dislocazioni
Si chiama dislocazione (cioè «spostamento») un tipo di costruzione tipica della lingua parlata (ma riscontrabile, fin dall’italiano antico, anche in alcune varietà di quella scritta: vedi oltre; ➔ lingue romanze e italiano), nella quale alcuni costituenti (l’oggetto o un complemento indiretto, ma anche altri) non occupano le posizioni normalmente previste dalla struttura della lingua (nel caso dell’italiano: Soggetto-Verbo-Oggetto, o SVO), ma sono spostati in posizione «non canonica» (Blanche-Benveniste 20062: 477) per effetto di una focalizzazione (➔ focalizzazioni), svolgendo così una particolare funzione pragmatica ed esprimendo un particolare significato in relazione alla progressione dell’informazione.
Nella dislocazione, l’oggetto o il complemento indiretto – espressi tanto da sintagmi nominali quanto da frasi completive (➔ completive, frasi) – possono essere sia spostati (o dislocati) all’inizio della frase (cioè a sinistra del verbo), e quindi ripresi da un pronome clitico (➔ pronomi di ripresa), sia spostati (o meglio, isolati) alla fine della frase (a destra del verbo), e quindi anticipati da un pronome clitico. A seconda del tipo di spostamento, si hanno così la dislocazione a sinistra e la dislocazione a destra, qui sottolineate (vedi 2, 3; 5, 6; 8, 9) rispetto a quelle non sottolineate (vedi 1, 4, 7):
(1) vedrai Anna domani?
(2) Anna, la vedrai domani?
(3) la vedrai domani, Anna?
(4) Anna andrà a Roma il prossimo fine settimana
(5) a Roma, Anna ci andrà il prossimo fine settimana
(6) Anna ci andrà il prossimo fine settimana, a Roma
(7) ho proprio bisogno di stare da solo
(8) di stare da solo, ne ho proprio bisogno
(9) ne ho proprio bisogno, di stare da solo
Presente in un alto numero di lingue (cfr. Cardinaletti 1983 per il tedesco; Blasco-Dulbecco 1999 e Pagani-Naudet 2005 per il francese; Casielles-Suárez 2003 per lo spagnolo; per importanti differenze fra le lingue romanze, cfr. Simone 1997), la dislocazione è largamente attestata, a partire dal latino tardo, in tutte le epoche della storia dell’italiano (D’Achille 1990). Ciò nonostante, tranne poche eccezioni, il costrutto è stato di fatto trascurato dalla trattatistica italiana fino agli anni Settanta del secolo scorso, perché considerato vezzo stilistico o tratto ‘non-standard’ pertinente ai registri colloquiali più bassi, e quindi da censurare sulle grammatiche normative. Oggi, in seguito a ricerche condotte su corpora testuali sempre più vasti, e grazie a valutazioni di tipo pragmatico e relative alla progressione dell’informazione nell’enunciato, si riscontra e accetta l’uso della dislocazione non solo in tutti i registri del parlato, ma anche in alcune varietà scritte: dal giornalismo alla prosa letteraria alla poesia (cfr. gli esempi riportati in De Benedetti 2009: 38-49).
Secondo D’Achille (1990), la prima segnalazione del fenomeno della dislocazione si deve probabilmente a ➔ Pietro Bembo, il quale nei capitoli XXI-XXII del terzo libro delle Prose della volgar lingua, pur non censurandone l’uso, lo giustifica soprattutto in chiave stilistica, relegandolo «all’ornamento e alla vaghezza del parlare». Nella linguistica moderna, la prima individuazione del costrutto (benché menzionato rapidamente già da Fornaciari: «sovente, massime nel parlare familiare, e quando la chiarezza o la forza lo richiedono, l’oggetto ora si anticipa ora si ripete nella medesima proposizione, mediante le forme congiuntive dei pronomi»; 1881: 311) si deve probabilmente a Charles Bally, che ne fa cenno nel quadro più ampio dei casi di segmentazione della frase, che può così assumere una funzione espressiva e quindi generare sorpresa e attesa (Bally 1932; e cfr. Simone 1997: 53-55 per un approfondimento). Quasi coevo a Bally è il lavoro di Meriggi (1938), il primo studioso italiano a trattare specificamente – sulla base di testi teatrali di autori toscani – dell’anticipazione dell’oggetto diretto con ripresa pronominale, ovvero della dislocazione a sinistra (cfr. Rossi 1999: 146 segg.).
