DIPLOMATICA (dal gr. διπλωμα, letteralmente "piegato in due", nome che si dava ad ogni scritto di autorità competenti ad assegnare qualche funzione o attribuire qualche privilegio; ted. anche Urkundenlehre)
È la scienza che ha per oggetto le attestazioni scritte, di contenuto e significato giuridico (documenti). Essa perciò studia:1. i documenti in senso stretto, cioè le testimonianze scritte in determinate forme sopra fatti di natura giuridica; 2. le lettere, ossia le comunicazioni fatte senza un vero scopo giuridico, ma con forme esterne e interne che cambiano secondo i tempi, le persone e le tradizioni e che perciò ne fanno un genere molto simile ai documenti; 3. i mandati, le lettere patenti e simili, che stanno tra i documenti in senso stretto e le lettere, e sono ordini o concessioni delle autorità ai loro soggetti; 4. tutti quegli atti che servono alla preparazione dei documenti, come le informazioni, le corrispondenze d'ufficio, le testimonianze, i protocolli, i rendiconti e altre annotazioni d'affari. Scopo principale della diplomatica è quello di offrire sicure norme per stabilire caso per caso la genuinità, la corruzione o la falsificazione dei documenti. Tuttavia in questo non si esaurisce il suo compito, poiché i documenti non servono solamente come mezzi di prova di diritti ancora esistenti, oppure come fonti della storia politica o del diritto, ma sono studiati oggi, dalla metà circa del sec. XIX, in sé e per sé.
La diplomatica per le sue ricerche si giova dei documenti pervenuti in originale, perché solo dallo studio di essi si possono ricavare le caratteristiche proprie di ciascun genere di documento e stabilire norme critiche per giudicare della loro genuinità, anche quando siano noti solo attraverso le copie.
Storia della Diplomatica. - La storia di questa scienza comincia col 1681, allorché Jean Mabillon, benedettino della congregazione di S. Mauro, pubblicò la sua opera De re diplomatica libri sex (Parigi 1681 e 1709) la quale era essenzialmente una diplomatica speciale dei diplomi regi a difesa dei documenti dell'abbazia di Saint-Denis, che erano stati attaccati dal gesuita Daniel Papebroch. Anche prima del Mabillon i documenti avevano formato oggetto di dotte critiche e di appassionate contese, senza dire che in ogni tempo, nei giudizî specialmente, si cercò di appurare la genuinità dei documenti prodotti per far valere dei diritti. Basti accennare all'umanista Lorenzo Valla, che dimostrò la falsità della donazione di Costantino, e ai numerosi bella diplomatica che si ebbero in Germania al principio del sec. XVII. Ma in tutti gli scritti dove si discusse dell'autenticità dei documenti, manca la trattazione scientifica, quella cioè che si preoccupa di stabilire se i documenti siano genuini o falsi in base all'accertamento delle caratteristiche proprie di ciascun gruppo di essi. A questo scopo mirò appunto il Mabillon, nel porre i fondamenti della nuova scienza, senza neppure ricordare il suo avversario Papebroch. Continuatori dell'opera del Mabillon furono i padri maurini Ch. - Fr. Toustain e R.-P. Tassin, col Nouveau Traité de Diplomatique (voll. 6, Parigi 1750-1765), che fu tradotto anche in tedesco; ma essi fecero progredire ben poco la scienza, che pure era stata piantata su solide basi, un po' perché, essendosi proposti un campo troppo vasto, riuscirono insufficienti, un po' anche perché applicarono alla diplomatica il sistema delle classi e delle sottoclassi in uso nella storia naturale, adibendo a questo scopo quasi sempre lo stesso materiale, senza il contributo efficiente di nuovi studî.
Col sec. XIX però la diplomatica fece grandi progressi, principalmente perché, con l'abolizione della feudalità, gli archivî furono resi pubblici e i documenti cessarono di essere considerati principalmente come mezzi per far valere diritti e furono apprezzati anche, anzi soprattutto, per il loro valore storico. Inoltre l'invenzione della fotografia, permettendo di studiare e confrontare originali lontani, fu un altro dei motivi della precisione dei risultati che si poterono raggiungere.
La nazione ancora al primo posto negli studî di diplomatica nella prima metà del sec. XIX era la Francia. Ivi nel 1821 fu istituita l'École des Chartes, che aveva il compito della formazione pratica di dotti in paleografia, diplomatica e cronologia e diede impulso ai notevolissimi lavori di Jules Quicherat e di L. de Mas-Latrie; ivi ancora, più tardi, si sentì il soffio rigeneratore dell'opera di Léopold Delisle (1826-1910), uno dei più grandi paleografi dell'era moderna, che si occupò con successo anche di questioni di diplomatica. Anche in Germania, verso lo stesso tempo, questi studî erano favoriti dalla costituzione della Società per la pubblicazione delle fonti della storia tedesca, che sotto la guida di G. H. Pertz (1795-1876), secondo il piano fissato nel 1824, iniziò la pubblicazione dei Monumenta Germaniae Historica. Quasi nello stesso tempo, nel 1831, Joseph Franz Böhmer (1795-1863) pubblicò, sulle fonti a stampa, i Regesta imperii dal 911 al 1313, che furono poi estesi ad altri periodi e ampliati dallo stesso Böhmer e dai suoi continuatori anche sul materiale inedito, mediante ricerche sistematiche in tutti gli archivî; e Philipp Jané (1819-1870) sull'esempio del Böhmer, pubblicò (1851) i Regesta Pontificum Romanorum ab condita Ecclesia ad annum post Christum natum MCXCVIII, usciti in una seconda edizione, a cura di continuatori nel 1885 e 1888. Ma gli studî di diplomatica in Germania fiorirono specialmente per opera di Theodor von Sickel, già allievo dell'École des Chartes, il quale raggiunse negli Acta regum et imperatorum Karolinorum (Vienna 1867) il grado massimo della perfezione, riuscendo a distinguere lo scritto dal dettato, con un metodo che fu poi seguito anche dagli eccellenti suoi discepoli, usciti dall'Institut für Österreichsgeschichte, da lui fondato a Vienna a somiglianza dell'École des Chartes. Accanto al Sickel si devono ricordare anche Julius Ficker, che giunse a stabilire un punto fondamentale nello studio dei documenti imperiali, cioè la distinzione tra azione e documentazione e quindi il rapporto tra la data e l'indicazione di luogo, e Heinrich Brunner, che nel campo dei documenti privati pervenne alla distinzione dei documenti medievali in carte e notizie. In Italia gli studî di diplomatica, che dapprincipio erano stati inspirati dal Mabillon e dai padri maurini, come per es. le opere di Scipione Maffei e di Angelo Fumagalli, furono poi condotti con l'applicazione dei metodi tedeschi, che diedero ottimi risultati, specie nell'opera di Luigi Schiaparelli.
