Abstract
Viene esaminata la legislazione in materia di rapporto di lavoro delle persone con disabilità, dall’accesso al lavoro, allo svolgimento del rapporto di lavoro, al licenziamento. Sono esaminate anche le norme relative al lavoro pubblico e le speciali tutele riconosciute ai lavoratori disabili ed ai loro familiari.
L’ordinamento dedica una tutela speciale alle persone disabili nell’accesso al lavoro e nello svolgimento del rapporto di lavoro. A garanzia del libero e pieno sviluppo della persona (art. 3, co. 2, Cost.) l’art. 38 Cost. attribuisce allo Stato il compito di provvedere «all’educazione e all’avviamento professionale» dei disabili. Al fine di promuovere l’integrazione dei disabili nel mercato del lavoro, il legislatore impone limiti alla autonomia privata del datore di lavoro che trovano giustificazione nell'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà (art. 2 Cost.) e di promozione delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), solennemente enunciati tra i principi fondamentali della Costituzione. Detti limiti mirano a rendere possibile ai disabili, «riconosciuti, in seguito ad opportuni accertamenti, ancora in possesso di attitudini lavorative e professionali», l’inserimento, con contratti di lavoro, nell'ambiente di lavoro, dal quale, altrimenti, resterebbero esclusi (C. cost., 15.6.1960, n. 38).
Il diritto al lavoro delle persone disabili trova, a livello internazionale, sostegno normativo nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13.12.2006 (recepita nel diritto interno con l. 3.3.2009, n. 18). L’art. 27 della Convenzione riconosce alle persone con disabilità il diritto al lavoro e il diritto di ricevere, al pari degli altri lavoratori, opportunità lavorative liberamente scelte ed impone agli stati l’obbligo di adottare azioni positive per favorire l’integrazione nel mercato del lavoro.
L’Unione europea, con decisione n. 48/2010/CE del Consiglio del 26.11.2009, ha recepito le finalità di detta Convenzione nella dir. 78/2000/CE (recepita nell’ordinamento italiano con d.lgs. 9.7.2003, n. 216), la quale impone, all’art. 5, che nella legislazione interna siano adottate soluzioni «ragionevoli» per l’integrazione al lavoro delle persone disabili, con oneri anche a carico dello Stato. La misura «della ragionevolezza» assume significato con riferimento all’art. 2, co. 4, della convenzione delle Nazioni Unite che vuole siano introdotte modifiche e adattamenti necessari ed appropriati al fine di «garantire alle persone con disabilità il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali».
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2010/C 83/02), infine, «riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» (art. 26) e ricomprende, nel divieto di discriminazione, gli atti e i comportamenti discriminatori in ragione della disabilità (art. 21).
La l. 12.3.1999, n. 68 significativamente titolata «Norme per il diritto del lavoro dei disabili” prevede “servizi di sostegno e di collocamento mirato», dispone di strumenti tecnici e di supporto che permettano di valutare «adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione» (art. 2 l. n. 68/1999).
A questo scopo la legge individua tre tipi di interventi: l’obbligo per i datori di lavoro di assumere in proporzione agli occupati un determinato numero di persone disabili; convenzioni mirate all’inserimento lavorativo; incentivi economici alle assunzioni distribuiti agli enti territoriali sulla base dei limiti stabiliti dal Fondo per il diritto del lavoro dei disabili.
I destinatari della normativa di protezione sono: a) le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e i portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento; b) le persone con un grado di invalidità superiore al 33 per cento; c) le persone non vedenti o sordomute; d) le persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all'ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra (art. 1 l. n. 68/1999). I decreti attuativi della l. delega 10.12.2014, n. 183 (Riforma Poletti da qui in poi) hanno esteso il collocamento mirato anche alle persone la cui capacità di lavoro sia ridotta, in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo.
Alcune categorie come centralinisti telefonici non vedenti, massaggiatori e massofisioterapisti non vedenti, sordomuti etc. restano, comunque, destinatarie di una disciplina speciale sul collocamento.
