DISEGNO (fr. dessin; sp. dibujo; ted. Zeichnen; ingl. drawing)
Rappresentazione grafica delle forme. È un modo di esprimersi universale, le cui prime manifestazioni precedettero la parola scritta e vennero via via sviluppandosi verso scopi utilitarî da un lato, e di pura idealità dall'altro, fino a divenire la sorgente e l'essenza stessa delle arti figurative. Per rappresentare la forma, le due maniere principali sono la proiezione e la prospettiva. La proiezione consiste nel determinare sopra una superficie piana le tracce delle perpendicolari abbassate da ciascuno dei punti dell'oggetto da rappresentare (v. proiezione). È questo il disegno scientificamente esatto che ha finalità prevalentemente pratiche, e trova la sua applicazione in tutti quei casi nei quali si richiede una verità precisa e misurabile, anziché una verosimiglianza più o meno approssimativa. La prospettiva consiste nell'esprimere in via geometrica o semplicemente intuitiva e pratica gli oggetti come li vediamo o come potremmo vederli; tenendo cioè conto delle alterazioni d'apparenza e delle proporzioni relative che la ubicazione e la distanza fanno loro subire (v. prospettiva). È questo soprattutto il disegno considerato come arte, le cui svariatissime manifestazioni vanno oggi comprese sotto il nome generico di bianco e nero. Il disegno artistico può essere fine a sé stesso oppure può essere studio, ricerca o preparazione dell'opera d'arte.
Base del disegno è la linea. Essa non esiste nel senso: l'occhio percepisce macchie di diverso colore e di varia intensità luminosa (toni e valori) i cui limiti si possono anche istintivamente esprimere per mezzo di segni lineari. Essa è un'astrazione del nostro spirito, una convenzione che permette di fissare le apparenze della forma.
Nell'infanzia della sua storia come in quella della sua vita, l'uomo sente la linea quale un istinto connesso al senso del tatto piuttosto che a quello della vista. Per questo, disegnando un volto di faccia, egli vi metterà un naso di profilo, perché l'immagine di tale organo è per lui soprattutto quella di un angolo; e sopra un volto di profilo disegnerà un occhio di prospetto perché non sa concepire una pupilla che non sia rotonda. Ma a mano a mano che impara a ricomporre intellettualmente le sue impressioni visive, egli modifica quelle interpretazioni lineari che perciò vanno rispecchiando la sua personalità intima e artistica. La tradizionale distinzione che si fa degli artisti in coloristi e disegnatori, secondoché sono più sensibili al colore o più scrupolosi per la forma, rimane sempre un buon mezzo per orientarsi nello studio degl'innumerevoli aspetti assunti dal disegno. Possono, questi, venir riuniti in tre gruppi: per contorni, per volumi, per macchie. Il primo ed il secondo sono proprî dei disegnatori; l'ultimo è dei coloristi.
Il disegno per contorni, che ha un punto di partenza mentale e tattile, ed è il più antico, il più semplice e forte, quello delle pitture vascolari greche, trae dalla sola linea la sua efficacia e la sua armonia. Il contorno è un elemento della forma tradotto nella linea; può essere limitato a circoscrivere l'esterno della forma stessa o esteso a tracciarne anche i particolari interni. Lo schema lineare rappresenta sempre il mezzo più potente di espressione. La necessità di esprimere con una linea anche quei limiti di masse che sono incerti e perduti, porta ad una robusta chiarezza. Il potere espressivo della linea risiede nella sua direzione e nella sua intensità. L'occhio è condotto a seguirne il percorso, ciò che permette di far convergere dove è necessario l'attenzione di chi guarda. La linea verticale dà un senso di grandiosità, di elevazione; la orizzontale di calma; nelle curve è il segreto della grazia come quello dell'impeto. Le variazioni di intensità l'aiutano efficacemente a meglio determinare la forma, e sono il primo passo verso una più completa espressione della forma interna. Questa si raggiunge per mezzo del modellato, che consiste nel distribuire e graduare le ombre, i riflessi, le luci. La linea sola, infatti, mentre può perfettamente esprimere le due prime dimensioni della forma, altezza e larghezza, può solo suggerire la terza, la profondità. Il modellato o ricerca dei volumi, può essere una semplice ombreggiatura che aiuti l'evidenza della forma, come nei disegni del Botticelli, e può essere spinto fino a dare al rilievo tutta la sua forza, come in quelli di Leonardo, il più grande fra i disegnatori, che ne studiò e ne rivelò tutte le possibilità. Si può modellare con un tracciato di linee oppure con piani sfumati. Nel primo caso le linee per mezzo delle quali l'ombra viene espressa possono venir tracciate seguendo l'andamento della forma, oppure in una unica direzione da esso indipendente. Per seguire la forma, trattandosi di forma solida, ed esprimerne con pienezza il senso di rilievo, il modo più usato è quello di segnare gli orli di altrettante sezioni prospettiche vicinissime della forma stessa, e perpendicolari al suo asse. Lo scorcio del cilindro e quello del cubo ne dànno la chiave. Le attenuazioni di valore all'estremità delle linee possono essere perfezionate con l'aggiunta di tratti e punti nella stessa direzione. Per necessità di una più spinta modellazione, si ricorre all'incrocio con nuovi segni, riducendone l'impiego al puro indispensabile, poiché quando viene soverchiamente ripetuto, l'incrocio indebolisce il rilievo divenendo più proprio ad esprimere lo spazio, l'atmosfera, a causa della neutralizzazione del potere espressivo connesso alla direzione della linea. L'ombreggiare con linee parallele, per lo più inclinate trasversalmente, permette di meglio padroneggiare il chiaroscuro, essendo più facile modellare con ritorni sulle linee stesse. Questa maniera, ch'è quella di Leonardo, conferisce al disegno molta unità, mistero e morbidezza, specialmente se le linee seguono la direzione della luce. Importante è lo spessore delle linee di contorno, tanto in via assoluta quanto relativamente a quello delle linee d'ombra. Una predominanza dei contorni può essere imposta da necessità pratiche, come nel disegno per vetrate, o da opportunità estetiche, come nel disegno per decorazione. La grossezza vien presa all'interno della forma dal lato dell'ombra, e all'esterno da quello della luce. Invece che con linee, si può modellare con piani di chiaroscuro, per mezzo dello sfumino o del dito se la materia adoperata è solida (carbone, grafite, sanguigna) oppure del pennello e dell'acqua se liquida (inchiostro). Quest'ultimo procedimento, difficile a padroneggiare, è più specialmente usato in sussidio di altre tecniche.