I risultati degli studî speciali ottenuti nel campo della diplomatica da una schiera di dotti fra cui emergono, oltre ai già menzionati, i nomi di H. Bresslau, H. Steinacker, P. Kehr, K. Brandi, H. Voltelini e R. Heuberger, si trovano riassunti e prospettati, talora con originalità di vedute, in ottimi manuali come quelli del Paoli, del Giry, del Bresslau, dello Steinacker e del Redlich.
Diplomatica generale.
Fattori del documento. - Si chiamano fattori del documento le persone che concorrono necessariamente alla redazione di esso. Queste sono: a) l'autore dell'azione, cioè la persona che fa l'azione documentata; b) il destinatario, al quale l'azione è diretta; c) l'autore del documento, cioè la persona per incarico o per richiesta della quale il documento viene redatto; d) il dettatore, che redige il testo del documento; e) lo scrittore, il quale scrive materialmente il documento. L'autore del documento può identificarsi con l'autore dell'azione e col destinatario, come può essere una terza persona. Anche il dettatore può identificarsi con lo scrittore del documento, e l'uno e l'altro possono, alla lor volta essere una stessa persona con l'autore dell'azione o con il destinatario. Soltanto il nome dell'autore dell'azione deve in ogni caso essere espresso nei documenti; il destinatario può essere indicato genericamente (universis praesentes litteras inspecturis) o sottinteso; il nome del dettatore e dello scrittore può essere omesso del tutto.
Forma iiel documento. - I documenti possono essere in forma soggettiva e in forma oggettiva. Si ha la fo1ma soggettiva quando l'autore dell'azione è introdotto a parlare in prima persona singolare o plurale, si ha invece quella oggettiva quando lo stesso si esprime in terza persona, o per meglio dire, è il dettatore del documento che parla dell'azione da quello compiuta. Entrambe le forme si trovano già nel periodo romano, ma la forma soggettiva è la più antica. Alle volte in uno stesso documento si trovano riunite le due forme, come per es., negli atti notarili fino al sec. XI, nei quali dopo la forma di solito soggettiva del testo, è introdotto a parlare, nella completio, il notaio, per modo che il testo è soggettivo rispetto all'autore dell'azione fino alla sottoscrizione del notaio, dove diventa soggettivo rispetto a quest'ultimo.
Caratteristiche dei documenti. - Tutti i documenti sono fatti per uno scopo speciale, che raggiungono mediante l'osservanza di determinate forme, le quali nel loro complesso costituiscono le caratteristiche interne ed esterne dei documenti e sono, come si è detto, l'oggetto principale della diplomatica. Si chiamano caratteristiche interne quelle che riguardano il tenore dei documenti e che perciò possono essere tramandate anche attraverso le copie. Esse sono costituite dalle varie formule delle quali il tenore è composto e dalla lingua.
Le formule possono appartenere al protocollo oppure al testo dei documenti. Si chiamano formule del protocollo quelle che servono a indicare il nome dell'autore e del destinatario, nonché le circostanze in cui si compie l'azione giuridica espressa nel documento. Si chiamano invece formule del testo quelle che si riferiscono direttamente al contenuto giuridico del documento. Le formule del protocollo possono nei documenti di uno stesso autore rimanere immutate per un tempo più o meno lungo; quelle del testo debbono necessariamente essere sempre diverse, anche se di uno stesso autore, perché ogni documento si riferisce a una sua propria azione, che è diversa da quella degli altri. Le formule del protocollo, se prendono posto prima del testo si dicono protocollo iniziale o protocollo propriamente detto; se invece sono collocate in fine, protocollo finale o escatocollo.
Le formule che costituiscono il tenore di un documento sono diversissime non solo fra le varie specie di documenti, cioè ad es. tra atti notarili e atti imperiali o pontifici, ma anche tra atti usciti nello stesso tempo o in tempi diversi da una stessa cancelleria. Perciò un'elencazione completa delle varie formule riesce impossibile; l'elencazione che segue ha il solo scopo di indicare alcune delle formule più comuni: a) Invocatio: è l'invocazione di Dio. Può essere simbolica o monogrammatica se è fatta attraverso un segno come la croce o il chrismon, oppure può essere verbale, se è espressa in parole come a es. In nomine sanctae et individuae trinitatis. In alcuni documenti le due invocazioni simbolica e verbale si trovano riunite. b) Intitulatio: consta dell'intitulatio propriamente detta, la quale reca il nome e il titolo dell'autore dell'azione spesso accompagnato da una formula di devozione, ad es. divina ordinante providentia, dei gratia, della inscriptio col nome del destinatario e infine della salutatio o formula di saluto, oppure di altra formula che si riferisce alla durata dell'efficacia del documento (in perpetuum). L'inscriptio e la salutatio si trovano costantemente nei mandati e nelle lettere. c) Arenga: è la formula che contiene una frase retorica, esprimente un concetto generale, al quale si ispira l'azione del documento. Difficilmente contiene dati utili per la storia. d) Promulgatio o publicatio: è la formula che addita il tenore del documento; alle volte non viene espressa con una frase o proposizione per sé stante, ma con una parola che segna il passaggio dall'arenga alla narratio (quod, quatinus e simili). e) Narratio: questa formula contiene la narrazione delle circostanze, che hanno dato origine al negozio giuridico espresso nel documento, come per es. la petitio del destinatario, l'intervento di persone influenti, ecc. f) Dispositio: è la formula principale del documento, quella che esprime la dichiarazione della volontà dell'autore, che riferisce la disposizione presa, il negozio giuridico che è oggetto del documento. La dispositio e la narratio sono le due formule che hanno per lo storico il maggiore interesse. g) Sanctio: contiene la minaccia di pene temporali o spirituali contro i trasgressori del documento. Alle volte è accompagnata dalla promessa di un premio verso chi invece rispetta e difende la disposizione contenuta nel documento. h) Corroboratio: annuncia le modalità che servono a convalidare il documento, annuncia cioè che verrà sottoscritto dai testi, oppure munito di sigillo, ecc. i) Subscriptiones: le sottoscrizioni non mancano quasi mai nei documenti. Sono di varie specie: 1. sottoscrizione dell'autore dell'azione, che può essere autografa oppure essere rappresentata da un segno (rota, benevalete, monogramma, croce) dove l'autore dell'azione molte volte ha poca o nessuna parte; 2. sottoscrizioni dei testi o di consenzienti, anche queste assai spesso non autografe, ma rappresentate da segni di croce; 3. sottoscrizione dello scrittore del documento o degli ufficiali di cancelleria incaricati della redazione di esso. In certi documenti, cioè nelle notitiae dell'alto Medioevo, e negl'istrumenti notarili introdotti nell'uso durante il sec. XII, invece delle sottoscrizioni e dei segni di croce reali o fittizî dei testi, si ha soltanto la loro elencazione. l) Datatio: indica il luogo e il tempo in cui fu redatto il documento. m) Apprecatio: è una clausola augurale finale (amen, feliciter, ecc.).
Quanto alla lingua i documenti sono scritti generalmente in latino fin quasi all'età moderna. Tuttavia si hanno documenti in greco e in arabo nell'Italia meridionale e in Sicilia. Il volgare appare fin dal sec. XI nei documenti di Sardegna e in seguito in quelli di Francia e di Germania.
