta di domini fondamentali della nostra esperienza del mondo, che possono essere raggruppati in classi ancora più semplici. Ad es., il concetto di estensione riunisce sia lunghezza (estensione nello spazio) che durata (estensione nel tempo).
Le scale tengono conto, oltre che di significati denotativi (volume, età), anche di significati connotativi (importanza, e se si vuole intensità). Questi ultimi sono dunque in parte riconducibili alla nostra esperienza (la differenza connotativa tra un bastoncino e un gattino ha chiaramente a che vedere con il nostro atteggiamento verso bastoni e gatti). Ma in parte sono intrinseci al procedimento derivazionale, per cui un gattino e un piccolo gatto non sono sinonimi: per capire il significato di gattino occorre tirare in ballo la funzione pragmatica dell’alterazione, che permette di marcare in modo esplicito una situazione comunicativa attraverso l’uso dei morfemi alterativi.
Le procedure morfologiche impiegate per realizzare effetti diminutivi sono varie. La suffissazione (➔ suffissi) è di gran lunga la preferita. Tra i suffissi che veicolano effetti diminutivi i più produttivi e diffusi sono -ino, -etto, -ello, -uccio e -otto. Tra questi, -ino può combinarsi con tutte le classi grammaticali, a parte i verbi (nomi: tavolino; madonnina; aggettivi: bellino; avverbi: pianino; indefiniti: qualcosina; numerali: miliardino). La sua diffusione è in parte condizionata diatopicamente, essendo prediletto in Toscana, in competizione con -etto soprattutto in Veneto e nel Lazio, mentre al Sud sembra più diffuso -ello (Lepschy 1987). La predilezione per -ino si estende anche all’uso letterario.
Inoltre, -ino è il suffisso meno condizionato da restrizioni di carattere grammaticale. Ad es., non sembra sensibile ad alcun condizionamento fonologico, potendosi apporre a qualunque fonema finale della base, anche vocalico (canoino, stuoino, vassoino). Similmente, a livello morfologico, -ino in genere ricorre in posizione esterna rispetto ad altri suffissi alterativi quando essi compaiono in una sequenza: cucin-ett-ina, figli-ol-ino, pizzic-ott-ino, quadr-ett-ino, ecc. Solo rari casi, per lo più lessicalizzati (o idiomatizzati), presentano la sequenza inversa: lum-in-ello, bamb-in-etto, ecc. Infine, -ino è anche l’unico suffisso che può (in pochi casi) applicarsi consecutivamente: tant-in-ino, piccol-in-ino, ecc.
Anche dal punto di vista semantico -ino sembra dotato del valore diminutivo «più chiaro e più forte» (Tekavčić 1972: 183), come mostra il confronto col suo opposto, l’accrescitivo -one. Si incontrano facilmente sequenze come queste (tratte da Google): «Ogni giorno si parla di rimpasti, rimpastini e rimpastoni», oppure «nei centri commerciali pure le mutande, mutandine e mutandoni portavano i colori delle varie nazioni», ecc. Inoltre, nella terminologia scientifica si hanno coppie come neutrino, coniato da Fermi per indicare una particella di massa inferiore rispetto a neutrone, gravitino sulla base di gravitone, ecc. La salienza di -ino è così robusta che talvolta viene arbitrariamente sentito come presente e gli viene accostato per sostituzione l’accrescitivo in -one, come in trampolone rispetto a trampolino.
Infine, la vasta applicabilità di -ino appare anche nel fatto che può ricorrere con basi straniere, solo parzialmente acclimatate nel lessico dell’italiano, come puzzleino; con lessemi terminanti in vocali toniche (caffeino, teino, tribuina), o con radici lessicali terminanti in /i/ tonica come in bugiina, ziina, il che, a parte l’eccezionale lineetta, sembra impossibile con gli altri suffissi. La fortuna di -ino potrebbe essere in parte dovuta al fattore fonosimbolico (➔ onomatopee e fonosimbolismo), «cioè al valore di piccolezza e gradevolezza legato al fonema /i/» (Merlini Barbaresi 2004a: 282), su cui si sono soffermati in molti (cfr. Ohala 1994).
In realtà, pur essendo meno produttivi, anche gli altri suffissi diminutivi presentano uno spettro semantico analogo. Ad es., -etto, secondo a -ino per produttività e distribuzione, presenta le stesse possibilità, sia connotative (cfr. lanetta «lana di scarsa qualità») che morfopragmatiche (si pensi a una tipica espressione del linguaggio bambinesco come: facciamo il bagnetto al nostro tesoruccio?; ➔ baby talk). La produttività è limitata dalla severa restrizione fonologica che impedisce la suffissazione con -etto a lessemi terminanti in -ettV (-ett seguito da Vocale: *lettetto, *tettetto di contro a lettino, tettuccio), e più in generale in -tV. Bisogna aggiungere che, se è vero che viene evitata, con tutti i suffissi, la creazione di sequenze omofone, essa non è in genere prevedibile, per cui ad es. abbiamo da un lato alterati come gentetta, pastetta, oltre che cucinino, pettinino, ecc.; dall’altro possiamo invece spiegare la presenza dell’interfisso -ic- in sol-ic-ello, vall-ic-ella proprio con la necessità di evitare la sequenza omofona. Si può spiegare allo stesso modo la tendenza di -ello a evitare invece l’interfisso -ol-.