Come già accennato, si definisce dislocazione a sinistra il costrutto in cui l’oggetto o il complemento – espressi tanto da sintagmi nominali quanto da frasi completive – vengono spostati (o dislocati) a sinistra del verbo e, in genere, ripresi da un pronome clitico:
(10) la casa, la acquisteremo non appena otterremo un mutuo
(11) di acquistare la casa, se ne parlerà forse il prossimo anno
Sul piano della struttura tematica (➔ tematica, struttura), la dislocazione a sinistra stabilisce ed evidenzia il tema, dando l’impressione che l’elemento dislocato si riferisca a qualcosa di già noto (➔ dato/nuovo, struttura). Oltre che sul piano informativo, la dislocazione a sinistra ha anche – nel parlato – una chiara funzione pragmatica, poiché rende dinamica la conversazione e si presenta come un modo per portare o riportare un tema all’attenzione dell’interlocutore, o anche un modo ‘competitivo’ per prendere il turno, legittimato dal fatto che il tema è probabilmente già stato introdotto in precedenza, ed appare quindi di interesse comune agli interlocutori stessi (Duranti & Ochs 1979); oppure, appare come nuovo, e sposta quindi il discorso verso un diverso «centro di interesse» (Berruto 1997).
Dal punto di vista testuale, infine, la dislocazione servirebbe a far fronte alla difficoltà di pianificazione tipica del parlato (Sornicola 1981), nonché a rafforzare la coesione all’interno dell’enunciato o tra enunciati. Ciò si può notare, ad es., dal confronto tra alcune battute di dialogo tratte dal film La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (2003, citato in Caviglia 2005: 11), dove appaiono i costrutti marcati (12), estremamente funzionali, e l’adattamento del dialogo per i sottotitoli, che seguono invece un ordine SVO (13):
(12) Il pianoforte, l’ho cominciato a studiare che avevo dieci anni. Adesso sono iscritta a Matematica a Torino – E che cosa c’entra la matematica con il pianoforte? – Il pianoforte l’ha scelto mia madre, Matematica l’ho scelta io
(13) Suono il pianoforte da quando avevo dieci anni. Adesso studio Matematica a Torino. – Che c’entra con il pianoforte? – Mia madre ha scelto il piano, io la Matematica
Queste caratteristiche informative, pragmatiche, morfosintattiche e testuali sono condivise dalla dislocazione a sinistra con altri fenomeni di topicalizzazione e messa in rilievo, come il ➔ tema sospeso (o nominativus pendens: esempi 15 e 16), cui essa è spesso associata per una certa prossimità formale (Berruto 1997: 65 segg.; Ferrari 2003: 178 segg.):
(14) ad Anna, le ho già parlato stamattina
(15) Anna, le ho già parlato stamattina
(16) Anna, ho già parlato con lei stamattina
Tuttavia, mentre il tema sospeso antepone il sintagma nominale senza i segni della sua funzione grammaticale, la dislocazione a sinistra antepone invece un sintagma nominale con tutti i suoi indicatori grammaticali. Nel primo caso la ripresa (o tramite clitico o tramite un pronome libero, un dimostrativo, un sintagma nominale di tipo anaforico) è perciò obbligatoria, nel secondo caso è facoltativa, poiché la relazione sintattica del sintagma anteposto – «unitamente alle proprietà di selezione semantica del verbo» (Benincà 1993: 267), ovvero le sue reggenze – è sufficientemente espressa dalla preposizione:
(17) Giovanna, Andrea ne parla molto bene / Andrea parla molto bene di lei / Andrea parla molto bene di questa tua amica
(18) di Giovanna, Andrea (ne) parla molto bene
La ripresa con pronome clitico è invece sempre obbligatoria, nella dislocazione a sinistra, quando il costituente dislocato è un complemento oggetto. In questo caso il pronome oggetto si accorda in genere e numero con il nome dislocato:
(19) questo favore, non te lo faccio
(20) l’aranciata, non la bevo mai
(21) * questo favore, non ti faccio
(22) * l’aranciata, non bevo mai
Le frasi (21) e (22), senza clitico di ripresa, sarebbero infatti possibili nel caso in cui l’oggetto dislocato si potesse interpretare come un focus contrastivo (cfr. Rizzi 1997 e Benincà 2001), o per mezzo di un’intonazione specifica, o in un contesto disambiguante:
(23) questo favore, non ti faccio [ma quell’altro sì]
(24) l’aranciata, non bevo mai [ma non il caffè]
Dal punto di vista formale, non è questa l’unica restrizione rispetto alla dislocazione di un complemento oggetto. Il sintagma nominale dislocato, ad es., non può contenere quantificatori negativi (per maggiori dettagli, Benincà 1998: 154-164):
(25) tre birre, me le bevo al pub
(26) alcuni studenti, li ho visti copiare durante l’esame
(27) * nessun amico, l’ho perso durante la malattia
Inoltre, se l’oggetto dislocato a sinistra è un pronome di prima, seconda o terza persona singolare, questo deve necessariamente avere la forma oggetto, e il pronome di terza persona singolare ha sempre la forma tonica lui, indipendentemente dal suo ruolo sintattico:
(28) me, non mi prendono
(29) * io, non mi prendono
(30) te, ti hanno già promosso?
