Diritto dell'economia
Il diritto dell'economia ha per oggetto gli ordinamenti economici: questi sono caratterizzati dai principî che regolano il processo economico e l'attività degli operatori in quanto rilevante per il processo stesso. I principî costitutivi degli ordinamenti economici dipendono dal tipo di programmazione adottato e possono tradursi in norme giuridiche di diversa specie, più o meno vincolanti; quando fanno parte come tali di una costituzione politica, si ha un ordinamento costituzionale economico in senso formale. A prescindere da questo carattere, gli ordinamenti economici vengono detti 'costituzionali' per sottolineare il contenuto normativo e l'ampia rilevanza dei loro principî.
Erano 'ordinamenti economici costituzionali' in senso formale le economie centralizzate che erano tipiche degli Stati socialisti: in esse trovavano formulazione normativa il principio della pianificazione e del controllo dell'economia nazionale, le varie forme di proprietà socialista dei mezzi di produzione, i monopoli statali del commercio estero e delle relazioni monetarie e creditizie internazionali. In questo caso il diritto dell'economia era costituito dalle norme che regolavano l'elaborazione, l'attuazione e le modifiche della pianificazione economica. Le modifiche, destinate ad adeguare i piani alle mutate condizioni, non dovevano tener conto dei diritti soggettivi degli interessati; e ciò valeva anche quando le unità economiche erano autorizzate ad adattare i piani alle varie situazioni mediante accordi, o quando le modifiche venivano decise da organi arbitrali statali. Ogni conflitto tra utilità economica e legalità era escluso in via di principio. I diritti soggettivi erano incompatibili con i rigidi vincoli che legavano ai programmi le aziende e i responsabili della pianificazione; mancavano del resto negli ordinamenti giuridici socialisti le persone giuridiche che potessero essere titolari di tali diritti. Le riforme mirate a decentrare l'approvazione e l'attuazione dei piani non intaccavano i principî di base dell'ordinamento, perché mancava una libera formazione dei prezzi su cui potesse orientarsi la pianificazione delle unità economiche e perché le unità stesse non disponevano di diritti soggettivi per realizzare i propri programmi.Un'economia pianificata può essere realizzata anche senza la proprietà statale o collettiva dei mezzi di produzione. Ciò accade quando l'autonomia dei privati viene abolita mediante l'obbligo di legge di far uso della proprietà solo in conformità del piano economico: venuto meno il diritto di disporre liberamente della proprietà privata, questa perde la sua funzione. Peraltro, quando da un'economia pianificata si passa a un'economia di mercato la proprietà riacquista la sua funzione di strumento di pianificazione economica decentrata.
Le economie di mercato sono caratterizzate da una programmazione autonoma (decentrata) da parte degli operatori economici. Il diritto a tale programmazione autonoma, che può essere garantito da leggi ordinarie o da norme costituzionali, deriva dalla libertà di scegliere ed esercitare un'attività, dalla libertà contrattuale, dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, dalla libertà d'associazione e dall'autonomia di contrattazione collettiva fra datori di lavoro e prestatori d'opera. La facoltà di programmazione autonoma è presupposta come ovvia dal diritto privato: esso fornisce al sistema giuridico di ogni economia di mercato una cornice normativa fondata sull'autonomia economica dei privati, sul sistema dei diritti soggettivi e sul diritto che disciplina i comportamenti illeciti. Il coordinamento dei piani economici decentrati avviene mediante i prezzi di mercato, che si formano attraverso la concorrenza in regime di libero accesso ai mercati. La concorrenza obbliga le imprese a orientare la propria attività in base ai costi e premia l'introduzione di innovazioni; pertanto la salvaguardia della concorrenza, quale sistema di coordinamento e d'innovazione, rappresenta uno degli elementi essenziali dell'economia di mercato. Il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) dà forma normativa ai principî dell'economia di mercato, allo scopo di integrare su queste basi i sistemi economici degli Stati membri in un mercato comune. I principî fondamentali sono la libertà di movimento e di residenza delle persone, la libertà di circolazione delle merci e dei servizi e la creazione di un sistema di effettiva concorrenza.
Le differenze giuridiche tra economia pianificata ed economia di mercato sono riconducibili alla contrapposizione tra sistemi organizzati e sistemi spontanei, così illustrata da F.A. von Hayek (v., 19731979, vol. I): "Il carattere peculiare delle norme che guidano l'attività all'interno di un sistema organizzato consiste nel fatto che tali norme devono riguardare l'esecuzione di compiti prefissati. Esse presuppongono che la posizione di ciascun individuo sia definita in modo imperativo entro una struttura rigida e che le norme a cui egli deve attenersi dipendano dal posto che gli è stato assegnato e dagli scopi specifici che l'autorità ha preordinato per lui". Per contro, le norme che regolano un sistema spontaneo non dipendono da scopi determinati: esse "devono essere applicabili a un numero non conosciuto e indefinito di persone e di casi, e devono essere applicate da ciascun individuo alla luce delle proprie conoscenze e dei propri fini; la loro applicazione è indipendente da qualsiasi scopo generale, che l'individuo non ha neppure bisogno di conoscere".
Le economie socialiste sono fondate su leggi relative all'organizzazione e leggi delega; le economie di mercato sono invece sistemi spontanei, dotati di specifici complessi normativi.
