Diritto ed economia
Quando negli anni sessanta il rapporto ormai logorato tra diritto ed economia ha prodotto all'improvviso qualcosa di nuovo e di vitale, tutti si sono stupiti. Era come se due vecchi coniugi ormai distanti, riscoperta la passione di un tempo, avessero messo al mondo un bel bambino. Appena il bambino ha cominciato a piangere e a strillare la maggior parte delle facoltà di diritto ha preso le distanze: "Non è diritto", "Le premesse non sono realistiche", "Niente di nuovo. Le solite cose trite e ritrite dette in un altro modo". Alla fine, però, negli anni ottanta, l'analisi economica del diritto si è affermata come una delle due prospettive dominanti della ricerca giuridica nordamericana, e la maggior parte degli studiosi hanno recepito molte delle sue scoperte. Nello stesso periodo, l'economia giuridica - o, più propriamente, l'analisi economica del diritto - ha preso piede anche in molti paesi europei, nonostante le tenaci resistenze di alcune roccaforti accademiche. Il presente articolo, dopo una breve storia della recezione di questa disciplina, cercherà di chiarire le caratteristiche che hanno determinato il suo successo; verranno poi riassunti sinteticamente alcuni dei più importanti risultati scientifici.
In origine, nelle università occidentali, l'economia veniva insegnata presso la facoltà di filosofia o di diritto. A Cambridge, ad esempio, la facoltà di economia nacque da quella di filosofia, mentre all'Università Cattolica di Lovanio da quella di diritto; del resto a Lovanio le due facoltà sono formalmente unite ancora adesso. Questo legame storico tra economia e diritto si allentò all'inizio del secolo, allorché gli economisti cominciarono a ricorrere con maggior sistematicità ai metodi e ai procedimenti della matematica. La maggior parte dei giuristi non sapeva nulla di matematica, e anche ai pochi che ne capivano qualcosa raramente capitava di utilizzare l'analisi marginalista, il calcolo dell'equilibrio, la valutazione dei coefficienti di regressione; analogamente, gli economisti avevano poco a che fare con il metodo problematico-casistico o con i commentari del Codice civile. Col diversificarsi delle tecniche, il linguaggio del diritto e quello dell'economia divennero reciprocamente inintellegibili, come il canto di due specie di uccelli che non siano mai venute in contatto. Molti studiosi arrivarono a considerare la diversità delle tecniche come una diversità di contenuti. I professori di diritto sostenevano che "il diritto non può essere quantificato". "È la matematica che apre la strada alla conoscenza", rispondevano i professori di economia, e in privato aggiungevano di avere il dubbio che i giuristi non sapessero far altro che catalogare fatti, come se si trattasse di elencare i percorsi degli autobus a Roma. Così, nelle università occidentali il consolidato matrimonio tra economia e diritto prima entrò in crisi e poi si sciolse con il divorzio.In pochi luoghi - e in particolar modo presso l'Università del Wisconsin - alcuni economisti lasciarono da parte le nuove tecniche e mantennero invece uno stretto legame con il diritto. Ma il loro tentativo di coniugare il diritto con il pensiero economico e non con l'analisi economica (per usare la distinzione di Schumpeter) non ebbe seguito e non si consolidò in una tradizione. Così in America nel 1960, alla nascita dell'analisi economica del diritto, la situazione era più o meno questa. I giuristi assegnavano all'economia un ruolo ristretto ed esclusivamente tecnico. Nel campo degli studi giuridici, il contributo dell'economia era all'ingrosso equiparabile a quello della ragioneria. Proprio come i ragionieri insegnavano ai legali delle aziende come leggere un bilancio, così gli economisti consigliavano i giuristi relativamente a questioni quali le leggi antimonopolistiche, la regolamentazione delle relazioni industriali o la tassazione. Il compito degli economisti era semplicemente limitato alla previsione degli effetti economici di un numero piuttosto circoscritto di leggi. Non esisteva nessuna rivista di analisi economica del diritto, la disciplina non faceva parte del curriculum del primo anno di studi delle università americane, e solo pochissime facoltà avevano tra i loro docenti ordinari un economista puro.
Faceva eccezione l'Università di Chicago, dove alcuni economisti - Henry Simons, Aaron Director, Ronald Coase - invece di venir considerati dei puri tecnici, contribuirono in modo decisivo alla vita intellettuale dell'ateneo. La pubblicazione nel 1960 del saggio di Coase intitolato The problem of social cost segna convenzionalmente la data di nascita dell'analisi economica del diritto. In questo articolo - che suscitò un grande dibattito sia nel mondo dell'economia, sia in quello del diritto - Coase applica la teoria economica ad alcuni casi concreti nell'ambito degli illeciti da turbativa, e dopo aver così dimostrato che l'analisi economica può essere applicata alla common law, giungeva ad una conclusione sorprendente, su cui ci soffermeremo più avanti. Un'altra pietra miliare degli studi di analisi economica del diritto è costituita dalla pubblicazione nel 1970 di Cost of accidents, di Calabresi, che applicava l'analisi economica alle leggi sugli atti illeciti civili. Calabresi proponeva un criterio semplice e lineare per confrontare tra loro e quindi valutare le varie leggi sull'illecito civile: quello di ridurre al minimo sia la somma dei costi necessari per evitare gli incidenti che l'entità dei danni provocati. John Brown costruì in seguito (1973) un modello matematico per applicare questo criterio alle differenti normative sull'illecito civile, e il suo articolo ispirò altri teorici di microeconomia a creare analoghi modelli per le altre branche del diritto. Nel 1973 Richard Posner delineò per la prima volta un quadro complessivo della materia e degli obiettivi della nuova disciplina in Economic analysis of law. Questo manuale pionieristico analizzava in modo intelligente e innovativo praticamente l'intero ambito del diritto. Come le mappe seicentesche dell'America del Nord, il libro era pieno di tesori e di spunti utili per gli studiosi intraprendenti, pronti a imbarcarsi in una nuova e rischiosa avventura.
