MARVASI, Diomede
MARVASI, Diomede. – Nacque il 13 ag. 1827 a Casalnuovo (oggi Cittanova), presso Reggio Calabria, da Tommaso e da Gerolama Guzzo; appartenne a un’agiata famiglia borghese politicamente orientata verso i principî liberali ispirati dalle idee di uguaglianza e fraternità diffuse dalla Rivoluzione del 1789.
Il nonno Francescantonio era stato protagonista della rivoluzione del 1799 e aveva partecipato ai moti del 1820, mentre il padre, notaio, carbonaro e massone, fu un esponente dell’opposizione liberale al governo borbonico e per questo nel 1850 fu anche arrestato.
Compiuti gli studi classici a Monteleone (oggi Vibo Valentia), nel 1844 il M. si trasferì a Napoli per intraprendere gli studi giuridici. La formazione politica familiare lo portò ad avvicinarsi ai gruppi liberali napoletani; tra gli studenti strinse amicizia con A.C. De Meis, P. Villari, L. Settembrini, i fratelli B. e S. Spaventa e A. e C. Poerio; come maestri seguì in particolare B. Puoti e F. De Sanctis.
Dopo avere subito un primo arresto per motivi politici nel 1847, non desistette dall’impegno diretto e nel 1848 firmò un Indirizzo ai Borbone, in cui si chiedeva al sovrano di ripristinare la costituzione del 1820 riformata in senso bicamerale.
Attivo collaboratore del Nazionale, foglio fondato a Napoli da S. Spaventa all’inizio del 1848, allo scoppio della guerra di indipendenza il M. si arruolò nella guardia civica e sostenne con forza l’invio in Lombardia dei volontari napoletani. Il 15 maggio 1848 venne ferito da un colpo di baionetta durante i combattimenti in città. Nei giorni che seguirono, quando la reazione si abbatté sui rivoltosi, il M. fuggì imbarcandosi su un vascello francese.
L’anno successivo, al ritorno a Napoli, fu arrestato e tradotto al carcere della Vicaria. Deferito alla Gran Corte criminale con l’accusa, tra le altre, di essere affiliato alla Giovine Italia, venne assolto per insufficienza di prove. Uscito dal carcere iniziò a svolgere con successo l’attività di avvocato, ma nel 1851 fu di nuovo accusato di partecipazione a progetti eversivi; arrestato nel 1853, fu giudicato esaltato liberale e condannato all’esilio perpetuo.
Imbarcato sul piroscafo francese «Hellespont», che avrebbe dovuto condurlo in America, il M. si fermò invece a Malta. La vita nell’isola gli apparve subito triste e monotona e neppure l’arrivo di De Sanctis, esule anch’egli, alleviò il disagio del M. che chiese agli amici di adoperarsi per fargli avere un passaporto per il Piemonte; ottenutolo, lasciò Malta e insieme con De Sanctis raggiunse Torino, dove ritrovò, oltre a De Meis e a B. Spaventa, un folto gruppo di fuoriusciti napoletani tra cui A. Scialoja e P.S. Mancini. Centro di riunioni fra gli esuli partenopei era il caffè della Perla, mentre il luogo degli incontri politici e letterari era il salotto di casa Mancini (animato dalla poetessa Laura Beatrice Oliva, moglie dello stesso Mancini) costantemente frequentato dal M. e da De Meis.
Non ancora abilitato all’esercizio forense, il M. iniziò a studiare la legislazione piemontese e a frequentare lo studio dello Scialoja. Qui, insieme con Mancini e con G. Pisanelli, cominciò a lavorare a un Commentario del Codice di procedura civile degli Stati sardi, pubblicato a fascicoli a Torino tra il 1855 e il 1858. Nel 1856 la partenza di De Sanctis per Zurigo amareggiò il M., ma l’amicizia anziché spegnersi si consolidò attraverso un costante e ricco scambio epistolare. Nel giugno dello stesso anno il M. presentò alla corte di appello di Torino istanza per l’ammissione all’esercizio del patrocinio legale che fu accolta ai primi di gennaio del 1857. In breve tempo divenne un avvocato famoso per il facile e forbito eloquio e per la solida preparazione.
In seguito alle annessioni del 1859-60, al M. fu offerta dall’Università di Modena la cattedra di diritto costituzionale: egli accettò ma non prese mai possesso della cattedra perché la liberazione del Mezzogiorno gli consentì di tornare a Napoli, dove giunse il 6 ag. 1860 in compagnia di De Sanctis e De Meis.
Gli furono subito conferiti incarichi di prestigio. Nell’ottobre del 1860 il M. fu nominato giudice della Gran Corte criminale di Santa Maria Capua Vetere con funzione di sostituto procuratore generale; nel dicembre ottenne da L.C. Farini, luogotenente del re a Napoli, la carica di direttore (vale a dire sottosegretario) del dicastero di Polizia della Luogotenenza, collaborando con S. Spaventa che ricopriva la carica di ministro.
Nel gennaio del 1861 il M. si presentò candidato alle elezioni per l’VIII legislatura nel collegio di Cittanova; eletto, rinunciò per incompatibilità con la carica che ricopriva nel dicastero di Polizia a Napoli. Si ripresentò ancora candidato nel medesimo collegio pochi mesi dopo, nell’aprile 1861, ma di nuovo fu costretto a declinare il mandato, ancora per incompatibilità, per non dover rinunciare alla carriera in magistratura. Nel 1862 il M. fu nominato sostituto procuratore generale. Nel medesimo anno sposò Elisabetta Miceli, vedova Viollard, donna colta nel cui salotto si riunivano letterati e artisti.