Le persone con disabilità che hanno concluso la scuola dell’obbligo possono iscriversi al collocamento mirato, presentando il certificato medico prodotto dalla Commissione medica della ASL, nel quale è attestata la diagnosi funzionale, il grado di capacità lavorativa con l’indicazione delle mansioni che la persona può svolgere ed i titoli di studio. Il servizio per l'occupazione dei disabili presso i Centri per l’impiego provvede a formare una graduatoria unica degli iscritti al collocamento obbligatorio. Nell'ambito della graduatoria si tiene conto delle propensioni professionali manifestate dal lavoratore, della disponibilità ad una collocazione parziale o indeterminata, su tutto il territorio provinciale o limitata ad una parte di esso, nonché delle esigenze dell'impresa richiedente.
L’avviamento al lavoro può realizzarsi anche d’ufficio presso aziende che non soddisfano la quota di riserva purché l’azienda presenti un numero di occupati “computabili” superiore a 35. La Riforma Poletti ha liberalizzato l’obbligo di assunzione, disponendo la facoltà per i datori di lavoro di assumere i lavoratori mediante richiesta nominativa.
I datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di 15 dipendenti sono obbligati ad assumere quote di lavoratori disabili (cd. quote di riserva) (artt. 3-5 l. n. 68/1999; artt. 2 e 3 d.P.R. 10.10.2000, n. 333), presentando al servizio per l’occupazione dei disabili, entro il 31 gennaio di ogni anno, un «prospetto informativo» che riassuma i dati relativi al numero degli occupati dell’anno precedente. Detto obbligo sussiste solo nell’ipotesi in cui vi siano state modificazioni nella situazione occupazionale, rispetto all’ultimo prospetto inviato, che incidano sul computo della quota di riserva. Il datore di lavoro può distribuire gli obblighi sul territorio nazionale. Le aziende che operano in diverse unità produttive o che fanno parte di un gruppo possono assumere in un'unità produttiva, o in una società del gruppo, un numero di lavoratori avviati obbligatoriamente superiore a quello prescritto dalla legge, portando le eccedenze in compensazione con il minor numero di lavoratori assunti nelle altre unità produttive, o nelle altre società del gruppo, senza chiedere autorizzazione di «compensazione territoriale» al Ministero. La Riforma Poletti ha esteso la possibilità di compensazione anche alle pubbliche amministrazioni.
A determinare la base di calcolo per la definizione della «quota di riserva» concorrono tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato (il co. 27, lett. a) dell’art. 4 l. 28.6.2012, n. 92 ha modificato l’art. 4, co. 1 della l. n. 68/1999 e ha incluso anche i lavoratori a tempo determinato di durata superiore i sei mesi, prima esclusi fino a nove mesi). Dal computo sono esclusi: i lavoratori assunti tramite collocamento obbligatorio, i lavoratori occupati con contratto a tempo determinato di durata fino a sei mesi, i soci di cooperative di produzione e lavoro, i dirigenti, i contratti di inserimento, i lavoratori somministrati presso l'utilizzatore, dei lavoratori assunti per attività all'estero (per la corrispondente durata), i lavoratori socialmente utili, i lavoratori a domicilio, i lavoratori che aderiscano al programma di emersione ex l. 18.10.2001, n. 383, gli apprendisti.
Concorrono, altresì, a saturare la «quota di riserva» i lavoratori divenuti inabili allo svolgimento delle proprie mansioni per infortunio o malattia (con riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 60 per cento); i lavoratori divenuti inabili per infortunio sul lavoro o malattia professionale (con riduzione della capacità lavorativa in misura pari o superiore al 33 per cento); i lavoratori già invalidi prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se assunti al di fuori delle procedure che regolano il collocamento obbligatorio; disabili occupati part-time; i centralinisti non vedenti iscritti nell'albo professionale; massaggiatori e massofisioterapisti ciechi; i terapisti della riabilitazione non vedenti; orfani e coniugi superstiti di coloro che sono deceduti per causa di lavoro, di servizio e di guerra, nonché i coniugi e figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e profughi italiani rimpatriati. La Riforma Poletti ha ricompreso nel computo della quota di riserva anche i disabili, non assunti tramite il collocamento obbligatorio, i quali presentino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60 per cento o disabilità intellettiva e psichica, con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento.
