Diritto e letteratura
I rapporti tra diritto e letteratura costituiscono un campo particolarmente fecondo per l'indagine interdisciplinare. Il diritto, che fin dalle sue origini è stato accomunato alla letteratura in quanto tentativo formalizzato di strutturare la realtà attraverso il linguaggio, conserva ancor oggi la sua essenza letteraria. Se tutti gli approcci interdisciplinari alla letteratura devono scontrarsi con lo scetticismo dei tradizionalisti, gli studi su diritto e letteratura suscitano però particolari resistenze. Il diritto, dopo tutto, è una professione, e la letteratura un'arte. Gli uomini di legge esercitano un mestiere funzionale, mentre scrittori e critici letterari sono impegnati nell'elaborazione di un discorso intellettuale. Tuttavia, nonostante le diffidenze manifestate da entrambe le parti, gli studi su diritto e letteratura registrano sensibili progressi di anno in anno, precisando le proprie tematiche e affinando i propri strumenti teorici. Ciò che legittima un approccio comparativo a questi due ambiti apparentemente eterogenei è il loro comune interesse per i problemi del linguaggio: struttura, retorica, ambiguità, interpretazione e ricerca del significato veicolato dai segni linguistici. Sia il diritto che la letteratura, inoltre, si basano su formulazioni astratte e su modelli di pensiero associativo per arrivare a esprimere un giudizio umanistico. Sussiste quindi un'affinità tra i processi espressivi e concettuali di questi due ambiti, che formano naturalmente un sodalizio fornendosi sostegno reciproco.
Nel corso degli ultimi quindici anni gli studi su diritto e letteratura si sono articolati nel modo seguente: 1) studi sul diritto nella letteratura, che analizzano il modo in cui nella narrativa vengono descritti gli avvocati, le indagini giudiziarie, le leggi, nonché il rapporto tra il singolo individuo e la ricerca della giustizia; 2) ermeneutica giuridica, ossia lo studio delle teorie del significato e del rapporto tra il lettore o la comunità interpretativa e i testi normativi che hanno per essi un valore vincolante; 3) stilistica giuridica, ossia l'analisi sia delle norme che regolano il modo di esprimersi nei documenti giuridici, che degli elementi narrativi, strutturali e retorici della prosa giuridica. In questo articolo adotteremo la struttura tripartita proposta inizialmente da Barricelli e Weisberg (v., 1982), sebbene la ricerca svolta successivamente su diritto e letteratura solleciti un'unificazione delle tre tematiche (v. Weisberg, 1992, Introduzione e cap. 1).
Ogni approccio al rapporto tra diritto e letteratura indirizzato agli studiosi di quest'ultima disciplina ha come punto di partenza, com'è naturale, il testo narrativo. Gli stessi giuristi, d'altro canto, hanno manifestato una crescente consapevolezza della centralità della dimensione narrativa nella loro professione. L'interesse millenario della letteratura nei confronti di tematiche giuridiche (formalismi, avvocati, processi, indagini istruttorie, procedure, precedenti, codici e leggi) deve restare, sul piano metodologico, il punto di partenza della nostra indagine. Se per cominciare consideriamo quindi il diritto nella letteratura, osserviamo che l'insigne docente di diritto John H. Wigmore è stato il primo, nel 1908, a individuare i diversi modi in cui il romanzo utilizza le tematiche giuridiche. Più di recente Weisberg e Kretschman (v., 1977) hanno rielaborato il modello di Wigmore distinguendo le quattro categorie seguenti: a) opere letterarie in cui viene descritta estesamente una procedura giuridica; talvolta si tratta solo di un dibattimento processuale, ma spesso anche delle indagini preliminari che portano al processo; b) opere in cui, sebbene non venga descritto un procedimento giuridico formale, una delle figure centrali nell'intreccio o nella storia, anche se non sempre il protagonista, è un uomo di legge; c) opere in cui un corpus specifico di leggi - spesso una singola norma o sistema procedurale - diventa un tema centrale; d) opere il cui tema centrale è il rapporto tra l'individuo e la ricerca della giustizia.
Questo schema amplia il modello di Wigmore - incentrato esclusivamente sulla narrativa - includendovi anche il genere epico e quello teatrale, e consente un'indagine preliminare sulla percezione del diritto nella letteratura. Inoltre, mentre il discorso di Wigmore restava circoscritto alla letteratura angloamericana, Weisberg e Kretschman includono anche la narrativa europea e asiatica. Recentemente alcuni studiosi, tra i quali citiamo Heilbrun e Resnik, Ball, Mari Matsuda, hanno sostenuto l'opportunità di includere anche testi letterari del Terzo Mondo e testi non canonici sul diritto. La prima questione che si pone è la seguente: su quali basi si può effettuare un confronto efficace tra opere letterarie così eterogenee, accomunate solo dalla presenza della tematica giuridica?