Si chiamano caratteristiche esterne dei documenti quelle che si riferiscono alla materia scrittoria, al formato, alla scrittura e alla sigillazione dei documenti, in una parola quelle che non possono venir tramandate se non dagli originali: a) Materia scrittoria: nel corso dei secoli furono adoperate varie materie scrittorie, cioè le tavolette cerate, il bronzo, il papiro, la pergamena e la carta. Si hanno tavolette cerate del sec. I e del sec. II scoperte a Pompei e in Transilvania. In bronzo si scrivevano i diplomi militari romani (tabulae honestae missionis). Il papiro fu adoperato per ogni genere di atti dal principio dell'era volgare fin verso il sec. VII, rimanendo in uso più a lungo fino alla seconda metà del sec. X presso i tabellioni di Ravenna e presso la cancelleria pontificia, dove si ha menzione dell'uso del papiro fino al 1057 sotto Vittore II. La pergamena è la materia scrittoria più diffusa durante tutto il Medioevo a cominciare dal sec. VIII, quantunque in Francia, nei diplomi dei Merovingi si abbia qualche esempio anche del secolo precedente. Infine la carta comincia a usarsi nel sec. XII, ma in principio serve esclusivamente per gli atti preparatorî dei documenti, come mostrano le imbreviature del notaio Giovanni Scriba della metà del sec. XII nell'Archivio di stato di Genova; si diffonde specialmente a cominciare dal sec. XIV. b) Formato e grandezza: i documenti non hanno mai la forma di rotolo, con la scrittura disposta a colonne trasversali alla maggior lunghezza della materia scrittoria, né, generalmente, sono scritti sul verso. Quando sono in pergamena, possono essere scritti in modo che la scrittura sia parallela alla minor lunghezza della pergamena e allora si ha la cosiddetta carta transversa, che però nel tardo Medioevo si trova assai raramente. In genere la grandezza della materia scrittoria è determinata, oltre che dalla lunghezza dell'atto, anche dal carattere più o meno solenne del documento. c) Scrittura: la scrittura dei documenti è generalmente quella in uso per le quotidiane annotazioni e perciò è assai lontana dalle forme della scrittura libraria. Tuttavia nelle cancellerie e presso qualche scuola notarile viene assumendo forme che si differenziano notevolmente dalla scrittura usuale, come avvenne della scrittura in uso presso i curiali di Amalfi e di Napoli e presso la cancelleria pontificia. Si usò nelle tavolette cerate la scrittura capitale corsiva, più tardi sul papiro, a datare dal sec. IV, si usò la minuscola corsiva romana, che poi passò sulla pergamena, dove con successive e progressive modificazioni determinate anche dalla materia scrittoria rimase fino a che non fu soppiantata dalla minuscola carolina. Questa scrittura introdotta già nel sec. IX nei diplomi della cancelleria imperiale domina dal sec. XI sino alla fine del sec. XII, quando si trasforma in minuscola corsiva gotica e quindi in cancelleresca e in bastarda. d) Da ultimo tra le caratteristiche esterne si annoverano anche i segni speciali di taluni documenti, come il chrismon, la croce, il monogramma, i segni di ricognizione, le note tironiane, la rota, il benevalete, le croci, i segni delle sottoscrizioni, il segno del tabellionato, e il sigillo.
Diplomatica speciale.
I trattatisti si attengono a due metodi essenzialmente diversi. Gli uni, senza tener conto delle varie qualità dei documenti, ordinano la trattazione secondo la materia, in modo da dare una dimostrazione organica del formarsi della documentazione (così il Bresslau e il Heuberger). Trattazioni siffatte sono certamente da preferirsi, perché riavvicinando sotto la materia e il punto di svolgimento documenti di natura diversissima, emanati da varî uffici o da persone, come i notai, che non appartenevano ad alcun ufficio, permettono di scoprire le regole che in generale hanno formato la documentazione; tuttavia esse non permettono di seguire senza sforzo lo sviluppo delle singole specie di documenti.
Questo sviluppo si segue meglio in quei trattatisti, i quali dividono i documenti secondo le cancellerie o istituti da cui promanano e quindi distinguono i documenti in documenti sovrani (cioè imperiali o regi) e signorili, in documenti pontifici ed ecclesiastici, e in documenti notarili o privati. Qui ci atterremo per amore di semplicità a quest'ultimo metodo.
Documenti sovrani. - Si suddividono in atti legislativi (leges, capitularia, constitutiones) e diplomi. Alcuni vorrebbero considerare come atti sovrani anche i placiti o giudizî pronunciati alla presenza dell'imperatore, ma in realtà si tratta di atti che soltanto sotto i Merovingi e i Carolingi avevano forme non molto dissimili da quelle dei documenti sovrani, mentre in seguito prendono la forma di atti notarili e più precisamente di notizie giudiziali. Quanto agli atti legislativi, che hanno una grandissima importanza per la storia del diritto, hanno uno scarso interesse per la diplomatica, la quale tien conto solo delle formule che accompagnano la loro promulgazione. Lo studio invece dei diplomi emanati dalle cancellerie sovrane forma l'oggetto principale di questa parte della diplomatica. Questi diplomi si suddividono alla loro volta in diplomi propriamente detti o praecepta e in mandati (o rescritti) e lettere. Il gruppo dei mandati e delle lettere, del quale per il periodo più antico ci sono pervenuti scarsi esempî, in principio si diversifica abbastanza profondamente dai praecepta, fino a che nel sec. XIV si hanno per le varie specie di atti forme speciali tutte proprie. Allora i diplomi, sia solenni sia semplici, hanno in genere sigilli pendenti e si distinguono tra loro per il protocollo più o meno ampio, mentre le lettere, che si distinguono in lettere aperte o patenti e in lettere chiuse, hanno per lo più i sigilli aderenti. La classificazione dei documenti sovrani in relazione al contenuto giuridico ha un valore assai relativo per la diplomatica, che si occupa solamente delle caratteristiche interne ed esterne dei documenti.
Caratteristiche interne. - a) Formule: si susseguono di solito nell'ordine indicato dal seguente schema:1. invocatio; 2. intitulatio con inclusa la formola di devozione, inscriptio e salutatio; 3. arenga; promulgatio o publicatio; 5. narratio, con petitio e intervenienti; 6. dispositio e formula di pertinenza; 7. formula della pena: 8. corroboratio; 9. subscriptio del sovrano; 10. subscriptio del cancelliere o di un altro funzionario della cancelleria; 11. data; 12. apprecatio. Il tenore delle suddette formule è naturalmente svariatissimo e cambia a seconda dei sovrani, dei luoghi e del contenuto dei documenti. b) Lingua: i diplomi longobardi, merovingi e carolingi fino ai primi decennî del sec. IX sono scritti in un latino piuttosto barbaro, che in seguito s'ingentilisce e acquista una risonanza ritmica simile a quella detta cursus, che si riscontra nella cancelleria pontificia verso la fine del sec. XII. La lingua usata negli atti sovrani è quasi esclusivamente il latino, specie in Italia; tuttavia a cominciare dal sec. XIII si hanno in Francia e in Germania i primi atti sovrani redatti nella lingua parlata, cioè in provenzale e in tedesco.
