Abstract
Viene esaminata la disciplina sostanziale della privativa per disegno o modello, nazionale e comunitaria, registrata e non, con la quale si proteggono i risultati dell’innovazione estetica applicata.
1. Funzione e oggetto
La funzione della privativa per modello, nazionale e comunitaria, registrata e non, è di proteggere i risultati della ricerca estetica applicata alla produzione di oggetti d’uso, come possibile fattore di preferenza nelle scelte di acquisto del consumatore, e quindi di sviluppo dell’industria e del commercio.
Il modello nazionale è armonizzato a livello comunitario, ed è soggetto alla formalità costitutiva della registrazione presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. Il modello comunitario ha invece efficacia per l’intera Comunità e può essere registrato (presso l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno, UAMI) o meno (modello non registrato o di fatto).
La disciplina sostanziale dei tre tipi di privativa in massima parte coincide. Rispetto ai modelli registrati, quello comunitario di fatto si differenzia, oltre che per l’assenza di formalità costitutive, principalmente per la durata, più ridotta, e per la tutela del cd. incontro fortuito.
Attraverso la privativa per modello l’innovazione estetica è protetta non in assoluto, ma in quanto incorporata in o applicata ad un “prodotto”. Occorre cioè che la creazione acceda ad un’entità materiale (principio di materialità o di sufficiente concretizzazione) e individuata dal punto di vista merceologico (principio della determinatezza merceologica o della relatività merceologica della protezione). La limitazione è coerente con la funzione della privativa, di proteggere gli investimenti delle imprese nella ricerca estetica applicata; e viene incontro alla preoccupazione che una tutela della forma troppo estesa nel tempo e nell’oggetto possa risultare di intralcio alle attività di produzione industriale.
La conseguenza pratica più rilevante di ciò è, secondo l’opinione prevalente, che la valutazione dei requisiti di protezione come anche la definizione del concreto ambito di protezione vanno riferite alla creazione estetica considerata non in assoluto, ma in quanto applicata a quel tipo di prodotto (Trib. Bologna, ord. 30.3.2009, in Giur. ann. dir. ind., 2009, n. 5416; Trib. Bari, ord. 1.12.2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, n. 4844; Trib. Roma, ord. 1.10.2004, in SSPI, 2004, n. 370; Comm. ricorsi UAMI, 5.7.2007, R 1421/2006-3; BGH, sent. 18.10.2007, I Z.R. 100/05). Fanno eccezione da questo punto di vista gli ornamenti o decorazioni (arg. ex art. 37, co. 1, reg. CE n. 6/2002). La necessaria materialità, infine, non sussiste per le idee (Trib. Milano, ord. 20.4.2004, in SSPI, 2004, n. 85), gli insegnamenti, gli stili, le informazioni, i procedimenti, i contenuti di testi e i programmi per elaboratore (art. 3, lett. b, reg. CE n. 6/2002). Il “prodotto” può consistere in un oggetto «artigianale o industriale» (art. 31, co. 2, c.p.i.; art. 3, lett. b, reg. CE n. 6/2002). La specificazione riflette la tradizionale destinazione della privativa a proteggere l’arte applicata, in contrapposizione all’arte pura oggetto del diritto d’autore; evita altresì interpretazioni ingiustificatamente restrittive, fondate sulla distinzione tra industria e artigianato; e vale infine ad escludere dall’applicazione della privativa gli oggetti che non sono creazioni dell’ingegno e dell’attività dell’uomo, bensì prodotti della natura o del caso.
La protezione riguarda l’“aspetto” del prodotto (art. 31, co. 1, c.p.i.; art. 3, lett. a, reg. CE n. 6/2002). Questo può essere bi-dimensionale (si parla allora di “disegni”) o tri-dimensionale (nel qual caso si parla di “modelli”). Con un’interpretazione evolutiva, suggerita dall’osservazione della realtà, andrebbe però ammessa anche la proteggibilità, per lo meno come modello non registrato, di caratteristiche del prodotto percepibili con sensi diversi dalla vista.
2. La novità
Un requisito di protezione è la novità rispetto ai modelli anteriori divulgati (art. 32 c.p.i.; art. 5, reg. CE n. 6/2002). Secondo una convinzione diffusa, esso sarebbe privo di autonomia rispetto all’altro principale requisito, il carattere individuale; e la sua presenza nei testi legislativi si spiegherebbe solo storicamente, come il residuo di proposte legislative poi superate. Una corrispondente tendenza ad obliterare il requisito si osserva del resto in sede applicativa, davanti alle sezioni specializzate dei tribunali italiani. Non così però nei procedimenti davanti all’UAMI.