Nella categoria a) ad esempio rientrano capolavori tanto diversi tra loro come Il mercante di Venezia, I fratelli Karamazov e Lo straniero. Nella scena del processo del testo di Shakespeare prendono corpo contemporaneamente, in forma drammatica, il conflitto personale tra Shylock e i cristiani di Venezia (rappresentati in tribunale da Porzia), il conflitto sociale tra l'individuo alienato e la società, e il conflitto filosofico tra la rigida giustizia terrena e la virtù della "clemenza". Senza la scena del tribunale, e il subintreccio ingegnosamente interconnesso dello scrigno nel secondo atto, nessuno di questi conflitti sembrerebbe risolvibile entro il medium comico della commedia. Lo stratagemma ideato da Porzia le consente di volgere a proprio vantaggio l'insistenza di Shylock sulla lettera della legge, e di condurre quindi a lieto fine le vicende di Antonio, Bassanio e di tutta la 'vera Venezia'.Il fatto che la scena del tribunale lasci perplessi molti lettori moderni, i quali non sanno bene a chi indirizzare le proprie simpatie, dipende tanto dalla mutata situazione storica quanto dalla complessa natura della scena. Ma da più di un secolo, ormai, studiosi quali von Ihering (v., 1872), Weisberg (v., 1992), Phillips (v., 1972) e Koffler, che hanno analizzato la commedia shakespeariana dal punto di vista giuridico, si sono fatti interpreti di una nuova sensibilità critica nei confronti del valore estetico e giuridico della posizione di Shylock rispetto a quella di Porzia. La 'clemenza', invocata a sostegno della brutale aggressione nei confronti del 'diverso', non risulta affatto superiore al concetto - più rigoroso ma sostanzialmente più equo - di giustizia terrena. Si veda tuttavia in proposito la difesa saldamente tradizionalista della posizione di Porzia e Antonio condotta dall'eminente giudice americano Posner.
Anche ne I fratelli Karamazov la lunga descrizione di un processo esprime e approfondisce un tema dominante dell'opera. Al pari di altri grandi narratori europei, tuttavia, Fëdor Dostoevskij esamina un aspetto affascinante della procedura penale europea descrivendo prima, in modo assai dettagliato, un'istruttoria preliminare. Utilizzando - come farà in seguito Camus ne Lo straniero - una struttura articolata in tre livelli per raccontare al lettore l'azione delittuosa (esposizione narrativa, indagine preliminare e processo), Dostoevskij sacrifica la forza drammatica di un processo concentrato in un'unica scena per descrivere con grande accuratezza le sottili tendenze falsificanti dell'intero procedimento penale.In molte opere letterarie, in effetti, gli uomini di legge si sforzano di utilizzare le loro qualità oratorie per trasformare una realtà anteriore e fino a quel momento inespressa in uno schema narrativo permanente e ampiamente fittizio. La funzione svolta da tali personaggi è quindi un duplicato di quella del narratore che li ha creati. Il fatto poi che tanti processi penali nelle opere narrative si concludano con un errore giudiziario - un altro esempio è costituito dal processo di Goodwin in Santuario di William Faulkner - potrebbe essere dovuto al fatto che lo scrittore usa la legge come metafora per esprimere una tormentata autocritica. Come brillanti avvocati, gli scrittori possono senza volerlo portare il pubblico lungo una strada, abilmente costruita, che perde di vista l'essenza vitale e inafferrabile della realtà umana (su questo aspetto autocritico, particolarmente in relazione alle indagini e ai ragionamenti giuridici, v. Weisberg, 1984).
Mentre in tutte le opere che rientrano nella categoria a) gli uomini di legge hanno un ruolo importante nella vicenda, le opere della categoria b) considerano tali personaggi nei loro rapporti con la realtà al di fuori delle aule giudiziarie. Ne La caduta di Camus e nel racconto Bartleby lo scrivano di Melville, ad esempio, il protagonista e/o l'io narrante è un avvocato. Il protagonista di L'erede di Hermiston di Robert Louis Stevenson è un giudice. Lungi dall'essere una coincidenza, la professione del personaggio costituisce il retroterra implicito o esplicito della vicenda narrativa. Un uso analogo delle figure di giudici e avvocati si ha in molte opere di Honoré de Balzac (Popinot in L'interdizione o Derville in Gobseck) e di Charles Dickens (Mr. Tulkingorn in Casa desolata, Mr. Jaggers in Grandi speranze, Sidney Carton in Racconto di due città, o ancora Eugene Wrayburn, l'avvocato senza clienti di Il nostro comune amico).