Friedrich Engels vide l'avvenire del socialismo nel passaggio dall'anarchia del mercato all'organizzazione. La contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica si riprodurrebbe come contrasto tra l'organizzazione della produzione nella singola fabbrica e l'anarchia della produzione nell'intera società; tale contraddizione verrebbe eliminata qualora la società s'impossessasse dei mezzi di produzione, adottando il principio dell'organizzazione. Come scrive Engels, "l'anarchia nella sfera della produzione sociale viene sostituita da un'organizzazione consapevole e programmata" (Antidühring, 1878). La pianificazione dell'agire nel socialismo è considerata un segno della razionalità e dell'umanità del sistema: questo sarebbe razionale in quanto attuerebbe la pianificazione mediante la 'razionalità associata', e umano in quanto supererebbe le presunte leggi cieche e coattive del mercato. Questa assimilazione del controllo dell'economia nazionale ai compiti di una direzione d'azienda è stata tipica delle economie centralizzate e ha improntato fin dall'inizio l'elaborazione giuridica negli Stati socialisti.
I sistemi spontanei diventano ordinamenti aventi rilevanza giuridica ovunque la generale libertà d'azione rappresenta la regola e ogni sua restrizione per opera dello Stato rappresenta un'eccezione da giustificare. La generale libertà d'azione va di pari passo con la "costituzionale ignoranza" della totalità sociale da parte degli individui (von Hayek). In queste condizioni la razionalità e la legittimità delle azioni dei singoli non possono essere giudicate in base alla loro conformità a un interesse pubblico comunque definito. Altrettanto erroneo sarebbe costituire mediante il diritto obblighi che presuppongano negli organi statali un'inesistente conoscenza dell'utilità economica generale delle azioni individuali. Il diritto ha piuttosto la funzione di armonizzare tra loro le azioni dei singoli, senza peraltro prendere in considerazione, dal punto di vista dei contenuti, la pressocché infinita molteplicità degli scopi perseguiti dagli individui. Le norme mediante le quali il diritto adempie questa funzione sono contraddistinte dal fatto di prescindere dalle aspettative, dalle motivazioni e dagli scopi (non di rado contrastanti) degli interessati. Tra i sistemi spontanei che nascono dall'elaborazione di questo tipo di norme, e che spesso sono in relazione tra loro, vi è il sistema dei prezzi liberi e della concorrenza. Nelle economie di mercato il compito dell'ordinamento giuridico è di produrre norme conformi alle suddette caratteristiche (v. Mestmäcker, 1985).
La distinzione tra sistema organizzato e sistema spontaneo ha un'importanza fondamentale anche nelle economie di mercato. Occorre qui distinguere tra organizzazione del potere statale e organizzazioni di cui i cittadini fanno parte per conseguire i propri scopi: tra queste ultime vi sono le imprese, strutturate secondo il diritto societario. È la concorrenza a decidere quali prestazioni un'impresa possa procurarsi più convenientemente nell'ambito della propria organizzazione o acquistandole sul mercato. I diritti e i doveri delle organizzazioni, che di regola sono persone giuridiche, non sono sostanzialmente diversi da quelli delle persone fisiche, sempreché l'appartenenza all'organizzazione sia volontaria; gli enti di diritto pubblico e gli organismi a partecipazione obbligatoria sono invece strumenti efficaci per chiudere l'accesso al mercato e per eliminare la concorrenza.
Lo sviluppo economico è caratterizzato dalla progressiva internazionalizzazione e integrazione dei mercati, delle imprese e dei loro programmi. Tuttavia al sistema economico mondiale non corrispondono né un ordinamento economico né un diritto dell'economia mondiale; piuttosto, gli ordinamenti nazionali sono coinvolti nella concorrenza a livello mondiale sui mercati dei beni e dei servizi. Gli Stati cercano di promuovere coi loro mezzi la competitività delle proprie industrie; i vantaggi comparati nel commercio mondiale non vengono assunti come dati, ma diventano oggetto delle politiche economiche e industriali. Fra gli strumenti di questa competizione ricordiamo l'uso dei diritti sovrani di uno Stato per compensare supposti svantaggi dell'industria nazionale, in particolare con l'istituzione di barriere tariffarie e non tariffarie nel commercio estero, il sostegno alle proprie industrie mediante sovvenzioni e commesse statali, la restrizione della concorrenza internazionale mediante la tolleranza o la promozione di accordi autolimitativi e di cartelli internazionali. Segni tipici di questo fenomeno sono la formazione di blocchi economici (Stati Uniti, Giappone, Europa), la contrapposizione fra Stati industrializzati e paesi in via di sviluppo (conflitto Nord-Sud) e, fino a qualche anno fa, la posizione particolare dei paesi socialisti, caratterizzata dal monopolio statale degli scambi con l'estero.Nella concorrenza internazionale il ricorso ai diritti sovrani di uno Stato a vantaggio delle proprie industrie porta a un progressivo, reciproco inasprimento dei provvedimenti protezionistici; la concorrenza condotta mediante il sostegno statale alle industrie nazionali tende, nel caso di industrie in recessione, alla conservazione di strutture economicamente superate, e, nel caso delle cosiddette industrie di punta, all'autonomizzazione della competizione per il primato tecnico.
In queste condizioni il diritto dell'economia ha il compito di elaborare norme per la soluzione dei conflitti che nascono dalla concorrenza su scala mondiale tra i vari ordinamenti economici nazionali e regionali; quest'esigenza si pone nell'applicazione di normative economiche a livello nazionale, sovranazionale e mondiale.Nel campo del diritto pubblico si tratta soprattutto di applicare le norme a situazioni implicanti relazioni con l'estero (diritto pubblico internazionale dell'economia); emergono qui in primo piano i conflitti caratterizzati dall'applicazione unilaterale di divieti statali contro le limitazioni della concorrenza a livello internazionale. Nell'ordinamento economico sovranazionale della CEE la liberalizzazione del mercato comune, non realizzabile su scala mondiale, è associata alla creazione di un ordinamento giuridico autonomo. Occorre distinguere i rapporti della Comunità con gli Stati membri da quelli con gli altri Stati. Avendo competenza internazionale, la Comunità si occupa in linea di principio anche dei diritti e degli obblighi derivanti da accordi internazionali.Un progetto di ordinamento generale dell'economia mondiale fondato sul libero scambio fu predisposto con la Carta dell'Avana (1948); esso però fallì perché l'Unione Sovietica non prese parte alle trattative e perché gli Stati che vi avevano partecipato non ratificarono la Carta. Nei lavori preliminari fu elaborato fra l'altro un accordo generale sul commercio e sui dazi doganali che servì come base per il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), entrato in vigore nel 1947. Il GATT è il più importante organismo internazionale che si propone di garantire, a livello multilaterale e su scala mondiale, la libertà degli scambi.
