Neorealismo
Il mondo sotto la lente del cinema
Originale modo di osservare il mondo attraverso il cinema, il neorealismo è il movimento che ha dato maggiore notorietà – anche sul piano internazionale – al cinema italiano. Da Roberto Rossellini a Luchino Visconti, da Vittorio De Sica a Giuseppe De Santis, da Pietro Germi ad Alberto Lattuada, da Luigi Comencini a Luigi Zampa, quasi tutti i maggiori registi affermatisi negli anni del secondo dopoguerra hanno legato il loro nome alla fase neorealista
Il neorealismo fu soprattutto un nuovo modo di pensare e di fare il cinema, «uno sguardo nuovo sulle cose», come disse uno dei suoi principali esponenti, Visconti. Il termine neorealismo in un primo momento fu utilizzato per indicare una nuova forma di romanzo realista realizzata da scrittori come Alberto Moravia e Corrado Alvaro. Quando uscì il primo film di Visconti, Ossessione (1943), il termine venne usato per definire lo stile del regista, basato su un realismo di tipo ‘nuovo’.
Nel cinema italiano, già nei film del muto e in quelli della metà degli anni Trenta, era evidente la tendenza a far vedere le cose così come accadono, cogliendo le vicende della vita e della gente comune nella loro autenticità, senza abbellimenti. I film del neorealismo svilupparono questi aspetti, ma anche per il fatto che vennero realizzati nel dopoguerra, ossia in un periodo molto difficile e al tempo stesso aperto ai cambiamenti e a nuovi modi di pensare, furono molto più espliciti nel rappresentare la realtà e i suoi problemi. In queste opere protagonista è la gente comune, vista nel suo ambiente: le strade delle città ancora devastate dalla guerra, le fabbriche, le campagne. Che si tratti dei bambini che lottano per la sopravvivenza come in Sciuscià (1946) di De Sica o della dura vita dei pescatori siciliani come in La terra trema (1948) di Visconti.
La riscoperta del paesaggio fu una delle caratteristiche più significative dei film neorealisti. Un’opera come Paisà (1946) in cui Rossellini mostra, dal Sud al Nord, l’Italia in guerra, rivela molto bene il legame fra il paesaggio reale e le vicende drammatiche che vi si svolgono, seguite con grande partecipazione dal regista.
Con il neorealismo il paesaggio diviene coprotagonista delle storie e non semplice sfondo scenografico. Molte immagini scorrono sotto i nostri occhi e mostrano, per esempio, Roma ancora distrutta dalla guerra in Roma città aperta (1945) di Rossellini; ancora Roma in Ladri di biciclette (1948) di De Sica, percorsa in lungo e in largo da un uomo, accompagnato dal figlio, alla disperata ricerca della bicicletta che gli è stata rubata. La Napoli dei bassifondi e dei vicoli in Proibito rubare (1948) di Comencini; il mare della Sicilia in La terra trema; la costiera tirrenica in Senza pietà (1948) di Lattuada; le risaie piemontesi in Riso amaro (1946) di De Santis.
Già nei primi anni Cinquanta vennero realizzati film considerati espressione del cosiddetto neorealismo rosa, definizione con cui si volle indicare uno stile da commedia, rispetto al dramma o alla tragedia che erano stati i toni più frequenti nelle opere precedenti. Prima presenti come eroine tragiche, le donne protagoniste sono ora raffigurate soprattutto come fanciulle di belle speranze, in cerca del giovane da sposare. Tra i titoli più significativi di questa tendenza, da ricordare Poveri ma belli (1956) di Dino Risi o Susanna tutta panna (1957) di Steno, graziosi ritratti di un’Italia che vuol dimenticare gli anni difficili, descritti dal primo neorealismo, e che aprono la strada alla cosiddetta commedia all’italiana.
Nel frattempo era cambiato il clima storico e culturale del paese e quindi era arrivata al suo termine anche la stagione del neorealismo. Una stagione che ha comunque continuato a suscitare interesse e ha costituito un importante modello di riferimento per registi di generazioni successive, sia italiani (da Pier Paolo Pasolini a Gianni Amelio), sia stranieri (da Martin Scorsese ad Abbas Kiarostami). Autori che hanno fatto proprio l’elemento di stile più singolare del neorealismo: la fiducia verso la forza e la durezza con la quale il cinema può descrivere e raccontare il mondo.