discriminazione
Nella micro e nella macroeconomia, la d. in generale si riferisce alle minori opportunità di occupazione, di servizi al consumo e di salario e carriera (➔ discriminazione salariale) offerti a componenti della popolazione o della forza lavoro ingiustamente considerate di minore rilevanza o qualità (a causa del colore della pelle, del genere, della religione, del Paese di provenienza). In microeconomia, la d. di prezzo fa riferimento alla condotta del monopolista di praticare prezzi differenziati. In finanza pubblica, il termine definisce i criteri di ripartizione dell’onere dell’imposta attraverso cui applicare il principio della capacità contributiva. Si utilizza nell’ambito delle teorie del sacrificio (➔ anche sacrificio, criteri del), volte a giustificare le ragioni della progressività delle imposte.
Nell’ambito della costruzione di un sistema tributario, la scelta di come ripartire le imposte tra i cittadini, in funzione dei diversi obiettivi che si intendono perseguire con la fiscalità, può fondarsi sul criterio della capacità contributiva (capacità a pagare) o su quello del beneficio o controprestazione (➔ beneficio, principio del).
Nei casi in cui il criterio scelto sia quello della capacità contributiva, la tassazione deve essere strutturata in modo da infliggere un medesimo sacrificio ai contribuenti (J.S. Mill, Principles of political economy, 1848). Al fine di garantire un sacrificio uguale, un primo semplice criterio economico da seguire impone al contribuente di pagare un tributo commisurato al proprio livello di reddito. Considerato che alla base del diverso trattamento (d.) è posta una variabile quantitativa (reddito monetario), tale operazione di differenziazione nel trattamento operata dal sistema tributario viene definita d. quantitativa.
Tuttavia, oltre al livello del reddito, al fine di cogliere la vera capacità dei contribuenti è possibile prendere in considerazione una ulteriore variabile, quella relativa alla natura del reddito monetario da quantificare. Un salario e un reddito da capitale possono produrre una medesima entrata monetaria: se si applicasse solo la d. quantitiva, non vi sarebbe alcuna ragione per utilizzare trattamenti fiscali differenziati. Tuttavia, il costo per produrli, in termini di sforzo, appare diverso. Infatti, mentre quello sopportato per avere un salario è rappresentato dal sacrificio associato alle ore lavorate, il costo sopportato per chi produce reddito di capitale è quello legato al costo opportunità del mancato consumo; quest’ultimo, inoltre, dovrebbe essere maggiorato del fattore rischio, notevolmente più elevato per il reddito da capitale. A parità di introito, infatti, laddove si voglia seguire il principio di infliggere un eguale sacrificio ai contribuenti, appare opportuno tenere in considerazione il diverso costo sopportato per produrre quel determinato livello reddituale. In altre parole, oltre al principio di d. quantitativa, al fine di preservare il principio della parità di sacrificio, si tende talvolta a introdurre una ulteriore e diversa ragione di trattamento differenziato tra i contribuenti. Pertanto, la ripartizione dell’onere impositivo dovrebbe fondarsi anche sulla differenziazione per tipologia di reddito. In questo caso, considerato che alla base del diverso trattamento è posta una variabile qualitativa (reddito da capitale, reddito da lavoro), tale operazione di differenziazione nel trattamento operata dal sistema tributario viene definita d. qualitativa.
Le tipologie di d. possibili vengono classificate come d. di primo, secondo e terzo grado. Nel caso della d. di primo grado, il monopolista pone in essere un tipo di d. completa e riesce ad appropriarsi dell’intero surplus (➔) del consumatore. In pratica, il monopolista applica un prezzo diverso per ogni unità del bene, discriminando sia per il tipo di consumatore sia per l’unità del bene venduto. Quella di secondo grado, invece, consiste nella d. di prezzo in base alle quantità vendute ed è molto ricorrente, soprattutto nei casi degli sconti applicati agli acquisti multipli. Infine, la d. di terzo grado si basa su una differenziazione dei prezzi in funzione della diversa tipologia di consumatore con cui l’impresa si trova a dover trattare. Si pensi alla scontistica applicata in funzione dell’età del consumatore (per es., ingresso a musei o teatri, trasporto ferroviario ecc.).