DISEGNO
Base del d. è la linea, la quale non esiste né in natura né nel senso. L'occhio infatti percepisce macchie di diverso colore e di diversa intensità luminosa (toni e valori) i cui limiti vengono espressi, nel d., mediante segni lineari (linea di contorno) con una astrazione che appartiene ai riflessi più spontanei, ma non per questo meno misteriosi (donde il valore magico del d. per l'uomo primitivo), della intelligenza umana. La rappresentazione grafica delle forme per mezzo di linee di contorno è infatti manifestazione del tutto primitiva, che precede di gran lunga la parola scritta come modo universale di esprimersi. Come ogni espressione artistica, l'espressione grafica si vale dunque di un punto di partenza pratico, utilitario, ma diviene poi un atto del tutto ideale e disinteressato (puramente artistico) quando arriva a esprimere mediante la forma in modo più o meno coerente a seconda della più o meno intensa personalità dell'artista, un contenuto valido e vitale per il proprio tempo o addirittura di valore universale. Il d. può essere fine a sé stesso o preparazione all'opera d'arte pittorica, o plastica (v. abbozzo).
Per rappresentare la forma con mezzi grafici le due maniere fondamentali sono la proiezione e la prospettiva. La proiezione consiste nel determinare sopra una superficie piana le tracce delle perpendicolari abbassate da ciascuno dei punti dell'oggetto da rappresentare: si ha così un d. scientificamente esatto e misurabile. La prospettiva (v.), sia essa geometrica o solo intuitiva, esprime gli oggetti come li vediamo o come potremmo vederli, con le apparenti alterazioni che ubicazione e distanza fanno loro subire. Con la proiezione la forma si sviluppa sopra un unico piano; nella prospettiva si suggerisce uno spazio, determinato o infinito, entro il quale si sviluppano e si muovono le forme rappresentate.
Il d. per contorni, il più semplice e forte, che ha un punto di partenza mentale e tattile, si manifesta fino dalla Preistoria, nelle incisioni su osso e su ciottolo, ma specialmente nelle incisioni e pitture rupestri, dove la linea raggiunge per la prima volta un valore estetico autonomo (v. preistorica, arte). Nell'àmbito delle civiltà artistiche considerate nella presente opera, il d. per contorni trova altissime espressioni nell'arte iranica e nell'arte egiziana; ma la massima purezza lineare e la più potente sintesi espressiva viene raggiunta nelle pitture vascolari greche, specialmente attiche, tra la fine del VI sec. e la metà del V a. C., e nell'arte cinese, dove tale altissima espressione del d. si manterrà assai più a lungo, per secoli (assai al di là dei limiti cronologici assegnati a questa enciclopedia), avendo raggiunto già una sua prima perfezione espressiva nelle incisioni su terracotta e su pietra dell'epoca Han (206 a. C. - 220 d. C.; v. cinese, arte).
L'eccellenza del disegno nella ceramica greca, insieme alla perdita quasi totale della grande pittura e alla persistenza di interpretazioni critiche neoclassiche (v. classicismo; winckelmann) hanno fatto ritenere che l'arte greca fosse essenzialmente plastica e disegnativa, almeno nel suo periodo classico; il che è da respingersi. L'arte greca (v. greca, arte) si differenzia invece dalle altre civiltà artistiche antiche proprio per la precoce scoperta dei valori cromatici e pittorici e fu l'unica di esse a introdurre nella scultura ricerche di colorismo plastico (da non confondersi con la policromia), raggiungendo effetti di piena luminosità cromatica già nei frontoni del Partenone (v. fidia). Anche nel d. l'arte greca mostra precocemente ricerche prospettiche e plastiche, che portano con sé il chiaroscuro (v.) e l'effetto pittorico.