Le assunzioni part-time sono valide come unità intera, ai fini del collocamento obbligatorio, se la prestazione lavorativa supera la metà dell’orario di lavoro settimanale determinato dal contratto collettivo. Nel caso l’azienda abbia tra i 15 e i 35 dipendenti è possibile computare il lavoratore disabile a prescindere dall’orario di lavoro svolto se la percentuale di invalidità sia almeno pari al 51 per cento.
Alcuni settori sono esclusi dall’onere di assumere lavoratori disabili (edilizia, trasporti, impianti a fune, autotrasporto, minerario, vigili del fuoco).
Sono, infine, esclusi, ad eccezione del personale tecnico-esecutivo e con funzioni amministrative, i partiti politici, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione.
L'art. 9, co. 5, d.l. 18.10.2012, n. 179 ha modificato l’art. 4, co. 3, l. n. 68/1999 relativamente alla computabilità dei lavoratori disabili dipendenti occupati a domicilio o con modalità di telelavoro, prevedendo che l'imprenditore possa affidare, anche mediante la predisposizione di adeguate misure, una quantità di lavoro corrispondente all’orario normale di lavoro. La l. 11.3.2011, n. 25 ha precisato che la quota di riserva a favore delle vittime del terrorismo e del dovere, di cui alla l. 23.11.1998, n. 407 non deve ridurre la quota di riserva prescritta ad esclusivo beneficio dei lavoratori disabili.
I datori di lavoro hanno più strumenti per gestire l’obbligo di assunzione. Possono stipulare convenzioni di inserimento lavorativo; convenzioni di inserimento lavorativo con finalità formative; convenzioni con le cooperativa sociali ed altri soggetti o chiedere ai competenti uffici territoriali l’avviamento numerico.
Le assunzioni nominative ammesse sono da 15 a 35 dipendenti tutte, da 36 a 50 dipendenti il 50 per cento; con più di 50 dipendenti il 60 per cento.
La chiamata nominativa può essere, inoltre, effettuata nei casi di assunzione programmata sulla base di specifica convenzione. I partiti politici, le organizzazioni sindacali e sociali e gli enti da essi promossi possono effettuare tutte le assunzioni obbligatorie mediante richiesta nominativa.
L’art. 11 l. n. 68/1999 consente alle pubbliche amministrazioni ed alle imprese di stipulare con gli uffici territoriali convenzioni di inserimento, usufruendo di percorsi mirati di inserimento al lavoro di tipo formativo, nonché di agevolazione fiscali e contributive. La ricerca del personale da inserire può essere attivata anche mediante altri soggetti come enti di formazione accreditati, associazioni di rappresentanza delle persone disabili (Cass., sez. lav., 22.7.2013, n. 17785 in lav. giur. 2014, 1, 58 con nt. di P., Cosmai).
Con la convenzione di cui all’art. 12 l. n. 68/1999 sottoscritta dall’ufficio competente, dal datore di lavoro e dalla cooperativa sociale, il datore di lavoro prende l’impegno di affidare una commessa di lavoro alla cooperativa sociale che costituisce il soggetto utilizzatore della prestazione del disabile. Si tratta di una sorta di “distacco” presso l’utilizzatore di durata determinata. Convenzioni speciali finalizzate all'assunzione di persone disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario sono previste dall’art. 12 bis della l. n. 68/1999 e dall’art. 14 d.lgs. n. 276/2003. Tali convenzioni realizzano una forma di «cessione onerosa … dell’obbligo di assumere» (v. Corbo, C., Le convenzioni per il diritto al lavoro dei disabili: natura, struttura, funzione e strumenti di tutela, in Argomenti dir. lav., 2009, 387 ss.), in cui il datore di lavoro copre la quota di riserva di cui alla l. n. 68/1999 in relazione a disabili che, però, vengono assunti, a tutti gli effetti, dai soggetti che utilizzano il disabile (Napoli, M.-Occhino, A.-Corti, M., I servizi per l’impiego, Milano, 2010, 240)
Raggiunta la soglia occupazionale che impone l'obbligo i datori di lavoro devono procedere all’assunzione entro i 60 giorni successivi (art. 9, co. 1, l. n. 68/1999; d.P.R. n. 333/2000).
I datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti sono tenuti ad assumere il lavoratore disabile se procedono ad una nuova assunzione non soggetta a vincoli. La Riforma Poletti impone il rispetto delle quote di riserva anche ai datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze dai 15 ai 35 lavoratori, cancella, a partire dal 1.1.2017, dunque, ogni riferimento a nuove assunzioni.
Non si considerano nuove assunzioni quelle effettuate (art. 2, co. 2, d.P.R. n. 333/2000) per la sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del posto; cessati dal servizio, qualora siano sostituiti entro 60 giorni dalla cessazione.
È considerato, ai fini del collocamento obbligatorio, l’aumento del numero degli occupati derivante da mutamenti nella titolarità dell’impresa: trasferimento, cessione di ramo di azienda, fusione. Del pari avviene relativamente per le trasformazioni dei contratti di apprendistato e a termine in contratti a tempo indeterminato.
Il datori di lavoro con più di 35 dipendenti possono chiedere il parziale esonero dall'obbligo di assunzione quando l’azienda abbia ad oggetto attività che necessitano particolari abilità fisiche e non sia possibile adibire i disabili a mansioni compatibili con le loro condizioni e capacità lavorative (Cass., sez. lav., 11.10.2013, n. 23170).
La misura percentuale massima di esonero è determinata nel 60 per cento della quota di riserva (80 per cento per i datori di lavoro operanti nei settori sicurezza e vigilanza e trasporto privato). Possono essere totalmente esonerate solo le aziende che forniscono servizi per il quale è previsto il porto d’armi (aziende che operano nel settore della vigilanza, polizia, protezione civile e difesa nazionale).
L’esonero è oneroso: le aziende sono tenute ad un contributo per ogni giorno lavorativo e per ogni posizione lavorativa per la quale chiedono l’esonero.
La domanda di esonero deve essere presentata all’ufficio per l’occupazione dei disabili territoriale relativo alla sede legale in cui è ubicata l’azienda, anche se la procedura interessa unità produttive dislocate in più territori.
Al momento della presentazione della domanda, le aziende devono versare al Fondo nazionale per l'occupazione dei disabili (con modalità e periodicità definite dalle singole regioni) il contributo di cui sopra.
Fino all'adozione del provvedimento definitivo di autorizzazione all'esonero, al datore di lavoro viene concessa la sospensione parziale degli obblighi occupazionali. La Riforma Poletti ha esteso l’esonero anche ai datori di lavoro che occupino addetti, impegnati in lavorazioni che comportino il «pagamento di un tasso di premio ai fini INAIL pari o superiore al 60 per mille». L’esenzione obbliga, comunque, al versamento esonerativo pari al 30,64 euro per ogni giorno lavorativo per ciascun lavoratore con disabilità non occupato.
Gli obblighi di assunzione sono sospesi qualora l’azienda abbia richiesto l’intervento della CIGS per ristrutturazione, riconversione o crisi aziendale e procedure concorsuali; abbia fatto ricorso a contratti di solidarietà difensivi; abbia attivato le procedure di mobilità (artt. 4 e 24 l. 23.7.1991, n. 223). Non sospende, invece, il collocamento mirato la Cassa integrazione ordinaria.
Il datore di lavoro deve presentare apposita comunicazione al servizio competente sul territorio dove si trova la sede legale dell'impresa, allegando copia del provvedimento amministrativo che riconosca la sussistenza delle condizioni previste dalla legge.
La sospensione opera per un periodo pari alla durata dei trattamenti per i quali viene concessa e cessa contestualmente al termine degli stessi.
In attesa del provvedimento di ammissione agli ammortizzatori sociali il datore di lavoro può ugualmente presentare domanda al servizio per l’occupazione dei disabili per la concessione della sospensione temporanea degli obblighi, che può essere autorizzata per un periodo non superiore a tre mesi, rinnovabile una sola volta (art. 4 d.P.R. n. 333/2000; art. 18, co. 3, d.l. 9.2.2012, n. 5, conv. dalla l. 4.4.2012, n. 35).
Per la procedura di mobilità che si è conclusa con almeno 5 licenziamenti gli obblighi sono sospesi per ulteriori 6 mesi dalla data dell’ultimo licenziamento.