Il diritto dell'economia formula una normativa per il sottosistema sociale in cui si decide della disponibilità di beni relativamente scarsi. Dal carattere di sottosistema dell'ordinamento economico deriva la sua connessione con l'ordinamento giuridico-costituzionale. Con le decisioni riguardanti l'ordinamento economico i principî fondamentali su cui esso poggia assumono rilevanza giuridica autonoma. Pertanto la specificità del diritto dell'economia non è definibile né mediante il suo oggetto, né mediante i suoi strumenti. L'oggetto - l'economia - è ovunque il medesimo, mentre gli strumenti sono ovunque diversi; ciò vale soprattutto per il coordinamento del diritto dell'economia col diritto pubblico e con quello privato. Ma a queste diversità di forma non corrispondono diversità funzionali. Le funzioni del diritto dell'economia vanno identificate e delimitate attraverso il confronto tra il sottosistema economico e gli altri sottosistemi che con esso sono in competizione o in conflitto.Per elaborare le norme positive di un ordinamento economico è necessario ripartire tra i vari organi statali le competenze politiche e quelle giuridiche relative all'economia; a ciò si aggiunge, nella CEE, la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e le istituzioni della Comunità. Questa assume anche una rilevanza a livello di diritto sostanziale, data l'attribuzione alla Comunità di precise competenze per quanto riguarda determinate finalità stabilite nel Trattato istitutivo.
Tuttavia la ripartizione delle competenze non è sufficiente a definire i contenuti dell'ordinamento economico: ciò avviene mediante la formulazione di norme relative agli obiettivi della politica economica, al comportamento reciproco fra i cittadini (diritto privato, disposizioni sulle limitazioni della concorrenza, regolamentazioni) e alla tutela dei diritti fondamentali aventi rilevanza economica. Dal complesso di queste norme risulta se e in quale misura il potere statale si attenga ai principî dell'economia di mercato o si sia attenuto a essi nella propria legislazione o negli accordi internazionali.
D'importanza basilare perché i suddetti principî abbiano carattere vincolante è la facoltà riconosciuta ai cittadini di ricorrere all'autorità giudiziaria contro gli interventi dell'autorità statale lesivi di interessi economici giuridicamente tutelati. Nel campo degli ordinamenti costituzionali ciò investe l'elaborazione dei principî dello Stato di diritto, in particolare l'osservanza della legalità da parte dell'amministrazione, la facoltà di opporsi a interventi illegittimi e l'efficacia immediata dei diritti fondamentali. Il Trattato CEE ha il carattere di un 'ordinamento economico costituzionale', giacché conferisce ai cittadini il diritto di opporsi alla violazione delle sue norme da parte degli Stati membri. Tale diritto può essere esercitato dinanzi ai tribunali nazionali in quanto le norme del Trattato relative agli Stati hanno efficacia immediata, sempreché il loro contenuto sia sufficientemente chiaro e definito da consentire ai giudici di applicarle. Contro le violazioni del Trattato da parte delle istituzioni comunitarie è possibile presentare istanza di annullamento o ricorso contro l'inerzia dell'amministrazione presso la Corte di giustizia delle Comunità Europee (artt. 173-176 del Trattato).
Un'altra conseguenza del carattere di sottosistema dell'ordinamento economico è la necessità di tener conto dei suoi nessi e delle sue interazioni con la costituzione statale e con gli altri sottosistemi. Le suddette interazioni possono essere studiate mediante la teoria dell'interdipendenza degli ordinamenti (v. Eucken, 1990⁶, pp. 14 ss., 304 ss.). In Marx e nei suoi seguaci essa è sostituita dalla tesi dell'inevitabile dipendenza dello Stato e del diritto dalla classe dominante; in altre teorie dello Stato e della società il potere economico e l'incontrollato 'egoismo universale' propri delle economie di mercato sono considerati così pericolosi da far ritenere che allo Stato dotato di legittimazione democratica si debba accordare un'illimitata libertà d'azione nella politica economica. Il vero problema consiste invece nel regolamentare l'economia senza assoggettarla allo Stato o senza che lo Stato sia assoggettato all'economia.
Presupposto essenziale perché la libertà politica ed economica sia conciliabile coi requisiti dell'efficienza economica è la divisione dei poteri tra Stato ed economia: tale divisione, che ha un'importanza non minore di quella dei poteri statali in legislativo, esecutivo e giudiziario, è fondata sull'autonomia economica dei cittadini rispetto allo Stato e sull'autonomia politica dello Stato rispetto all'economia.