Dalla seconda metà degli anni settanta, l'analisi economica del diritto divenne un'autentica moda nelle università americane. In tutte le facoltà di diritto si organizzavano seminari dove si leggevano le più importanti opere in materia e tutte le riviste di diritto pubblicavano articoli ispirati al nuovo approccio. Henry Manne organizzò un corso estivo per economisti, professori di diritto e giudici per stimolare lo sviluppo delle necessarie competenze interdisciplinari. Il corso estivo - come del resto molti seminari e conferenze - venne generosamente finanziato da fondazioni private.
Quando questa moda cominciò a esaurirsi, negli anni ottanta, invece di essere relegata in una posizione di secondo piano, come era accaduto anni prima per gli studi di diritto e psichiatria, l'economia giuridica consolidò il proprio successo e venne istituzionalizzata. Attualmente vi sono quattro riviste in lingua inglese dedicate esclusivamente agli studi di analisi economica del diritto. Tutte le principali facoltà di diritto degli Stati Uniti - e alcune facoltà canadesi - hanno almeno un docente in economia (a Berkeley ve ne sono cinque), organizzano regolarmente seminari sull'argomento e in alcune università le facoltà di diritto e di economia hanno anche dei programmi comuni. Sia in Canada che negli Stati Uniti, poi, esistono delle associazioni nazionali di 'economia e diritto' che si riuniscono una volta all'anno.
Quanto all'Europa, sono da segnalare gli importanti contributi di Pietro Trimarchi, il quale nel medesimo periodo in cui Coase, Calabresi e gli altri studiosi statunitensi pubblicavano i loro lavori, giunse a conclusioni analoghe. Pubblicato in italiano, il lavoro di Trimarchi non venne conosciuto negli Stati Uniti. Trimarchi non creò comunque una propria scuola, e così l'Europa perse l'occasione di svolgere un ruolo di avanguardia negli studi di economia del diritto; la disciplina è stata perciò in larga misura importata dagli Stati Uniti. A partire da alcune traduzioni, e dai contatti tra vari studiosi, la materia si è fatta strada sino a venir istituzionalizzata anche in Europa negli anni ottanta. L'Associazione europea di diritto ed economia, fondata nel 1984, riunisce nel suo congresso annuale più di cento studiosi. Molti istituti di ricerca finanziano lavori di analisi economica del diritto, come il Centro di studi sociogiuridici dell'Università di Oxford, il Centro di studi di nuova economia istituzionale di Saarbrüchen, l'Associazione di ricerca sui rischi e le assicurazioni di Ginevra, le conferenze semestrali di Travemünde. Il Programma Erasmus, che prevede varie forme di cooperazione e di scambio tra le diverse università europee, include un programma di studi di economia e diritto per laureandi. (Per maggiori dettagli si vedano gli atti del simposio sulle prospettive dell'analisi economica del diritto nei paesi di civil law, pubblicati sulla "International review of law and economics" del dicembre 1991). Studiosi di economia e diritto sono attivi anche in Asia e in Australia, ma la disciplina è quasi ignota in Sudamerica e nel continente africano.
In Occidente, per circa due millenni, per prevedere il modo in cui gli individui reagiscono alle leggi gli studiosi del diritto hanno fatto all'incirca lo stesso tipo di ragionamento dell'uomo della strada. Il diritto non disponeva di una specifica teoria del comportamento e si basava esclusivamente sul buon senso. Questa spiacevole situazione ha creato una sorta di nicchia ecologica disabitata nel mondo intellettuale. Come è successo con i conigli in Australia, l'analisi economica del diritto è servita a colmare una lacuna.
Le sanzioni che il diritto prevede per ogni tipo di condotta assomigliano in un certo senso ai prezzi che i mercati assegnano a ogni merce. Prezzi e sanzioni infatti rappresentano incentivi al comportamento. L'economia dispone di un'elaborata teoria - la 'teoria dei prezzi' - in grado di prevedere come le persone reagiranno ai prezzi. L'analisi economica del diritto prende le mosse da un adattamento della teoria dei prezzi al diritto. L'analisi economica di una legge sugli illeciti civili, ad esempio, è in grado di anticipare se la previsione di una responsabilità oggettiva provocherà un aumento o una diminuzione del numero degli incidenti.
È necessario che i giudici possano prevedere in che modo i cambiamenti giuridici riusciranno ad influenzare i valori più rilevanti nell'ambito del diritto e delle varie politiche, quale, ad esempio, l'efficienza (nessuno infatti ha interesse a sprecare inutilmente il proprio denaro): la teoria dei prezzi permette di prevedere il livello di efficienza dei mercati, e questa tecnica di analisi è stata facilmente adattata per prevedere l'efficienza delle norme giuridiche. Secondo il criterio elaborato da Calabresi, per spiegarci meglio, la legge più efficiente in materia di illecito civile è quella in grado di ridurre al minimo la somma fra i costi sostenuti per prevenire gli infortuni e i danni che da quelli derivano.
L'economia fornisce quindi al diritto un'ottima teoria del comportamento e un importante standard normativo, ma dobbiamo specificare meglio il contenuto di questi contributi. A prima vista gli elementi di base della teoria del comportamento sembrano ingannevolmente semplici. La teoria economica è costruita su due idee fondamentali: quella di ottimo e quella di equilibrio. Le situazioni di ottimo possono essere di due tipi: massimo e minimo. Una funzione continua raggiunge il suo massimo o il suo minimo nel punto in cui le sue derivate si annullano. Questo è il punto in cui 'i benefici marginali eguagliano i costi marginali'. Buona parte delle analisi economiche del diritto consiste nell'individuare i problemi giuridici che vengono risolti quando 'i benefici marginali eguagliano i costi marginali'.Il secondo concetto base è quello di equilibrio: una situazione di equilibrio si verifica quando tutti giungono simultaneamente all'ottimo, quando cioè nessuno riesce a migliorare i propri risultati modificando il suo comportamento. In un mercato concorrenziale, l'equilibrio corrisponde al punto di intersezione tra curva della domanda e curva dell'offerta, anche se bisogna tener presente che una dimostrazione matematica generale dell'equilibrio è stata data solo negli anni cinquanta.