Caratteristiche esterne. - a) Materia scrittoria: soltanto nel periodo più antico fu usato il papiro per i documenti sovrani: esso fu sostituito assai per tempo dalla pergamena, che per parecchi secoli fu quasi esclusivamente la materia scrittoria per la redazione dei diplomi; per le lettere e per i mandati si usò anche la carta dopo il sec. XIII. b) Scrittura: la scrittura dei documenti sovrani ha sempre un aspetto solenne, specialmente nei diplomi. Essa poi, pur seguendo le forme in uso nella scrittura corrente, si attarda su certe forme sorpassate, oppure crea nessi e forme speciali che variano da una cancelleria all'altra e secondo il genere dei documenti, in modo che essa diventa un po' dappertutto una scrittura di maniera. Il carattere solenne ai documenti sovrani è dato dalla distanza tra una riga e l'altra, dai segni o tituli di abbreviazione, che per lo più sono fatti a nodo, e soprattutto dalle lettere allungate. Queste s'incontrano nella prima riga e in entrambe le sottoscrizioni, talora occupano tutta la prima riga senza riguardo al testo, alle volte invece non vanno più in là dell'intitulatio. Dalla metà del sec. XIII scompaiono quasi interamente anche dai documenti solenni, come prima erano già da tempo scomparse da quelli redatti in forma semplice o comune. Nei tempi più antichi del risorto Romano Impero i diplomi imperiali furono scritti in merovingica, cioè nella scrittura in cui erano scritti anche i diplomi dei re merovingi; dal tempo di Lodovico II furono scritti in minuscola carolina, in seguito alla riforma attuata dal monaco Eberardo, che per molti anni fu notaio e cancelliere di quell'imperatore. c) Segni: si comprendono sotto questo nome quegli speciali segni che ricorrono nei diplomi imperiali e regi almeno del tempo più antico, cioè il chrismon, il monogramma, il segno del manu propria, il segno di ricognizione. 1. Chrismon (nella stampa C): è un segno cristiano a forma di C, la prima lettera della parola Christus, un'invocazione simbolica; precede il testo del documento, e sotto i Merovingi e i Carolingi è riempito di note tironiane. 2. Monogramma (nella stampa M): è un segno per la sottoscrizione del sovrano, che deriva dalla croce, che in origine sotto i Merovingi stava in luogo della sottoscrizione autografa, quando il sovrano, specialmente per la minore età, non era in grado di scrivere. Cominciò a essere usato regolarmente con Carlo Magno e durò fino all'imperatore Massimiliano, quantunque fin dal tempo di Carlo IV si fosse generalizzato l'uso di sostituirlo con la firma. È formato in principio con le lettere del nome del sovrano, più tardi anche con quelle dei suoi titoli. Nei diplomi dei Carolingi e degli Ottoni, come pure sotto Corrado II, ricorrono anche due o più monogrammi per un sovrano. La partecipazione di questo alla formazione del monogramma non è costante, e, quando c'è, si limita all'aggiunta di un proprio segno; si ha allora il cosiddetto monogramma firmato (Mp). Sotto Sigismondo e Federico III il monogramma fu eseguito, a quanto pare, mediante una stampiglia. 3. Sionum speciale: si chiama con questo nome, in mancanza di altro più adatto, un segno formato dalla congiunzione monogrammatica della lettera M onciale con le lettere P ed R, e che si legge manu propria. È un segno che ricorre per la prima volta nei diplomi di Enrico III a cominciare dal 1042, che prende posto in fondo al rigo della sottoscrizione del sovrano. Scompare dai diplomi imperiali con la morte di Enrico III per ritornare stabilmente dal 1084 al I089 e quindi saltuariamente sotto Enrico V. 4. Sionum recognitionis (nella stampa SR): è un segno che chiude il rigo della sottoscrizione del cancelliere o del notaio dettatore del diploma. Deriva dal doppio s che stava a indicare subscripsi e assunse ben presto una forma straordinariamente grande, dentro la quale furono scritte note tironiane, che oggi interessano perché contengono notizie sulla cancelleria. Questo segno, che in principio era autografo, perdette tale carattere dopo l'840 e allora divenne a poco a poco un segno che non fu più compresso e assunse le forme più strane, mentre in sostituzione delle note tironiane racchiuse dei piccoli apici senza significato. Scompare sotto Ottone III per riapparire soltanto nei diplomi di Enrico III, ma senza seguito. 5. Annotazioni di cancelleria: sono quelle apposte dal personale di cancelleria fuori del testo del diploma e che si riferiscono ai varî stadî della documentazione. Sono da considerarsi tali le note tironiane, che sotto i Carolingi si collocavano nel chrismon e nel signum recognitionis; tuttavia di vere annotazioni non si può parlare prima di Lodovico il Bavaro e di Carlo IV. Sono di svariatissime specie e prendono posto ora sul recto ora sul verso del documento. La più comune è quella che si riferisce alla registrazione, ed è formata da una grande R, scritta sul verso, alla quale si aggiunge talora in alto a destra un ta (= registrata). 6. Sigillo: i documenti sovrani sono sempre provvisti di sigillo. Fino agl'imperatori salici il sigillo, che è di cera, si trova in basso a destra fra il testo e la datatio; nella cera è impressa una figura a mezzo busto oppure una figura intiera seduta. Ma i sovrani usarono anche sigilli di metallo; per i documenti più importanti usarono financo sigilli d'oro, come risulta per Carlo Magno e per Ottone I; anzi sigillare in oro era una prerogativa speciale dei sovrani. Dal sec. XII in poi si ebbero anche in cera sigilli pendenti a somiglianza di quelli di metallo. Spesso un sovrano usò varî tipi di sigillo, a seconda della diversa natura o importanza degli atti.
Cancelleria. - L'ufficio addetto al rilascio dei documenti sovrani si disse con parola romana, spesso fraintesa nel Medioevo, cancelleria. Nella cancelleria sotto la guida di un capo vi erano persone le quali avevano il compito di preparare o dettare il testo dei documenti (dictatores) e altre che erano addette a ricopiare in bella copia i documenti stessi, cioè all'estensione degli originali (ingrossatores). In genere i nomi degli uni e degli altri, che molte volte si scambiavano le attribuzioni, ci sono ignoti, tuttavia si possono individuare, come ha già fatto il Sickel a proposito dei diplomi carolingi, distinguendoli con lettere.
