discorso indiretto
Il discorso indiretto è una delle forme tradizionalmente riconosciute del ➔ discorso riportato, cioè uno dei modi che offre la lingua per riprodurre enunciati appartenenti a un atto di enunciazione diverso da quello che dà luogo alla riproduzione. Così, a una produzione come quella in (1) corrispondono le tre riproduzioni in discorso indiretto evidenziate in (2) (Mortara Garavelli 20012: 429):
(1) vattene, adesso!
(2) a. mi disse di andarmene, allora
b. mi ordinò che me ne andassi all’istante
c. mi impose di andarmene immediatamente
Nella forma indiretta si possono riportare testi scritti o parlati che sono stati (o si suppongono) realizzati dal parlante a cui si attribuiscono, come in (2), ipoteticamente realizzabili, come in (3):
(3) Non osava, però, tenerne molti, perché certo Domenico le avrebbe domandato se andava in campagna per curarsi oppure per starci in villeggiatura (Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, Milano, Rizzoli, 1986, p. 74)
o pensati, come in (4):
(4) Annotò quello che aveva detto Martinelli, e mentre scriveva pensò che stava solo cercando di darsi un tono, che cercava di dirigere quell’indagine come pensava si dovesse fare (Gianrico Carofiglio, Il passato è una terra straniera, Milano, Rizzoli, 2004, p. 79)
A differenza del ➔ discorso diretto, che non ha restrizioni quanto alla riproducibilità del messaggio originario, il discorso indiretto non è compatibile con alcune strutture sintattiche e lessicali della produzione. A livello sintattico, in particolare, non possono essere riportate con un discorso indiretto «frasi principali non trasformabili in frasi complemento» (Mortara Garavelli 20012: 447), come ad es. le ottative, in (5), o frasi nominali di vario genere (➔ nominali, enunciati) come quelle in (6) e in (7) (Mortara Garavelli 20012: 447-448):
(5) se avessi vent’anni! ~ * diceva / esclamava se avesse vent’anni
(6) che bella giornata! ~ * esclamò che bella giornata
(7) ecco Maria / ecco arrivare / che arriva Maria ~ * ha detto che ecco Maria / ecco arrivare / che arriva Maria
A livello lessicale, il discorso indiretto non può accogliere interiezioni o segnali discorsivi tipici del parlato, né di norma parole dialettali o straniere. Di fatto, però, nella comunicazione orale e nella lingua letteraria la citazione indiretta non è sempre ‘ripulita’ da elementi espressivi. In (8), ad es., viene citato con un discorso indiretto il termine dialettale bai, che significa «insetto, moscone»:
(8) Il tono angosciato allarmò il confessore che volle sapere esattamente cosa aveva detto dei preti; ma Mino resisteva […]. Infine dovette riferire le parole precise. Aveva detto che i preti sono bai da tabacco (Luigi Meneghello, Libera nos a malo, Milano, Mondadori, 1986, p. 10).
Come le altre forme del discorso riportato (➔ discorso diretto; ➔ discorso indiretto libero), anche il discorso indiretto è di norma accompagnato da una porzione di testo che segnala esplicitamente il suo carattere di citazione e che viene chiamata cornice o cornice citante (o anche frase o clausola citante: cfr. Mortara Garavelli 20012; Calaresu 2000 e 2004). Essa accoglie in genere indicazioni sulla fonte della citazione e/o un verbo di dire (dire, affermare, bisbigliare, dichiarare, imporre, ordinare, ecc.) o un verbo di sentire (sentire, udire, intendere, ecc.), come negli esempi visti fin qui. Dal punto di vista sintattico, la cornice può essere sovraordinata rispetto al discorso citato, come nell’esempio seguente:
(9) Virginia ha detto che Tommaso è molto riflessivo
o sintatticamente indipendente, come in (10):
(10) a detta di Virginia, Tommaso è molto riflessivo
Nel primo caso, si parla di discorso indiretto subordinato (o semplicemente discorso indiretto), nel secondo di discorso indiretto non subordinato (o narrativizzato, «cioè completamente assorbit[o] nel contesto narrativo»: Mortara Garavelli 20012: 461), o anche glossato, poiché «la cornice funziona da ‘glossa’ chiarificatrice all’interno o ai margini della citazione» (Calaresu 2004: 161).