Il d. per contorni, cioè per elementi della forma tradotti nella linea, è, anche nell'arte greca, il più antico e può raggiungere particolare potenza di espressione. Può essere limitato a circoscrivere l'esterno della forma stessa o esteso a tracciarne i particolari interni. La necessità di esprimere con una linea anche quei limiti di masse che sono incerti e perduti porta a una robusta chiarezza. Il potere espressivo della linea risiede nella sua direzione e nella sua intensità. L'occhio è condotto a seguirne il percorso, ciò che permette di far convergere dove è necessario l'attenzione di chi guarda. La linea verticale dà un senso di grandiosità, di elevazione; la orizzontale, di calma; nelle curve è il segreto della grazia come quello dell'impeto. I ceramografi greci, che raggiunsero una perfezione estrema del d. lineare nella ceramica a figure rosse, specialmente attica, del cosiddetto "stile severo" (circa 525-450 a. C.; v. ceramica e le voci nominative dei maggiori artisti) rappresentano l'estremo svolgimento di una tradizione e di una problematica artistica secolare, che aveva avuto nell'età geometrica (IX-VIII sec. a. C.) la sua alta scuola di rigore e di ritmo. Questa estrema poggiava in gran parte sopra una esperienza artigiana, dalla quale erano nate regole e convenzioni, e non esclusivamente sopra la genialità individuale, come per sopravvivenza di interpretazione romantica siamo portati generalmente a credere. Tale esperienza artigiana si manifesta non solo nell'uso di schemi reversibili (contorni che possono servire sia per la figura di dorso che di fronte, sia avanzante la gamba o il braccio di destra che quello di sinistra; v. bibliogr.), ma in una serie di convenzioni formali, che vengono però vivificate di volta in volta dal forte senso di aderenza alla essenzialità delle forme di natura. I contorni sono disegnati in modo che ciascun segmento del corpo viene reso con una linea continua. Il ceramografo doveva esser passato attraverso una serie di esercitazioni consistenti a tracciare a contorni una determinata sezione del corpo umano, in modo da giungere a ripeterla con la stessa disinvoltura con la quale si arriva a impadronirsi della forma dei segni occorrenti per comporre una scrittura corsiva. (Un fondo di coppa, a Boston, mostra come il disegno si eseguiva mediante un pennello tenuto fra indice e pollice e guidato mediante l'appoggio del mignolo; v. fig. 166). Con tale padronanza, e con l'aiuto di un leggero abbozzo, egli poteva tracciare poi alla prima i contorni di una figura intera, con quella sicurezza che tanto ammiriamo; ma si noti che l'abbozzo è generalmente tale da mostrare che con esso non si cerca tanto di stabilire una forma, quanto di fissare l'andamento e i nodi principali di una forma già stabilita; l'abbozzo, cioè, non è invenzione, ma riporto di un disegno già perfetto, che serve da modello. Questi modelli, che si sogliono denominare "cartoni", dovevano esistere e circolare largamente non solo per la ceramica, ma, assai più ancora, per la pittura e poi per il mosaico, altrimcnti resterebbe inspiegabile quella unità iconografica che si riscontra in opere eseguite in località assai distanti tra loro, che è una delle caratteristiche del grande artigianato artistico antico e che si intensifica specialmente a partire dall'età ellenistica e durante l'Impero romano (v. modello). Questi "cartoni" dovevano essere essenzialmente disegnativi. Ritornando alla ceramica di età classica, la eccezionale sicurezza nel d. si spiega solo riconoscendola frutto di uno studio, che il ceramografo doveva avere a lungo esercitato e che si basava su regole saldissime, ben lontane da ogni improvvisazione individuale. (Si vedano i particolari figg. 168-171).
Osservando attentamente il d. dei ceramografi greci, si giunge alla constatazione che all'inizio della nuova tecnica a figure rosse (circa 530 a. C.), che porta con sé anche l'adozione di nuovi strumenti nella ceramografia, e che deve essere avvenuta sotto l'impulso di una grande personalità artistica, di un grande disegnatore, si hanno ricerche prospettiche più ardite che non a partire dalla generazione attorno al 490, quando si fa più frequente l'adozione di schemi piani, più facilmente trasmissibili per pratica artigiana. La ceramica non rispecchia dunque sempre uniformemente lo sviluppo del d. nell'arte greca.