(31) * tu, ti hanno già promosso?
(32) lui, non lo chiameranno mai
(33) * egli, non lo chiameranno mai
Ancora, se l’oggetto dislocato è un pronome di prima o seconda persona singolare, può essere preceduto dalla preposizione a non solo nelle varietà meridionali, dove esiste la costruzione dell’oggetto preposizionale (vedere a qualcuno; cercare a qualcuno, ecc.), ma anche nell’italiano toscano e settentrionale (➔ accusativo preposizionale). È il notissimo caso di a me mi:
(34) a me, non mi cerca nessuno
(35) a te, ti amano alla follia
Un’altra limitazione, tra quelle elencate in Benincà (1998), prevede che se l’oggetto è un pronome riflessivo non si può dislocare a sinistra; ma se il soggetto è impersonale e il riflessivo al plurale, la dislocazione dell’oggetto riflessivo è largamente accettata:
(36) * se stessi, i politici non si amano
(37) se stessi, non ci si conosce mai abbastanza
Sempre sul piano sintagmatico, ma con chiare conseguenze sul piano della coesione (➔ coesione, procedure di), non è possibile iniziare un discorso dislocando a sinistra il costituente di una frase idiomatica (per maggiori dettagli, Benincà 1998: 152):
(38) * la corda, l’ha tagliata Gigi
(39) * in due scarpe, il piede non l’ho mai tenuto
(40) * un granchio, l’ho preso anche oggi
(41) * pane, lo troverete per i vostri denti
Sul piano semantico, la dislocazione a sinistra risulta particolarmente frequente con alcuni verbi detti psicologici (➔ psicologici, verbi), in cui il soggetto è inanimato e il complemento indiretto – o il complemento oggetto – è rappresentato da un esperiente animato: è il caso di piacere, sembrare, persuadere, convincere, soddisfare, ecc. Questi verbi, infatti, accanto all’ordine non marcato SVO, hanno un ordine marcato con il complemento diretto / indiretto dislocato in prima posizione. In questi casi si produce «un conflitto sistematico tra il soggetto grammaticale inanimato e il soggetto logico rappresentato dall’esperiente animato» (Benincà 1998: 133), largamente preferito nell’uso:
(42) a Giorgio piacciono le patatine fritte
(43) a noi il tuo comportamento non persuade
(44) a me proprio non convince questa storia
Come mostrano questi esempi, nei registri più formali – soprattutto scritti – la dislocazione a sinistra non è accompagnata da ripresa pronominale, che compare invece con altissima frequenza nei registri meno formali dell’italiano parlato:
(45) a Giorgio gli piacciono le patatine fritte
(46) a noi il tuo comportamento non ci persuade
(47) a me proprio non mi convince questa storia
Come si vede dagli esempi, con i verbi psicologici è caratteristico il fatto che – anche nello scritto – la preposizione a si trovi anteposta all’esperiente dislocato a sinistra anche quando l’esperiente è un complemento oggetto. La dislocazione a sinistra senza segnacaso è invece frequente in ➔ italiano popolare (Berruto 1997: 119-121; ➔ colloquiale, lingua), un tratto che è recentemente passato anche nell’italiano substandard:
(48) Giorgio, gli piacciono le patatine fritte
(49) noi, il tuo comportamento non ci persuade.