In senso contrario va rilevato che la novità manca non solo in caso di assoluta identità tra i modelli a confronto, ma anche quando vi è quasi-identità, cioè sono riscontrabili differenze ma «solo per dettagli irrilevanti» (art. 32, secondo periodo, c.p.i.; art. 5, co. 2, reg. CE n. 6/2002). Un accertamento preventivo ed autonomo del requisito della novità può perciò contribuire alla chiarezza analitica ed alla trasparenza del giudizio di validità e di contraffazione, sgombrando il campo dai casi più semplici e ovvi, e lasciando al requisito del carattere individuale la soluzione dei casi meno immediati. Inoltre, è verosimile che un accertamento in due fasi, della novità prima e del carattere individuale poi, contribuisca a conferire al primo requisito una reale funzione selettiva, evitando così un accesso troppo facile alla tutela. In ogni caso, la previsione della novità come requisito distinto comporta che, difettando l’uno o l’altro requisito, si determinino cause distinte di nullità, con possibili implicazioni per la prospettazione di parte e l’eventuale ultra petitum del provvedimento che accerta la nullità.
Dettagli irrilevanti sono le differenze: i) consistenti in elementi estranei al design del prodotto (quali un marchio di qualità o un codice di prodotto) (Comm. ricorsi UAMI, 2.11.2010, R 1451/2009-3); ii) quelle imposte all’evidenza da esigenze di adattamento del prodotto (per es., in un divano, l’aggiunta di una terza piazza: Comm. ricorsi UAMI, 7.5.2009, R 1258/2008-3; Trib. Bari, ord. 1.12.2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, n. 4844); iii) quelle che tendono comunque a passare inosservate nell’economia complessiva del modello (Trib. UE, 6.10.2011, T-246/10), perché minuscole, pressoché nascoste o riconoscibili solo assumendo un punto di osservazione insolito (Comm. ricorsi UAMI, 2.9.2008, R 196/2008), oppure ancora perché relative ad elementi tipicamente indifferenti al consumatore (Trib. Roma, ord. 27.2.2004, in SSPI, 2004, n. 135).
Si ritiene per lo più, anche se non mancano opinioni differenti, che pure nell’accertamento della quasi-identità sarebbe possibile un confronto “oggettivo” o “meccanico” (Trib. Bari, ord. 1.12.2004, in Giur. ann. dir. ind., 2005, n. 4844; Comm. ricorsi UAMI, 2.9.2008, R 196/2008).
3. Il carattere individuale
Il carattere individuale è il requisito di protezione più importante, dal punto di vista pratico e sistematico. Esso consiste nella capacità del modello di suscitare una “impressione generale” diversa da quella che può suscitare un modello anteriore divulgato (art. 33 c.p.i.; art. 6 reg. CE n. 6/2002).
Protetta è così la creazione capace di arricchire il patrimonio di disegni e forme utilizzati nella produzione di oggetti d’uso, e suscettibile pertanto di costituire motivo di preferenza nelle scelte di consumo del destinatario finale del prodotto (cd. funzione di marketing). È pacifico che non occorre una particolare meritevolezza della creazione, dal punto di vista del pregio ornamentale, dell’innovazione stilistica o dello sforzo creativo (Comm. CEE, Com. III/F/5131/1991, Libro Verde sulla tutela giuridica dei disegni e modelli, 1991). Il giudizio deve in principio avvenire in forma sintetica, considerando le caratteristiche dei modelli interessati nel loro insieme. Ciò non toglie che poi debbano però individuarsi in maniera analitica le caratteristiche rilevanti, distinguendole da quelle irrilevanti; e che, secondo le circostanze, l’importanza di ciascuna di queste caratteristiche possa variare (Trib. UE, 9.9.2011, T-11/08, par. 22; Trib. UE, 22.6.2010, T-153/08).