La cancelleria dell'Impero romano dell'ultimo periodo, presa poi a modello dalle cancellerie medievali, era formata dagli uffici del quaestor palatii, dei quattro uffici sottoposti al magister officiorum, e dai notai dell'impero e dai referendarî. Nella cancelleria dei Merovingi si distinguono due qualità di funzionarî: quelli che scrivono il diploma e quelli che lo autenticano con la loro autorità. Sotto i Carolingi - che adibirono nella cancelleria l'elemento ecclesiastico (che poi vi domina da solo sino al periodo degli Svevi) mentre la partecipazione del sovrano, per lo più uomo valoroso ma rozzo, alla redazione dei diplomi si limita ormai a un segno nel monogramma - s'introduce la novità che il capo della cancelleria non autentica più direttamente il diploma, ma lo fa autenticare da un funzionario in suo nome. Questo uso diventa costante dall'anno 817 e da allora la carica di capo della cancelleria diventa nominale e capo effettivo diventa quello che autentica i diplomi in suo nome. Dopo la divisione dell'Impero in tre monarchie si costituirono tre distinte cancellerie, cioè una per la Francia Orientale, l'altra per la Francia Occidentale o Aquitania e la terza, cioè quella imperiale, per l'Italia e la Lotaringia. A datare dal tempo di Lodovico II nella cancelleria imperiale il capo della cancelleria assume il nome di arcicancelliere; ma poiché questi era allora anche arcicappellano, cioè il capo dei cappellani, o degli ecclesiastici che avevano in custodia la cappa miracolosa di S. Martino, e che per lo più erano anche ufficiali di cancelleria, il capo della cancelleria fu chiamato anche arcicappellano, titolo che dura fino a Enrico III, quando fu abbandonato definitivamente per il più giusto titolo di arcicancelliere. Sotto Ottone I la cancelleria imperiale si sdoppia: si ha cioè una cancelleria per gli affari di Germania, che per suo capo nominale, col titolo di arcicancelliere, ha costantemente dopo il 965 l'arcivescovo di Magonza, e una cancelleria per gli affari d'Italia che per suo capo nominale ha prima un vescovo d'Italia e poi, a cominciare dal 1031, l'arcivescovo di Colonia ora col titolo di arcicancelliere, ora con quello di arcicappellano, ed è servita da un personale quasi esclusivamente italiano. Nel 1041 fu creata una terza cancelleria, la burgundica, che però non raggiunse mai l'assetto stabile delle altre due.
Documenti pontifici. - Sono quelli emanati dal papato per il governo della Chiesa. Hanno una singolare importanza perché importante è il papato nella storia mondiale, perché la cancelleria pontificia ne emanò in numero grandissimo, perché la loro tecnica raggiunse il massimo della perfezione, e infine perché immenso è anche il numero delle falsificazioni.
I. Caratteristiche interne. - a) Formule: variano secondo i tempi e secondo i varî generi di documenti. Le più comuni sono:1. l'invocatio che si trova assai raramente, specialmente quella verbale e soltanto nel tempo più antico; 2. l'intitulatio, che reca il nome del papa, al quale dopo Gregorio I (590-604) si aggiungono le parole servus servorum Dei; tuttavia alcune specie di documenti che sorgono solo nel sec. XV come i brevi, i motu proprio e le signature hanno una intitulatio speciale, cioè il nome del papa seguito da pp̄ (= papa) e dall'ordinale (Innocentius p̄p̄ VIII); 3. l'inscriptio, nella quale è da osservare che il papa si dirige ai fedeli con le parole dilecto filio e ai vescovi con le parole dilecto fratri; 4. la salutatio (salutem et apostolicam benedictionem) o la formula di perpetuità (in perpetuum o ad perpetuam rei memoriam); 5. arenga; 6. narratio; 7. dispositio; 8. sanctio; 9. benedictio; 10. subscriptiones, tra le quali si distinguono quella del pontefice e quelle dei cardinali. Nei documenti anteriori al sec. XII si trova spesso anche la riga dello scriptum con l'indicazione del nome dello scrittore del documento. Rientrano nella sottoscrizione del pontefice, nonostante che questi non vi avesse nessuna oppure una ben scarsa partecipazione, i segni della rota e del benevalete e del comma. Questi segni appaiono per la prima volta con Leone IX (1048-1054). La rota è formata da due cerchi concentrici, che da una croce interna sono divisi in quattro cantoni. Tra i due cerchi è un motto, un versetto che, preceduto da una crocetta talora di mano del pontefice, costituisce la speciale divisa del papa, e nei quattro cantoni sono racchiuse le parole S̄C̄S PETRUS S̄C̄S̄ PAULUS, col nome del papa e l'ordinale. Il monogramma del benevalete è formato con la disposizione monogrammatica di quelle parole di saluto che una volta erano di mano dello stesso pontefice, ma che già nel sec. IX erano scritte dal personale della cancelleria. A questi segni si deve aggiungere quello del comma, che ha la forma di una grande virgola sotto due grandi punti; deriva da una trasformazione dei segni d'interpunzione che seguivano il benevalete; se ne ha l'ultimo esempio nel 1092 con l'antipapa Clemente III; 11. la datatio, che si distingue in grande e piccola; 12. la apprecatio, che assume la forma di un triplice amen alla fine del contesto. b) Lingua: i documenti usciti dalla cancelleria pontificia sono tutti in un latino, che dal sec. XI è sotto l'osservanza di speciali leggi ritmiche note sotto il nome di cursus.
II.Caratteristiche esterne. - a) Materia scrittoria: nella cancelleria pontificia si usò il papiro fin oltre la metà del sec. XI; l'ultimo originale in papiro giunto sino a noi è del 1020-1022 (Iaffè 2ª ed., n. 4036) nell'Archivio di Stato di Hannover, la più recente menzione dell'uso del papiro è del 1057 sotto il pontificato di Vittore II. La pergamena si cominciò a usare nel sec. X; difatti il più antico documento pontificio in pergamena è del 15 aprile 967 (Iaffè, n. 3714); tuttavia non si usa con frequenza se non nei primi decennî del sec. XI. b) Scrittura: la cancelleria pontificia seguì le forme della scrittura documentaria dei rispettivi periodi. Tuttavia, nei privilegi fino a Pasquale II usò una speciale scrittura cancelleresca, la cosiddetta curiale romana, che era una deformazione della minuscola corsiva romana. La scrittura minuscola carolina appare per la prima volta nella sottoscrizione del datario del citato privilegio in pergamena del 967. Nei tempi più recenti la cancelleria pontificia continuò a scrivere le bolle nella scrittura corsiva gotica, che era già stata sostituita nella scrittura corrente dalla cancelleresca; ma la detta corsiva gotica si deformò progressivamente sino al punto da riuscire difficilissima a leggersi (scrittura bollatica o littera sancti Petri). Si avevano poi speciali particolarità grafiche a seconda dell'importanza dei documenti (lettere allungate, nessi ct e st, ecc.). c) Sigillo: nei documenti pontifici si hanno due specie di sigilli, cioè sigilli di piombo e sigilli di cera rossa; si hanno anche qualche rarissima volta sigilli d'oro. Il sigillo di piombo, nella sua forma definitiva, reca su una faccia le teste di S. Pietro e di S. Paolo e su l'altra il nome e l'ordinale del papa. È attaccato con filo di canapa nei mandamenta, cioè documenti contenenti ordini (cum filo canapis) e con filo di seta nei privilegi o concessioni (cum filo serico). Il sigillo di cera rossa, noto sotto il nome di anello o sigillo del pescatore, servì dal sec. XV a chiudere una speciale qualità di documenti pontifici, detti brevi. Rappresentava S. Pietro che getta le reti per la pesca. Fu sostituito nel 1842 da una stampiglia a colori. Nello studio dei documenti pontifici si distinguono generalmente sei periodi:
1. Dalle origini fino ad Adriano I (772-795). - Di questo periodo si hanno soltanto copie, poiché il più antico documento pontificio originale pervenutoci è un frammento di lettera di Adriano I diretta, a quanto pare, a Carlo Magno e conservata nell'Archivio nazionale di Parigi (Iaffè, n. 2462). I documenti pontifici di questo periodo, in numero di circa 2500, sono noti in una lezione molto imperfetta che non permette di precisarne le caratteristiche. Si può tuttavia dire che si ricollegano per la forma al tipo delle lettere private e che non risentono per nulla l'influsso della documentazione ufficiale romana.
