Buzzati, Dino
Scrittore e pittore di mondi fantastici
Le fantasie vissute quando era bambino non hanno mai abbandonato lo scrittore e pittore Dino Buzzati, che descrive terre lontane dove vivono personaggi inverosimili e dove accadono vicende altrettanto incredibili. Uno stile essenziale e concreto caratterizza la sua produzione ‒ romanzi, racconti brevi e poesie ‒ e rende possibile questo universo fantastico
Nato a Belluno nel 1906, a quattordici anni Dino Buzzati-Traverso era un ragazzino coscienzioso e diligente, con un punto fermo: la passione per la montagna, una passione che non lo avrebbe mai abbandonato, alimentando la sua abitudine a fantasticare. Il piacere e poi il bisogno della letteratura nacquero così, liberamente, nutriti non tanto dalle sollecitazioni scolastiche, quanto semmai dal mondo immaginario dell'infanzia: quello delle estati trascorse nella villa di famiglia con il suo giardino incantato, delle passeggiate in campagna e dei tanti racconti leggendari e fantastici narratigli dalla governante. Sarà quindi la matrice fantastica della narrazione a segnare il suo esordio letterario che lo porrà da subito, anche per la scelta di un linguaggio colloquiale e quotidiano, in un'area appartata rispetto alla narrativa novecentesca degli anni Trenta, caratterizzata dal recupero del classicismo e da una rigorosa cura stilistica.
Il romanzo che lo rese famoso fu Il deserto dei Tartari (1940). La trama, povera di avvenimenti esterni, s'incentra sulla vita interiore del protagonista, oppressa da una logorante attesa destinata a restare insoddisfatta. Una dimensione esistenziale che viene raffigurata dal deserto ‒ metafora di un'arida solitudine sempre uguale a sé stessa ‒ e dal viaggio che, con la sua progressione incompiuta, rappresenta un'esistenza priva di sviluppi. Il gusto del favoloso resta così l'aspetto caratteristico della scrittura di Buzzati e fornisce materia anche alla produzione elaborata negli anni successivi con la quale lo scrittore mette a punto quella misura narrativa che gli rimase poi congeniale: il racconto breve.
Anche quando, dopo il conflitto mondiale, Buzzati tornerà a scrivere in un clima sociale e politico sostanzialmente nuovo ‒ segnato dalla caduta del fascismo, di cui egli aveva subito il fascino e condiviso gli ideali ‒ continuerà a prediligere la forma breve del racconto, piegandola anche ad argomenti frivoli e leggeri. Scelta che lo terrà, ancora una volta, lontano dal dominante neorealismo della narrativa contemporanea e gli consentirà di coltivare il tema dell'evasione, sempre più necessario per allontanarsi da una realtà in cui egli non era più disposto a riconoscersi. In quegli anni Buzzati inizia a sperimentare generi letterari diversi: torna al romanzo, si esercita senza successo alla composizione di opere teatrali e si dedica anche alla poesia. Tra questa consistente e varia produzione, si distingue il Poema a fumetti (1969) dove trova compimento accanto alla vena di narratore quella di disegnatore, passione che Buzzati aveva coltivato fin dalla fanciullezza e che nella maturità divenne, come già la scrittura, uno strumento finalizzato a raccontare storie: attraverso i disegni prendono forma quei mondi fantastici che mai lo abbandonarono fino al momento della sua morte, avvenuta a Milano nel 1972.
In un tempo e in un luogo indefiniti un giovane ufficiale, Giovanni Drogo, viene inviato alla Fortezza Bastiani, un avamposto al limite di un deserto, presunto punto strategico per l'attacco del nemico. Dopo un viaggio lungo e faticoso, Drogo raggiunge la roccaforte, immersa nel silenzio e in una solitudine immensa, dove il tempo trascorre sempre uguale. Al di là di essa si trova il deserto, chiamato dei Tartari perché lontane leggende tramandano la notizia che anticamente questi lo avessero abitato. La vita trascorre monotona nell'attesa snervante e mai realizzata di un attacco nemico. Drogo aspetta inutilmente per mesi, per anni, per decenni e, con lui, gli altri militari che vivono nella fortezza. Quando infine l'evento tanto atteso sta per arrivare, Drogo, ormai vecchio e malato, è costretto ad allontanarsi per affrontare l'unica grande occasione concessagli, la battaglia decisiva: l'incontro con la morte.