La prima è condizione necessaria per l'indipendenza, la libertà personale e l'effettivo esercizio dei diritti politici di partecipazione alla democrazia. Essa richiede una rigorosa separazione tra il potere sovrano dello Stato e il controllo dei mezzi di produzione. Il diritto di scegliere ed esercitare un'attività, la libertà di stipulare contratti e di associarsi, la libertà di movimento e di residenza, l'autonomia della contrattazione collettiva sono intrinsecamente incompatibili con un'economia centralizzata. L'esperienza mostra che con la perdita della libertà economica vengono svuotati di contenuto anche i diritti politici formali. Peraltro il controllo statale dei mezzi di produzione non s'incontra solo nelle economie centralizzate: la maggior parte degli Stati controlla, sotto forme giuridicamente diverse, una certa fetta della capacità produttiva, utilizzata sulla base di diritti di monopolio o in concorrenza con imprese private. Un primo fattore di limitazione dell'influsso statale sull'economia è dato dalla separazione organizzativa fra l'attività normativa e quella imprenditoriale dello Stato; è importante inoltre vincolare quest'ultima alle regole generali del diritto dell'economia, e in particolare alle norme sulla libera concorrenza. A questi criteri si attiene il diritto della CEE, mentre non è possibile fare analoghe generalizzazioni per il diritto dell'economia nei singoli Stati.
La divisione dei poteri tra Stato ed economia richiede inoltre l'autonomia politica del primo rispetto alla seconda. Nelle economie di mercato quest'autonomia può essere minacciata dai detentori del potere economico; tale minaccia è particolarmente grave in quanto il diritto privato, indispensabile per una programmazione economica decentrata, fornisce al tempo stesso gli strumenti per l'acquisizione del potere economico. Uno dei compiti principali della politica relativa all'ordinamento economico consiste quindi nel contrastare la formazione di tale potere e il suo uso indebito. Per opporsi fin dall'inizio a questo fenomeno è importante attivare e favorire il più possibile la libera concorrenza, definita da Franz Böhm come il più grandioso e geniale strumento di esautorazione posseduto dalla storia. Le norme contro le limitazioni della concorrenza sono destinate ad assicurare la funzionalità del libero mercato, a contrastare la formazione di un potere economico e a impedire gli abusi degli inevitabili potentati economici. In questo tipo di legislazione, presente nella maggior parte dei paesi industriali, si manifesta un principio d'importanza generale: è compito del diritto dell'economia far valere i principî dello Stato di diritto non solo nelle relazioni tra Stato ed economia, ma anche nei mutui rapporti tra i cittadini. Le norme sovranazionali sulla libera concorrenza contenute nel Trattato istitutivo della CEE tengono conto delle peculiarità delle imprese multinazionali e delle connesse limitazioni della concorrenza.Solo uno Stato dotato di legittimazione democratica e indipendente dai potentati economici può garantire un sistema sociale capace di integrare l'economia di mercato. Spetta a tale sistema proteggere i cittadini dai rischi economici che essi non sono in grado di controllare, e modificare la distribuzione dei redditi e dei beni derivante dalla libera concorrenza, affinché lo Stato possa assolvere i propri compiti.
Nelle economie di mercato gli obiettivi della politica economica statale sono spesso determinati dall'esigenza di un equilibrio economico generale: tra le condizioni di questo equilibrio, che la politica dello Stato dovrebbe realizzare, vi sono la stabilità dei prezzi, un elevato livello d'occupazione, l'equilibrio negli scambi con l'estero e una crescita adeguata. Il Trattato istitutivo della CEE definisce in modo analogo (artt. 103-109) gli scopi da perseguire mediante la cooperazione tra le politiche economiche degli Stati membri: tali scopi possono trovare formulazione normativa in una costituzione, in una legge o in un trattato internazionale. Tuttavia, dall'esigenza di raggiungere un equilibrio generale attraverso la politica economica non discendono autorizzazioni aventi rilevanza giuridica. Nelle economie di mercato il contenuto dell'ordinamento economico non è definito dagli scopi, bensì dai mezzi che possono o che non possono essere usati per attuare l'equilibrio generale: il fine della piena occupazione non giustifica le violazioni della libertà di contrattazione collettiva, così come la stabilità dei prezzi non giustifica gli interventi sui prezzi di mercato, l'equilibrio della crescita non giustifica la pianificazione degli investimenti, l'equilibrio degli scambi con l'estero non giustifica gli interventi sulla convertibilità valutaria. Le normative dirette ad attuare l'equilibrio generale si presentano quindi come strumenti di coordinamento dell'azione discrezionale dei pubblici poteri nella politica economica, fiscale, di bilancio e del mercato finanziario. Tale coordinamento avviene mediante norme organizzative e procedurali. Per lo più i singoli provvedimenti di controllo dell'economia non possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, per il semplice fatto che devono esplicare effetti 'generali', il che può avvenire solo se non favoriscono né danneggiano determinate persone o imprese o determinati settori economici.
La tutela giuridica dei cittadini risulta però in gran parte inefficace anche quando le autorità responsabili della politica economica dispongono, per realizzare fini di equilibrio generale, di strumenti di pianificazione indicativa, come ad esempio la programmazione di investimenti settoriali, la concessione di sovvenzioni destinate a garantire una crescita adeguata o a favorire mutamenti strutturali, il controllo dei prezzi e delle retribuzioni allo scopo di mantenere stabile il livello dei primi, il controllo del credito, la concessione di agevolazioni fiscali subordinate a comportamenti conformi ai piani economici dello Stato. In questo caso sono le caratteristiche della politica economica discrezionale a restringere il campo di un sindacato giurisdizionale, che del resto si limita di solito ad accertare la regolarità delle procedure. Vengono però allora a mancare le garanzie dello Stato di diritto (rules of law), destinate a proteggere i cittadini dall'arbitrio statale. Nel moderno Stato democratico del benessere il pericolo di un comportamento arbitrario nasce soprattutto dalla preoccupazione del governo di conservare la maggioranza in parlamento con la concessione di benefici a importanti categorie di elettori.