2. Dalla seconda metà del sec. VIII fino alla metà del sec. XI, cioè da Adriano I a Leone IX. - In questo periodo i documenti pontifici si distinguono in privilegi e lettere; i primi, dei quali si è conservato qualche raro originale, si riconoscono perché hanno la formula dello scriptum e la grande datazione, di cui sono prive le lettere, delle quali però non ci è pervenuto nessun originale. I privilegi sono scritti da tre persone: una, menzionata nella riga dello scriptum, scrive il testo, un'altra il benevalete in lettere onciali o capitali, di solito su due righe preceduto e seguito da una croce, e infine una terza mano scrive la datatio.
3. Dalla metà del sec. XI alla fine del sec. XII, cioè da Leone IX o Celestino III. - È un periodo in cui i documenti pontifici subirono molte trasformazioni. Cominciò Leone IX a cambiare l'aspetto esteriore dei privilegi con introdurre la rota, il monogramma del benevalete e il comma. E i successori introdussero altre novità. Così verso la fine del sec. XI si ha la distinzione tra privilegi solenni e privilegi semplici, e quasi nello stesso tempo s'introduce una simile distinzione anche nelle lettere che sono cum filo serico e cum filo canapis; come una sottodistinzione di queste ultime si hanno verso la metà del sec. XII le litterae clausae o lettere chiuse che si scostano dalle altre per la piegatura e per il modo di sigillazione.
4. Dal principio del sec. XIII al principio del sec. XV, cioè da Innocenzo III a Bonifacio IX. - Questo periodo segna l'arresto di ogni novità nella redazione dei documenti pontifici, i quali ora sono formati secondo norme fisse che durano per secoli. Il merito di avere consolidato tali norme è di Innocenzo III, al quale si deve anche un importante riordinamento della cancelleria pontificia. Perdura la principale distinzione tra privilegi e lettere; i privilegi si distinguono in semplici e solenni, tuttavia questi ultimi già sotto Innocenzo III sono divenuti rarissimi, per cessare poi del tutto nel sec. XIV. In luogo dei privilegi solenni, a cominciare dalla metà del sec. XIII, sotto Innocenzo IV, si adotta un nuovo tipo di documenti che sta tra il privilegio solenne e la lettera, che ha come quello la prima riga in lettere allungate, ma se ne scosta per la formula; ad perpetuam (futuram) rei memoriam o per altre simili espressioni. Inoltre la distinzione tra le litterae cum filo serico e quelle cum filo canapis si fa sempre più accentuata in correlazione col diverso contenuto giuridico, poiché le prime sono adoperate per concessioni e si chiamano tituli e le altre sono adoperate per dare degli ordini (per apostolica scripta mandamus) e hanno il nome di mandamenta o mandata.
5. Del sec. XV, cioè da Bonifacio IX a Sisto IV. - In questo periodo si ha un nuovo tipo di documento pontificio, il quale, a differenza degli altri tipi di documenti fino allora in uso, viene sigillato in cera e non più in piombo. I documenti che si sigillano in piombo in questo periodo sono le bolle in senso stretto con la formula: ad perpetuam rei memoriam, di cui sono una sottospecie le bolle concistoriali, che hanno la rota e la sottoscrizione del papa e dei cardinali; i documenti invece che si sigillano in cera sono le lettere o brevi i quali sono scritti su carta vitulina e hanno la formula: salutem et apostolicam benedictionem. All'infuori di questa novità, non si hanno cambiamenti essenziali nella forma dei documenti preesistenti. Il breve più antico sinora noto si conserva nell'Archivio di Stato di Lucca ed è di papa Bonifacio IX, del 20 aprile 1402.
6. Dalla fine del sec. XV sino all'età moderna. - In questo periodo s'introducono due nuovi tipi di documento: il motu proprio e la signatura. Il motu proprio, che appare per la prima volta sotto Innocenzo VIII, dopo l'intitulatio simile a quella dei brevi: Innocentius p̄p̄ VIII, ha un testo che comincia con le parole: Motu proprio et ex certa scientia. La signatura è virtualmente un'istanza predisposta dalla parte, alla quale il pontefice appone la propria firma o segnatura, scrivendo le parole fiat ut petitur (o simili) susseguite dall'iniziale del nome di battesimo del pontefice. In questo periodo si hanno poi anche le cedulae consistoriales che partecipano della forma del breve e di quella del privilegio, pur essendo sigillate in cera col sigillo del pescatore.
Documenti Privati. - I Romani nel tempo più antico furono a lungo contrarî alla documentazione, poiché essi facevano gli affari attinenti al ius civium davanti al magistrato, che teneva una registrazione d'ufficio, oppure mediante le formalità verbali della mancipatio e più, tardi della stipulatio. La documentazione sorse quando i Romani verso il sec. V a. C., avendo conosciuto le varie forme di documentazione in uso presso gli altri popoli, cominciarono a mettere in iscritto le stipulationes, creando un documento che aveva solo valore di prova. Il più antico documento fu il testamento, onde ebbe origine il nome di testamentarii per gli scribi addetti alla redazione dei documenti. L'uso della documentazione in affari di ius civium è già generale nel sec. I a. C. Un'altra documentazione in uso presso i Romani in affari di ius civium era quella dei libri domestici, nei quali chi possedeva era tenuto a registrare l'acceptum e l'expensum, cioè tutti i cambiamenti di proprietà.
Negli affari attinenti invece al ius gentium i Romani si trovarono a contatto con popolazioni, le quali non conoscevano nessun formalismo verbale di contrattazione, ma avevano invece documenti con valore dispositivo. Da ciò consegue che l'introduzione di documenti di questa specie fra i Romani è piuttosto tardiva. Però tutte le forme di documentazione romana derivano da analoghe forme greche.