Il disegno per macchie parte da un punto di vista soprattutto visivo, e precisamente dalla considerazione delle apparenze piatte sulla retina. È soprattutto il disegno del momento luminoso. La espressione di forma è affidata quasi completamente ai valori, cioè all'esatta valutazione dell'intensità luminosa di ciascuna macchia o massa di tono relativamente alle altre; la traccia lineare interviene solo come accentuazione e sostegno, e come determinazione di particolari. È insomma una traduzione del colore in bianco e nero; ed è il disegno dei pittori, abituati dalle necessità del pennello a ridurre le apparenze ad un sistema di piani. Questo modo di vedere che venne lentamente preparandosi attraverso parziali scoperte, raggiunse grandissima intensità con Velásquez, e rese possibile nel secolo scorso l'avvento dell'impressionismo.
Quanto ai materiali, si può dire che le più disparate sostanze offrenti adatta superficie, siano state e siano sottoposte all'azione di quel qualsiasi strumento o di quella qualsiasi sostanza capace di lasciare su di esse una visibile traccia.
Restringendo il campo alle forme più diffuse e pratiche del disegno, dopo aver ricordato l'antico papiro e la vecchia pergamena, quest'ultima tuttora in uso per le sue preziose qualità, bisogna parlare in primo luogo della carta, la cui invenzione popolarizzò tale forma di espressione, e la cui diffusione, avvenuta nel sec. XV, fu il decisivo fattore di sviluppo d'una sua alta manifestazione: l'incisione. Le carte migliori sono quelle ottenute da cenci di lino o di cotone o da fibre vegetali, e fabbricate a mano. Quelle fatte con polpa di legno oscurano e si macchiano rapidamente. Nella carta hanno soprattutto importanza la grana e il colore. Quelle lisce o con leggerissime grane sono specialmente adoperate per disegni che richiedono soprattutto precisione e finezza di esecuzione, qualità difficili a ottenere su grane più sensibili, meglio adatte per disegni larghi e pittorici. Per alcune tecniche speciali si usa far subire alla carta preparazioni adeguate: così la carta per litografia, destinata a lasciare sulla pietra il segno tracciatovi con la matita e l'inchiostro litografici, si prepara con allume e colla d'amido; col bianco di China si pennellano le carte destinate al disegno a punta d'oro o d'argento, che altrimenti non riceverebbero traccia da questo squisito mezzo di esecuzione, il più puro e raffinato, in grande favore specialmente prima dell'invenzione della matita. Questa, che, per la comune pratica del disegno, è ora il più diffuso e comodo mezzo è costituita dalla grafite, che l'industria moderna prepara in numerose fogge e gradazioni di durezza, adattabili alle più varie esigenze. La matita non ha tuttavia possibilità di espressione molto estese. Il suo tracciato, eccellente per leggiere ombreggiature, perde di efficacia quando si forzano i valori, a causa della sua tendenza al lucido. Non può raggiungere l'intensità ottenibile col carbone e i suoi derivati. Questo, che nella sua forma naturale va sotto il nome di carboncino, è molto adoperato per disegni di preparazione o di ricerca, per la prontezza, libertà, ampiezza ed evidenza del segno, e la facilità di rinforzarlo, alleggerirlo o cancellarlo addirittura. Unico inconveniente del carboncino è la sua estrema instabilità, alla quale del resto facilmente si rimedia fissandolo, cioè spruzzandolo con acqua mista a latte o a gomma per mezzo di un vaporizzatore. Più compatte, e di rendimento più completo e potente, sono le matite Conté e Wolf, fatte di carbone compresso e graduato in durezza.