Per far fronte ai pericoli di cattivo funzionamento della sfera politica, alcuni compiti di politica economica possono essere trasferiti a organismi indipendenti: l'esempio più importante è costituito dalle banche centrali, politicamente autonome e aventi il compito di garantire la stabilità monetaria. In tal modo si sottraggono al governo determinati strumenti di politica economica; e poiché non è possibile dare ai principî di una politica di stabilità monetaria una formulazione normativa, sotto forma di regole generali soggette a sindacato giurisdizionale, l'indipendenza della banca centrale dalle vicende politiche viene associata a un'ampia libertà d'azione. Diritti e doveri di questi organismi conseguono dalle finalità che a essi sono assegnate dalla legge.
Dalla garanzia della libertà d'azione in campo economico nasce la concorrenza: in un regime di libera formazione dei prezzi e di apertura dei mercati le imprese sono obbligate a un continuo adattamento della loro offerta alla domanda e alle offerte delle imprese rivali. Le imprese possono sottrarsi a quest'obbligo se riescono a conquistare una posizione di dominio del mercato o a limitare la concorrenza mediante trattati, comportamenti concordati o di carattere strategico. Le norme contro le limitazioni della concorrenza hanno lo scopo di combattere la tendenza al monopolio insita nella concorrenza stessa e costituiscono un elemento indispensabile delle economie di mercato. Le restrizioni della libertà d'azione delle imprese derivanti da tali norme non sono destinate a sostituire la concorrenza, bensì a conservare o a ripristinare per quanto è possibile la sua funzionalità. I criteri idonei a tal fine devono essere determinati in base alla natura specifica della concorrenza: questa, come si è detto, consiste in un processo di coordinamento e d'innovazione, caratterizzato dal fatto che non si conoscono in anticipo gli esiti concreti a cui darà luogo. Pertanto il comportamento delle imprese non può essere valutato in base alle capacità di produrre i risultati prevedibili in un regime di effettiva concorrenza: un simile criterio presuppone infatti cognizioni che possono essere acquisite solo attraverso la concorrenza stessa. Le norme contro le limitazioni della concorrenza vanno quindi formulate come 'regole del gioco': devono essere dirette contro singoli provvedimenti restrittivi, senza però prescrivere i risultati voluti, e devono essere generali e astratte, in armonia con i requisiti dello Stato di diritto e col carattere dei sistemi spontanei. Sono intrinsecamente compatibili con questi principî i divieti di accordi e di comportamenti che abbiano per scopo e per effetto restrizioni della libertà d'azione individuale nella concorrenza: in particolare, può essere vietata la costituzione di cartelli, che limitano la concorrenza nel campo degli investimenti, della produzione e dei prezzi o che ostacolano l'accesso al mercato. Non è possibile esprimere in base a questi criteri un giudizio definitivo sulle concentrazioni di imprese e sugli abusi derivanti da posizioni di dominio del mercato; in questi casi la decisione circa la legittimità di una transazione o di un comportamento va presa in base a una valutazione comparativa dei legittimi interessi economici individuali e dell'interesse pubblico di salvaguardare la concorrenza.Le norme giuridiche contro le limitazioni della concorrenza emanate dai singoli Stati e dalle Comunità Europee sono ispirate solo in parte ai criteri su esposti. I conflitti col principio della libera concorrenza nascono soprattutto dagli scopi perseguiti mediante tali limitazioni, ossia tutelare le piccole e medie imprese, evitare la 'concorrenza distruttiva', favorire la competitività sul mercato internazionale.
Nella maggior parte degli ordinamenti giuridici le norme contro le limitazioni della concorrenza valgono anche per quelle limitazioni disposte all'estero ma aventi efficacia nell'area di operatività delle norme stesse (principio della territorialità oggettiva). Possono quindi insorgere conflitti nell'applicazione del diritto qualora il comportamento vietato esplichi i propri effetti nel territorio di un altro Stato, in cui esso sia invece legittimo o addirittura imposto. Per evitare questi conflitti si rende spesso necessaria l'istituzione - mediante norme di diritto internazionale, di diritto sostanziale o relative al conflitto di leggi - di barriere contro l'applicazione extraterritoriale dei divieti emanati da uno Stato. Ma sono proprio le norme destinate a mantenere aperto l'accesso ai mercati e a impedire le limitazioni della concorrenza a livello internazionale a creare conflitti di extraterritorialità; e ciò indipendentemente dal fatto che tali effetti siano o no voluti e regolati dal legislatore. La rinunzia a ogni applicazione extraterritoriale delle norme sui cartelli va esclusa per il semplice fatto che in tal modo diventerebbe impossibile per gli Stati anche un'efficace regolamentazione del comportamento delle imprese soggette alla loro sovranità.Alcuni conflitti economici su scala mondiale possono presentarsi come conflitti circa l'applicazione del diritto qualora tra Stati e imprese non vi siano sfere di influenza territorialmente delimitate, come avviene quando esiste un'attiva concorrenza internazionale. Se le limitazioni di tale concorrenza agiscono efficacemente all'interno di uno Stato, quest'ultimo ha un legittimo interesse ad applicare le proprie norme. Di regola tale interesse è in armonia con un atteggiamento favorevole al libero scambio internazionale. Spesso si rendono necessarie soluzioni politiche, che peraltro non sono attuabili nei casi in cui in uno degli Stati interessati siano in vigore norme giuridiche cogenti, come avviene di solito per i divieti riguardanti i cartelli. Anche i balancing tests non sono idonei a risolvere i conflitti in questione: essi presuppongono infatti valutazioni comparative di interessi, mentre mancano criteri giuridici per valutare gli interessi di Stati stranieri. Se non si arriva a una applicazione concordata, basata sul diritto internazionale, delle normative nazionali, è preferibile applicare in modo unilaterale le norme di uno Stato al di fuori dei suoi confini anziché tollerare limitazioni della concorrenza su scala internazionale.