Passando alla categoria c), troviamo alcuni testi letterari che vertono su uno specifico corpus di leggi senza peraltro descrivere necessariamente una qualche particolare decisione giudiziaria basata su tali leggi. Le opere che rientrano in questa categoria potrebbero essere diversissime tra loro sotto tutti gli altri aspetti, ma si prestano a una comparazione sulla base di quest'unica caratteristica che le accomuna. Nell'Antigone di Sofocle, ad esempio, la protagonista deve confrontarsi con un editto reale che viola sostanzialmente il suo senso di giustizia e quello della comunità; nella Saga di Njal - recentemente analizzata da Slusher (v., 1991), Ordower (v., 1991) e Miller (v., 1991) - l'eroe epico del XIII secolo è assoggettato ai rigidi formalismi dell'azione legale; nella commedia shakesperiana Misura per misura l'intricato ordito della vicenda viene sviluppato e felicemente dipanato entro la struttura di una legge viennese raramente applicata contro la fornicazione; l'eroina che dà il titolo al romanzo di Balzac, Ursule Mirouët, è vittima degli abusi nell'applicazione della legge sulla proprietà e la successione ereditaria; nel romanzo I miserabili di Victor Hugo, la zelante adesione all'esigenza di ordine legale si contrappone all'indulgenza e alla necessità di una giustizia umana (la lettera contrapposta allo spirito della legge); i personaggi del romanzo di Solženicyn Il primo cerchio, infine, sono rappresentati nelle loro esperienze col temuto art. 58 del Codice penale sovietico. In ognuna di queste opere l'autore ha riservato una ragguardevole quantità di spazio e di tempo narrativi a una determinata legge o a un complesso di leggi, sebbene le problematiche dei personaggi siano di natura essenzialmente extragiuridica (sull'interesse dei narratori per i criminali e per il diritto penale, v. Duncan, 1988). Nella categoria c) possiamo includere anche Billy Budd, marinaio, di Melville, per quanto si tratti della descrizione dettagliata di una vicenda giudiziaria che culmina in un processo, cioè di una situazione che è quella tipica della categoria a). È interessante osservare, soprattutto alla luce dei recenti approfonditi studi sull'argomento condotti sia da giuristi che da critici letterari (v. AA.VV., 1989), che il capitano Vere processa Billy sulla base delle disposizioni - non sempre scrupolosamente seguite - del Codice militare nonché della legge sull'ammutinamento applicata del tutto impropriamente in questo caso (in quanto riguarda solo le forze di terra, non la Marina). Poiché risulta che Melville avesse una qualche conoscenza di queste leggi e del diritto in generale, la profonda ambiguità del comportamento di Vere nel corso del processo risulta comprensibile sulla base di una certa conoscenza dei codici militari menzionati nel racconto.
La categoria d), infine, comprende una serie di opere in cui la tematica giuridica è presente in modo meno esplicito, ma che tuttavia sono incentrate sui problemi sollevati dal rapporto tra la legge e l'individuo o la società che essa si propone di tutelare. Il provocatorio racconto Noon wine di Katherine Anne Porter (che contiene la descrizione di un processo) solleva in modo ancora più significativo della maggior parte dei testi inclusi nella categoria a) la questione della relativa incapacità dei procedimenti giudiziari di risolvere i problemi umani. In questo racconto la sentenza di non colpevolezza per un caso di omicidio non riesce a soddisfare l'imputato, che sente l'esigenza di andare di casa in casa a giustificare il suo atto per dissipare l'ombra del dubbio che persiste nella sua coscienza nonché nella moglie e nei vicini.
La situazione narrativa di Noon wine può essere confrontata e contrapposta a quella de Il processo di Franz Kafka, dove il protagonista si immerge anima e corpo in una 'procedura' legale a seguito del suo 'arresto' per un crimine non definito, lasciando che il proprio senso di colpevolezza o di innocenza venga influenzato dalle allusioni e dalle insinuazioni degli emissari di un 'tribunale' mai identificato. Situazioni analoghe si ritrovano in alcune opere di Ugo Betti e di Dürrenmatt (ad esempio Panne). Tutte queste storie moderne possono essere avvicinate alla situazione dell'Edipo re di Sofocle, in cui il protagonista continua a cercare di stabilire la propria colpevolezza o innocenza di fronte alla legge, nella convinzione che solo la legge darà piena risposta al suo dilemma di uomo e di sovrano.