Nel caso in cui ci si trovi di fronte a un riposizionamento dell’oggetto o del complemento indiretto al termine dell’enunciato, e alla sua anticipazione mediante un clitico con funzione cataforica, si parla invece di dislocazione a destra:
(50) dove l’hai parcheggiata, la macchina?
Per quanto generalmente trattata insieme alla dislocazione a sinistra, la dislocazione a destra non va considerata ad essa simmetrica, né sul piano sintattico, né su quello della struttura tematica, né su quello pragmatico.
Sul piano della marcatezza sintattica (ma si considerino le osservazioni di Simone 1997, secondo cui nelle lingue romanze la dislocazione a destra si sarebbe progressivamente trasformata da tecnica di messa in rilievo a struttura grammaticalizzata; ➔ grammaticalizzazione) non è evidente infatti «che cosa ci sia di veramente dislocato» (Berruto 1986: 56; Rossi 1999: 157). Dal punto di vista sintagmatico, se si scarta la dislocazione a destra del soggetto – frequente in francese ma possibile in italiano solo in alcune varietà diatopiche, dato che in italiano manca un clitico che faccia da soggetto – non vi è, infatti, nessun costituente spostato sulla destra del verbo, e l’oggetto e i complementi rispettano pienamente l’ordine normale SVO. Casomai, si ha una doppia presenza del costituente: una volta rappresentato – e anticipato – da un clitico cataforico, una volta da un gruppo nominale che segue il verbo, isolato al di fuori del gruppo frasale. Più che di dislocazione, a rigore, occorrerebbe quindi parlare di «isolamento a destra» (Berruto 1986: 56) o, riferendosi alla terminologia di scuola anglosassone, di detachment (Blanche-Benveniste 20062: 477).
Sul piano della struttura tematica, inoltre, se l’elemento dislocato a sinistra è sempre tematico, non altrettanto può dirsi per quello dislocato a destra. Pur ammettendo che in entrambe le dislocazioni l’elemento dislocato sia dato, almeno dal punto di vista pragmatico (ma si tenga conto delle riserve espresse in Givón 1983: 20 segg.), è però chiaro che in molti casi nella dislocazione a destra l’elemento dislocato funga più da glossa esplicativa (se non da autocorrezione, ripensamento o «aggiunta a posteriori»: cfr. Berruto 1986; Ferrari 1999; per un’interpretazione diacronica, Simone 1997), che da tema (come invece accade appunto, nella dislocazione a sinistra). Infatti, l’anticipazione con il clitico si riferisce «a qualcosa che il parlante considera già dato come tema del discorso, quindi presente all’ascoltatore» (Benincà 1998: 146), ma che viene ripreso al termine dell’enunciato, tramite l’isolamento a destra dell’elemento dislocato, a conferma delle informazioni già note e della loro validità (Berrendonner 2003); questa ‘continuità tematica’ del costrutto garantirebbe, tra l’altro, anche la forte coesione dell’enunciato:
(51) lo chiamo domani, il dottore
(52) la racconto a Gianni, questa storia
(53) ci pensiamo poi, a pagare l’affitto
(54) diglielo chiaramente, a Giovanna, che sei dispiaciuto
Sul piano della pragmatica, infine, la dislocazione a destra stabilirebbe un «particolare collegamento di retroterra comunicativo tra gli interlocutori, che fa sì che la comunicazione non risulti ex abrupto: l’uso delle collocazioni a destra, da questo punto di vista, sembrerebbe conversazionalmente basarsi su una sorta di (supposta) confidenzialità», ed evocherebbe «un clima di sottinteso in comune, una sorta di ‘ammiccamento’, implicando un rimando a presupposti noti [...] e ad un filo comunicativo sempre presente» (Berruto 1986: 61). Ciò varrebbe in particolare, e non a caso, per il parlato televisivo e filmico, in cui la dislocazione a destra sarebbe un «valido ausilio dialogico al coinvolgimento indiretto dell’interlocutore implicito (lo spettatore)» (Rossi 2000).
Nel parlato spontaneo, invece, si registra una minore diffusione della dislocazione a destra rispetto alla dislocazione a sinistra; esiste comunque un ampio spettro di espressioni rituali o convenzionali con presenza di dislocazioni a destra che sono parte integrante della comunicazione quotidiana:
(55) lo sai che Gianluca sta male?
(56) te ne ho già parlato del nostro viaggio, vero?