I cartelli internazionali e gli accordi di autolimitazione sono diventati importanti strumenti del protezionismo. Anche gli Stati che vietano in linea di principio le limitazioni della concorrenza, le tollerano o le favoriscono a livello internazionale nell'interesse delle proprie imprese. Per ostacolare le importazioni che trasgrediscono tali accordi possono essere applicati dazi antidumping. Il capitolo V della Carta dell'Avana, riguardante le pratiche restrittive della concorrenza, ha influenzato tutte le successive proposte di un loro controllo su scala mondiale. La più importante disposizione di diritto sostanziale è così formulata (art. 46): "Ogni Stato membro dovrà adottare opportuni provvedimenti e collaborare con l'Organizzazione Internazionale per il Commercio al fine di ostacolare negli scambi internazionali le pratiche - adottate da imprese sia private che pubbliche - che limitino la concorrenza e l'accesso ai mercati o favoriscano controlli monopolistici, in tutti i casi in cui tali pratiche abbiano effetti dannosi per lo sviluppo della produzione o del commercio e compromettano il conseguimento di qualcuno degli scopi menzionati nell'art. 1". Restava competenza esclusiva degli Stati membri ostacolare le pratiche restrittive contrarie all'accordo. Essi inoltre dovevano emanare una normativa interna in armonia con gli obblighi stabiliti dalla Carta e collaborare, nel quadro di un procedimento d'appello, con una commissione internazionale d'indagine sulle eventuali pratiche restrittive. La mancata ratifica della Carta fece fallire il progetto di istituire un controllo internazionale sui cartelli.
Nell'ambito delle Nazioni Unite è stato approvato il 16 dicembre 1980 un complesso di principî e di regole non vincolanti per il controllo delle pratiche commerciali restrittive. I principî in questione si propongono di "conseguire una maggiore efficienza nel commercio e nello sviluppo internazionali, specialmente nei paesi industrializzati, in armonia con gli obiettivi di sviluppo economico e sociale dei singoli paesi e con le strutture economiche esistenti, ad esempio mediante: a) la creazione, la promozione e la tutela della concorrenza; b) il controllo delle concentrazioni di capitali e/o di potere economico; c) la promozione delle innovazioni". Agli Stati viene raccomandato di elaborare e applicare le proprie legislazioni in base ai suddetti principî e in collaborazione con gli altri Stati; alle imprese si raccomanda di osservare le norme sulla concorrenza vigenti nei paesi in cui operano. Il documento contiene inoltre un ampio elenco delle pratiche restrittive della concorrenza, sul quale dovrebbero orientarsi anche le imprese multinazionali.I principî non sono applicabili alle convenzioni tra Stati, in particolare agli accordi internazionali sulle materie prime; è prevista anche un'eccezione per le limitazioni della concorrenza giustificabili dagli interessi dei paesi in via di sviluppo.
Finora i principî enunciati non hanno assunto rilevanza giuridica: l'unico esempio di norme antilimitative aventi efficacia, fondate sul diritto internazionale, è costituito dalle norme sulla concorrenza contenute nel Trattato istitutivo della CEE. La loro applicazione alle pratiche restrittive internazionali dà origine, nei riguardi degli Stati terzi, agli stessi conflitti già esaminati a proposito dell'applicazione di norme nazionali a fattispecie aventi implicazioni con l'estero.
All'origine di una legislazione specifica sull'economia vi è stato spesso - se si prescinde dal caso dell'economia di guerra - il bisogno di 'correggere' mediante la giurisprudenza civile, in base a concetti generali (divieto di abuso del diritto, osservanza della morale corrente e della buona fede), la libertà d'azione generalizzata, la libertà contrattuale e il libero uso della proprietà. Sono nate così regolamentazioni speciali per quei settori dell'economia caratterizzati da un'inefficienza del mercato, da un preminente interesse statale o da particolari esigenze di tutela dei consumatori; ciò è avvenuto ad esempio per i monopoli di servizi pubblici (acqua, gas, elettricità), per i monopoli delle poste e telecomunicazioni o per il controllo statale sulle banche e sulle società assicuratrici. I riferimenti al diritto pubblico derivano in questi casi dagli strumenti per il controllo dell'economia, che sono quelli del diritto amministrativo. Una distinzione importante tra le regolamentazioni adottate dai vari Stati riguarda il modo in cui viene protetto l'interesse pubblico: lo Stato può infatti esercitare in proprio alcune attività economiche, organizzarle in enti di diritto pubblico, o anche affidarle a imprese private a cui vengono garantiti certi diritti e imposti certi obblighi (servizi pubblici). La più importante giustificazione tradizionale dei monopoli di Stato, del controllo sull'economia e della regolamentazione dei pubblici servizi è che i relativi mercati sono inefficienti, e che pertanto spetta allo Stato creare condizioni per quanto possibile analoghe a quelle che si avrebbero qualora dominasse la concorrenza.
Tuttavia le suddette regolamentazioni non sono limitate ai settori in cui mancano i presupposti per la concorrenza, né sono rivolte unicamente a garantire condizioni simili a quelle del libero mercato. A differenza delle norme contro le limitazioni della concorrenza, il controllo dell'economia incide direttamente sulla struttura e sul comportamento del mercato; esso si esercita mediante la regolamentazione dell'accesso al mercato, la fissazione dei prezzi, nonché mediante prescrizioni sulla qualità dei servizi e sull'obbligo di fornirli a tutti i richiedenti in modo adeguato e alle stesse condizioni.
Nei maggiori paesi industrializzati il problema dell'inefficienza del mercato passa in secondo piano rispetto a quello dell'inefficienza dello Stato. La teoria e la prassi della deregulation sono fondate sull'idea che in genere anche mercati imperfetti sono più efficienti delle regolamentazioni statali. Tra gli inconvenienti del controllo statale vi sono il mantenimento di strutture d'impresa e di mercato superate, gli ostacoli frapposti alla concorrenza di beni sostituibili e la tendenza degli organi di controllo a favorire gli interessi delle imprese controllate.