Il punto di vista deve essere quello di un ideale “utilizzatore informato”. Non è tale il pubblico indistinto, ossia l’uomo della strada; ma non lo sono neppure il designer o comunque l’esperto (Trib. UE, 14.6.2011, T-68/10; Trib. UE, 9.9.2011, T-11/08; Trib. UE, 6.10.2011, T-246/10) o ancora il produttore o il rivenditore (Trib. UE, 9.9.2011, T-11/08). Informato è invece l’utilizzatore di quella tipologia di prodotto, che ha una certa conoscenza e presta una certa attenzione all’aspetto del prodotto stesso (Trib. UE, 18.3.2010, T-9/07; Trib. UE, 6.10.2011, T-246/10). In ogni caso, l’utilizzatore informato è in grado di percepire e apprezzare dettagli e differenze che sfuggono al consumatore medio (Trib. Bari, ord. 27.10.2003, in SSPI, 2004, n. 2; Trib. Bologna, ord. 11.2.2004, in SSPI, 2004, n. 18).
In alcuni settori il designer gode tipicamente di una maggiore libertà creativa, mentre in altri la sua libertà incontra una serie di limitazioni. Di qui la regola secondo cui il carattere individuale va valutato tenendo conto del margine di libertà di cui dispone l’autore (art. 33, co. 2, c.p.i.; art. 6, co. 2, reg. CE n. 6/2002). Fattori che limitano tale libertà sono in particolare: i) l’affollamento del settore (tra le tante, Trib. Torino, ord. 31.5.2007, in www.leggiditaliaprofessionale.it; Comm. ricorsi UAMI, 7.12.2010, R 803/2009-3); ii) la presenza necessaria di caratteristiche determinate anche dalla funzione del prodotto (Trib. UE, 9.9.2011, T-11/08; Trib. UE, 18.3.2010, T-9/07); iii) l’esistenza nel settore di soluzioni formali percepite come identificative di quel tipo di prodotto; iv) di soluzioni formali che in quel settore rispondono alle normali aspettative dell’utilizzatore, sicché scelte stilistiche coraggiose o azzardate sono inusuali (il punto è però controverso: cfr. opinione AG Mengozzi, 12.5.2011, in C-281/10 P); v) la fattibilità industriale (Comm. ricorsi UAMI, 4.11.2010, R 1341/2009-3); vi) standard prescritti dalla legge (Trib. UE, 9.9.2011, T-11/08; Trib. UE, 18.3.2010, T-9/07). Quanto più forti sono i limiti alla libertà creativa dell’autore, tanto più differenze anche modeste saranno sufficienti per determinare un’impressione generale differente (Trib. UE, 9.9.2011, T-11/08; Trib. UE, 18.3.2010, T-9/07).
4. La liceità
Sono esclusi dalla protezione i modelli contrari all’ordine pubblico e al buon costume, come anche quelli che importano un’utilizzazione impropria di segni di particolare interesse pubblico (art. 33 bis c.p.i.; art. 9 reg. CE n. 6/2002). La non proteggibilità non si accompagna tuttavia in questo caso ad un generale divieto di utilizzo.
La contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume può riguardare: i) il modello in sé considerato; ii) la sua relazione con la destinazione tipica del prodotto; iii) la destinazione tipica del prodotto tout court (per es.: mine terrestri, vietate dal diritto internazionale); o al limite iv) la destinazione indicata dal registrante (per es. come strumento di tortura). Non rileva di massima che del prodotto si possa anche fare un uso contrario all’ordine pubblico o al buon costume.
Segni di particolare interesse pubblico sono quelli previsti all’art. 6 ter Convenzione di Parigi (bandiere ed emblemi di Stati, segni e punzoni ufficiali di controllo e garanzia, ecc.), che a sua volta rinvia in parte alle determinazioni degli Stati aderenti in parte al diritto internazionale; e più in generale quelli costituenti espressione della sovranità statuale nelle sue diverse manifestazioni.
5. La divulgazione
L’avvenuta divulgazione del modello funge da presupposto: da un lato, affinché lo stesso possa efficacemente opporsi come anteriorità (art. 34 c.p.i.; art. 7 reg. CE n. 6/2002); dall’altro lato, per una sua tutela come modello comunitario non registrato (art. 11, co. 2, reg. CE n. 6/2002).
I fatti di divulgazione possono essere di due specie.
La registrazione come modello o marchio, nazionali di un Paese dell’UE o comunitari, come anche extra-comunitari se si rivendica la priorità, vale sempre come divulgazione. Diversamente sarebbe compromessa una delle principali funzioni del sistema di registrazione delle privative industriali. Fa eccezione l’ipotesi del deposito di domanda segreta.