I concetti di ottimo e di equilibrio rappresentano delle categorie esplicative generali e si è visto che è possibile applicarli con successo, oltre che all'economia, anche ad altre discipline: diritto, politica, demografia, biologia, sociologia, psicologia. Il fatto che tali concetti siano per lo più identificati con l'economia dipende pertanto da ragioni storiche, non logiche. Essendo categorie esplicative generali, i concetti di ottimo e di equilibrio assomigliano molto ai concetti giuridici. L''uomo ragionevole' di cui parla il diritto si comporta in modo analogo all''uomo razionale' dell'economia.
Una forma tipica di analisi economica del diritto calcola gli equilibri e paragona la rispettiva efficienza di norme giuridiche alternative. Per fare un esempio, nel caso di responsabilità oggettiva si è responsabili di ogni e qualsiasi danno comunque provocato, a prescindere da qualsiasi elemento di colpa, mentre nel caso di responsabilità per negligenza si è responsabili solo di quei danni riconducibili a un comportamento dovuto a colpe. Queste due diverse previsioni danno perciò luogo a diversi livelli di spese precauzionali, il che determina un diverso numero di incidenti. L'equilibrio tra i diversi livelli di precauzioni e di incidenti può essere paragonato a quello tra diversi livelli di efficienza e si può in questo modo stabilire quale delle due norme sia la più efficiente.Questa tecnica è generalmente definita 'statica comparativa delle norme giuridiche'. Le previsioni formulate in base a questi modelli di statica comparativa vengono idealmente verificate tramite il raffronto con dati empirici, il che di norma implica il ricorso a metodi statistici. Gran parte del progresso degli studi di analisi economica del diritto verificatosi negli anni ottanta è consistito nella progressiva estensione di tali modelli di statica comparativa a nuovi tipi di norme, con la definizione di modelli teorici più elaborati e con il perfezionamento delle verifiche empiriche.
L'analisi economica, come si è detto, ha colmato il vuoto generato nel campo degli studi giuridici dalla mancanza di un'adeguata teoria del comportamento in grado di prevedere gli effetti delle leggi. Negli Stati Uniti il successo della disciplina si spiega con il crescente desiderio da parte delle corti di misurarsi con le tematiche politiche e di contribuire così alla creazione di diritto. Parallelamente si sono levate contro di essa anche critiche molto violente, spesso da parte di giuristi insoddisfatti che pensavano di comprenderne il significato senza padroneggiarne compiutamente il metodo analitico; altri trovavano invece che l'analisi economica del diritto fosse soltanto una edizione riveduta e corretta di filosofie del passato, il materialismo, l'utilitarismo, il conservatorismo. L'analisi economica del diritto, in realtà, è una scienza che non può essere identificata con nessuna filosofia precedente. Altri autori meglio informati, comunque, hanno avanzato critiche più sensate.
Come si è detto, i modelli economici di analisi del diritto muovono spesso dall'assunto che la gente reagisca alle sanzioni giuridiche nello stesso modo in cui reagisce ai prezzi delle merci. Una delle critiche più interessanti che vengono rivolte all'analisi economica del diritto riguarda proprio la presunta scarsa reattività delle persone alle sanzioni giuridiche. Se la gente non 'risponde' alle sanzioni, l'analisi economica condotta durante gli anni ottanta sarebbe, se non falsa, quantomeno insignificante. In termini tecnici, se la risposta alle sanzioni è anelastica, allora la variazione del comportamento dovrà esser spiegata in gran parte sulla base di altri fattori, diversi dalle sanzioni. Una certa corrente della ricerca sociologica, ad esempio, sostiene che il comportamento quotidiano delle persone non è condizionato dalle sanzioni giuridiche, ma dalle norme sociali e dalle pratiche commerciali che non sono influenzate dal diritto.
Una risposta a queste critiche è offerta dai nuovi sviluppi dell'analisi economica del diritto. In un mercato concorrenziale, i soggetti coinvolti sono così numerosi che non è possibile pensare che esista qualcuno che, singolarmente, sia in grado di influire sulla determinazione dei prezzi. Al contrario, in un mercato piccolo e circoscritto a pochi partecipanti, ciascun individuo può contrattare con gli altri per concorrere a stabilire i prezzi. Il comportamento dei singoli individui in un mercato concorrenziale non ha carattere strategico; la contrattazione, invece, è un comportamento strategico. Il comportamento strategico implica che ciascun individuo tenga conto delle reazioni degli altri nel momento in cui deve decidere quali saranno le sue mosse. Un esempio può chiarire meglio la differenza. Una squadra di calcio può decidere di simulare un'azione sull'ala destra prima di sferrare un attacco sulla sinistra; un gruppo di scalatori, invece, non fa mai finta di scalare il versante meridionale di una montagna prima di cominciare la scalata vera e propria sul versante nord.
Nell'ambito del diritto si verificano parecchi casi di comportamento strategico. Di norma, ad esempio, entrambe le parti di una controversia possono aver interesse a trovare un accordo a livello stragiudiziale, piuttosto che rimettere la composizione delle liti alla decisione di un giudice. Il problema è ovviamente quello di definire quali saranno i termini concreti dell'accordo. L'accordo comunque potrà essere raggiunto solo mediante una contrattazione basata sul comportamento strategico. La branca della microeconomia che si occupa del comportamento strategico è la teoria dei giochi. L'analisi economica del diritto, in questo senso, tende sempre di più a considerare il diritto come un gioco e non come un mercato.
Un'analisi svolta in termini di teoria dei giochi permette di far fronte ad alcune delle critiche relative alla presunta mancanza di reattività della gente di fronte alla legge. Le norme sociali e le pratiche commerciali possono venir considerate come forme di soluzione di giochi ripetuti nel tempo e le sanzioni giuridiche rappresentano in questo caso la minaccia messa in atto dalle parti quando viene a mancare la cooperazione. Questo approccio, come si vede, combina nella stessa analisi sanzioni di tipo formale ed informale.