Le regolamentazioni nazionali del mercato sono valide solo entro i confini dello Stato, e perché esse mantengano la propria efficacia è necessario proteggerle dalla concorrenza internazionale. Questa condizione viene soddisfatta quando le imprese regolamentate controllano direttamente l'accesso al mercato, come avviene in particolare per i monopoli delle telecomunicazioni e dei servizi pubblici; tuttavia l'accesso al mercato può essere impedito o limitato anche da una regolamentazione statale. Se le attività delle imprese soggette a regolamentazione presuppongono una cooperazione internazionale, gli ordinamenti nazionali del mercato possono essere salvaguardati mediante accordi di divisione territoriale.
Nel sistema mondiale delle telecomunicazioni il coordinamento tecnico tra i sistemi nazionali nell'ambito dell'International Telecommunication Union (ITU) - la più antica fra le organizzazioni economiche internazionali, fondata nel 1865 col nome di Union Télégraphique Internationale - è associato alla garanzia della competenza esclusiva dei singoli Stati nell'organizzazione e nell'esercizio dei servizi. Secondo la Convenzione di Nairobi del 6 novembre 1982 ogni Stato ha piena libertà nello stabilire le condizioni per l'accesso al suo territorio e per i collegamenti con l'estero; il coordinamento del traffico internazionale - in particolare la ripartizione dei proventi - è regolato da accordi bilaterali. Finché questo sistema di monopoli nazionali cooperanti tra loro resta un sistema chiuso, non possono nascere conflitti di applicazione del diritto. Solo i monopolisti operano 'extraterritorialmente'.
Anche la regolamentazione del traffico aereo internazionale era caratterizzata in origine dalla competenza territoriale esclusiva dei singoli Stati e dalla reciprocità bilaterale. Nell'ambito dell'International Air Transport Association (IATA) vengono stabilite le condizioni e le tariffe per i trasporti aerei su scala regionale e mondiale; i relativi accordi sono riconosciuti e sanzionati dagli Stati, che di solito gestiscono in proprio o controllano le compagnie di bandiera. L'accesso al mercato, il volume dell'offerta e i prezzi sono regolati da accordi integrativi bilaterali che indicano le condizioni e le tariffe per ciascun territorio nazionale.
Le politiche di deregulation dei vari paesi portano alla libera concorrenza internazionale e impongono cambiamenti e adattamenti anche nelle regolamentazioni internazionali del mercato sopra citate. Per i conflitti che da ciò possono nascere nelle telecomunicazioni e nei trasporti aerei valgono negli Stati Uniti e nella CEE le norme contro le limitazioni della concorrenza.
Le norme del GATT sulla libera circolazione delle merci costituiscono il più importante fondamento giuridico del diritto internazionale dell'economia: i principî a cui esse si ispirano sono la multilateralità, la clausola della nazione più favorita, la parità di trattamento coi prodotti nazionali e il divieto di restrizioni quantitative. Nel quadro del Tokyo round sono stati conclusi nel 1979 accordi integrativi sulle norme antidumping (Agreement on implementation of article VI of the GATT - antidumping law), sulle sovvenzioni e sui dazi compensativi (Agreement on interpretation and application of articles VI, XVI and XVIII of the GATT - subsidies and counterveiling duties), sulle norme speciali per i paesi in via di sviluppo (Agreement relating to the framework of conduct of international trade - differential and more favorable treatment, reciprocity and fuller participation of developing countries) e sulle procedure per la concessione dei permessi di importazione (Agreement on import licensing procedures). A partire dal 1986 si sono svolte trattative per estendere le norme del GATT alla libera circolazione dei servizi.Le esperienze compiute nell'applicazione del GATT hanno mostrato che spesso le norme di diritto internazionale destinate a garantire la libertà degli scambi con l'estero mediante obblighi imposti agli Stati non sono sufficienti a contrastare le tendenze al protezionismo. Ciò è dovuto alla simbiosi tra l'esercizio della sovranità e le attività imprenditoriali degli Stati, all'effetto combinato delle regolamentazioni economiche nazionali ed estere e alle già citate limitazioni della concorrenza per opera dei privati e degli organi statali.
Le norme di diritto internazionale rivolte a garantire la libertà degli scambi con l'estero privano gli Stati della facoltà di limitare tali scambi con atti di sovranità, ad esempio con divieti d'importazione e di esportazione, con dazi doganali o con restrizioni quantitative; la rinunzia a questi interventi dovrebbe aprire alle imprese degli Stati interessati nuove possibilità di operare sul mercato internazionale. La neutralità della regolamentazione ai fini della libera concorrenza poggia sul fatto che le imprese sono in grado di decidere indipendentemente dallo Stato il modo in cui utilizzare le suddette possibilità; tale presupposto viene però meno quando lo Stato stesso svolge attività imprenditoriali e determina con la sua offerta o la sua domanda l'accesso al mercato dei suoi concorrenti. È questo il motivo per cui i monopoli statali del commercio estero e dei servizi si sottraggono in gran parte all'integrazione in un sistema di libero scambio. L'art. XVII del GATT sancisce l'esistenza di tali imprese statali, ma impegna gli Stati a seguire un comportamento "coerente con i principî generali di trattamento non discriminatorio prescritti nel presente accordo per i provvedimenti governativi riguardanti le importazioni o le esportazioni da parte di operatori privati". Nel Trattato istitutivo della CEE i caratteri specifici dell'attività imprenditoriale statale sono presi in considerazione nell'art. 37 per quanto riguarda i monopoli commerciali e nell'art. 90 per quanto riguarda le imprese pubbliche e le imprese che godono di diritti speciali ed esclusivi.