Molto in uso per il suo colore attraente e il bel vellutato delle gradazioni, è la sanguigna, terra rossa naturale, che si adopera da sola o associata al nero; in quest'ultimo caso su carta di colore. Col sussidio della gomma o della mollica di pane per modellare e cavar le luci, e del gessetto per i massimi lumi, questo modo di disegnare, diffusissimo nel Settecento, può raggiungere effetti assai vicini alla pittura. Con l'inchiostro si disegna in due modi: a penna e all'acquerello. La penna può essere quella d'oca, o quella, più comoda, d'acciaio, oggi fabbricata nei più svariati modelli; oppure il modernissimo stilo a serbatoio che dà un segno regolare e uniforme. Rembrandt eseguiva i suoi rapidi e vivaci disegni con fuscellini di bambù temperati a guisa di penna d'oca, dai quali traeva un segno sottile o grosso secondoché li adoperava in direzione del taglio o nel senso contrario. Il suo inchiostro favorito era un decotto di mallo di noce, d'un bellissimo bruno dorato. Ma il più usato degl'inchiostri è quello di China, che si presta meglio d'ogni altro, diluito con acqua e steso con pennelli di martora, alle più delicate sfumature. I pittori usano più volentieri la seppia o il bistro. I pennelli per disegnare sono di martora, di pelo lungo, molto appuntiti; ne occorrono almeno due, uno più piccolo per stendere l'inchiostro, e un altro più grande per sfumare con l'aiuto dell'acqua. Ciascuno dei mezzi a cui si è accennato ha il suo carattere, la sua convenzione, le sue possibilità di espressione che non si possono forzare ma che è necessario rispettare.
Fra gli strumenti di cui si giova il disegnatore, sono da citare i compassi e loro accessorî, le squadre in tutte le loro varietà, la riga, il regolo, i curvilinee; il tiralinee, gli sfumini di carta, di pelle, di sughero; il filo a piombo; il pennello ad aria, recente invenzione che permette di ottenere spruzzando, regolari gradazioni di chiaroscuro su larghe superficie; le tavolette e gli stiratori su cui si appunta e si stira, incollandone i bordi, la carta per disegnare; la gomma, il raschietto, le raschiature di pergamena per cancellare; i cavalletti per sostenere il lavoro. Per facilitare la ricerca del taglio o impaginazione c'è l'inquadratore; per tradurre i toni in valori aiuta lo specchio nero; per riprendere direttamente dal vero, l'ortorama (Bramante, Leonardo), la camera chiara e scura, la fotografia; e, da modelli preesistenti, la lanterna da proiezioni, il pantografo che insieme col compasso a riduzione serve a variare le dimensioni nella riproduzione; per riportare in uguale grandezza, la carta oliata, i fogli di mica e di celluloide, la tela trasparente, la carta da calco; il procedimento dello spolvero e quello della quadrellatura. Per moltiplicare i disegni, oltre a tutte le forme d'incisione su metallo, legno e pietra, ci sono la carta cianografica ed il poligrafo; e il sistema della stampigliatura.
Raccolte di disegni. - Nel disegno abbozzato, o "schizzo", l'espressione grafica è variamente schematizzata, e risponde a una prima idea o ad una rapida visione; in quello finito l'esecuzione è più curata come per prolungato studio e osservazione. Il disegno può comprendere un solo particolare o cose e persone nella loro totalità; può essere un primo pensiero per un'opera d' arte (pittura, scultura, architettura, tarsia, ricamo ecc.), rappresentarne uno stadio intermedio oppure il definitivo. Raffaello in un suo disegno degli Uffizî ci darà il primo pensiero per la Madonna del Granduca della Galleria Pitti e in altri disegni della medesima raccolta gli studî definitivi pel S. Giorgio che atterra il drago dell'Ermitage e del Louvre e la Madonna detta Esterházy del Museo di Budapest, tre quadretti con le identiche dimensioni delle carte. Incisori come il Callot, il Della Bella e tanti altri hanno lasciato studî preparatorî per le loro stampe insierne con diversi studî dal vero o di fantasia.
Di grande interesse sono i taccuini o album di viaggio che un artista portava con sé lasciando su ciascuna pagina i disegni e a volte anche i commenti scritti di quello che aveva veduto e copiato in un determinato periodo di tempo. Così fecero il Dürer pel suo viaggio nei Paesi Bassi tra il 1520 e 1521, Baldassarre Peruzzi durante la sua residenza a Siena e a Roma, Stefanino Della Bella nel 1636 a Roma, Bartolomeo Pinelli nel 1801 a Roma, Alberto Pasini nel suo viaggio in Oriente ecc. In genere, la vita interiore degli artisti si è sempre rispecchiata nei loro disegni, e in modo intimo, quasi segreto, sì che le carte disegnate possono essere vere rivelazioni della preparazione delle opere d'arte. Nacque perciò facilmente tra gli intenditori di arte, e prima tra gli artisti, il desiderio di conservare e di raccogliere disegni. Già il Vasari aveva riuniti e preziosamente inquadrati in un libro molti disegni - poi dispersi - di antichi e di suoi contemporanei, ch'egli sovente ricorda. Accanto alle quadrerie e alle collezioni di stampe si formarono presto raccolte di disegni; e sono da ricordare tra i raccoglitori e i fondatori di raccolte pubbliche Carlo Ridolfi (1594-1638), Michel de Marolles (1600-1681), il card. Leopoldo de' Medici (1617-1675), sir Peter Lely (1618-1680), Filippo Baldinucci (circa 1624-1696), William secondo duca di Devonshire (1665-1729), sir Joshua Reynolds (1723-1792), R. Payne Knight (1750-1824), sir Thomas Lawrence (1769-1830), Giuseppe Bossi (1777-1815), A. C. His de la Salle (1795-1824), E. Santarelli (1801-1886), John Malcolm (1805-1901), Léon Bonnat (1833-1922), A. von Beckerath (1834-1915), George Salting (1833-1909), sir E. Poynter (1836-1919), J. P. Morgan (1837-1913), J. P. Heseltine (1843), H. Oppenheimer (1859), Hofstede de Groot (1863).