Quanto agli altri fatti che rendono il modello accessibile al pubblico – quali l’esposizione, la messa in commercio, la pubblicazione di una domanda per privative diverse dal modello o dal marchio o la pubblicazione di una domanda per modello o marchio extra-comunitari –, essi valgono come divulgazione solo se hanno l’effetto di rendere il modello ragionevolmente conoscibile nel corso della normale attività commerciale, da parte degli ambienti specializzati del settore interessato, e comunque solo degli ambienti specializzati operanti nella Comunità.
Il criterio della ragionevole conoscibilità vale così a relativizzare i requisiti di protezione nel tempo, nello spazio e dal punto di vista merceologico. In questo modo si cerca di cogliere la specificità dell’evoluzione estetica rispetto a quella tecnica e tecnologica (lo stato della tecnica si caratterizza per un progresso costante), si assicura una ragionevole certezza a designer ed imprese (che sono così messi al riparo dall’eccezione della obscure prior art), e al contempo sono incoraggiati gli investimenti nella produzione industriale. Nella prassi dell’UAMI, si osserva però una discutibile tendenza, a trasformare quello che la legge prevede come un mero fatto (la conoscibilità per gli addetti ai lavori nella Comunità) in un onere di diligenza, che in certe decisioni diventa per le imprese interessate particolarmente gravoso. Con il risultato di neutralizzare le limitazioni legislative all’ambito delle anteriorità opponibili (v., tra le altre, Comm. ricorsi UAMI, 6.10.2009, R 857/2008-3; Comm. ricorsi UAMI, 6.10.2009, R 858/2008-3; Comm. ricorsi UAMI, 29.4.2010, R 211/2008-3).
L’avvenuta divulgazione, abusiva o meno, inclusa quella dell’avente diritto, non distrugge la novità richiesta per la registrazione, se essa ha luogo nei dodici mesi precedenti il deposito della domanda (art. 34, co. 3 e 4, c.p.i.; art. 7, co. 2, lett. b, reg. CE n. 6/2002). La funzione di questo cd. periodo di grazia è duplice: consentire all’avente diritto di testare il design sul mercato, prima di procedere alla registrazione; proteggere l’autore e il suo avente causa dall’eventualità di una divulgazione accidentale o di un ripensamento tardivo. Durante il periodo di grazia è applicabile la tutela del modello di fatto. La quale però non protegge il titolare dal cd. incontro fortuito (art. 19, co. 2, reg. CE n. 6/2002).
Non comporta infine divulgazione la rivelazione del modello ad un terzo sotto vincolo di riservatezza (art. 34, co. 2, c.p.i.; art. 7, co. 1, secondo periodo, reg. CE n. 6/2002). Questo può essere esplicito o implicito, senza dover necessariamente risultare in un accordo tra le parti.
6. Le caratteristiche tecnicamente necessitate
Delle caratteristiche che determinano l’aspetto del prodotto sono escluse dalla protezione quelle tecnicamente necessitate (art. 36 c.p.i.; art. 8 reg. CE n. 6/2002). Funzione del requisito è di evitare la monopolizzazione surrettizia di caratteristiche in astratto suscettibili di formare oggetto di privative tecniche.
In pratica, è tuttavia difficile che l’aspetto di un prodotto sia da questo punto di vista interamente necessitato. Di norma, l’impedimento perciò limita soltanto il concreto ambito di protezione.
Sulla nozione di caratteristiche tecnicamente necessitate si confrontano due diverse interpretazioni.
Secondo la tesi più diffusa, sono tali solo le caratteristiche rispetto alle quali non siano disponibili soluzioni formali almeno equivalenti sul piano funzionale, cioè capaci di assicurare lo stesso o un migliore risultato tecnico (criterio della molteplicità delle forme o delle forme inderogabili o anche della molteplicità delle forme) (Comm. ricorsi UAMI, 17.4.2008, R 860/2007; BGH, sent. 10.1.2008, I ZR 67/05).
Secondo un orientamento più restrittivo – fatto proprio tra l’altro dalla Commissione Ricorsi dell’UAMI (Comm. ricorsi UAMI, 29.4.2010, R 211/2008-3; Comm. ricorsi UAMI, 12.11.2009, R 1114/2007-3; Comm. ricorsi UAMI, 22.10.2009, R 690/2007-3), ma allo stato minoritario – sono tecnicamente necessitate non solo le forme inderogabili, ma anche quelle derogabili se prive di una “qualsiasi valenza estetica apprezzabile”, cioè ispirate anche dalla ricerca consapevole e riconoscibile di un effetto estetico. Il punto di vista sarebbe quello di un “osservatore ragionevole”.