Caratteristiche interne. - Dapprima si usarono documenti in duplice redazione, di cui la prima veniva chiusa con i sigilli dei testimoni con accanto i rispettivi nomi per lo più al genitivo e si apriva solo davanti al giudice in caso di contestazione, l'altra invece, scritta per lo più dall'autore dell'azione o da un suo incaricato serviva a far conoscere il negozio giuridico contenuto nella scrittura interna. Il documento, specialmente nella parte chiusa dai sigilli, era testimoniale, cioè riceveva fede solo in quanto i testimoni avessero riconosciuti per proprî i sigilli e avessero confermato con le loro dichiarazioni l'avvenuto negozio giuridico. Tuttavia a dare maggiore fede al documento concorre spesso la scrittura di esso, quando è dichiarato, specialmente nella scrittura esterna, il nome di chi lo ha scritto. Se il documento è scritto di mano dell'autore dell'azione, sia nella scrittura interna sia in quella esterna, è chiamato chirografo.
Accanto al documento in duplice redazione si ebbe, almeno fin dagli ultimi tempi della repubblica, il chirografo steso in una sola redazione, sprovvisto di sigillo, il quale era scritto di mano dell'autore dell'azione, oppure da lui sottoscritto. È questo secondo tipo di documentazione, che dopo il sec. II d. C. finisce col prevalere.
In esso non sono più i sigilli, ma le sottoscrizioni dell'autore dell'azione e dei testi, che dànno fede al documento. Viene indicato indifferentemente coi nomi di charta o chartula, di scriptura, di instrumentum, ecc. La charta è di due forme, una oggettiva derivata dal chirografo, e l'altra soggettiva derivata dall'epistola. Nel chirografo il documento comincia con la dichiarazione di colui che lo scrisse (praescriptio) seguita dalla rogatio (scripsi ego C. rogatus ab A., ipso praesente, adstante, mihique dictante) e continua dando notizia del negozio giuridico (constat eum vendidisse). Nell'epistola l'autore dell'azione parla al destinatario in seconda persona dicendogli: promitto, dono, vendo, cedo tibi, annunciando in fine il nome di colui che fu incaricato o rogato di scrivere l'atto (rogatio). Nell'una e nell'altra forma della carta il valore probatorio era costituito dalla scrittura e perciò la formula della rogatio col nome dello scrittore era essenziale, potendosi con tal mezzo confrontare la scrittura con quella di altri atti scritti dalla stessa persona. Ma ad aggiungere valore al documento contribuivano le sottoscrizioni dell'autore dell'azione e dei testi; quello poteva farsi sostituire da un'altra persona, se non sapeva scrivere, invece i testi dovevano sempre essere scelti fra persone che sapevano scrivere e dovevano sottoscrivere di loro pugno. Dopo Giustiniano si fa obbligo al tabellione di richiamare le parti e i testi dopo che egli ha steso il testo dell'atto: il tabellione legge il testo e ottenuta l'approvazione dell'autore dell'azione, gli consegna la carta perché egli a sua volta la consegni (tradere) al destinatario a indicare simbolicamente il trapasso della proprietà; il destinatario la riconsegna al notaio, il quale la fa poscia sottoscrivere dall'autore dell'azione e dai testi; alla fine il notaio stesso aggiunge la propria sottoscrizione con la formula della completio (Ego C. scripsi, post traditam [sottintendi: chartam] complevi et absolvi). La formula della completio appare per la prima volta nelle carte alla metà del sec. VI e diventa tosto di uso generale, non solo in tutto il territorio bizantino, ma anche in quello tosco-romano e in quello longobardo, dove però invece della parola absolvi si ha la parola dedi. Con la completio la carta non ha più soltanto un valore probatorio, ma anche un valore costitutivo, in quanto che il negozio giuridico sorge e si perfeziona con il compiersi delle formalità della traditio chartae.
La carta, nelle forme indicate del chirografo e dell'epistola, passò anche fra le popolazioni barbariche che si erano stabilite entro i confini dell'Impero; tuttavia col disgregarsi degli ordinanamenti di questo, vivendo le popolazioni ciascuna secondo la propria legge, la documentazione perdette quel carattere unitario che prima aveva. In Italia si ebbero a cominciare dal sec. VIII non meno di tre territori documentarî, cioè il longobardo, nel quale le firme romane sono largamente permeate di forme derivate dal diritto franco-germanico; il romano stendentesi nell'Italia centrale fino a Napoli e Amalfi, nel quale le forme romane si mantennero quasi inalterate; il bizantino ed arabo dell'Italia meridionale, dove accanto alla latina si ebbe la documentazione greca e in Sicilia anche una documentazione araba. Perfino tra le carte di uno stesso territorio si ebbero notevoli differenze determinate dalla diversità della legge secondo la quale viveva l'autore dell'azione.
Le carte si redigevano secondo formularî fissi. Per il territorio longobardo si aveva il cosiddetto Chartularium Langobardicum, raccolta di 15 formularî contenenti le parole formali che le parti dovevano pronunciare davanti al notaio perché il negozio giuridico fosse valido; esso per la forma è un prodotto della scuola pavese del sec. XI, ma nella sua sostanza è anteriore di oltre due secoli.
Accanto alla charta sorse, pare verso il sec. VII, un'altra specie di documento, cioè la notitia o breve. Mentre la carta era un atto costitutivo, la notitia era un atto che serviva solo a fornire la prova d'un negozio giuridico già perfetto prima della documentazione. Si facevano notizie per molti oggetti, eccettuati tuttavia i trapassi di proprietà. Si distinguono notitiae giudiziali cioè sentenze e notitiae extragiudiziali. Cominciano di solito con le parole Notitia (o Breve, Breae memoratorium) qualiter presentia bonorum hominum quorum nomina subter leguntur; hanno la data in fine: Factum est hoc anno...; i testi sono indicati con la formula: Interfuerunt ibi testes; la sottoscrizione del notaio non ha la completio, ma reca di solito le parole: Ego C. hoc breve scripsi.