Altre critiche sostengono invece che la mancanza di reattività alle sanzioni dipende dal fatto che la gente fa male i propri calcoli spingendosi quasi all'estremo dell'irrazionalità. Indubbiamente è innegabile che i modelli economici relativi ai processi decisionali assumano di norma un livello di razionalità che non è proprio alla portata di tutti. Tuttavia, attualmente i modelli economici cominciano a prendere in considerazione le possibili carenze umane e a presupporre l'esistenza di una minore razionalità nel processo decisionale.
Un'altra ricorrente critica dell'analisi economica del diritto riguarda infine i suoi presupposti valutativi. Mentre la teoria normativa dell'efficienza viene generalmente accettata quando viene considerata uno dei tanti fattori che intervengono nella definizione delle scelte politiche, è largamente contestata la tesi avanzata dagli economisti che l'efficienza abbia un ruolo primario rispetto alle altre norme di giustizia o di equità.L'analisi dell'efficienza, in definitiva, è considerata un procedimento influente ma controverso: in un mondo come quello del diritto non poteva, in fondo, avere accoglienza migliore.
Sono passati trent'anni dai primi studi di analisi economica del diritto, e in questo periodo hanno visto la luce moltissimi articoli sull''analisi economica di X', dove X stava praticamente per ogni concetto o problema giuridico. Non è questa la sede per dare conto esaurientemente di una letteratura così abbondante e dunque, per ragioni di spazio, la mia rassegna si concentrerà non tanto sui singoli studiosi ma sugli argomenti maggiormente dibattuti e sui risultati più significativi.
Il teorema di Coase è stato originariamente sviluppato a partire da tutta una serie di esempi che verranno adesso richiamati. Un concetto centrale della microeconomia è che il libero scambio tende a spostare le risorse fino a che esse non arrivano al loro valore di uso massimo, nel qual caso l'allocazione delle risorse ha raggiunto quella che viene definita 'efficienza di Pareto'. A parte il diritto di proprietà sulle risorse disponibili, la legge istituisce anche molti altri diritti, quali ad esempio il diritto a non essere molestati nel possesso dei propri beni o il diritto all'adempimento di un contratto. Coase estende il sistema di proposizioni relative allo scambio delle risorse all'ambito giuridico, cioè allo scambio dei diritti riconosciuti ai singoli individui. Interpretato in questi termini, il teorema di Coase afferma che l'allocazione iniziale di questi diritti non presenta alcun problema in termini di efficienza nella misura in cui è possibile scambiarli liberamente. In altre parole, se la legge alloca i diritti in modo inadeguato, il problema può essere risolto dal libero scambio di detti diritti sul mercato.
Coase fa il seguente esempio. Il legno e il carbone bruciati dalle locomotive a vapore possono provocare delle scintille, e capita talvolta che queste scintille generino degli incendi che danneggiano i campi dei coltivatori. Ciascuna delle due parti in causa - le ferrovie e i contadini - può prendere alcune precauzioni per ridurre il pericolo di incendi. Se i contadini hanno il diritto di costringere le ferrovie a interrompere le corse finché non sarà risolto il problema delle scintille, i danni che queste causano saranno scarsi o nulli. Al contrario, se le ferrovie hanno il diritto di mantenere impunemente i treni in attività, il rischio sarà molto elevato. Ma secondo il teorema di Coase queste apparenze sono fuorvianti: se il diritto infatti determina l'allocazione iniziale dei vari diritti, la loro allocazione finale è decisa dal mercato. Se, poniamo, i contadini hanno il diritto di essere liberi dalle emissioni di scintille, e se il diritto a emettere scintille è più importante per le ferrovie di quanto non sia importante per i contadini evitare il pericolo di incendi, sarebbe conveniente per entrambe le parti che i contadini vendessero i loro diritti alle ferrovie.
Secondo questa interpretazione, per conseguire l'efficienza giuridica basta rimuovere gli ostacoli che impediscono il libero scambio dei diritti, i quali sono spesso vaghi e indeterminati, e ciò rende difficile stabilire quale sia il loro valore. Inoltre, i tribunali non sono sempre disposti a riconoscere la validità dei contratti relativi alla loro cessione. Di conseguenza, secondo questa 'interpretazione del libero scambio', l'efficienza giuridica deve essere assicurata definendo con maggior chiarezza la natura dei diritti attribuiti dalla legge ai singoli e tutelando la validità dei contratti di vendita dei diritti stessi stipulati dai privati.
Secondo gli economisti, per allocare le risorse sui mercati in modo efficiente, oltre alla libertà di scambio sono necessarie anche altre condizioni. Una di queste riguarda il concetto - un po' elusivo, ma indispensabile - di costi di transazione. In senso stretto, il concetto di costi di transazione si riferisce al tempo e agli sforzi richiesti per portare a buon fine una transazione. In alcune circostanze, tali costi possono essere molto elevati, come ad esempio quando la conclusione di un contratto implica l'intervento di molte parti situate in luoghi diversi. Gli alti costi di transazione possono bloccare il funzionamento di mercati che altrimenti sarebbero efficienti. In senso ampio, invece, il concetto di costi di transazione designa tutti gli usi delle risorse necessarie per negoziare e far valere gli accordi, compreso il costo delle informazioni necessarie per formulare una strategia di contrattazione, il tempo speso nel mercanteggiare, il costo della prevenzione di eventuali scorrettezze delle parti. Secondo la 'interpretazione dei costi di transazione', il teorema di Coase afferma quindi che l'allocazione iniziale dei diritti non pone problemi in termini di efficienza fintantoché i costi di transazione sono nulli. Da questo punto di vista il legislatore, più che curarsi di una efficiente allocazione iniziale dei diritti, dovrebbe cercare di realizzarla rendendo più snelli i meccanismi dello scambio.In economia, una 'prova' consiste nella formulazione matematica di premesse comportamentali generalmente accettate. I tentativi di formulare in termini matematici il teorema di Coase incontrano ostacoli tali da far pensare che esso sia falso oppure meramente tautologico. Nondimeno, chiunque abbia insegnato il teorema di Coase ai suoi studenti ha potuto sperimentare lo stupore e l'ammirazione che esso è in grado di ispirare.