(57) ce l’hai una sigaretta?
(58) non ci capisco niente di matematica!
(59) me l’hanno detto che non ti saresti reso disponibile
In questo tipo di costrutti, le riprese pronominali sono ridondanti e spesso facoltative; anche il clitico oggetto, che nella dislocazione a sinistra è sempre obbligatorio, nella dislocazione a destra può mancare:
(60) (ci) pensiamo domani a far riparare la macchina
(61) di’(gli) qualcosa, a Giuseppe, che se no si arrabbia
(62) non (li) ho i tuoi soldi: ce li ha lui.
Come anticipato dall’ultimo esempio citato, le dislocazioni a sinistra e a destra possono co-occorrere nello stesso enunciato:
(63) a Roma, saprei come arrivarci, ma non ci saprei vivere da solo, in quel caos
Le dislocazioni possono inoltre co-occorrere con altre forme di focalizzazione e messa in rilievo (64), ad es. con un elemento topicalizzato con intonazione contrastiva (indicata con il sottolineato nell’esempio), che però necessariamente deve seguire gli elementi dislocati a sinistra:
(64) a Maria, tuo fratello, (almeno) un bacio potrebbe darle
(65) ? (almeno) un bacio, a Maria, tuo fratello potrebbe darle
Una dislocazione a sinistra può anche combinarsi con un tema sospeso, a condizione che questo compaia sempre in prima posizione:
(66) l’assessore, quel favore, l’ho chiesto a lui
(67) ? quel favore, l’assessore, l’ho chiesto a lui
La dislocazione a sinistra può inoltre essere ripetuta indefinitamente, per un numero indefinito di argomenti o complementi. L’ordine dei vari costituenti dislocati è indifferente:
(68) domani, a Sandra, tu la storia gliela devi raccontare
(69) domani la storia, tu, a Sandra, gliela devi raccontare.
Come ricorda Sabatini (1985: 162-178), la dislocazione a sinistra:
è attestata lungo tutta la storia dell’italiano, e rappresenta quindi a buon diritto uno di quei tratti di cui si può dire che erano già presenti nel sistema [...] che è alla base della lingua italiana ed erano stati accolti anche nelle varie norme scritte regionali [...] ma non furono accolti in quella particolare norma, definibile come supernorma, che dal XVI secolo in poi ha dominato l’uso standard della lingua italiana.
Gli esempi più antichi risalgono, come noto, addirittura ai primi testi in italiano, i Placiti cassinesi:
(70) sao ke kelle terre [...] trenta anni le possette parte Sancti Benedicti
e sono ampiamente presenti nei primi secoli della nostra letteratura tanto dislocazioni a sinistra quanto dislocazioni a destra, come documentato da D’Achille (1990):
(71) Quanto amore scia tra noi no è mistero ch’l diga (Parlamentum responsivum ad predictum)
(72) Uno mercatante che recava berrette, sì li si bagnaro (Novellino)
(73) E che ciò sia vero, alla tornata ne vedrete n’assempro (Novellino)
(74) E tutti coloro de la terra ch’erano colpevoli, Il Grande Cane li fece uccidere (Marco Polo, Il Milione)
(75) Di ciò che dici, vitama, neiente non ti baleca de le tue parabole fatto n’ho ponti e scale (Cielo D’Alcamo, Contrasto)
(76) Lo vostro amor, ch’è caro donatelo al Notaro (Giacomo da Lentini, Meravigliosamente)
(77) E qual è la mia vita, ella se’l vede (Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CCCXXIV)
Fin dai primi secoli della nostra tradizione letteraria, le dislocazioni possono essere tratti stilistici consapevolmente utilizzati. È il caso, per citare l’esempio più noto, di ➔ Boccaccio:
(78) Dio il sa, che dolore io sento (Dec. V, 10)
(79) Vedi, Lusca, tutte le cose che tu mi di’, io le conosco vere (Dec. VII, 9, 28)
(80) Né vi potrei dire quanta sia la cera che vi s’arde a queste cene (Dec. VIII, 9)