Nella sua veste subordinata, il discorso indiretto è introdotto da un subordinatore (che, se) retto da un verbo o, come in (11), da un nome:
(11) alla mia domanda se dovevo fare qualcosa è arrivata la risposta che non ce n’era bisogno (in Mortara Garavelli 20012: 435)
oppure dalla preposizione di associata all’infinito, o ancora da quei pronomi e aggettivi che introducono le interrogative indirette (chi, come, quando, quale, perché, ecc.), come nel testo seguente:
(12) Allora l’uomo con un occhio solo si è avviato verso la macchina sull’aia del cascinale, e giunto vicino alla macchina si è voltato a parlarle. Le ha detto come tutte le cose appaiano diverse sentendosi allo scoperto, quando non c’è più il pensiero di potersi nascondere e così salvare da qualche parte (Gianni Celati, Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 114)
Quanto alla sua posizione, la cornice del discorso indiretto si trova tipicamente anteposta, ma può anche seguire la citazione, nel qual caso si ha o una dislocazione a sinistra con ripresa pronominale (➔ dislocazioni), come in (13), o una topicalizzazione (➔ focalizzazioni), come in (14):
(13) come fossi riuscita, me lo ha chiesto Tommaso
(14) come fossi riuscita, mi ha chiesto Tommaso.
Nel discorso indiretto non subordinato, la cornice è costituita da forme indipendenti che segnalano la fonte della citazione. Tipicamente, si tratta di preposizioni o di locuzioni preposizionali come secondo X, per X, a parere di X, a detta di X:
(15) secondo / a detta di Paolo, in quella mostra non c’è / c’era niente di interessante (in Mortara Garavelli 20012: 461)
o di verbi in forma non finita, come in (16):
(16) Giovanni, stando a quanto dice Lia, è un presuntuoso (in Calaresu 2004: 161)
o anche, come in (17), verbi di dire in forma finita ma sintatticamente estranei alla citazione e dunque privi di qualsiasi tipo di subordinatore:
(17) il fisico davanti al cielo stellato ha una visione ancora più bella diceva lui perché la conosce più da vicino (a partire da un esempio in Calaresu 2004: 162-163)
Quanto alla sua distribuzione, la cornice del discorso indiretto non subordinato può anticipare, interrompere o anche seguire la citazione. Inoltre, nello scritto essa è in genere separata dal discorso indiretto da un segno interpuntivo, mentre nel parlato ha di norma un profilo intonativo più basso rispetto al discorso riportato.
Come le altre forme citazionali, anche il discorso indiretto si determina in relazione ai cosiddetti centri ➔ deittici. La sua peculiarità rispetto alle modalità dirette di riporto è che «non ha un centro deittico distinto da quello del contesto citante, nel quale è inglobato» (Mortara Garavelli 20012: 443). Le indicazioni personali, temporali e spaziali della riproduzione non sono dunque quelle della produzione, ma si orientano sulla fonte enunciativa del cotesto citante. Così, nella riformulazione in discorso indiretto del discorso originario in (18) proposta in (19), il centro deittico è uno solo, quello della voce citante, e le espressioni questo giorno qui, voglio e domani sono adattate in quel giorno (lì), avrebbe voluto e il giorno successivo:
(18) Questo giorno qui lo voglio di nuovo domani! (a partire da Meneghello, Libera nos a malo, cit., p. 33)
(19) disse / esclamò che quel giorno (lì) lo avrebbe voluto di nuovo il giorno successivo
Le regole di adattamento della deissi possono essere complesse e talvolta – soprattutto nella comunicazione parlata non pianificata – non sono rispettate. Così, nel testo reale seguente (qui e in 24 e 25 la barra singola sta per pausa breve, la doppia per pausa media)
(20) in pratica questa persona chiede che venga qualcuno per controllare il funzionamento di questa caldaia // però / il padrone del negozio quello che ha installato la caldaia dice che non può venire se non nella settimana dopo (a partire da un esempio in Calaresu 2004: 25)
il parlante manifesta una certa difficoltà nel «ri-adattare rapidamente al proprio discorso la prospettiva deittica del discorso originale» (Calaresu 2004: 25), sia perché dice dopo invece di il giorno successivo, sia perché usa il verbo deittico di movimento venire anziché andare, più adeguato al contesto.