Gli economisti definiscono con il termine 'esternalità' quelle situazioni in cui le azioni di una persona danneggiano direttamente un'altra persona ('utilità interdipendenti o funzioni della produzione'). La legge sugli illeciti riguarda le esternalità provocate o dagli infortuni o da offese intenzionalmente provocate dall'agente. Il tipo di rimedio normalmente adottato nel caso di illecito derivante da infortunio consiste nel risarcimento dei danni che idealmente riporta il soggetto offeso nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato qualora l'illecito non si fosse verificato ('indennizzo perfetto'). L'analisi economica degli illeciti è ricca e complessa, ma nel presente articolo verrà analizzato esclusivamente il contrasto tra responsabilità oggettiva e colpa.
Una norma sugli illeciti improntata al criterio di responsabilità oggettiva con conseguente indennizzo perfetto del soggetto offeso prevede che il responsabile dell'offesa si faccia per intero carico dei costi dei danni provocati. In tali circostanze, si dice che la parte che offende 'internalizza l'esternalità'. Un importante obiettivo sociale è - come ho già detto - quello di ridurre al minimo la somma dei costi dell'incidente e dei costi delle precauzioni necessarie per prevenirlo. Quando la norma vigente è quella della responsabilità oggettiva con un indennizzo perfetto del soggetto offeso, questo compito di minimizzazione ricade sulla parte che offende, che dovrà bilanciare il costo delle precauzioni aggiuntive da adottare per prevenire i danni ('costo marginale') con il conseguente risparmio che otterrà relativamente ai costi dell'incidente ('beneficio marginale'). Una previsione di responsabilità oggettiva d'altra parte non incentiva affatto la parte offesa a prendere a sua volta qualche precauzione, dato che prevede un indennizzo perfetto per i danni subiti.
Diametralmente opposta a quella di 'responsabilità oggettiva con un indennizzo perfetto' è la norma di assenza di responsabilità, che non prevede alcun rimedio legale a favore delle vittime degli incidenti. In questo caso, mentre la vittima viene fortemente incentivata a prendere efficaci precauzioni, non c'è nessun incentivo analogo per l'autore dell'offesa. Pertanto questi due tipi opposti di norma spingono solo una delle due parti in causa - non entrambe - ad adottare delle precauzioni efficaci.
Diversamente dalla previsione di responsabilità oggettiva, la norma che prende in considerazione l'elemento soggettivo considera responsabile la parte che ha provocato l'incidente solo se essa è 'in colpa'. Il criterio di colpa può essere definito in rapporto all'obiettivo di minimizzare la somma dei costi per le precauzioni necessarie a prevenire l'incidente e dei danni che esso causa. In questi termini, l'autore dell'offesa è in colpa se il costo per aver adottato maggiori precauzioni è inferiore alla risultante riduzione dei costi dell'incidente. Questo teorema viene denominato 'regola di Hand', dal nome del giudice americano che l'ha escogitata.
È abbastanza semplice mostrare che il principio che considera l'elemento della colpa induce entrambe le parti ad adottare precauzioni efficienti. Di fatto si ottengono i medesimi risultati con il principio della colpa, con la garanzia del concorso di colpa, con una norma di responsabilità oggettiva con concorso di colpa, o con la colpa comparativa. In tutti questi casi, una parte si conformerà al criterio giuridico efficiente per sottrarsi alla responsabilità, mentre l'altra - che dovrebbe sopportare i costi residuali dell'incidente ('internalizzazione') - prenderà a sua volta tutte le precauzioni efficienti.In realtà la definizione dello standard giuridico di colpa e la definizione dell'entità del risarcimento sono avvolte nell'incertezza. Il problema di informazione che le corti devono affrontare nel risolvere i casi di illecito civile può essere ridotto adottando una norma di responsabilità oggettiva quando è facile per il giudice individuare l'entità del risarcimento ma è difficile determinare l'entità della colpa, e adottando invece il criterio della responsabilità per colpa nel caso contrario. I potenziali autori dell'offesa tenderanno perciò a premunirsi dall'incertezza relativa ai criteri di colpa prendendo precauzioni eccessive, per ridurre i margini di errore delle corti. Talvolta, però, gli illeciti si verificano proprio perché chi arreca danno risponde in modo irrazionale al rischio connesso all'incertezza di questi criteri.
La proprietà è quell'istituto che conferisce agli individui un potere discrezionale su risorse scarse. Questa discrezionalità viene istituita assegnando specifici diritti ai proprietari e vietando agli altri consociati di interferire nell'esercizio di tali diritti. Il diritto di proprietà attribuisce al titolare la facoltà di agire o di non agire nei confronti del bene oggetto del diritto stesso, senza che peraltro sia previsto alcun obbligo di comportarsi in un senso o nell'altro. La proprietà infatti è una componente significativa della libertà - e la libertà è importante di per sé - e contribuisce a garantire tutte le altre libertà decentralizzando il potere. Inoltre, la proprietà favorisce l'efficienza.
L'analisi economica della proprietà mette in evidenza la decentralizzazione dell'allocazione delle risorse e gli incentivi all'efficienza. Le leggi aventi ad oggetto il diritto di proprietà internalizzano idealmente le conseguenze dell'utilizzazione delle risorse. Per realizzare questa internalizzazione, le leggi sulla proprietà attribuiscono al proprietario tutti i benefici immediati e tutti i costi connessi all'uso di una data risorsa. Talvolta l'uso di una risorsa può provocare certi effetti diffusivi, quali l'inquinamento dell'aria, la riduzione della luce o la contaminazione dell'acqua. Secondo le leggi sulla turbativa, la responsabilità degli effetti diffusivi ricade sul proprietario del bene che li ha provocati. Analogamente, è possibile che siano terze persone a correre determinati rischi, ad esempio quando si è alla guida della propria vettura, o quando si fanno brillare mine, o si servono cibi facilmente avariabili, o si mettono in vendita prodotti difettosi. Quando simili rischi si verificano, la legge sull'illecito civile può attribuirne la responsabilità al proprietario del bene che ha causato il danno.
