DIOGENE di Sinope
Filosofo greco del sec. IV a. C. La tradizione, che ha tipizzato la sua figura in quella del più caratteristico rappresentante della filosofia cinica, l'ha insieme arricchita d'una così vasta fioritura aneddotica, da rendere assai difficile la determinazione di quel che in essa corrisponda a realtà. Dagli aneddoti d'ambiente ateniese, quel che di più sicuro si può ricavare sono le linee generali della figura umana di D., negatore imperterrito d'ogni valore borghese di fronte all'ideale della povertà sufficiente a sé stessa e interprete della contrapposizione sofistica della "natura" alla "convenzione" nel nuovo significato della negazione d'ogni esigenza di civiltà per il libero esercizio della vita di natura. D. riceve per questo dai suoi concittadini il nome di "cane" (κύων); e "cinismo" è nient'altro che l'"imitazione del cane", cioè di D. (v. cinici). Di qui l'opinione di alcuni (come lo Schwarz) che la tradizione cinica sia stata propriamente iniziata da D., non potendo esservi altro "cinico" prima del "cane" (anzi primo cinico essendo a rigore solo il primo seguace del cane, e cioè Cratete di Tebe), e non essendo in realtà Antistene, che dalla tradizione è considerato suo maestro e fondatore del cinismo, se non uno scrittore moralista, che fondeva motivi socratici con motivi sofistici e all'elaborazione pratica del cinismo poteva offrire solo qualche teoria, come l'idealizzazione antiedonistica del πόνος, dello sforzo. Altri, viceversa, hanno riferito ad Antistene ogni contenuto propriamente filosofico dell'atteggiamento di D., vedendo in questi solo il bizzarro realizzatore degl'ideali antistenici. La tradizione antica sta tra gli uni e gli altri, perché considera D. scolaro di Antistene, ma gli attribuisce un'elaborazione ulteriore del pensiero del maestro in quattro punti: estensione dello stato di natura ai rapporti tra i due sessi, e conseguente comunità delle donne e dei figli; proclamazione della civitas mundi (ancora, peraltro, intesa in senso negativo, come rifiuto dei doveri civici rispetto a un singolo stato, ma comunque tale da poter poi facilmente essere interpretata in senso positivo dalla concezione stoica dello stato universale); interpretazione ascetica del cinismo (nell'esercitazione del corpo e dell'anima all'indifferenza, priva quindi di ogni valore di mistica fuga dal mondo); professione dell'ἀναίδεια (cioè dispregio per ogni riguardo borghese e attuazione anche scandalosa del proprio ideale di vita contro i pregiudizî dei benpensanti: che fu anche la causa più specifica, come pare, del suo soprannome di "cane", animale che i Greci prendevano ad esempio di naturalità impudente). Egualmente incerto è il valore che per la personalità di D. abbia avuto l'attività letteraria: che da una parte sembra estranea alla sua natura, e dall'altra è attestata da frammenti e da titoli di opere, per quanto già gli antichi che li riferivano non fossero d'accordo su di essi e ne contestassero talora l'autenticità. In ogni modo, il tratto più tipico e certo della figura semileggendaria di D. sembra rimasto in quel παραχαράττειν τὸ νόμισμα, "mutare il conio della moneta", di cui lo stesso D. si attribuiva il mestiere, fornendo così alla tradizione la materia per costruirvi sopra la leggenda della sua giovanile condanna per effettiva coniazione di moneta falsa, e del responso delfico ad essa riferentesi. Παραχαράττειν τὸ νόμισμα era infatti, per un Greco, non solo l'alterare il conio di una moneta (νόμισμα = nummus), falsandone il valore, ma insieme il mutar volto a un costume, a una norma, a una legge (νόμισμα = mos, lex): e motivo fondamentale della predicazione di D. era appunto quello del cambiar la norma sociale vigente, rovesciando i valori che le stavano alla base e comprando la vita con una moneta nuova.
Per i titoli degli scritti v. Diogene Laerzio, VI, 80, che ne riferisce due elenchi non concordi; per i framm. v. Mullach, Fragm. Philos. Graec., II, pp. 295-330 e Nauck, Trag. Graec. fragm., p. 807 segg. Per le epistole falsamente attribuite a D., Hercher, Epistologr. Graeci, p. 235 segg.
Bibl.: Per l'interpretazione v. soprattutto E. Schwartz, Charakterköpfe aus der antiken Literatur, II, 3ª ed., Lipsia 1919, p. 1 segg.; per l'enumerazione e l'analisi delle fonti, P. Natorp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, coll. 765-73. Per la leggenda di D. v. specialmente G. A. Gerhard, in Arch. f. Religionswiss., XV (1912), p. 388 segg.; XVII (1914), p. 335 segg. Ampia la bibliografia concernente le false epistole, per cui v. Ueberweg-Praechter, Grundr. d. Gesch. d. Philos., I, 12ª ed., Berlino 1926, pp. 63*-64*.