Verso il principio del sec. VIII nel territorio longobardo si introducono quasi insensibilmente nella redazione della carta modificazioni destinate ad assumere una grande importanza. Nel detto territorio era meno facile che nel romano, trovare testimoni in numero sufficiente che sapessero scrivere e perciò fu ammesso prestissimo che anche i testi, come l'autore dell'azione, potessero sottoscrivere, mediante un segno di croce che il notaio dichiarava essere un segno della mano (signum manus) fatto da quella tal persona; se non che, a cominciare appunto dal sec. VIII si avverte che il signum manus è scritto dallo stesso notaio. Questo fatto, per sé insignificante, in progresso di tempo, quando le sottoscrizioni autografe non si richiesero più che agli ecclesiastici, ai notai, e ai giudici, permise al notaio di scrivere tutto l'atto coi signa manuum senza che le parti ritornassero presso di lui per le formalità della completio. Si hanno col sec. XI carte delle quali si può affermare che furono scritte interamente senza il secondo intervento delle parti. Quando ciò avviene la completio non è più che una finzione, come sono una finzione i signa manuum; e il momento in cui si perfeziona il negozio giuridico è quello in cui le parti incaricano il notaio della redazione dell'atto, e il notaio scrive quegli appunti in forma di breve (imbreviare, imbrevintura) che gli serviranno per stendere poi gli atti nella forma definitiva, appunti che prima d'allora non avevano alcun valore giuridico ed erano stati scritti solitamente su fogli staccati (il più antico esempio è del 765, Bonelli, Arch. pal. lomb., tav. 10) o sul dorso della pergamena destinata a ricevere sul recto il testo dell'atto (notizie dorsali), ora in caratteri comuni ora in note tachigrafiche. Questo spostamento del momento in cui si ha la perfezione del negozio giuridico è evidente nell'ultimo quarto del sec. XI, quando si hanno i primi esempî di atti stesi su annotazioni di notai defunti. Ha così origine l'imbreviatura notarile. Le carte continuano ancora fin verso la metà del sec. XII ad essere redatte in modo fittizio secondo l'antico modello, nella forma soggettiva dell'epistola (il chirografo s'era fatto sempre più raro e poi era scomparso del tutto), con i signa manuum e con la sottoscrizione del notaio attestante l'avvenuta completio; ma subito dopo, anche per effetto del risorto studio del diritto romano, appaiono i primi esempî di documenti di un nuovo tipo, i quali riproducono più da vicino le annotazioni del notaio, dando notizia in forma oggettiva dell'avvenuto negozio giuridico, omettendo qualunque sottoscrizione dell'autore dell'azione e indicando i nomi dei testimoni non più col signum manus, ma con la dichiarazione d'intervento, ora al posto prima occupato dai signa (interfuerunt ibi testes), ora nel corpo dell'atto (praesentibus ibi testibus). Questo è l'instrumentum notarile, che dominò in Italia fino ai tempi moderni.
Dall'instrumentum, la cui fede pubblica è tutta basata sull'istituto del notariato, si distingue quella specie di documento che fu usato dapprima in Inghilterra e si diffuse poi anche nel continente con il nome antico di chirografo. Si scriveva il documento due volte sulla stessa pergamena lasciandovi tra l'una e l'altra scrittura uno spazio che veniva riempito con la parola chirographum o con altra parola, in modo che in caso di contestazione si potesse appurare l'autenticità del documento ravvicinando i due pezzi di pergamena risultanti dal taglio effettuato attraverso quella parola.
Caratteristiche esterne. - a) Materia scrittoria. - Per i documenti fu usata presso i Romani nei tempi più antichi la cera spalmata su tavolette riunite di solito in numero di tre (triptychon) o anche di due o di più (diptychon, polyptychon). Si scriveva col grafio sulle facce interne delle tavolette, opportunamente incavate per accogliere la cera. Verso la fine dell'epoca repubblicana s'introdusse dal vicino Oriente l'uso del papiro e della pergamena; il primo, che si acquistava già preparato in Egitto, ebbe presto il predominio: diventato di uso esclusivo nella cancelleria imperiale, sostituì interamente le tavolette cerate, a cominciare dal sec. III, anche nella redazione dei documenti privati, fino a che da Giustiniano fu dichiarato come l'unica materia scrittoria permessa sia negli uffici sia ai tabellioni. Occupato l'Egitto dagli Arabi, l'uso del papiro decadde, e quantunque per qualche tempo si provvedesse ai bisogni col papiro proveniente dalla Sicilia, usato specialmente a Ravenna fino al sec. X, la materia scrittoria principale dal sec. VII in poi divenne la pergamena. La carta s'introduce nelle imbreviature dei notai fin dal sec. XII, ma non viene adoperata per gli atti originali degli stessi notai fino al sec. XVI.
b) Scrittura. - Nei documenti privati la scrittura fu in genere quella che serviva agli usi correnti della vita, quella che si denomina per l'appunto documentaria, per distinguerla da quella libraria che nel corrispondente tempo si usava per i codici. Fino a tutto il sec. III d. C. si usò la scrittura capitale corsiva, con qualche diversità di forme tra quella usata nelle tavolette cerate e quella usata sul papiro; a datare dal sec. IV si usò la minuscola corsiva romana, la quale conservò un carattere quasi unitario in tutta Italia fino al sec. VIII. La minuscola carolina modificò a poco a poco durante i secoli IX e X l'aspetto generale di questa scrittura rendendo più grosse e meno lunghe le aste, e introducendo parecchie abbreviazioni già in uso nei codici; tuttavia essa non s'introdusse nei documenti che verso la metà del sec. XI. Dura poi fino al principio del sec. XIII quando si trasforma in minuscola e in corsiva gotica, la quale a sua volta nella seconda metà del sec. XIV si trasforma, sotto l'influenza della scrittura umanistica in uso nei codici, nella scrittura detta cancelleresca accentuando, in confronto alle angolosità della corsiva gotica in uso in Francia e in Germania, il carattere rotondeggiante della scrittura italiana. In alcuni particolari territorî, come a Roma, a Napoli e ad Amalfi i documenti redatti rispettivamente dagli scriniarî della Santa Romana Chiesa e dai curiali fino ai secoli XIII e XIV furono stesi in scritture dette curiali, le quali erano uno sviluppo artificioso dell'antica scrittura minuscola corsiva romana, finché a opera dei notai del Sacro Palazzo anche là i documenti privati furono scritti nella scrittura usata nel resto della penisola nel corrispondente periodo di tempo.
I documenti privati dell'epoca romana erano scritti o dall'autore dell'azione o da scrittori occasionali. Tuttavia fin dal tempo della repubblica le persone d'affari e specialmente i banchieri tenevano proprî scrittori. C'erano poi anche gli scrittori di professione detti stationarii o forenses, e più tardi tabelliones, tutte persone laiche unite in corporazioni. Gli atti, da chiunque scritti, erano soltanto un mezzo di prova. Per ottenere che i documenti acquistassero maggiore fede pubblica, s'introdusse durante il sec. IV l'uso d'insinuarli presso l'autorità municipale (gesta municipalia), la quale non solo all'occorrenza ne rilasciava una copia, che aveva un valore maggiore, ma assunse poi anche l'ufficio di redigere per il pubblico documenti che subito dopo insinuava. In seguito, col disgregarsi del municipio romano, si perde anche l'istituto della insinuatio nei gesta municipalia, e si hanno soltanto nell'Italia romano-bizantina curie municipali che continuano fino ai secoli XIII e XIV a occuparsi della redazione degli atti privati, come a Roma, a Napoli e ad Amalfi. Nella parte d'Italia che era sotto i Longobardi la redazione dei documenti rimase a persone che appartenevano per lo più alla popolazione romana e allo stato ecclesiastico, indicate come notarii regii, scribae publici; poi col sec. X passò ai notarii sacri palacii, i quali potevano, al seguito dell'imperatore, rogare atti dovunque si trovassero; ma che poi si ridussero a esercitare la loro arte nel limite del proprio territorio, come i notarii del periodo precedente. I notai del Sacro Palazzo continuano poi nel sec. XII nei notai di autorità imperiale che sono creati tali mediante un primo esame davanti al conte palatino, e indi con un secondo esame innanzi al collegio dei notai. Dopo il sec. XIII si hanno anche notai di autorità apostolica o del palazzo lateranense.
V. tav. CXCI e CXCII.
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