Le leggi sulla turbativa e sull'illecito possono essere considerate come dei meccanismi per internalizzare i costi. Quando l'internalizzazione è completata, tutti i costi e i benefici derivanti dall'uso di un bene determinato entrano nel calcolo decisionale di un proprietario motivato da un interesse personale. Attribuendo al proprietario i profitti netti derivanti dall'uso di un bene gli viene fornito anche un incentivo alla massimizzazione, per la quale sono necessarie capacità imprenditoriali e innovazione. L'internalizzazione è perciò al tempo stesso efficiente ed equa.
Oltre che con l'internalizzazione, la legge sulla proprietà promuove l'efficienza anche indirizzando le transazioni commerciali sui binari dello scambio volontario. Gran parte della teoria microeconomica da Adam Smith in poi si basa sull'assunto che il commercio vada a vantaggio di tutti quelli che vi sono implicati, e che i mercati concorrenziali permettano di massimizzare le eccedenze totali del commercio. La legge sulla proprietà promuove il commercio fornendo innanzitutto una definizione chiara e affidabile dei diritti di proprietà. Ad esempio l'ufficio dei registri immobiliari ha la funzione di garantire gli acquirenti di un bene immobile che la proprietà è esente da ipoteche o altro genere di oneri. Inversamente, diritti di proprietà poco chiari o indefiniti gravano gli scambi di alti costi di informazione e di sconti sul prezzo dovuti all'alto coefficiente di rischio.
Analogamente, la legge sui contratti promuove gli scambi riducendo i costi di coordinamento. Il coordinamento diventa problematico quando lo scambio fra le prestazioni non avviene simultaneamente. Chi adempie la propria obbligazione per primo corre il rischio che la controparte non esegua la propria prestazione come promesso. In caso di inadempimento, il rimedio normalmente previsto dalla legge può consistere o nell'obbligare la parte inadempiente ad eseguire la prestazione cui si era obbligata ('esecuzione in forma specifica') ovvero nell'obbligare la parte inadempiente a un risarcimento dei danni in misura da riportare la parte danneggiata nella medesima situazione in cui si sarebbe trovata qualora l'altra parte avesse adempiuto la propria obbligazione ('danni da aspettativa'). La legge sui contratti permette così di superare la riluttanza del primo contraente ad anticipare la propria prestazione garantendogli che egli godrà comunque del vantaggio previsto nell'accordo.
Queste osservazioni su commercio e diritto possono venir riassunte schematicamente nel linguaggio degli economisti. Gli economisti ricomprendono i costi di informazione, gli sconti da rischio e i costi di coordinamento sotto l'unica categoria generale di 'costi di transazione'. Così si può dire che le leggi relative alla proprietà si propongono idealmente di promuovere il commercio riducendo al minimo i costi di transazione degli scambi.Come ho già accennato, le leggi sulla proprietà danno al proprietario l'incentivo a godere e disporre dei propri beni in modo efficiente. Questi incentivi funzionano senza bisogno di alcuna forma di controllo o di pianificazione centralizzata. Ecco perché la legge sulla proprietà può essere considerata il fondamento di un'economia decentralizzata.
La legge sulle obbligazioni nascenti da contratto permette di coordinare i comportamenti dei singoli attraverso la tutela attribuita alla pretesa che ciascuna parte vanta rispetto alla prestazione dell'altra parte. L'analisi economica prende le mosse in questo caso dal concetto di 'contratto perfetto'. Per contratto perfetto si intende un contratto stipulato tra due parti che dispongono di informazioni complete e i cui costi di trattativa e di stesura sono irrilevanti. In tali circostanze ideali, il contratto sarebbe in grado di tener conto di tutte le eventuali circostanze e tutte le sue clausole risulterebbero, come è facile mostrare, efficienti. Nel caso di un contratto perfetto, il ruolo dei giudici si limiterebbe a far osservare i termini contenuti nel contratto stesso.
Nella realtà, però, non sempre le parti dispongono di informazioni complete e la contrattazione comporta normalmente costi rilevanti. Gli economisti hanno perciò sollecitato i giudici ad assumersi il ruolo di completare e perfezionare i termini del contratto. Lo standard che dovrebbe ispirare l'azione delle corti è quello del contratto perfetto, cioè, come abbiamo detto, un contratto stipulato dalle parti in presenza di informazioni complete e con costi di transazione pari a zero.
Questo principio generale acquista un contenuto particolare in base a specifici modelli finalizzati a scoprire i termini contrattuali più efficienti. Un problema particolarmente importante riguarda i rimedi da adottare in caso di inadempimento contrattuale. Un contratto perfetto dovrebbe contenere anche la previsione riguardante i rimedi da adottare in caso di inadempimento, ma normalmente nei contratti non è contenuta una simile clausola. Di norma i rimedi che vengono adottati in caso di inadempimento consistono o nell'esecuzione in forma specifica o nel risarcimento dei danni, ed entrambi sono stati studiati diffusamente dagli economisti. Gli studiosi di diritto hanno distinto tra 'danni da aspettativa', che riporterebbero la posizione della parte lesa nella situazione in cui si sarebbe venuta a trovare se l'altra parte avesse eseguito regolarmente la propria prestazione, e 'danni da affidamento', idonei a ricondurre la parte non inadempiente nella medesima posizione in cui si sarebbe trovata qualora l'altra parte non avesse assunto alcuna obbligazione. Gli economisti hanno dimostrato che in generale il risarcimento dei danni da aspettativa permette di internalizzare i costi dovuti all'inadempimento e incentiva a prendere le necessarie precauzioni contro tale eventualità, cose che i danni da affidamento non sono in grado di garantire.