Oltre alle regole inerenti alla deissi, il discorso indiretto richiede operazioni di adattamento dei tempi verbali (➔ concordanza dei tempi): il tempo della citazione deve infatti regolarsi su quello del cotesto citante, «secondo le condizioni che vigono per la concordanza dei tempi tra subordinate e sovraordinate» (Mortara Garavelli 20012: 451). Tuttavia, come ricorda Calaresu (2004: 25), «nella comunicazione parlata non pianificata il discorso indiretto subordinato può talvolta manifestare, proprio a causa della pianificazione in tempo reale, una certa lassità, o un minor rigore, riguardo alla concordanza dei tempi tra parte citante (cornice) e parte citata». Si spiegherebbe così, ad es., l’uso del presente nel contesto al passato in (21) (Mortara Garavelli 20012: 468):
(21) diceva che sta bene
Si osservi che nella tradizione grammaticale costrutti come questo vengono chiamati discorsi semi-diretti (Lepschy & Lepschy 1981: 208; Mortara Garavelli 20012).
Quando in un testo è riconoscibile la presenza di un discorso indiretto ma manca un segnale esplicito di ‘sdoppiamento enunciativo’, si parla in genere di discorso indiretto implicito (o anche di stile indiretto implicito: Mortara Garavelli 1985: 70). Così, la sequenza evidenziata nell’esempio seguente, seppur non introdotta da una cornice, è verosimilmente una citazione indiretta di parole attribuibili a un parlante diverso da quello citante:
(22) Non c’è verso di convincerlo di agire diversamente. Sa tutto lui, non ha bisogno di nessuno, tanto meno di consigli (in Mortara Garavelli 1985: 128)
Segnali di un discorso indiretto implicito sono ad es. «echeggiamenti ironici, rielaborazioni parodiche, enunciazioni interiormente polemiche» (Mortara Garavelli 1985: 128) e tutti quei «meccanismi di distanziamento e di conflitto di voci» (Calaresu 2004: 134) che stanno alla base del fenomeno della riproduzione di discorsi. Un esempio di discorso indiretto implicito si trova nell’incipit del romanzo La coscienza di Zeno di Italo Svevo (commentato in Calaresu 2004: 190):
(23) Vedere la mia infanzia? Più di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d’ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Milano, Dall’Oglio, 1976, p. 24)
Con la domanda iniziale, infatti, il parlante cita, rievocandola implicitamente, la richiesta dello psicanalista di raccontare e mettere per iscritto la sua infanzia.
Sono infine interpretabili come citazioni indirette implicite le sequenze in rilievo nei testi parlati seguenti:
(24) (Ric): allora / la versione del ristoratore / che cosa ha detto? (A5) il ristoratore aveva già accettato una prenotazione per un matrimonio ma a duecento posti (in Calaresu 2004: 183)
(25) per il fatto del matrimonio ha detto che / avevano prenotato tanto tempo prima cento persone // il ristorante aveva una capienza di centoventi persone quindi otto persone in più […] // POI il venerdì // perché tutto è successo il sabato e il venerdì (in Calaresu 2004: 183)
Anche in questi casi gli enunciati evidenziati non hanno cornice. Tuttavia, a differenza degli esempi più prototipici di discorso indiretto implicito, qui il carattere citazionale delle sequenze in rilievo è in certa misura segnalato cotestualmente: in (24) dalla domanda allora / la versione del ristoratore / che cosa ha detto?, in (25) dalla cornice iniziale ha detto che, che «regge a distanza una certa serie, anche molto lunga, di enunciati diversi» (Calaresu 2004: 183).
A differenza delle forme dirette di riporto, il discorso indiretto non ha carattere citazionale, ma descrittivo: esso infatti è fedele al discorso originario solo nel contenuto, non nella forma. Nella classificazione di Gérard Genette relativa agli stati del discorso rispetto alla distanza narrativa, il discorso indiretto corrisponde alla diegesi, cioè alla descrizione narrativa di un discorso altrui, opposta alla mimesi. Esso è dunque «considerato la forma parafrastica per eccellenza, sia che si tratti di parafrasi ‘espansive’ che di parafrasi sintetiche (riassuntive) del discorso originario» (Calaresu 2004: 25).