Nel racconto della Porter il protagonista non riesce a trarre alcun conforto personale dall'accertamento giudiziario della sua innocenza e si accinge a suicidarsi. I protagonisti del romanzo di Kafka e del racconto di Dürrenmatt nutrono al contrario una fiducia eccessiva nel sistema che li giudica colpevoli; l'attrazione che provano per le personalità e le procedure del tribunale, anziché per le sue sostanziali funzioni giurisdizionali (un'attrazione che potrebbe costituire la loro unica trasgressione) finirà per distruggerli. Ed essi moriranno, senza essere divenuti più saggi alla fine di quanto lo fossero all'inizio della vicenda. Esattamente all'opposto di quanto accade a questi personaggi moderni, la legge sarà per Edipo uno strumento di maturazione e di appagamento personale, anche se decreterà la sua colpevolezza e lo spoglierà dei suoi beni e del suo potere. Leggendo queste opere (e si potrebbe includere Re Lear come caso intermedio) il lettore può valutare l'evoluzione che si è verificata nella visione del mondo degli scrittori occidentali, dal personaggio del mondo greco - per il quale la giustizia e l'armonia interiore erano sinonimi - ai personaggi moderni per i quali la giustizia è diventata un fenomeno di inquietante complessità, a cui si deve cercare di sfuggire anziché lasciarsi prendere dai suoi ingranaggi.
La categoria d) comprende anche opere meno note che esplorano problematiche analoghe in un contesto moderno. Arancia meccanica di Anthony Burgess (che può essere accostato a Delitto e castigo) descrive la crescente tecnologizzazione del sistema della giustizia penale; Il libro di Daniel di E. L. Doctorow (non a caso avvicinato a Il processo) descrive lo scontro tra un sistema burocratico elefantiaco e singoli individui relativamente passivi e impotenti; Ragazzo negro di Richard Wright (che ha molto in comune con Lo straniero) racconta le difficoltà incontrate da un ragazzo di colore le cui azioni lo pongono al di fuori dell'area protetta rappresentata dalla benevolenza istituzionale. In questa categoria rientra anche un'opera quale Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, nella quale l'interesse nei confronti della giustizia diviene disgusto per il modo in cui essa viene applicata dalla società. È d'obbligo menzionare, infine, La divina commedia di Dante Alighieri, che con le sue potenti riflessioni sulle implicazioni della giustizia umana e divina per tutti gli uomini (anche al di fuori dei canti XVIII-XX del Paradiso), spicca come uno dei più importanti esempi di testo letterario in cui il tema della giustizia individuale e sociale assume un ruolo centrale (v. Barricelli e Weisberg, 1982).
L'elenco delle opere incluse in ciascuna delle quattro categorie menzionate può essere ulteriormente ampliato. Dall'epoca presocratica e biblica ai nostri giorni si possono trovare numerosi esempi di associazione tra diritto e letteratura. Talvolta risulta di fatto difficile distinguere tra l'artista e il giurista. Compiendo una rapida rassegna storica, si può osservare come già in una delle prime trilogie greche a noi note, l'Orestea di Eschilo, la maledizione che grava sulla stirpe di Atreo viene risolta in tribunale attraverso un processo e il verdetto di una giuria (v. Gewirtz, 1988). L'ultima tragedia della trilogia, le Eumenidi, si svolge in una corte di tribunale, con argomentazioni più adatte a un verbale processuale o a un trattato giuridico che non a un'opera teatrale. La civiltà romana produsse una delle più grandi figure di giurista-scrittore, Cicerone, la cui reinterpretazione del sapere e della cultura dei Greci nel contesto del pensiero e delle istituzioni romane conserva un grande valore sia nella sfera giuridica che in quella letteraria. Pro Milone, De republica, De legibus, De officiis non sono che alcuni esempi delle sue opere più importanti, cui vanno aggiunte le Epistulae e l'orazione Pro Archia, in cui Cicerone basa la difesa del suo cliente su un elogio della letteratura. Diritto e letteratura si fondono anche nelle opere di Francesco Bacone, l'unico autore che abbia tratto un saggio letterario da uno dei suoi scritti giuridici (Dell'usura, inizialmente un disegno di legge redatto per Giacomo I e poi pubblicato nell'edizione degli Essays del 1625). L'elenco potrebbe essere allungato, soprattutto per quanto riguarda l'epoca moderna, includendovi opere che vanno dal Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist a Corruzione al palazzo di giustizia o Frana allo scalo nord di Ugo Betti. Per completare la nostra rassegna occorre menzionare anche le trattazioni 'comiche' delle tematiche giuridiche, di cui esistono numerosi esempi nella letteratura: la farsa medievale francese La farce de Maitre Pathelin, gli avvocati caricaturali di Molière (ad esempio monsieur Bonnefoy ne Il malato immaginario), gli Avocatori di Ben Jonson nel Volpone, Sancho Panza governatore con funzioni di giudice nel Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, il farsesco giudice Bridoye di François Rabelais (Gargantua e Pantagruel, libro III), il comico duo Dodson e Fogg creato da Dickens (Il circolo Pickwick), e per finire il leguleio imbroglione, parassita e codardo Azzeccagarbugli nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Recentemente, inoltre, lo studioso tedesco Buck ha condotto un'analisi approfondita della tematica giuridica nell'opera di E.T.A. Hoffmann (v. Kilian, 1987).