Il criterio appare tuttavia di difficile attuazione, e rischia di sfociare in un giudizio sulla gradevolezza estetica, che l’attuale configurazione dell’istituto non consente più.
Ipotesi legalmente tipica di caratteristiche necessitate è quella degli elementi di interconnessione o must-fit, che devono essere riprodotti nelle loro esatte forme e dimensioni per assicurare l’interoperabilità tra prodotti (per es.: il vano porta-batterie del cellulare) (art. 36, co. 2, primo periodo, c.p.i.; art. 8, co. 2, reg. CE n. 6/2002). Si previene così il rischio che i produttori di prodotti con elementi di collegamento ostacolino la concorrenza con prodotti sostitutivi, suscettibili di essere usati congiuntamente al prodotto da unire. Viene inoltre favorita in questo modo la standardizzazione dei prodotti.
Fanno infine eccezione, e quindi non si considerano necessitati, gli elementi di interconnessione di sistemi modulari (per es.: i mattoncini Lego) (art. 36, co. 2, secondo periodo, c.p.i.; art. 8, co. 3, reg. CE n. 6/2002). Il fine è di evitare che l’imitatore possa concorrere con il titolare nel mercato non solo dei pezzi di ricambio, ma anche del prodotto nella sua interezza.
7. I componenti di prodotti complessi
Per i componenti di prodotti complessi, e in particolare per la ricambistica, si pone tradizionalmente il problema della loro autonoma proteggibilità, avuto riguardo soprattutto alle implicazioni di questa per il buon funzionamento del mercato.
La soluzione accolta nel diritto nazionale e comunitario è in principio affermativa, per quanto poi la protezione venga espressamente subordinata al duplice requisito: da un lato, della visibilità del componente durante il suo normale utilizzo; dall’altro, della sussistenza dei generali requisiti di protezione rispetto al componente come tale (art. 35 c.p.i.; art. 4, co. 2 e 3, reg. CE n. 6/2002).
La portata delle due condizioni è controversa. Pianamente, si può ritenere che esse abbiano valenza solo chiarificatrice, nel senso che ribadiscono per i componenti i generali requisiti della tutela come modello. Non manca tuttavia chi vi legge requisiti di protezione speciali, che andrebbero perciò intesi in modo restrittivo.
Una disciplina provvisoria ad hoc è dettata per i componenti cd. must-match, cioè per quei pezzi di ricambio esterni che, per soddisfare le aspettative del consumatore, devono necessariamente replicare l’aspetto del componente originario. In ragione della dimensione degli interessi coinvolti, la materia rimane tutt’ora molto dibattuta. La scelta di fondo del legislatore è ad ogni modo nel senso di una progressiva liberalizzazione dei mercati interessati. In particolare, si ammette che i ricambi must-match siano anch’essi suscettibili di protezione come modelli, ma al contempo rimangono libere per il terzo la produzione e la commercializzazione finalizzate a consentire il ripristino dell’aspetto originario del prodotto complesso (art. 241 c.p.i.; art. 110 reg. CE n. 6/2002).
Le ipotesi di uso libero vanno ricostruite avendo riguardo, in parte, alle caratteristiche intrinseche del componente, in parte, alla natura dell’attività svolta dal terzo. In nessun caso vi ricadono la produzione e la commercializzazione di ricambi cd. universali (Trib. Bologna, ord. 21.10.2008, in Giur. ann. dir. ind., n. 5312) e ancora meno di prodotti accessori o complementari (come le custodie proteggi-cellulare (Cass., 27.3.2003, n. 21162) o i cerchioni in lega per automobili (Trib. Bologna, ord. 21.10.2008, in Giur. ann. dir. ind., n. 5312), come pure di materiali di consumo che devono essere regolarmente sostituiti per consentire il funzionamento del prodotto principale (carta, cartucce, toner ecc.).
8. Profili soggettivi. La pluralità di autori. Il modello del dipendente. Il diritto morale
Il diritto al modello (ovvero alla sua registrazione) sorge per il fatto della sua creazione, e sorge in principio in capo all’autore, cioè alla persona fisica che lo ha ideato (art. 38 c.p.i.; art. 14, co. 1, reg. CE n. 6/2002).