In un'economia mondiale fondata sulla divisione internazionale del lavoro anche le possibilità di concorrenza degli offerenti e dei richiedenti esteri sono influenzate dai provvedimenti di politica economica e fiscale degli Stati e dalla legislazione rivolta a tutelare la sicurezza e l'ordine pubblico, la vita e la salute degli individui, le piccole e medie imprese e la concorrenza leale; gli effetti di queste normative non sono infatti limitati al territorio dei singoli Stati. La connessione tra le regolamentazioni nazionali e le restrizioni degli scambi internazionali è particolarmente accentuata nel settore dei servizi: le normative statali in materia creano barriere occulte agli scambi di servizi che, a differenza delle merci, non sono assoggettabili a verifiche doganali. È compito del diritto internazionale dell'economia distinguere le normative statali giustificate da quelle ingiustificate: i principali criteri di valutazione nel quadro degli accordi multilaterali sono, come nel caso della libera circolazione delle merci, la parità di trattamento con i prodotti nazionali e la clausola della nazione più favorita. L'efficacia pratica di queste norme può dipendere dall'armonizzazione delle normative nazionali.
Nell'ambito delle Nazioni Unite i paesi in via di sviluppo hanno presentato delle proposte per attuare un nuovo ordine economico internazionale: alla base delle numerose indicazioni e misure proposte vi sono la Dichiarazione sull'istituzione di un nuovo ordine economico internazionale, del 1° maggio 1974, e la Carta dei diritti e degli obblighi economici degli Stati, del 12 dicembre 1974. Il nuovo ordine dovrà essere fondato "sull'equità, l'uguaglianza di sovranità, l'interdipendenza, la comunanza d'interessi e la cooperazione di tutti gli Stati, a prescindere dai loro ordinamenti economici e sociali" e dovrà "correggere le disuguaglianze ed eliminare le ingiustizie esistenti, consentendo di annullare il crescente divario tra paesi sviluppati e non sviluppati e di assicurare, insieme a uno sviluppo economico e sociale costantemente accelerato, la pace e la giustizia per la generazione attuale e per quelle future". I principî più importanti che ne derivano sono: a) diritto degli Stati di decidere liberamente il loro ordinamento economico; b) controllo degli Stati sulle loro risorse naturali, compreso il diritto di esproprio e di nazionalizzazione; c) controllo sulle imprese multinazionali; d) equità nei prezzi dei prodotti esportati e importati, comprese le materie prime; e) aiuti, senza condizionamenti politici, ai paesi in via di sviluppo; f) trattamento preferenziale, senza reciprocità, a favore dei paesi in via di sviluppo; g) accesso alle moderne tecnologie.
Su questa base sono stati proposti i fondamenti giuridici di un ordine economico internazionale, in vista del quale occorrerebbe ampliare i principî di libertà, uguaglianza e solidarietà nei rapporti tra gli Stati. Il principio di libertà su cui si è basato il modello storico dell'economia mondiale urta difatti contro i propri limiti; il principio dell'uguaglianza formale, su cui si fondano il divieto della discriminazione in base alla nazionalità e la clausola della nazione più favorita, si radicalizza nel principio dell'uguaglianza sostanziale, da cui nasce l'aspirazione dei paesi del Terzo Mondo a un trattamento differenziato di situazioni differenti tra loro; infine il nuovo principio della solidarietà giustifica il trasferimento di risorse dai paesi ricchi ai paesi poveri e il coordinamento internazionale delle politiche economiche e finanziarie. Nelle relazioni tra gli Stati quest'ultimo principio non è fondato su ragioni etiche, ma sull'accresciuto grado d'interdipendenza della società mondiale, per cui gli Stati sono responsabili degli effetti internazionali dei loro provvedimenti.Gli ideali della Rivoluzione francese, validi per i rapporti tra gli individui, verrebbero così estesi ai rapporti interstatali; ma tale estensione implica dei mutamenti qualitativi. Il fatto che tutti gli Stati siano liberi non porta a reciproche limitazioni della loro libertà d'azione in conformità di leggi generali; l'uguaglianza tra gli Stati non esclude comportamenti arbitrari verso altri Stati e verso i propri cittadini; la solidarietà, senza indicazioni sull'impiego delle risorse, degenera nella concessione di sussidi senza uno scopo preciso.
A parte queste obiezioni contro le generalizzazioni su esposte, i principî del nuovo ordine economico internazionale presentano alcune contraddizioni di fondo. Possiamo qui ricordare quelle tra la solidarietà e la 'sovranità inalienabile' degli Stati, tra l'uguaglianza dei sistemi economici e il riconoscimento del diritto di esproprio, tra la non ingerenza negli affari interni degli Stati e i controlli sulle imprese multinazionali, tra la promozione del libero scambio e gli accordi sulle materie prime nel quadro di una pianificazione economica. Ma ciò che maggiormente inficia il carattere giuridico del nuovo ordine economico internazionale è la contraddizione fra la garanzia dei diritti umani e la preminenza che per principio assumono i diritti dello Stato rispetto a quelli dei cittadini.Nel 'nuovo ordine' si manifesta in realtà, sotto una veste giuridica, l'esigenza politica di una ridistribuzione internazionale dei beni a vantaggio dei paesi in via di sviluppo e a carico dei paesi industrializzati. Ma la funzionalità del sistema economico internazionale, la crescita economica, la protezione dell'ambiente e l'incremento del commercio mondiale poggiano sulla salvaguardia a livello nazionale, regionale e mondiale dei principî del libero scambio; al mantenimento e all'espansione di questo sistema sono interessati anche i paesi in via di sviluppo. (V. anche Diritto ed economia).
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