Sotto la spinta delle sostanziali innovazioni apportate nella pittura dalla generazione che va da Mikon a Polignoto e ad Apollodoros, anche il d. a contorno lineare finisce per rompere la sua cristallina unità. Il contorno si spezza e la linea assume funzioni e valori plastici, nelle figurazioni ceramiche, attorno al 420 a. C. (v. canneto, pittore del). Si giunge talora a un d. nel quale la linea ha assunto un valore autonomo, creato volta a volta dall'artista, sorpassando l'antico e pur sempre presente fondamento della tradizione artigiana (ma preparando anche la decadenza della ceramica greca). È il momento nel quale le fonti letterarie collocano Parrasio (v.), i cui disegni su pergamena servirono per lungo tempo di scuola agli artisti (Plin., Nat. hist., xxxv, 68).
Ma già prima si hanno accenni a voler ottenere il modellato mediante ombreggiature con tratteggi a linee brevi e parallele, oppure con linee che seguono l'andamento della forma. Più tardi, per necessità di una più spinta modellazione, si ricorre all'incrocio (nei punti di maggiore ombra e vicino al contorno), limitandone sempre l'uso, perché quando viene soverchiamente ripetuto, l'incrocio indebolisce il rilievo divenendo più proprio ad esprimere lo spazio, l'atmosfera, a causa della neutralizzazione del potere espressivo connesso alla direzione della linea. Questi modi di disegnare, che trovano accenni nella ceramica attica fin da circa il 460 a. C. (v. chiaroscuro) continuano sino almeno alla metà del sec. IV a. C. quando, accanto ad essi, si constata anche il d. a macchia o per macchie. Il d. per macchie parte da un presupposto soprattutto visivo e precisamente dalla considerazione delle apparenze piatte sulla retina. È soprattutto il disegno del momento luminoso. La espressione di forma è affidata quasi completamente ai valori, cioè alla esatta valutazione dell'intensità luminosa di ciascuna macchia o massa di tono relativamente alle altre; la traccia lineare interviene solo come accentuazione e sostegno e come determinazione di particolari. Nell'arte europea questo modo di vedere, che venne preparandosi lentamente attraverso parziali scoperte, raggiunse grandissima intensità col Velázquez e rese possibile, due secoli dopo, l'avvento dell'impressionismo. Nell'arte greca si arrivò per questa via alla pittura compendiaria, che viene documentata dalle fonti per un'età che sta tra gli ultimi anni del IV e i primi del III sec. a. C. (v. philoxenos d'eretria; pittura).
Quanto precede porta a riconoscere nel noto monocromo ercolanese con la centauromachia (v. tavola a colori) una esercitazione di gusto classicistico (I sec. a. C. - metà del I sec. d. C.) ispirata al d. dell'ultimo venticinquennio del V sec., nella quale il segno a incrocio ha perduto il vigore della spontaneità e la sua effettiva funzione, assumendo accademica correttezza.
Bibl.: F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell'Arte del Disegno, Firenze 1681, s. v.; I. Meder, Die Handzeichnung. Ihre Technik u. Entwicklung, Vienna 1919; K. Riechhold, Skizzenbuch griechischer Meister, Monaco 1919, pp. 14 ss., 27 ss., 129, 130; R. Bianchi Bandinelli, in Monum. Pittura Antica, Clusium, Roma 1939 (per gli schemi reversibili); E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., Monaco 1923, III, p. 974, indice 14; R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'Arte Classica, Firenze 19502, p. 47 ss.; M. Cagiano de Azevedo, Punti oscuri della critica circa la pittura etrusca, in Arch. Class., II, 1950, p. 59 ss.; id., Osservazioni sulle pitture di un edificio romano di via dei Cerchi, in Rendic. Pontificia Accad., 1947-48, p. 253 ss. Per la tecnica del d. vascolare: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1923, II, p. 339.
(C. A. Petrucci - R. Bianchi Bandinelli)