I suffissi diminutivi hanno in comune le tipiche oscillazioni semantiche secondo le scale descritte prima. In particolare, l’attenuazione può sfociare nel peggiorativo, come in donnina, operetta, canzonetta, botteguccia, contadinotto, ecc. Inoltre, il suffisso -otto ha «un significato diminutivo meno polare di quelli fin qui menzionati e per questo ha un suo dominio di uso non in competizione con gli altri» (Merlini Barbaresi 2004a: 287). Formazioni come paesotto, isolotto, ecc., hanno un grado più basso di diminuzione in confronto con le rispettive formazioni con -ino, -etto, ecc. In altre parole, sulla scala dimensionale, -otto si colloca più vicino al punto neutro, talvolta addirittura superandolo fino a formare accrescitivi come in gambotte, sposotta. Il valore diminutivo è invece chiaro nei derivati che denotano piccoli di animali: aquilotto, leprotto, lupacchiotto, orsacchiotto, tigrotto.
Una restrizione semantica generale per l’impiego dei suffissi diminutivi è che le basi (nominali) possibili devono indicare entità delimitate (Rainer 1990: 210). Nomi non numerabili (come caffé, pane, ecc.; ➔ massa, nomi di) in genere non permettono alcun tipo di alterazione: Mario ha comprato del *caffettino / *burrino / *gessetto / *liquorino. A parte un paio di eccezioni come acquetta e l’idiomatico maretta, l’effetto del diminutivo sul nome di massa è quello di creare una nuova entità che rappresenta una porzione singola, delimitata del nome di massa: un caffettino, un gessetto. Similmente, i diminutivi, e in particolare quelli in -ino, sono molto produttivi con gli astratti deverbali costruiti sulla forma del participio passato femminile: fumatina, telefonatina (cfr. Gaeta 2004: 338-346). Quanto alle basi aggettivali, sono ammessi in genere solo gli aggettivi, semplici o derivati, di valore qualificativo (bellino, maliziosetto), mentre gli aggettivi denominali di relazione sono possibili «solo quando un uso traslato li renda graduabili» (Merlini Barbaresi 2004b: 445): paesanotto, mondanetta.
L’applicazione di suffissi diminutivi a verbi ha in generale l’effetto di attenuare la portata dell’azione denotata. I verbi con suffissi diminutivi sono in maggioranza di tipo continuativo, denotano cioè azioni che si protraggono nel tempo senza dare adito a uno stato risultante (Bertinetto 2004: 468). L’effetto di attenuazione si manifesta in «un’azione compiuta con intensità ridotta, spesso con assenza di pieno coinvolgimento, senza un autentico impegno, e con scarsità di risultati» (Bertinetto 2004: 470). Esempi tipici sono alterati come leggiucchiare o vivacchiare.
Da notare che gli alterati deverbali, oltre alla presenza piuttosto diffusa di interfissi (in particolare -er-: cant-er-ellare, salt-er-ellare), mostrano spesso anche l’ulteriore presenza del prefisso s-: s-mangi-ucchi-are, s-vol-acchi-are. Infine, gli alterati deverbali ricorrono spesso nella cosiddetta perifrasi continua (➔ perifrastiche, strutture) con andare/venire + gerundio, mentre il corrispondente verbo base è escluso: Anna andava dormicchiando / *dormendo nella stanza accanto. Infatti, la perifrasi progressiva è compatibile di preferenza con verbi durativi che prevedono uno stato risultante finale: Anna andava verniciando il telaio della finestra sotto la sorveglianza del capocantiere. Valori diminutivi sono ottenuti anche attraverso meccanismi di prefissazione: è il caso, per es., di miniappartamento, miniriforma, microspia, sottopagare, ipodotato, ecc. (➔ prefissi).
Bertinetto, Pier Marco (2004), Verbi deverbali, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 465-472.
Gaeta, Livio (2004), Nomi d’azione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 314-351.
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Lepschy, Giulio C. (1987), Diminutivi veneti e italiani: a proposito di “Libera nos a malo”, in Romania et Slavia Adriatica. Festschrift für Žarko Muliaćič, hrsg. von G. Holtus & J. Kramer, Hamburg, Buske, pp. 389-400.
Merlini Barbaresi, Lavinia (2004a), Alterazione, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 264-292.
Merlini Barbaresi, Lavinia (2004b), Aggettivi deaggettivali, in Gross-mann & Rainer 2004, pp. 444-450.
Ohala, John J. (1994), The frequency codes underlies the sound symbolic use of voice pitch, in Sound symbolism, edited by L. Hinton, J. Nichols & J.J. Ohala, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 325-347.
Rainer, Franz (1990), Appunti sui diminutivi italiani in -etto e -ino, in Parallela 4. Morfologia. Atti del V incontro italo-austriaco della Società di linguistica italiana (Bergamo, 2-4 ottobre 1989), a cura di M. Berretta, P. Molinelli & A. Valentini, Tübingen, Narr, pp. 207-218.
Rohlfs, Gerhard (1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3º (Sintassi e formazione delle parole) (1a ed. Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 3º, Syntax und Wortbildung).
Tekavčić, Pavao (1972), Grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 3º (Lessico).