Attraverso i secoli (si rimanda a D’Achille 1990 per dettagli) il costrutto compare in scrittori e generi differenti: dalla poesia del Petrarca (come si è visto nell’es. 77 tratto da Rerum Vulgarium Fragmenta, CCCXXIV) alle commedie di ➔ Goldoni («Con questi, per l’appunto, mi ci metto di picca»: La locandiera), dall’epistolografia («Quanto poi all’animo, io ne sto assai male»: Pietro Bembo, Lettere) alla trattatistica («Il tintoretto, a cagione d’esempio, conviene vederlo alla scuola di S. Marco»: Francesco Algarotti, Saggio sopra l’Accademia di Francia), pur con incidenze diverse dovute, a partire dal Cinquecento, alle riserve bembiane, oppure nel Settecento alla marcatezza sintattica di certa prosa francesizzante. Nell’Ottocento, a imitazione del parlato e della ‘lingua viva’ fiorentina, celeberrime sono le dislocazioni manzoniane nei Promessi sposi:
(81) Tonio e suo fratello, li lascerà entrare (cap. VI)
(82) Pane, ne avrete (cap. XII)
(83) A Pedro [...] gli tornò in petto il cuore antico (cap. XIII)
(84) Sì, signore, una lettera sola; e questa lettera [...] l’ha scritta un religioso [...] che senza farvi torto, val più un pelo della sua barba che tutta la vostra (cap. XVII)
(85) Il coraggio, uno non se lo può dare (cap. XXV)
Passato «da fatto stilistico» a «fatto linguistico» (Ferrari 2003: 224), la dislocazione è ricorrente nella prosa contemporanea, non solo per raggiungere effetti mimetici del parlato (come in 86), ma anche per ragioni di coesione testuale:
(86) Mi dispiace, le ho detto a Francesca, lei mi ha detto che se voglio le posso raggiungere, solo che io, il mare, non lo sopporto, poi il mare, d’estate, poi saremmo anche in un appartamento stretti, in sei, ci vorrebbe solo la discoteca, ho detto a Francesca [...]. Sto dicendo, le ho detto a Francesca che convincermi a me che avevo bisogno della Puglia del mare della discoteca c’è voluta una macchina propagandistica simile a quella che avevan messo in piedi per convincere gli italiani che avevan bisogno del fascismo. Ma guarda che a te non ti obbligava nessuno, ad andare in discoteca (Paolo Nori, Noi le farem vendetta, 2006)
(87) Continuava a seguirla col pensiero, quel trotterellare veloce per il cortile, il portone, il marciapiede, fino alla fermata del tram. Il tram lo sentiva bene, invece (Italo Calvino, L’Avventura di due sposi, 1958, cit. in De Benedetti 2009: 43)
(88) Nell’ingresso si soffermò davanti alla libreria, dove c’era il ritratto di sua moglie. Quella fotografia l’aveva scattata lui (Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, 1994)
Ma dislocazioni si trovano anche nella lingua della canzone (come registrato da Antonelli 2010: 143-145; ➔ canzone popolare e lingua), dove tra l’altro la dislocazione a destra potrebbe essere spia della ricerca non solo di un tono colloquiale, ma anche di dialogicità tra l’interprete e l’ascoltatore:
(89) perché la verità tu non l’hai detta mai (Little Tony, “Cuore Matto”, 1967)
(90) insieme a te non ci sto più (Caterina Caselli,“Insieme a te non ci sto più”, 1968)
(91) caramelle, non ne voglio più (Mina, “Parole, parole, parole”, 1971)
(92) quella camminata strana pure in mezzo a chissacché l’avrei riconosciuta (Claudio Baglioni, “Questo piccolo grande amore”, 1972)
(93) lo sprechi il tuo odor di benessere (Francesco Guccini, “Bologna”, 1981)
(94) le sento più vicine le sacre sinfonie del tempo (Franco Battiato, “Le sacre sinfonie del tempo”, 1991)
(95) lo senti il rumore del cuore (Samuele Bersani, “Fine di una storia”, 1994)
(96) sorprese non ne avrai (Renato Zero, “Cercami”, 1998)
Per quanto riguarda l’italiano contemporaneo, è da notare l’uso frequente di dislocazioni a sinistra nella lingua pubblicitaria e nel linguaggio giornalistico, per il ‘forte dinamismo comunicativo’ dell’elemento dislocato:
(97) La tua luminosità. Con Oil of Olaz la ritrovi
(98) Se l’era tenuto in gola per mesi, il rospo (Gian Antonio Stella, «Mai più contro il Colle». La promessa è caduta, «Corriere della sera» 22 ottobre 2006).
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