Tra le raccolte pubbliche in Italia il primo posto è tenuto dal Gabinetto dei disegni e delle stampe nella Galleria degli Uffizî a Firenze che contiene oltre centomila esemplari. Il primo nucleo della raccolta fu formato dal cardinale Leopoldo de' Medici con l'acquisto di molti dei disegni del famoso "libro del Vasari". Il Gabinetto ha sale di studio, una per le esposizioni temporanee, schedarî manoscritti, cataloghi a stampa e una biblioteca specializzata di pubblicazioni che riguardano esclusivamente disegni e stampe. Si seguono in Italia per importanza le raccolte dell'Ambrosiana di Milano, il Gabinetto dei disegni e stampe presso la Galleria Corsini in Roma, della Biblioteca reale di Torino, della casa Buonarroti a Firenze, dell'Accademia a Venezia, del Museo Malaspina a Pavia, dei musei d'arte della città di Genova, ecc. In Francia le principali raccolte sono, a Parigi, nel Museo del Louvre, nelle Biblioteche nazionali: di Santa Genoveffa, dell'Opéra, e nella Scuola nazionale di belle arti, a Chantilly nel Museo Condé, a Bayonne nel museo (raccolta Bonnat), a Lione nella biblioteca civica, a Lilla nel Museo Wicar, a Montpellier nei Musei Atger e Fabre, a Montauban nel Museo Ingres. In Spagna a Madrid nella Biblioteca Nazionale. In Germania: a Berlino nel Gabinetto dei Musei di stato e nella Galleria nazionale (Museo d'arte moderna), a Brunswick nel museo ducale, ad Amburgo nella Kunsthalle, a Dresda nel Gabinetto dei disegni e delle stampe, a Francoforte sul Meno nell'istituto Städel, a Hannover nel Museo Kestner, a Lipsia nel museo delle belle arti, a Weimar nel Museo nazionale Goethe, a Stoccarda nel Gabinetto dei disegni e delle stampe, a Schwerin (Meclemburgo) nel Museo già granducale, a Monaco nel Gabinetto dei disegni e delle stampe, a . Königsberg nell'Accademia di belle arti. In Ungheria: a Budapest nella Galleria nazionale di pitture e nel Museo di belle arti (Gabinetto dei disegni e stampe). In Svizzera: a Basilea nel museo di belle arti (gabinetto dei disegni e stampe), a Zurigo nel Polytechnikum (Gabinetto dei disegni e stampe). Nel Belgio: a Bruxelles nel Museo reale di belle arti, ad Anversa nel Museo Plantin-Moretus. In Inghilterra: a Londra nel British Museum e nel Victoria and Albert Museum, a Windsor nella Biblioteca reale, a Oxford nella Biblioteca del collegio di Christ-Church e nel dipartimento di belle arti nell'Ashmolean Museum, a Cambridge nei musei Fitzwilliam e Fog, a Edimburgo nel museo di pittura. In Olanda: all'Aia nel Museo comunale, a Leida nella biblioteca dell'università, a Rotterdam nel museo Boymans, a Haarlem nel museo Teyler, ad Amsterdam nel museo Fodor e nel Gabinetto dei disegni e stampe dello stato. In Danimarca: a Copenaghen nel Gabinetto reale di disegni e stampe. In Svezia: a Stoccolma nel Museo reale e nel Museo nazionale. In Russia a Leningrado nell'Ermitage. Negli Stati Uniti a Pittsburg nel Carnegie Institute.
Riguardo alla conservazione dei disegni è da notare che si dice frammentario il disegno che manca di qualche suo elemento per abrasione o lacerazione della carta; si dice controfondato quando a tergo della carta originale è stata impastata o incollata altra carta o cartoncino: questo procedimento si può giustificare soltanto se il disegno è frammentario, altrimenti è inutile e può coprire qualche altro disegno, giacché era frequente l'uso di disegnare sul diritto e sul rovescio della carta.