Nel caso di modelli realizzati da più soggetti in collaborazione tra loro, titolari del diritto diventano i più co-autori (art. 14, co. 2, reg. CE n. 6/2002). Co-autore può considerarsi chi presta un contributo sostanziale al risultato creativo finale. Un tale contributo manca nell’ipotesi di istruzioni del tutto generiche o meri spunti, suscettibili di precisarsi in risultati assai diversi tra loro; come nella diversa ipotesi in cui, rispetto al lavoro ideativo di altri designer che partecipano all’opera, l’apporto creativo del singolo non sia significativo, perché gli è affidata la messa a punto solo di dettagli minori, magari con l’indicazione di scegliere tra alternative predefinite e la riserva del designer principale di rivedere il risultato finale; o addirittura perché si tratta della mera esecuzione materiale di istruzioni dettagliate altrui.
Se il modello è realizzato da un dipendente in esecuzione del rapporto d’impiego (art. 38, co. 3, c.p.i.; art. 14, co. 3, reg. CE n. 6/2002), il relativo diritto è attribuito al datore di lavoro. È fatto salvo il patto contrario. In ogni caso al dipendente è riconosciuto il diritto di paternità sull’opera, che sempre compete all’autore o al team di autori, e che include in particolare il diritto a far inserire il proprio nome (o anche solo il nome del team) nell’attestato di registrazione. Al di fuori dei rapporti di valore subordinato, e quindi anche per il modello realizzato su commissione (C. giust. CE, 2.7.2009, C-32/08), torna a valere la regola generale di attribuzione del diritto all’autore. Non è infine previsto per i modelli realizzati dai dipendenti un regime differenziato, come quello rinvenibile nel campo delle invenzioni all’art. 64 c.p.i., e che sarebbe poco aderente al tipo di attività creativa svolta dal designer.
Il diritto al modello è trasmissibile, mortis causa e inter vivos, anche con vendita forzosa.
In caso di registrazione abusiva da parte del terzo, l’avente diritto può agire in rivendica (art. 118 c.p.i.; art. 15 reg. CE n. 6/2002).
9. I diritti del titolare. La contraffazione. Le limitazioni
Al titolare del modello compete un diritto di utilizzazione esclusiva.
Atti tipici di utilizzazione, e quindi di possibile contraffazione se posti in essere dal terzo senza il consenso del titolare, sono: la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione, l’importazione, l’esportazione e l’impiego di un prodotto in cui il modello è incorporato o al quale esso è applicato, nonché la detenzione per tutti questi fini (art. 41 c.p.i.; art. 19 reg. CE n. 6/2002).
In generale, l’utilizzazione rilevante come contraffazione si può definire come atto o insieme di atti che incidono sull’interesse economico del titolare, a trarre dal modello le sue specifiche utilità.
La contraffazione può essere anche indiretta, cioè riguardare solo componenti o prodotti intermedi, univocamente destinati ad essere assemblati o trasformati nel prodotto complesso o finale oggetto dell’esclusiva.
Per il modello di fatto, data l’assenza di un sistema di pubblicità, è previsto che non dà luogo a contraffazione l’incontro fortuito (art. 19, co. 2, reg. CE n. 6/2002).
Valgono nell’accertamento della contraffazione i medesimi criteri del test di proteggibilità (art. 41, co. 3 e 4, c.p.i.; art. 10, reg. CE n. 6/2002).
Gli atti di utilizzazione non autorizzati sono scriminati se rientrano in una delle cd. limitazioni: uso in ambito e per fini privati; uso a fini sperimentali; uso a fini didattici. Limitazioni più specifiche riguardano l’uso del modello in mezzi navali o aerei di un altro Paese (art. 42 c.p.i.; art. 20, reg. CE n. 6/2002). Un’applicazione analogica delle ipotesi legali non è da escludere a priori. In ogni caso deve rispettarsi il limite generale, previsto nei TRIPS, dell’assenza di un pregiudizio indebito all’utilizzazione normale del modello da parte del suo titolare.
10. La nullità
Per i modelli registrati, il carattere formale della privativa implica la possibilità di invalidare il titolo sul quale questa si fonda (artt. 39, co. 4, 43 e 122 c.p.i.; artt. 24-26 reg. CE n. 6/2002). Pure per i modelli non registrati si parla nei testi normativi di nullità, quando però sarebbe più corretto parlare soltanto di non proteggibilità.