Nel 1863 il M. fu nominato procuratore generale presso il tribunale di Napoli, con il compito precipuo di indagare sulle cospirazioni del Comitato centrale borbonico che fomentava speranze di restaurazione del passato regime e alimentava il brigantaggio minando la sicurezza interna.
In tale funzione il M. mostrò costantemente equilibrio, correttezza, pragmatismo e grande conoscenza della dottrina giuridica. Così fu quando, pur avendo le prove del favoreggiamento di Francesco II (in esilio a Roma) nei confronti del brigantaggio, non ritenne opportuno procedere contro di lui o quando, unico tra i membri della giunta per la repressione istituita a Napoli secondo quanto stabilito dalla legge Pica, si oppose all’arresto dei giornalisti S. Morelli, G. La Cecilia e G. Gervasi – tutti di idee democratiche – in quanto atto arbitrario, di natura politica e non di pubblica sicurezza, ma soprattutto un vulnus alla libertà di stampa e di opinione.
Nell’ottobre del 1866, dopo la fine della III guerra d’indipendenza, il Senato costituito in Alta Corte di giustizia per giudicare l’ammiraglio C. Pellion conte di Persano annoverò il M. tra i tre procuratori generali incaricati del giudizio.
A lui fu affidato il compito della requisitoria finale pronunciata nella tornata dell’11 apr. 1867. Fu un intervento lucido, emozionato ed emozionante: il M. esordì proclamando di accingersi al giudizio «colla più grande freddezza d’animo» e che l’unica passione che lo motivava era «l’adempimento del mio dovere» (Scritti, pp. 158 s.). Passò quindi a discutere e a dimostrare l’imperizia, la negligenza, la disobbedienza di Persano nella battaglia del 20 luglio e anche nei giorni precedenti, chiedendo come pena la degradazione e la radiazione dell’ammiraglio dalla Marina.
La requisitoria del M., considerata un capolavoro di eloquenza, tradotta in più lingue, divenne famosa a livello europeo.
Promosso consigliere presso la Corte di cassazione di Napoli nel 1868, il M. entrò nella commissione per la riforma dei codici. In seguito decise di tornare alla vita politica e si candidò alle elezioni del 1870 nel collegio di Cittanova, ma fu sconfitto nel ballottaggio per soli sei voti. Nello stesso 1870, insieme con alcuni amici, acquistò La Patria, il giornale che meglio rappresentava la politica dei moderati. Nel 1872, dopo lo scioglimento del Consiglio comunale di Napoli, venne nominato regio commissario straordinario. Nello svolgimento di detto incarico ottenne positivi risultati soprattutto nel dirimere il conflitto tra liberali e clericomoderati che aveva paralizzato la vita pubblica cittadina.
Dopo questa esperienza ebbe altri incarichi giudiziari: nel novembre del 1873 come procuratore generale presso la corte d’appello di Napoli e nel marzo del 1874 come procuratore generale presso la Cassazione della stessa città. Infine il 15 nov. 1874 fu nominato senatore del Regno.
In precarie condizioni di salute per una malattia cardiaca, il suo ultimo atto pubblico fu il discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 1875 a Napoli. Ricoverato in una clinica di Castellammare di Stabia, si spense il 18 ott. 1875.
Dopo la morte del M. la moglie promosse la pubblicazione degli Scritti, a cura di F. De Sanctis (Napoli 1876) e, nel 1913, curò, con prefazione di B. Croce, le Lettere da Zurigo a D.M.: 1856-1860 inviate da De Sanctis durante l’esilio elvetico.
Fonti e Bibl.: Per quanto riguarda il ricco epistolario del M. con maestri e amici: B. Croce, Lettere di D. M., in Ricerche e documenti desanctisiani. Dal carteggio inedito di Francesco De Sanctis (1861-1883). Documenti, in Atti dell’Acc. Pontaniana, XLV (1915), pp. 1-28; R. Moscati, Lettere di Silvio Spaventa a D. M., in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, III (1933), pp. 369-386; M. Vinciguerra, Lettere di D. M. a Silvio Spaventa, ibid., VIII (1938), pp. 288-320; M. Vinciguerra, Lettere di Nicola Amore a D. M., ibid., IX (1939), pp. 319-347; F. De Sanctis, Epistolario, I-V, Torino 1956-93, ad indices; V. Visalli, D. M., Siena 1894; R. Petti, D. M., in Giuristi napoletani, Napoli 1907, ad ind.; V. Morelli, D. M. nella vita e nell’ideale, Palmi 1924; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi, II, Reggio Calabria 1955, ad nomen; B. Barillari, D. M., in Almanacco calabrese, Roma 1955, pp. 119-122; U. Arcuri, D. M. e la sua requisitoria contro l’ammiraglio Persano, Reggio Calabria 1966; A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, ad ind.; D. De Giorgio, Ricordo di D. M., in Historica. Riv. bimestrale di cultura, XXIX (1976), pp. 19-23; Id., D. M. magistrato, ibid., XXXII (1979), pp. 79-88; N. Sinopoli, D. M., in Calabria letteraria, XLVIII (2000), pp. 87-90; V. Marvasi, D. M.: patriota scrittore magistrato, Soveria Mannelli 2001; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, s.v.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (G.M. De Stefano); Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, pp. 166 s.