I disegni che generalmente sono conservati in cartelle sono montati in cornici di cartone, fermati con una brachetta di tela da ingegnere, protetti da una sostanza trasparente chiamata "cellite" che si può distendere come una lastra di vetro, evitando il contatto col disegno. Il nemico peggiore del disegno, che si può combattere con l'uso di naftalina e canfora mescolate insieme e messe in sacchetti o scatolette, è un insetto attero, di color argenteo, molto rapido nei movimenti, appartenente al genere Lepisma (con ogni probabilità la Lepisma saccarina) detto volgarmente "pesciolino", il quale produce erosioni e cunicoli nella carta. Le carte su cui sono eseguiti i disegni sono soggette ad alcune malattie; la più pericolosa è la muffa prodotta dall'umidità sulle carte più assorbenti e contenenti una maggiore quantità di amidi, anziché di colla; meno temibili sono le cosiddette "macchie di ruggine" che si possono togliere con una certa facilità senza compromettere il disegno, e che si producono per éffetto di certi lavaggi fatti subire alle carte stesse durante il periodo di lavorazione.
Il disegno, se è eseguito a penna, è più soggetto a sbiadirsi per effetto della luce e così oggi indistintamente tutti i disegni delle raccolte pubbliche e private sono conservati in cartelle dentro armadî.
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Disegno architettonico.
Non basta il soggetto "architettonico" a far sì che lo stesso aggettivo definisca ogni rappresentazione grafica di quello: occorre anche una forma mentis architettonica, manifestata prima dalla scelta di ciò che del soggetto si è voluto rappresentare o mettere in evidenza, poi dal metodo di rappresentazione e infine dalla tecnica di esecuzione - e talora da certe convenzioni - per conferire al disegno il carattere architettonico e distinguerlo dal disegno pittorico a soggetto architettonico o dal disegno scenografico. Cioè, mentre il soggetto per un verso apparenta il disegno architettonico con i disegni ora citati, e per un altro verso lo distingue dagli altri disegni tecnici più propriamente o industriali o d'ingegneria, il modo particolare di mettere il soggetto in più o meno stretto rapporto con la costruzione, i metodi di rappresentazione e le tecniche grafiche lo rendono più affine agli altri linguaggi tecnici grafici. Ciò deriva dalla mentalità architettonica che è rivolta contemporaneamente all'arte e alla tecnica e però il suo linguaggio ha affinità tanto col linguaggio artistico quanto col linguaggio tecnico.
Ogni elaborato grafico, appartenente a un qualunque stadio della progettazione architettonica, riflette le doti di chiarezza, di esattezza, di geometrizzazione e di costruttibilità insite in ogni concezione architettonica, ma in misura varia e sempre maggiore quanto più si avvicina allo stadio esecutivo dell'opera: ed è una lungȧ serie di disegni con i quali l'architetto, volta per volta, parla graficamente con maggiore o minore determinatezza a sé stesso (in un primo bozzetto di massima), al committente, ad altri tecnici al cui giudizio può essere sottoposto l'esame del progetto, al pubblico e infine all'imprenditore dei lavori e a qualunque operaio esecutore di una qualsiasi parte dell'opera. È naturale che, in dipendenza delle persone e degli scopi per cui è adoperato il linguaggio grafico architettonico, esso varî più o meno sensibilmente e talora anche profondamente, mentre, dall'unità dello spirito che se ne serve, esso attinga gli elementi comuni e però caratteristici. E questi elementi si ritrovano anche nell'altra categoria di elaborati grafici che l'architetto esegue dal vero, a ricordo o a descrizione di monumenti architettonici da illustrare, o per rilievo di edifici preesistenti e vincolanti una progettazione.
Dall'anzidetto consegue che le classifiche degli elaborati grafici architettonici possono essere molteplici, se estrinseche: sia quando, partendo dalla precedente realizzazione o meno del soggetto, distinguono i disegni architettonici in studî dal vero e rilievi da una parte, in disegni di progetto, fantasie, visioni architettoniche dall'altra; sia quando, basandosi sull'adozione o meno di sussidî alla mano che l'ha tracciato li dividono in disegni con strumenti di precisione (squadre, righe, compassi) e disegni a mano libera; sia quando dal vario effetto raggiunto li suddividono in disegni a soli contorni, a chiaro-scuro, a colori, a mezza-macchia, a tutto effetto, oppure distinguono i disegni dalle varie tecniche adoperate; sia quando ancora, a seconda del metodo di rappresentazione, li differenziano in disegni a proiezione centrale, o prospettici, in disegni assonometrici (importante la sottospecie di isometrici) e in disegni a proiezioni ortogonali (piante o icnografie, prospetti od ortografie, sezioni o sciografie), sia infine quando, in base alla scala del disegno, li ripartiscono in tre categorie: disegni di dettaglio o particolari (dalla scala massima = 1, disegni al vero, sino alla scala di 1/25), disegni d'insieme d' un solo edificio (dalla scala precedente a quella di 1/200, più usate quelle di 1/50, 1/100, 1/200), disegni d'insieme di gruppi d'edifici, a scale minori di 1/200, mostranti l'ubicazione, i rapporti, i movimenti di massa di un edificio rispetto ad altri o le planimetrie generali di rioni o sistemazioni edilizie urbane (scale più comuni 1/500, 1/1000) o gli studî d'insieme di piani regolatori alle scale usate per i disegni topografici.