Le cause di nullità sono tassative (Trib. UE, 18.3.2010, T-9/07), e consistono: i) nell’assenza di un quid qualificabile come modello; ii) nel difetto dei requisiti sostanziali di protezione; iii) nella registrazione abusiva da parte del non avente diritto, sempre che l’avente diritto non ritenga di richiedere il trasferimento della registrazione a proprio nome; iv) nel conflitto con un cd. deposito segreto reso noto dopo la presentazione della domanda ovvero con una priorità rivendicata dopo la presentazione della domanda (nullità per “scavalcamento”); v) nella violazione di un segno distintivo altrui ovvero di un’opera dell’ingegno altrui protetta dal diritto d’autore. La violazione di segni distintivi commerciali presuppone di regola un rischio di confusione per il pubblico. Non è perciò necessario che la riproduzione del segno anteriore sia pedissequa (Trib. UE, 12.5.2010, T-148/08).
Alcune cause di nullità, quali in particolare il difetto di novità e di carattere individuale, possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse e dal pubblico ministero. Altre sono invece a legittimazione ristretta.
Sono ammesse la rinuncia parziale alla registrazione da parte dell’avente diritto e la dichiarazione giudiziale della nullità parziale della registrazione, laddove il modello non presenti i necessari requisiti di validità, ma al tempo stesso si presti a conservare la sua identità per quanto in forma modificata (art. 39, co. 4, c.p.i.; art. 25, co. 6, reg. CE n. 6/2002).
La nozione di identità rilevante in questo contesto può essere ricostruita con l’ausilio del criterio, stabilito dalla legge in tema di novità, per cui due modelli si considerano identici se differiscono solo per dettagli irrilevanti. In pratica, il mantenimento in forma modificata è possibile per i modelli “forti”, che presentano carattere individuale in grado elevato; e/o quando la modifica riguarda dettagli del tutto minori.
11. La durata
Per il modello registrato si prevede una durata minima di cinque anni, con possibilità di rinnovo per quinquenni successivi, fino ad un massimo di venticinque anni (art. 37 c.p.i.; art. 12, reg. CE n 6/2002). In tal modo si consente al titolare di valutare ad intervalli ravvicinati la convenienza di mantenere la registrazione; e al contempo si agevola la caduta in pubblico dominio del modello al quale il titolare non sia più interessato, ma che potrebbe interessare altri designer o altri produttori.
Di tre anni soltanto, a far tempo dalla divulgazione, è la durata del modello di fatto (art. 11 reg. CE n. 6/2002): il quale, di conseguenza, risulta destinato a settori come il tessile o la gioielleria, caratterizzati da produzioni effimere e/o da una più intensa sperimentazione estetica.
12. La tutela autoriale
Alle creazioni proteggibili come disegni e modelli è riservata una speciale tutela autoriale, laddove l’opera presenti «di per sé carattere creativo» e «valore artistico» (art. 2, n. 10, l. autore). Trova così attuazione il principio cd. del cumulo (tra protezione come modello e tutela autoriale), sancito dalla dir. CE, 13.10.98, n. 98/71.
L’interpretazione del requisito del valore artistico è assai controversa. Secondo la tesi più accreditata, esso vale a riservare la tutela di diritto d’autore al design di fascia alta, evitando così lo svuotamento della privativa per modello da un lato, ed il prodursi di un effetto monopolistico giudicato eccessivo (Trib. Venezia, 19.10.2007, in AIDA 2009, n. 1271) dall’altro lato. Si ritiene poi che il requisito si lasci accertare attraverso indizi quali premi (Trib. Torino, ord. 17.12.2004, in AIDA 2005, n. 1055), l’inclusione in collezioni di importanza riconosciuta (Trib. Milano, ord. 28.11.2006, in AIDA 2007, n. 1180), la menzione e la riproduzione in libri d’arte, celebrazioni commemorative (Trib. Firenze, 6.8.2003, in AIDA 2004, n. 987) e altri riconoscimenti ufficiali, come anche per il tramite del parere di esperti.
Vale per le opere del disegno industriale realizzate nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato una disciplina, analoga a quella che il diritto interno e comunitario dettano per i modelli del dipendente (art. 12 ter, l. autore).
Fonti normative
Artt. 31-44 e 237-241 c.p.i.; artt. 2, n. 10, e 12 ter l. autore; dir. CE, 13.10.1998, n. 98/71; reg. CE, 12.12.2001, n. 6/2002; artt. 25 e 26 TRIPS.
Bibliografia essenziale
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