La procedura di mobilità o di licenziamento collettivo, aperta per una qualsiasi sede dell’azienda interessata, sospende gli obblighi del collocamento obbligatorio a livello nazionale; di contro, per le altre ipotesi di crisi aziendale, l’obbligo è sospeso solo per l’ambito territoriale in cui si trova l’unità produttiva richiedente e la sospensione opera in misura proporzionale al numero di lavoratori coinvolti dalla crisi.
L’art. 4, co. 27, lett. d), l. n. 92/2012 ha modificato l'art. 6, co. 1, l. n. 68/1999 prevedendo che i servizi di collocamento mirato competenti per territorio comunichino, anche in via telematica, con cadenza almeno mensile, alla competente Direzione territoriale del lavoro, il mancato rispetto degli obblighi di assunzione, nonché il ricorso agli esoneri, ai fini della attivazione degli eventuali accertamenti.
Sono comminate sanzioni amministrative nelle ipotesi di mancato o ritardato invio del prospetto informativo, mancata assunzione del disabile, mancato versamento dei contributi in caso di esonero parziale.
Una sanzione afflittiva indiretta è costituita dal diniego dell’ente territoriale competente di rilasciare al datore di lavoro la cd. certificazione di ottemperanza, utile per partecipare a bandi per appalti pubblici ( art. 40, co. 5, l. 6.8.2008, n. 133). Con la certificazione di ottemperanza, richiesta dall’art. 46 del d.P.R. 28.12.2000, n. 445, le imprese dichiarano di essere in regola con gli obblighi derivanti dalla normativa di tutela dei disabili.
I datori di lavoro privi della certificazione che attesti il rispetto delle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavoro, forniture e servizi e non possono essere affidatari di subappalti (art. 38, co. 1, lett. l), d.lgs. 12.4.2006, n. 163 e art. 4, co. 2, lett. b) punto 1.7, d.l. 13.5.2011, n. 70, conv. dalla l. 12.7.2011, n. 106).
Le condizioni di salute del disabile possono mutare nel corso del rapporto di lavoro oppure può succedere che l’organizzazione del lavoro subisca cambiamenti tali da rendere le mansioni affidate al disabile non più compatibili con il suo stato di salute e sia necessario ricercare attività più adeguate all’interno dell’azienda.
Il lavoratore disabile può sottoporsi all’accertamento delle commissioni mediche competenti. Il datore di lavoro, con il consenso del lavoratore, può richiedere, in costanza di rapporto, la visita di accertamento dello stato invalidante per la verifica della compatibilità delle mansioni cui il lavoratore adibito.
Se è possibile il datore di lavoro è tenuto ad adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori: in tal caso il dipendente ha diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
La commissione medica deve accertare l'aggravamento dell'infermità e verificare l'impossibilità di reinserire il disabile all'interno dell'azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell'organizzazione del lavoro (Cass., 10.4.2014 n. 8450; Cass., 12.9.2012 n. 15269).
Il lavoratore, dunque, potrà essere licenziato solo qualora la Commissione accerti la definitiva impossibilità di esperire coerenti adattamenti organizzativi, al fine di reinserire il disabile all’interno dell’impresa.
Ai lavoratori assunti obbligatoriamente si applica, come per gli altri dipendenti, il trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai contratti collettivi di lavoro, salvo eccezioni indicate dalla legge.
È possibile assumere i disabili con ogni tipo di contratto di lavoro subordinato. Il disabile deve svolgere, tuttavia, prestazioni compatibili con le sue minorazioni ed a parità di retribuzione rispetto agli altri lavoratori (C. cost., 11.7.1961, n. 55, in Riv. giur. lav., 1961, II, 395).
Il patto di prova può essere legittimamente apposto purché il contenuto del patto sia coerente con il tipo di invalidità. Il periodo di prova può essere esteso se correlato ad una delle convenzioni stipulate ai fini dell’inserimento in azienda. Il datore di lavoro può recedere senza motivazione; spetta al lavoratore disabile dimostrare l’illecito motivo del recesso (Cass., S.U., 2.8.2002 n. 11633).
I licenziamenti per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo nei confronti di lavoratori occupati obbligatoriamente, sono annullabili qualora, al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori disabili sia inferiore alla quota di riserva (art. 5, l. n. 223/1991; art. 10, co. 4-5, l. n. 68/1999).