La letteratura ha sempre trovato un suolo fertile nel terreno di pertinenza del giurista. Per spiegare questo fenomeno, spostandoci dal piano empirico a quello fenomenologico, occorre riconoscere ancora una volta che l'estremo interesse della letteratura per il diritto deriva dalle affinità tra le due discipline. Gli artisti, sensibili a queste affinità, inseriscono personaggi, temi e strutture giuridiche nelle loro opere, dimostrando ciò che da secoli gli scrittori avevano percepito: non solo la compatibilità, ma addirittura il carattere connaturale di due ambiti intellettuali apparentemente distinti.
Con l'ingresso di Stanley Fish tra le file degli studiosi di diritto e letteratura, e con gli importanti studi di Michaels e di Derrida, la teoria postmoderna è entrata di prepotenza nel mondo giuridico americano. Nel frattempo, forti di una ricca tradizione ermeneutica giuridico-letteraria (Gadamer, Betti, Saussure), anche gli studiosi europei cominciano a interessarsi dell'interrelazione teorica tra i due ambiti (v. Kilian, 1987). Questo tipo di ricerca è incentrato sul rapporto del lettore o della comunità degli interpreti con i testi fondamentali della cultura cui appartengono. Negli Stati Uniti l'attenzione si è focalizzata sul testo della Costituzione: esiste un significato 'originario', 'oggettivo', accessibile all'interprete e dimostrabile se solo egli si libera dai suoi pregiudizi soggettivi 'scoprendo' ciò che c'è già? Oppure il testo è privo di qualunque componente oggettiva di questo tipo, non è che il prodotto della collettività dei suoi interpreti? (Per una prospettiva d'insieme sui diversi approcci, v. Levinson e Mailloux, 1988).Il dibattito americano, di rilevanza politica oltreché teorica, costringe i tradizionalisti a difendere nozioni quali 'significato intrinseco del testo' e 'intenzioni dell'autore'. Di fronte alla tesi di Saussure secondo la quale sussiste un legame puramente contingente o arbitrario tra significante e significato (nel nostro caso potremmo dire tra 'legge' e 'giustizia'), o alla luce delle conclusioni dei decostruzionisti, ha ancora senso parlare di 'testi non ambigui'? La ricerca delle intenzioni dell'autore (ammesso che si tratti di un compito realizzabile) è più valida della ricerca dell'interpretazione soggettiva del lettore? Oppure ogni tentativo interpretativo di questo genere è inevitabilmente condizionato dalle circostanziate presupposizioni del lettore? (v. Michaels, 1989; v. Fish, 1983).
A differenza di quanto è avvenuto per altri settori della ricerca interdisciplinare su diritto e letteratura, in cui si è avuta una effettiva reciprocità, in questo campo i contributi degli studiosi di letteratura sembrano aver predominato. È questo forse il motivo per cui Posner (v., 1988) definisce l'ermeneutica "la grande, falsa speranza degli studi su diritto e letteratura". Il dibattito tuttavia ha indotto i giuristi a prendere atto delle loro radicate concezioni relative al linguaggio. Sebbene ancora nessun 'postmodernista' dichiarato sia insediato nella Corte Suprema americana, tuttavia l'approccio ermeneutico ha incoraggiato i giuristi ad analizzare i metodi interpretativi, spesso caratterizzati da una latente aggressività, di alcuni giudici (v. Abraham, 1979).