La composizione privata delle controversie è una situazione di contrattazione tramite la quale le parti hanno l'opportunità di risparmiare i costi del processo in tribunale se riescono a trovare un accordo transattivo. In termini tecnici la transazione rappresenta la soluzione cooperativa, il processo costituisce la soluzione non cooperativa, i costi del processo sono l'eccedenza creata dalla cooperazione mentre le minacce che le parti possono mettere in atto corrispondono all'esito del processo che le parti si aspettano. L'eccedenza può essere generata se le due parti in disputa trovano un accordo su come dividerla tra loro.
Ad esempio se l'attore in un processo civile prevede che questo gli costerà 25 ma si aspetta una sentenza da cui otterrà un vantaggio di 100, è chiaro che non accetterà di transigere la controversia per meno di 75. Per converso, se il convenuto, nel medesimo processo, prevede un costo di 20 ed una condanna di 90, è chiaro che non gli converrà offrire all'attore di transigere la controversia per più di 110. Il problema sarà quindi costituito dal cercare di raggiungere un accordo transattivo che sia compreso tra 75 e 110.
I processi di solito hanno luogo per due motivi. In primo luogo, un mal riposto ottimismo porta ciascuna parte a pensare di poter avere la meglio in giudizio, e questa fiducia prevale sulla possibilità di risparmiare i costi del processo. In secondo luogo, entrambi i contendenti si affidano al comportamento strategico, e ognuno spera che l'altro farà delle concessioni.
Le modalità dell'azione legale differiscono da un paese all'altro, e alcune di queste differenze sono state studiate attentamente. Si consideri ad esempio la differenza tra il criterio secondo cui il soccombente è tenuto a pagare tutte le spese processuali e il criterio secondo il quale le spese processuali vengono compensate fra le parti. Può essere dimostrato che la prima regola genera un maggior numero di processi quando le parti sono falsamente ottimiste, mentre con la seconda ciò accade quando le parti sono poco disposte a rischiare. La prima regola consente inoltre di eliminare tutti i 'ricorsi per turbativa', che vengono presentati solo allo scopo di giungere a una transazione. Questo è solo un esempio dei tanti risultati a cui si può giungere tramite l'analisi economica dell'azione legale.
La maggior parte dei reati si compone di un illecito civile. Se la legge sull'illecito civile venisse sempre applicata senza alcun margine di errore e se il risarcimento del danno provocato fosse perfetto, la gente non si preoccuperebbe dell'eventualità di divenire vittima di un reato o meno. In queste circostanze la legge sulla responsabilità civile non avrebbe bisogno di venire integrata da sanzioni penali. Ma nella realtà capita che la legge sulla responsabilità civile venga applicata erroneamente e che il risarcimento non sia sempre completamente soddisfacente. Anzi, in caso di lesioni corporee o di morte lo stesso significato di 'risarcimento perfetto' non è chiaro. Le sanzioni penali sono dunque necessarie quando la legge sugli illeciti viene applicata male o il risarcimento non è perfetto.
L'analisi economica dei reati si è concentrata in particolare sui criteri di deterrenza nei confronti dei reati razionali. Un criminale razionale è colui che decide di compiere o non compiere una data attività criminosa paragonando il guadagno che pensa di poterne ricavare ai costi che comporta la sanzione prevista. Quest'ultima corrisponde all'entità della punizione moltiplicata per il suo coefficiente di probabilità. Aumentare una multa non costa molto per lo Stato, almeno finché il reo può permettersi di pagarla. La reclusione è invece più costosa per lo Stato, ma ha una capacità punitiva che va al di là delle risorse economiche del reo. Elevare il livello di probabilità della punizione implica un aumento delle già alte spese per la polizia e l'amministrazione della giustizia.
Considerato tutto ciò, si possono dimostrare alcune proposizioni relative al sistema più economico per conseguire un determinato livello di deterrenza: per raggiungere tale livello è necessario arrivare ad esaurire la capacità del criminale di pagare una multa senza pervenire alla reclusione. Se la pena consiste esclusivamente in una multa, il sistema più conveniente per raggiungere un dato livello di deterrenza è rappresentato da pene severe con scarse probabilità che vengano inflitte. Tuttavia pretendere multe elevate per reati di lieve entità non è sempre la cosa migliore, perché in tal modo si sprecano tutti i deterrenti economici che potrebbero altrimenti servire a scoraggiare reati più gravi.
Se l'ordinamento giuridico disponesse di sufficienti informazioni sui reati e sulle persone che li commettono, sarebbe possibile strutturare le leggi in modo tale da ottenere un perfetto effetto di deterrenza e scongiurare l'eventualità che si commettano reati. In questo senso gran parte della legislazione e delle politiche penali riguardano il miglior utilizzo possibile di informazioni scarse. Ad esempio i criminali recidivi presentano delle particolarità che li rendono meno sensibili degli altri alle misure di deterrenza.
Gli economisti hanno condotto importanti ricerche empiriche sul fenomeno della deterrenza. Un argomento molto controverso studiato dagli economisti americani riguarda l'efficacia della pena di morte come deterrente contro gli omicidi.
L'economia dispone di due diverse e contrapposte teorie sulle società, basate sulla distinzione tra concorrenza perfetta e giochi, di cui ho già parlato. Secondo la prima, la società può essere considerata come la sede deputata dei contratti stipulati in condizioni di concorrenza perfetta dagli azionisti, dai managers e dagli impiegati. Questi contratti sono in parte espliciti, in parte impliciti, e in parte direttamente inclusi nello statuto della società. Da questo punto di vista il ruolo del diritto è quello di far applicare i contratti stipulati tra i privati e non di disciplinare le società alla luce dell'interesse pubblico.