In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione, nel termine di 10 giorni, agli uffici competenti, per la sostituzione del lavoratore con altro avente diritto all'avviamento obbligatorio.
L’art. 18 l. n. 20.5.1970, n. 300 novellato dalla l. n. 92/2012 impone il rimedio della reintegrazione nel posto di lavoro avverso il licenziamento illegittimamente giustificato dalla inidoneità fisica o psichica del lavoratore per aggravamento delle condizioni di salute o divenuti nel corso del rapporto di lavoro inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia. Delicati problemi interpretativi suscitano, tuttavia, le modifiche introdotte all’art. 18 st. dalla l. n. 92/2012 e dalla recente disciplina del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (d.lgs. 4.3.2015, n. 23; sul tema v. Topo, A., Il licenziamento del lavoratore malato e del lavoratore disabile, in Giur. it., 2014, 2).
Anche le pubbliche amministrazioni sono tenute all’osservanza dell’obbligo di assunzione. L’art. 35, co. 2 d.lgs. 30.3.2001, n. 165 dispone che le assunzioni obbligatorie avvengano per chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento, tuttavia, le modalità previste per il datore di lavoro privato sono applicate solo a qualifiche per le quali è richiesto il solo requisito della scuola d’obbligo.
L’art. 97 Cost obbliga, invero, le pubbliche amministrazioni ad assumere mediante concorso. In caso di violazione degli obblighi di assunzione da parte delle pubbliche amministrazioni si applicano sanzioni penali, amministrative e disciplinari a carico dei responsabili del procedimento amministrativo (in ordine alla problematica connessa alla condizione di disoccupazione per l’accesso al lavoro nella pubblica amministrazione v. Pasqualetto, E. Lo stato di disoccupazione dei disabili idonei nei concorsi pubblici: un requisito in bilico tra giurisprudenza amministrativa, Corte di Cassazione e interventi del legislatore in Argomenti dir. lav., 2015, 399).
Le persone disabili, tuttavia, godono di strumenti che consentono un accesso “privilegiato” alle assunzioni nella pubblica amministrazione.
I soggetti di cui alla l. n. 68/1999 possono essere oggetto di riserva di posti nei concorsi di accesso nella pubblica amministrazione in misura non superiore alla metà dei posti a concorso.
Al fine di favorire l’ingresso nelle pubbliche amministrazioni dei lavoratori appartenenti alle categorie protette, l’art. 7, co. 6 e 7, del d.l. 31.8.2013, n. 101, consente le assunzioni obbligatorie anche in soprannumero ed in deroga ai divieti di assunzione finalizzati al contenimento dei costi di personale nel limite della quota d'obbligo, calcolata sulla base di computo di cui all'art. 4 l. n. 68/1999.
I disabili che partecipano a concorsi pubblici hanno diritto di svolgere le prove d’esame con le agevolazioni utili a consentire loro di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri candidati (art. 16. l. n. 68/1999; art. 20 l. 5.2.1992, n. 104). La persona affetta da invalidità uguale o superiore all'80 per cento è, tuttavia, esonerata dall’esperimento delle prove preselettive eventualmente previste nel pubblico concorso.
Il disabile assunto presso gli enti pubblici ha, altresì, il diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili anche in occasione di trasferimento di sede (art. 21 della l. n. 104/1992).
Le norme contenute nella l. n. 68/1999, in tema di riserva di posti, tuttavia, si riferiscono alle assunzioni di persone disabili ai fini dell'adempimento dell'obbligo da parte dei datori di lavoro pubblici e non sono estensibili ai concorsi per passaggio di categoria e di avanzamento di carriera (C. cost., 11.5.2006, n. 190).