Una classificazione intrinseca, invece, non può fare che due sole categorie degli elaborati grafici architettonici: disegni espressivi e disegni tecnici, secondo che in essi l'architetto parli piuttosto da artista o da tecnico. Ma poiché il tecnico e l'artista sono in lui connaturati, il più espressivo dei suoi disegni conserverà sempre qualche cosa di tecnico che, per quanto imprecisabile, lo differenzierà dal disegno analogo di un puro pittore e viceversa. Ché anzi, proprio nell'abitudine dell'architetto e non del pittore di precisare le parti esterne e interne delle sue opere secondo una concezione totalitaria, in questa natura dell'architetto che lo porta continuamente a non arrestarsi agli aspetti superficiali, emotivi delle architetture, e a passare continuamente all'introspezione tecnica e funżionale, si deve cercare la giustificazione ai disegni suoi più criticabili come ibridi o illogici, eppure più caratteristici. Tali sono quelli in cui, dopo aver rappresentato in prospettiva o in assonometria, - procedimenti notoriamente più adatti rispettivamente al linguaggio emotivo od espressivo l'uno, e al linguaggio grafico dimostrativo l'altro - evita ogni ricerca d'effetto e si arresta invece ai soli contorni; o quegli altri disegni in cui alla rappresentazione più rigorosa a contorni in proiezioni ortogonali - notoriamente la più adatta ai disegni tecnici, - sovrappone invece il tutto effetto a colori, ricorrendo anche ad appositi convenzionalismi.
Comunque resta di fatto che non sempre gli architetti hanno considerato i loro disegni solo come mezzo al fine, e non hanno attribuito loro quel valore d'arte che davano all'opera da costruire o già realizzata: a talune prospettive e qualche volta ad alcune ortografie o assonometrie essi han dato invece vera importanza artistica.
Cenni storici. - Ogni civiltà che ci ha lasciato monumenti dovette avere un'adeguata progettazione, sia plastica, sia disegnata. Ma delle epoche classiche, oltre a rare testimonianze storiche, non ci rimangono che le pitture a soggetto architettonico e qualche incisione su pietra. Più che di architetti, disegni di artieri a servizio di architetti possono essere considerate alcune costruzioni geometriche per esempio incise da scalpelli greci su tegole curve di capitelli, per determinare sulla faccia superiore le sporgenze e le curvature delle fronti, o da scalpelli romani a rappresentare su lastre lapidee piante di edifizî come, ad esempio, la Forma Urbis Romae.
Notevolissima doveva essere la perizia disegnatim degli architetti ellenistici, a giudicare da quella grandissima dei pittori decoratori che ad es. a Pompei negli affreschi specie del III e IV stile mostrarono vivo senso prospettico-architettonico. È più che probabile che il disegno architettonico fosse decaduto col decadere stesso dell'architettura, specie nel passaggio al protoromanico: molte grossolanità e inesattezze di costruzione debbono attribuirsi a mancata previdenza e preordinazione architettonica, cioè a deficiente progettazione. Ma con gli Arabi prima, e poi man mano che ci si avvicina al fiorire del gotico, si dovette avere una rifioritura del disegno architettonico. È certo che dell'epoca gotica sono i più antichi resti pervenutici e, siano fogli di quaderni di studio, siano resti di progetti, essi mostrano diligenza ed esattezza di esecuzione.
Con i trattati a stampa del '500 abbiamo nelle figure, sebbene interpretate dagli incisori, nuovi elementi per seguire l'evoluzione dei disegni architettonici, ma bisogneranno altri tre secoli per avere riproduzioni assolutamente fedeli e dirette dei disegni originali. Ma, intanto, sia all'abitudine legale già diffusa nel '400 di allegare ai contratti relativi alle costruzioni di opere, i disegni originaii o loro copie, sia all'amore cinquecentesco di raccogliere e custodire disegni dei maestri, dobbiamo la conservazione di un materiale autentico, talora importantissimo, adunato ora in varie raccolte: notevolissima fra tutte quella nazionale agli Uffizî in Firenze. Pure al Rinascimento andiamo debitori dello sviluppo del disegno di rilievo da monumenti antichi e del diffondersi delle norme sempre più rigorose della prospettiva. I disegni in proiezioni ortogonali degli architetti del '500 sono prevalentemente però disegni per modelli in legno od archetipi, ritenuti normalmente necessarî elementi di passaggio a l'esecuzione delle opere importanti. I disegni di quel tempo (salva qualche curiosa intromissione di elementi - come capitelli, profili - disegnati prospetticamente e la presenza nei profili anche del disegno di elementi sottosquadro) appaiono corretti molto tempo prima della scientifica trattazione del Monge del metodo di rappresentazione. Con questa, ma prima e più col barocco, il disegno architettonico diventa anche troppo abile e da allora lotterà per sottrarsi alla suggestione del disegno scenografico, rigogliosamente sviluppatosi, né ciò sarà senza conseguenze: il disegno architettonico avrà spesso uno sviluppo indipendente e superiore a quello della stessa architettura (Piranesi). Verso la fine del '700 il disegno architettonico, prima chiaroscurato con macchia ad acquerello più pittorica, perde d'impeto, ma acquista quel metodico - e a volta meccanico - chiaroscuro sfumato, che conserverà e svilupperà alla perfezione nel secolo seguente, salva la parentesi della passione per i disegni prospettici di soli contorni dettagliatissimi, o qualche volta leggermente ombreggiati, avutasi con l'Impero, tendenze entrambe già menzionate.