La seconda teoria assume invece che il rapporto esistente tra i proprietari e i managers che fanno parte della società sia un rapporto tra proponente e rappresentante. Il problema centrale delle società, in questo senso, è che gli interessi dei managers e dei proprietari non sono gli stessi. Il ruolo del diritto sta dunque nel contribuire a risolvere il rapporto tra proponenti e loro rappresentanti cercando di avvicinare per quanto possibile gli interessi delle due parti.Questi due tipi di approccio hanno ispirato moltissime ricerche di cui cercherò di dare un'idea tramite un singolo esempio. Alcuni economisti hanno sostenuto che i mercati di capitale sono efficienti nel senso che il prezzo di un certificato azionario è la stima migliore del valore di una data società, e che i prezzi delle azioni si adattano con estrema rapidità a tutte le informazioni relative a questa società. L'ipotesi della 'efficienza del mercato dei capitali' presenta molte implicazioni giuridiche. Implica, ad esempio, che gli amministratori fiduciari della compagnia debbano mettere insieme un 'portafoglio' rappresentativo di certificati azionari e poi cessino di vendere o di acquistare. Per fare un esempio, tale ipotesi, nella sua forma più estrema, implica che è vantaggioso operare in borsa sulla base di informazioni riservate (insider trading).
L'analisi economica del diritto ha fornito una guida intellettuale al movimento per la deregulation che ha avuto una larga influenza in molti paesi negli anni ottanta. Il consenso a favore della deregulation si fondava su tre punti essenziali. In primo luogo, i regolamenti non possono avere cittadinanza in un mercato che si avvicini al modello ideale della concorrenza perfetta. In secondo luogo, si può rimediare ai difetti del mercato solo attraverso meccanismi che hanno origine nel mercato stesso, e non attraverso un meccanismo di tipo 'comando-e-controllo'. In terzo luogo, il governo di norma ricorre ai regolamenti non per correggere i difetti del mercato ma per redistribuire il reddito a vantaggio di gruppi politicamente privilegiati o per favorire la macchina burocratica.
Su queste basi, alcuni studiosi hanno trovato le strategie atte ad eliminare la normazione regolamentare inutile e a migliorare quella indispensabile. Per eliminare la potestà regolamentare superflua lo Stato ha il dovere di definire chiaramente i diritti di proprietà e fare in modo che le leggi possano essere modificate solo attraverso una procedura aggravata (entrenchment). Questa strategia rende più difficile e costoso ai gruppi politicamente privilegiati il perseguimento delle politiche di stampo redistributivo. Per sviluppare invece la normazione regolamentare indispensabile, è necessario che i tecnici, in luogo di fare affidamento sugli ordini dei vari organismi governativi, procedano alla creazione di pseudomercati. Per esempio la riduzione dell'inquinamento potrebbe essere realizzata tramite l'istituzione di un mercato di autorizzazioni all'inquinamento trasferibili e non attraverso il controllo diretto del governo sulle emissioni inquinanti.I fenomeni della potestà regolamentare e delle società interessano comunque molti altri ambiti che non è possibile analizzare in questa sede, come le norme anti-trust, la tassazione, il diritto commerciale.
Il ramo dell'economia che prende in esame il comportamento politico è spesso denominato 'teoria della scelta collettiva'. La teoria della scelta collettiva ha così delineato un primo quadro delle modalità di funzionamento della democrazia e dei motivi per cui essa è migliore delle altre forme di governo. La teoria prende le mosse dall'idea che la costituzione dovrebbe definire i diritti delle persone e assegnare i poteri ai vari funzionari pubblici in modo tale da permettere che le diverse fazioni politiche della società cooperino tra loro attraverso processi di contrattazione politica. Ma le imperfezioni della contrattazione politica impediscono in molti casi di raggiungere un pieno consenso, e in tal caso si dovrà fare ricorso alla regola della maggioranza.
La regola della maggioranza peraltro presenta non pochi inconvenienti. Intanto il modo in cui una persona vota non indica necessariamente con quale intensità avverta la questione su cui è chiamata a pronunciarsi. Poi, la votazione a maggioranza può innescare delle ripetizioni cicliche senza sbocco ('intransitività' o 'assenza di equilibrio'). Pertanto, l'incapacità di registrare l'intensità delle preferenze e la tendenza a generare ripetizioni cicliche sono all'origine di gravi inefficienze. Molte istituzioni politiche possono essere considerate alla stregua di strumenti per evitare tali inefficienze. Il sistema parlamentare o quello presidenziale, il bicameralismo, le commissioni istituite nel corso delle legislature possono essere considerati come metodi diversi per risolvere il medesimo problema.
Gran parte della vita politica dipende dai particolari interessi di coloro che investono in influenza politica. Un'impresa interessata a massimizzare i propri profitti investirà in influenza politica fino a che non ne trarrà lo stesso profitto che le garantiscono le altre forme di investimento. Tuttavia, vi sono persone e imprese che non considerano adeguato il profitto che ricavano dai loro investimenti politici dato che questi vanno a beneficio di una classe più ampia di persone. Così ad esempio, un singolo droghiere non farà un investimento 'politico' che poi andrà a beneficio di tutti i droghieri. Questo problema del free rider condiziona il flusso dei fondi e degli investimenti nella vita politica.
Anche se il diritto non è una scienza, nell'ambito giuridico c'è spazio anche per la scienza, e l'economia sta occupando questo spazio. L'adattamento delle tecniche economiche alle tematiche giuridiche richiede una notevole creatività, e la formulazione dei risultati in linguaggio non tecnico mette a dura prova le capacità degli economisti. In questo articolo ci siamo limitati semplicemente a fare qualche accenno all'ampio corpus teorico già esistente, ma la disciplina è in costante progresso. Nel 1915, il più famoso giudice americano, Oliver Wendall Holmes, aveva intuito qualcosa di questi sviluppi quando scrisse: "Nello studio razionale del diritto l'oscuro letterato può essere l'uomo del presente; ma l'uomo del futuro sarà chi si intende di statistica e padroneggia l'economia". (V. anche Diritto dell'economia).
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