Trattandosi della forma citazionale più distante dalla mimesi e che necessita di svariati adattamenti deittici e morfosintattici, il discorso indiretto è tradizionalmente considerato come prevalentemente ‘letterario’, e comunque più frequente nella scrittura che nella comunicazione orale. Tale credenza è stata in parte sfatata da ricerche svolte su corpora di scritto e di parlato. Anzitutto, non è vero che il discorso indiretto è la forma citazionale preferita dalla scrittura in generale, poiché i dati variano a seconda del tipo di testo studiato. Nei giornali italiani, ad es., prevale nettamente la citazione diretta, soprattutto nella modalità dell’isola testuale (➔ discorso diretto). In secondo luogo, non è vero che nel parlato si predilige in assoluto il discorso diretto a scapito del discorso indiretto. Anche nell’oralità infatti è necessario tener conto della tipologia testuale: già Lavinio (1998) osserva, ad es., che se il discorso diretto è utilizzato soprattutto nel genere orale della fiaba, nella leggenda e nella narrazione aneddotica viene in genere preferito il discorso indiretto (cfr. Lavinio 1998: 304-305; Calaresu 2004: 26). A queste considerazioni va aggiunto che per quanto riguarda l’oralità mancano dati quantitativi precisi sulla distribuzione delle forme citazionali indirette (cfr. Calaresu 2004: 26-28), il che rende discutibile ogni valutazione a riguardo.
Un’analisi pragmatica e testuale del fenomeno della riproduzione di discorsi rivela che la dipendenza o indipendenza sintattica del discorso indiretto rispetto alla cornice citante, alla base della distinzione tra discorso indiretto subordinato e discorso indiretto non subordinato, può essere giustificata funzionalmente. Si confrontino i testi seguenti:
(26) Diceva che, da quando l’avevano operato al naso per togliergli un polipo, aveva perso l’olfatto ed era diventato più razionale (Celati, cit., p. 68)
(27) a. da quando l’avevano operato al naso per togliergli un polipo, stando a quanto diceva (lui) / secondo lui aveva perso l’olfatto ed era diventato più razionale.
b. da quando l’avevano operato al naso per togliergli un polipo, aveva perso l’olfatto e, stando a quanto diceva (lui) / secondo lui, era diventato più razionale
Oltre che sul piano sintattico, le due modalità citazionali esemplificate si distinguono dal punto di vista pragmatico e testuale, in quanto risolvono diversamente la questione della responsabilità del parlante nei confronti del discorso citato. In (26), il parlante assume la piena responsabilità di quanto riporta, in un movimento ‘positivo’ quale io asserisco che X ha detto che … (dove X è il parlante originario); nelle due riformulazioni in (27), invece, colui che riporta si rivela soltanto a citazione inoltrata, negando la sua responsabilità nei confronti di quanto riferisce, secondo lo schema ‘in negativo’ questo non lo dico io ma X (cfr. Calaresu 2004: 163-165).
In sostanza, nel discorso indiretto non subordinato con cornice incidentale il parlante mostra di voler «scaricare la responsabilità enunciativa o prendere le distanze da quanto [sta] dicendo», il che spiegherebbe anche «la forte preferenza, sia nello scritto che nel parlato, per la posizione post-verbale del soggetto» con verbi di dire (Calaresu 2004: 164), rivelatrice di un movimento di tipo contrastivo (dice lui, non io).
Calaresu, Emilia (2000), Il discorso riportato. Una prospettiva testuale, Modena, Il Fiorino.
Calaresu, Emilia (2004), Testuali parole. La dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato, Milano, Franco Angeli.
Genette, Gérard (1972), Figures III, Paris, Seuil (trad. it. Figure 3. Discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1976).
Lavinio, Cristina (1998), Tipi di parlato e discorso riportato, in Italica matritensia. Atti del IV convegno della Società internazionale di linguistica e filologia italiana (Madrid, 27-29 giugno 1996), a cura di M.T. Navarro Salazar, Firenze, F. Cesati & Madrid, Universidad nacional de educación a distancia, pp. 299-313.
Lepschy, Anna L. & Lepschy Giulio C. (1981), La lingua italiana. Storia, varietà dell’uso, grammatica, Milano, Bompiani.
Mortara Garavelli, Bice (1985), La parola d’altri. Prospettive di analisi del discorso, Palermo, Sellerio.
Mortara Garavelli, Bice (20012), Il discorso riportato, in Grande grammatica italiana di consultazione, nuova ed. a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 3° (Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole), pp. 429-470 (1a ed. 1988-1995).