Nel secolo scorso contribuiscono potentemente ad affinare sempre più i mezzi e le tecniche d'espressione i frequenti concorsi architettonici, i diversi esami dei progetti da parte di commissioni d'ornato o edili, l'insegnamento scolastico superiore, la carriera del disegnatore d'architettura: se pure l'influenza di tutti questi fattori non è stata sempre altrettanto benefica sull'architettura, quanto lo è stata sul disegno. Col sec. XX, insieme ad una corrente continuatrice del virtuosismo chiaroscurale e realistico del secolo passato, ne troviamo un'altra più moderna che riflette le tendenze (astrattista, stilistica, volumetrica, decadente) delle arti figurative in genere. Più decisamente la tavola architettonica di questi architetti disegnatori vien considerata opera decorativa, epperò influenzabile dalle tendenze dell'arte decorativa moderna, anzi tanto più svincolata, come tavola decorativa, dall'aderenza alla realtà quanto più irreale il modo di rappresentazione. D'altra parte però il tecnicismo trionfante oggi ha dato anche tale un rigore alla rappresentazione architettonica per eccellenza tecnica, cioè al disegno in proiezioni ortogonali, da salvarlo da qualche tralignamento espressionista rimasto limitato a qualche prospettiva, anche se l'ha troppo avvicinato al disegno meccanico o a quello di ingegneria. Del resto concorrono oggi a questo avvicinamento da un lato l'enorme sviluppo odierno dei più svariati impianti tecnici nei fabbricati, da prevedere e sistemare nei disegni di progetto e sviluppare in quelli d'esecuzione, e dall'altro l'organizzazione tecnico-industriale moderna dei maggiori studî di architettura, in cui la ripartizione e la specializzazione delle mansioni fa sì che disegnatori puramente tecnici lavorino a fianco degli altri per la compilazione, sotto unica guida, di unici progetti, né va taciuta una più profonda ed intima ragione di avvicinamento in certe simpatie dell'architettura razionalista contemporanea. Il disegno architettonico professionalmente si è avvantaggiato dei rapidi progressi compiuti dalla tecnica di riproduzione eliografica capace di dare copie fedeli ma più stabili e complete (negli elementi simmetrici) degli originali stessi.
Bibl.: G. Giovannoni, La figura artistica e professionale dell'architetto, Roma s. a.; A. Bartoli, I monumenti antichi di Roma nei disegni degli Uffizi di Firenze, Roma 1914; H. Egger, Architektonische Handzeichnungen alter Meister, Vienna 1911 segg.; E. Geymüller, Les projets primitifs pour le basilique de S. Pierre, Parigi 1875; E. Viollet-le-Duc, Comment on devient dessinateur, Parigi 1883; R. Blomfield, Architectural Drawing, Londra 1912; G. Gordon Hake e E. H. Button, Architect. Drawing, Londra 1929; H. W. Roberts, Architect. Sketching and Drawing in perspective, Batsford 1916; C. A. Farey e A. T. Edwards, Architect. Drawing, Londra 1931.
V. tavv. I-XII.
L'insegnamento del disegno.
Lo studio del disegno, per la sua importanza educativa, spirituale e pratica, non dovrebbe da nessuno essere trascurato. Come elemento di educazione, esso è un potente mezzo per abituare all'osservazione, stimolare la curiosità per le cose, facilitandone la conoscenza; affinare la sensibilità, favorire lo sviluppo dell'immaginazione e della memoria; educare l'occhio all'esattezza di percezione e la mano a una rispondenza pronta e sicura, ciò che è d'innegabile vantaggio nelle varie contingenze della vita.
I numerosi modi d'insegnamento si possono dividere in due categorie: scientifica e intuitiva. Dipendono sempre dallo scopo che debbono conseguire, il quale può essere di semplice cultura, per tutti, o di avviamento professionale per gli operai e gli artieri, o di preparazione per i tecnici o per gli artisti. Il metodo scientifico si basa sulla geometria, che sola può fare del disegno uno strumento di precisione. L'intuitivo, sulla libera e diretta osservazione della natura. Superato il primo stadio di esercizio, chi fu chiamato all'arte può affrontare le difficoltà dell'interpretazione. Si raccoglierà nel soggetto, per sentirlo intensamente ed avere una chiara idea del modo di esprimerlo. Cercherà soprattutto la semplicità e la concisione, sacrificando tutto ciò che non è indispensabile e accentuando l'essenziale, vivendo ogni segno, cercando, nella forma, la terza dimensione, ch'è il segreto dell'arte. Appena sentirà di aver tradotto con efficacia la sua idea in linee e valori, lasci il lavoro: l'opera è finita indipendentemente dalla maggiore o minore compiutezza dei particolari.