I lavoratori tenuti ad assistere familiari con handicap gravi (art. 33 l. n. 14/1992) hanno diritto ogni mese a tre giorni di permessi retribuiti. Condizione per la concessione dei permessi lavorativi, è che la persona non sia ricoverata in una struttura a tempo pieno. I permessi possono essere richiesti da un genitore, dal coniuge o familiare che assista un parente o affine entro il secondo grado di parentela, o entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità, abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Il beneficio dei permessi è accordato ad un «referente unico» (art. 24 l. n. 183/2010), non è dunque possibile che ad usufruirne siano più persone, ad eccezione dei genitori, anche adottivi, i quali possono fruire dei permessi alternativamente, per lo stesso figlio. Il co. 5, art. 33 della l. n. 104/1992 consente al lavoratore che presta assistenza al disabile di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. Per consolidata giurisprudenza l’utilizzazione dei permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare esigenze personali del dipendente è ritenuta una causa di giustificazione del licenziamento (Cass., sez. lav., 30.4.2015, n. 8784).
L’ultima relazione «sullo stato di attuazione della legge recante norme per il diritto del lavoro dei disabili. Anni 2012-2013» presentata, come richiesto dall’art. 21, co. 1, l. n. 68/1999, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, traccia un quadro assai fosco sulla effettività del diritto del lavoro per le persone disabili.
La quota di riserva totale si è ridotta di molte migliaia di unità per effetto della crisi economica che ha cancellato molte imprese con un numero di addetti superiore a 50 dipendenti. A fronte di 700.000 iscritti negli elenchi del collocamento, la quota di assunzioni obbligatoria assolta ammonta a circa 117.136 lavoratori. I numeri dei disabili ai quali non è assicurato il diritto al lavoro, sono proporzionalmente più alti per le persone con disabilità di sesso femminile. Le assunzioni per chiamata numerica ammontano a circa il 6 per cento mentre il 48,7 per cento viene assunto per il tramite delle convenzioni
La crisi economica spiega solo in parte il basso grado di efficacia della l. n. 68/1999. Le molteplici vie di fuga dall’obbligo di assunzione che il legislatore concede al datore di lavoro e la ferma resistenza della giurisprudenza alla possibilità di ammettere una tutela in forma specifica all’obbligo di assunzione, giacché il diritto all’assunzione del disabile sussiste solo se compatibile con il posto di lavoro indicato dal datore di lavoro, il quale non pare obbligato a reperire una qualsiasi altra mansione al solo scopo di collocare, ad ogni costo, il lavoratore affetto da disabilità, concorrono, in notevole parte, a neutralizzare il diritto al lavoro del disabile.
A questo proposito, la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, la quale, con sentenza del 4.7.2013 (causa C-312/11, in Foro It., 2013, 9, 4, 364) ha accertato la violazione della dir. 2000/78/CE, non avendo il legislatore italiano imposto ai datori di lavoro un generale obbligo di adottare provvedimenti e misure per favorire l’accesso al lavoro dei disabili.
Il d.lgs. n. 216/2003 che ha recepito la dir. 2000/78/CE non è stato, infatti, ritenuto adeguato al raggiungimento degli obiettivi fissati nella direttiva. Ad avviso della Corte di giustizia la legislazione italiana è priva di strumenti idonei ad obbligare i datori di lavoro ad adottare soluzioni utili a favorire l'inserimento delle persone disabili. La Corte ha altresì rilevato che le misure per l'impiego di persone con disabilità sono spesso lasciate alla discrezione degli enti territoriali. Invero, la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha attribuito all’art. 117 Cost. agli enti territoriali la competenza in materia di politiche attive del lavoro, ha dato origine ad una applicazione del collocamento obbligatorio differenziato in ragione delle condizioni economiche e di sviluppo delle diverse regioni e non ha ricevuto una uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale (v. C. cost., 30.3.2001, n. 84).
L'Italia, in risposta alla sentenza del luglio 2013, per evitare un secondo deferimento alla Corte di giustizia europea e il rischio di sanzioni economiche ha inserito, all'art. 3 del d.lgs. n. 216/2003, un co. 3-bis introdotto dal d.l. 28.6.2013, n. 76 conv. dalla l. 9.8.2013, n. 99, con il quale impone ai datori di lavoro di adottare le misure richieste dalla Convenzione delle nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità al fine di garantire uguaglianza di diritti nei luoghi di lavoro. La genericità della formula, tuttavia, non sembra soddisfare la richiesta del giudice europeo di rendere più efficaci gli interventi di integrazione al lavoro dei disabili.
L. 12.3.1999, n. 68; l. 11.3.2011, n. 25.
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