La Teoria generale dell'interpretazione di Emilio Betti (v., 1955) costituisce un esempio felice della feconda collaborazione tra ermeneutica e interpretazione dei testi normativi. L'approccio generale di Betti, che risente palesemente dell'influsso di Schleiermacher, si basa su una metodologia umanistica e normativa e costituisce altresì un correttivo dell'orientamento fortemente soggettivistico di Gadamer. Grazie al suo profondo interesse per il fondamento normativo nell'interpretazione testuale e alla convinzione che il testo sia in qualche misura 'inflessibile', Betti trova nel diritto un campo d'indagine particolarmente fecondo.Il cap. 8 della Teoria (parte C, sezione 7), ad esempio, dovrebbe essere letto da ogni studioso di diritto e letteratura interessato ai metodi ermeneutici. Qui Betti affronta il tema della funzione giudiziaria con un rigore che fonde l'analisi scientifica con un vivo interesse per il contesto che inevitabilmente interviene nella formulazione delle decisioni giudiziarie. Betti si propone di individuare le norme di una analisi giudiziale della legislazione che incorpori pienamente il 'contesto sociale' al quale i giudici devono essere sensibili. Egli non trascura peraltro la possibilità e la rilevanza di un'attenta e spassionata considerazione delle 'intenzioni' del legislatore. "L'interprete deve avere un'idea della personalità dell'autore", premette Betti introducendo il lettore all'ermeneutica giuridica; tuttavia il giudice è condizionato (forse più come l'esegeta della Bibbia che non come l'interprete della narrativa contemporanea) da informazioni mediate e incomplete sulla 'personalità' del legislatore. Inoltre "la concordanza tra pensiero e linguaggio lascia un certo margine al giudizio". Per il giurista quindi Betti incarna una sensibilità moderna per le sfumature linguistiche e culturali che peraltro rifiuta di sottrarsi alle "esigenze della neutralità giudiziale". Il penetrante approccio di Betti, con le sue solide basi nell'ermeneutica letteraria e religiosa, si rivela estremamente valido per gli studi su diritto e letteratura, ed esemplifica le più ricche potenzialità di questo settore della ricerca interdisciplinare.
Considerati come imprese intellettuali affini, diritto e letteratura hanno una base comune nello stile e nella retorica (comprendenti l'espressione narrativa di una determinata visione della realtà), nella consapevolezza dei valori e nell'immaginazione. Se non fosse per i diversi usi che facciamo del diritto da un lato e della letteratura dall'altro, saremmo immediatamente colpiti dall'affinità delle loro epistemologie. Caratterizzati entrambi dalla dimensione narrativa sul piano formale, diritto e letteratura si affidano al linguaggio per strutturare una realtà amorfa e non verbale. Di fronte al verificarsi di un evento (o di una serie di eventi), sia il giurista che lo scrittore cercano di ricostruire tale evento conferendogli inevitabilmente un'impronta sostanzialmente soggettiva. Benjamin N. Cardozo, forse il più 'poeta' tra tutti i giuristi (v. Weisberg, 1979; v. Posner, 1990) ebbe a osservare in una dichiarazione che rammenta per certi versi le teorie di Flaubert sull'arte narrativa: "La cosa importante [...] è liberare nella misura del possibile le nostre opinioni preconcette da tutti gli elementi meramente individuali o personali, distaccarle in un certo senso da noi stessi, per rielaborarle non sulla base delle nostre preferenze o avversioni, ma sulla base di una cultura informata e liberale, della conoscenza (come si sarebbe espresso Arnold) di quanto di meglio è stato detto e pensato nel mondo; è questo il materiale dal quale vengono plasmate in definitiva le grandi e luminose verità.
È una idea falsa e limitante quella secondo la quale determinate cause giudiziarie diventano paradigmatiche unicamente o principalmente in virtù di una qualche caratteristica intrinseca. Se lo sono, è perché noi le abbiamo rese tali. McCulloch vs. Maryland, per non citare che un esempio tra i tanti, è una delle cause famose della nostra giurisprudenza. Mi chiedo se non sarebbe stata dimenticata, e la sua dottrina forse addirittura annullata, se Marshall [presidente della Corte di giustizia] non l'avesse segnata con l'impronta del suo genio".
In termini di pura esposizione, saremo sempre attratti dalla prosa magnetica di un Oliver Wendell Holmes (per esempio nelle sentenze Schenk vs. U.S., Abrams vs. U.S., Buck vs. Bell; v. Posner, 1988), o di un Learned Hand (nella sentenza Schmidt vs. U.S.), oppure ancora di un William O. Douglas (nelle sentenze Dennis vs. U.S. e Beauharnais vs. Illinois). La padronanza e il rispetto del linguaggio di questi giudici li colloca in prima fila tra gli scrittori di lingua inglese. Come ebbe a dire Cardozo di un altro grande maestro dello stile, Louis D. Brandeis, "la sua prosa è comunicazione più che semplice espressione di se stesso".