L'insegnamento del disegno dovette avere origine nella più remota antichità, sotto forma d' insegnamento della scrittura, quando l'espressione grafica del linguaggio era rappresentazione lineare di oggetti. Gli Egiziani e gli Ebrei con le nozioni di geometria che impartivano nelle loro scuole educavano certamente l'occhio e la mano alle proporzioni e alla sicurezza del tratto. Nel Medioevo, le arti e i mestieri che si tramandavano, per pratica, di padre in figlio richiedevano necessariamente l'ausilio del disegno. Vittorino da Feltre nel Quattrocento introdusse per primo il disegno nella sua Casa giocosa; Cennino Cennini nel Libro dell'arte e Maffeo Vegio nei suoi libri di educazione, compresero anche il disegno. Nel Cinquecento il Vasari e soprattutto il grande Leonardo, nei loro trattati, dettero norme e consigli per l'insegnamento di questa materia. In generale però il disegno si apprendeva allora, come per altri secoli ancora, nella bottega dell'artista. Più tardi il Vico diede grande importanza alla cultura estetica del bambino, e prima di lui il Locke aveva consigliato il disegno nelle scuole, sia come ausilio alla scrittura sia come utilità pratica. Nel 1786 G. Volpato e R. Morghen pubblicarono le prime tavole per l'insegnamento del disegno, tratte dalle statue antiche. Ma chi diede impulso allo studio del metodo fu il Rousseau, il quale sostenne che il disegno dovesse essere insegnato mediante l'imitazione del vero e non mediante la copia di disegni. Lo seguirono il Pestalozzi che non si allontanò dalle teorie del francese, il Fröbel, creatore dei giardini d'infanzia e lo Spencer, paladino del disegno spontaneo.
In Francia, si continuò seriamente a dare importanza a questa disciplina comprendendone tutta l'utilità pratica e sin dal 1833 il disegno fu incluso tra le materie d'insegnamento nelle scuole primarie.
Nel 1851 gl'Inglesi, dopo la grande esposizione di Londra, introdussero questa disciplina come materia obbligatoria nelle scuole. Nel 1908 a Londra fu tenuta un' esposizione didattica che riuscì assai interessante per i varî metodi di disegno che vi figuravano.
Anche in Germania lo studio del disegno aveva avuto un largo sviluppo e a Berlino nel 1864 veniva fondato un giornale con l'intendimento di esaminare i differenti metodi proposti per questo insegnamento; in seguito, nel 1896, la cosiddetta riforma di Amburgo estese a tutta la Germania lo studio del disegno geometrico. A Dresda nel 1912, in occasione del grandioso congresso, a cui presero parte tutti gli stati d'Europa, si ebbe un'immensa esposizione didattica di disegni fanciulleschi che molto contribuì all'incremento di questi studî. Intanto s'era accesa in America la campagna a favore del disegno spontaneo per opera del Tadd di Philadelphia.
Il disegno fu introdotto nelle scuole italiane nei primi anni dopo la costituzione del Regno. Nel 1870 il Ministero raccomandava un testo illustrato di disegno di Guido Schreiber, ritenuto allora opera perfetta. Secondo questo libro, s'inizia lo studio del disegno con le prime figure geometriche a mano libera alla lavagna. Sin da allora si combatteva il sistema di condurre con troppa cura le copie e si sconsigliavano le minuzie di contorno e di chiaroscuro; si mirava invece a sviluppare il senso decorativo con elementi tratti dalla natura. Nel 1901 Leopoldo Franchetti introdusse per primo nella Montesca l'insegnamento sistematico del disegno; nel 1907 Maria Montessori a Roma creò le Case dei bambini dando il primo posto ai colori e al disegno.
I congressi degl'insegnanti di disegno tenutisi nel 1907 a Perugia, nel 1909 a Bologna, nel 1913 a Palermo, nel 1914 a Firenze, agitarono sotto tutti i punti di vista il problema del metodo sia nelle scuole elementari sia nelle secondarie. Nelle scuole elementari e nelle scuole normali alcuni volevano che il disegno fosse di ausilio a tutte le materie d'insegnamento, altri che fossero riprodotte scenette della vita disegnando la figura umana in modo schematico come la rappresentano i bambini, cioè busto, braccia e gambe con linee rette, e la testa con un circoletto; altri voleva dare una certa apparenza di forma, altri pretendeva che fossero espressi anche i sentimenti, ecc. Nelle scuole e istituti tecnici si voleva l'abolizione completa del modello grafico, e l'inizio immediato del disegno dal vero. La riforma Gentile del 1923 promosse il disegno spontaneo, il disegno-giuoco, quale primo linguaggio grafico, perché il bambino si esprime meglio con i segni che con le parole. Nelle scuole secondarie andò in vigore il disegno come studio, come cultura estetica e come utilità pratica.
Bibl.: P. Selvatico, Disegno elementare e superiore, Padova 1872; G. Schreiber, Il disegno lineare, Torino 1882; C. Boito, I principi del disegno, Milano 1881; M. Braunschvig, L'art et l'enfant, Parigi 1907; G. Lombardo-Radice, Athena fanciulla, 3ª ed., La buona messe, Roma 1926; G. Costa, Il disegno negli istituti magistrali e nelle scuole elementari, in Annuario del R. Istituto Magistrale