Ma anche giudici d'appello assai meno illustri, o meno consapevoli dei propri poteri ri-creativi, si servono dello stile, della retorica e della forma per una trasposizione narrativa dell'esperienza. Pertanto, contrapporre i risultati della prosa giuridica e di quella letteraria non solo è imprudente, ma è possibile solo se limitiamo la definizione di 'letteratura' ai testi consapevolmente creati come tali. Soprattutto se si considera che ogni documento giuridico esprime i valori della cultura stessa di una società, viene da chiedersi perché mai continuiamo a circoscrivere, come facciamo, gli usi del diritto e della letteratura.
La prosa dei dibattimenti giudiziari teatrali costituisce il punto di contatto più ovvio tra la letteratura e l'esercizio della professione forense. Si consideri ad esempio il parallelo che si può istituire tra l'Apologia di Socrate di Platone e la deposizione in tribunale nel 1922 del Mahatma Gandhi (il quale, notiamo incidentalmente, aveva studiato giurisprudenza). Socrate affronta serenamente davanti alla corte l'accusa di empietà verso gli dei e di aver corrotto la gioventù ateniese, spargendo così il seme della ribellione. Egli è consapevole, peraltro, che a irritare la corte è la sua imperturbabilità, la sua convinzione che la morte è un summum bonum per chi ha la consapevolezza di aver compiuto il proprio dovere. Come può Socrate non dare ascolto alla voce della propria coscienza, soprattutto quando si tratta del bene dei suoi concittadini? E pur ritenendo che la sua morte sarebbe ingiusta, egli dichiara che lo Stato deve metterlo a morte per rispettare le proprie leggi, finché queste non vengano cambiate. Analogamente, nella piccola, affollata aula giudiziaria di Ahmadabad, anch'egli vecchio e stanco, Gandhi ripete in larga misura le stesse cose che aveva detto Socrate, altrettanto sereno e imperturbabile, chiedendo in forma altrettanto concisa e artisticamente equilibrata la condanna a morte per la sua condizione di satyagrāha ('colui che segue la verità'), che egli mette in pratica attraverso il credo della non violenza e della resistenza passiva. Il discorso di Gandhi termina con queste parole: "L'unica strada che potete seguire, voi giudici, è quella di dimettervi dal vostro incarico, dissociandovi così dal male se ritenete che la legge che siete chiamati ad applicare sia un male e che io sia in realtà innocente, oppure dovete infliggermi la pena più severa se credete che il sistema e la legge che siete chiamati ad applicare siano buoni per la gente di questo paese e che quindi la mia attività danneggi il bene pubblico". La dichiarazione di Gandhi è 'letteratura' non meno del dialogo di Platone (v. Barricelli e Weisberg, 1982).
Consideriamo ancora, per fare un altro esempio, il caso di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti ricostruito da Felix Frankfurter (The case of Sacco and Vanzetti, 1927) con una immediatezza e uno stile diretto che avrebbe riscosso il plauso di Stendhal, grande ammiratore dello stile del Codice civile napoleonico. Per il ritmo della narrazione, lo sviluppo della suspence, l'efficace climax e il meditato finale questo testo presenta la coesione, l'unità strutturale e la potenza drammatica della migliore narrativa. Ricco di problematiche emozionali ed etiche, ricco di commoventi personaggi quali i protagonisti (insicuri, tra l'altro, della propria padronanza dell'inglese di fronte alla boria intellettuale del giudice Webster Thayer), Il caso di Sacco e Vanzetti può a buon diritto essere incluso nella nostra lista di testi letterari che meritano di essere letti. Non sorprende che intellettuali europei come Romain Rolland, Anatole France, Tomas Garrigue Masaryk e Albert Einstein abbiano contestato il verdetto; e non sorprende del pari che questa cause célèbre sia stata ripresa da scrittori come Edna St. Vincent Millay, John Dos Passos, James Thurber e Upton Sinclair.Analogamente, la vita e la vicenda giudiziaria di Giovanna d'Arco hanno costituito una ricca fonte di ispirazione nel corso dei secoli per autori come Friedrich Schiller, Mark Twain, Anatole France, George Bernard Shaw e Jean Anouilh, e si potrebbe legittimamente sostenere che la semplice trascrizione del processo sia, per immediatezza di stile, forza drammatica e caratterizzazione dei personaggi, ancora più efficace delle sue levigate trasposizioni letterarie. Come ultimo esempio delle stimolanti affinità tra i dibattiti processuali e la letteratura possiamo citare Il libro di Daniel di E.L. Doctorow, una analisi suggestiva e magistralmente condotta dei verbali, dei ricorsi in appello e dei documenti pubblicati relativi a un caso giudiziario reale, il processo Rosenberg. Sia gli scrittori che i giudici e gli avvocati sono costantemente vincolati al loro strumento principale, il linguaggio, nonché agli usi dello stile e della retorica che meglio si adattano - se non alla propria musa personale - perlomeno alle reazioni che essi percepiscono nel pubblico. Ma anche l'attività giuridica al di fuori delle aule giudiziarie trae profitto da un'intima visione dinamica, da una componente creativa. Gli uomini di legge sono costantemente chiamati a interpretare, a colmare il vuoto ermeneutico, a esprimere valori, a indurre l'uditorio a condividere la propria percezione di un testo, di una personalità umana, di una realtà. Gran parte dell'attività degli uomini di legge comporta la ricostruzione di una realtà anteriore effettuata con il sussidio dell'immaginazione (e finalizzata a uno scopo). Un documento legale quale un testamento esprime l'intera umanità - i desideri, le ambizioni, anche le fantasie - del suo autore. A prescindere dal gergo e dalla ridondanza di sinonimi che caratterizza a volte l'idioma giuridico, persino l'ordinaria corrispondenza legale richiede a chi scrive di interpretare e di comprendere i punti di vista di una varietà di possibili lettori. Ovviamente l'interazione tra la visione soggettiva del giurista e l'oggettività della legge (quale può realizzarsi nella decisione di un giudice) non dovrebbe risultare dominante nella stesura finale di un testamento, di un contratto o di un manifesto per l'emissione di titoli. Anche questi documenti, sebbene in misura assai minore del dibattimento processuale o della sentenza emessa da un giudice, sono evidentemente esempi di 'letteratura', nel senso che si tratta di testi in cui, pur all'interno di una struttura organica, vi è una componente di immaginazione. In alcuni casi questi testi raggiungono uno status 'letterario' superiore grazie alla lucida trasposizione in prosa dei desideri del cliente, oppure attraverso l'efficace esposizione di un dramma umano. Anche questo, in quanto atto di interpretazione, è arte narrativa.
Dopo aver considerato i rapporti tra diritto e letteratura partendo dai testi letterari, possiamo ora considerare i testi strettamente giuridici per analizzare in che modo il diritto 'usi' espedienti letterari. Come osservava infatti il compianto giudice Harold Leventhal, mettendo in evidenza la particolarità degli studi di diritto e letteratura rispetto ad altri approcci interdisciplinari quali diritto ed economia, o diritto e scienza, "esiste un intreccio profondo, complesso e del tutto unico tra i vari elementi del diritto e della letteratura". Tra questi elementi figura l'interesse per le complessità del linguaggio. Lo scrittore e l'uomo di legge possono dedicarsi a molti aspetti particolari o ricerche diverse, ma l'uso attento, creativo, ed efficacemente strutturato del linguaggio li comprende tutti.Nella sfera del diritto il massimo livello di elaborazione linguistica si riscontra nella sentenza del giudice che proprio attraverso tale elaborazione acquista autorevolezza e valore duraturo. Il dinamismo del sistema giuridico angloamericano deriva in certa misura dalle esigenze stilistiche nella sentenza d'appello. Il linguaggio può essere usato con eleganza o in modo sciatto, ma costituisce lo strumento principale del giudice. La sentenza può essere efficacemente strutturata, oppure può essere disordinata e approssimativa nell'esposizione dei fatti e delle questioni, ma deve avere pur sempre una forma, che in quanto componente dello stile contribuisce a definire il significato attuale e definitivo della sentenza. Cardozo ebbe a dire a questo proposito: "Si ha un fenomeno affine nella letteratura, sia nella poesia che nella prosa. Lo sforzo è quello di trovare la parola appropriata, la frase felice che dia espressione al pensiero, ma in qualche modo il pensiero stesso viene trasfigurato dalla frase una volta che questa viene trovata. Nei vincoli stessi del linguaggio esiste una possibilità di emancipazione: i condizionamenti della rima e del metro, le esigenze di equilibrio nella costruzione del periodo talvolta sciolgono dai loro stessi vincoli il pensiero, liberandolo nel momento stesso in cui lo limitano".I saggi extragiudiziali di Cardozo (si veda in particolare Diritto e letteratura, 1925) affrontano un tema analogo: il giudice, consapevolmente o meno, si serve di un medium linguistico che introduce un elemento creativo nella sua quotidiana attività decisionale. I giudici sono scrittori (o se non altro sovrintendono al lavoro di altri scrittori), e il modo in cui impiegano il linguaggio influenzerà il diritto futuro. Un giudice non deve avere necessariamente la statura di un Cardozo, ma per il semplice fatto che il suo strumento principale è il linguaggio egli si muove nella sfera della narrativa e delle sue relative ambiguità.
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