DISOCCUPAZIONE (XIII, p. 22; App. I, p. 520; II, 1, p. 791; III, 1, p. 496)
Le precipue particolarità del nostro sistema economico in generale e del nostro mercato del lavoro in particolare hanno imposto, da tempo, l'esigenza che il pieno impiego, nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi, sia assunto come obiettivo fondamentale della politica economica italiana. E ciò per motivi economici (concernenti la necessità d'imprimere sostenutezza e stabilità all'espansione produttiva, assicurando il pieno e qualificato impiego di tutti i fattori produttivi, ai più elevati livelli di competitività e di redditività) e sociali (riguardanti la necessità di garantire, mediante una compiuta utilizzazione del fattore lavoro, la più ampia dignità e partecipazione civile a tutti i cittadini).
Ciò detto, è da osservare che la letteratura economica, nazionale e internazionale, è solita distinguere, in linea di principio, quattro tipi di d. delle forze di lavoro.
Anzitutto, la d. strutturale, derivante da gravi e persistenti squilibri tra l'offerta e la domanda di lavoro con date qualificazioni professionali (sia in una regione geografica, sia nell'intero paese), per effetto di mutazioni economiche (specialmente in fatto di gusti dei consumatori e di tecnologie). In secondo luogo, la d. frizionale, che emerge allorquando esistono posti di lavoro vacanti e parte di tali posti può essere occupata da qualificati lavoratori disoccupati. In terzo luogo, la d. ciclica, dovuta all'inadeguatezza della domanda globale (comprendente la domanda di beni di consumo finali e beni d'investimento) e che si manifesta nelle fasi di recessione economica. Infine, la d. stagionale, connessa a periodi dell'anno sfavorevoli allo svolgimento di determinate attività produttive (come quelle agricole, delle costruzioni edilizie) e a variazioni annue di stili o modelli di prodotti che richiedono una riduzione della produzione durante il periodo di tali mutamenti (industria dell'abbigliamento, industria produttrice di autovetture, ecc.).
Rammentate le proprietà distintive ed essenziali dei tipi di d., preme subito rilevare che, date le insuperabili difficoltà implicite nella loro valutazione quantitativa, tutti i paesi occidentali procedono a una quantificazione del fenomeno della d. con caratteristiche difformi da quelle dianzi indicate.
Con riferimento all'Italia, è da notare che la misurazione della d., intesa in senso lato, delle forze di lavoro è compiuta da: a) dall'Istituto centrale di Statistica (ISTAT), mediante indagini campionarie a cadenza trimestrale; b) dal ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, attraverso le iscrizioni alle liste di collocamento.
Qui di seguito riportiamo le valutazioni quantitative dell'inoccupazione italiana, effettuate dai due suddetti enti rilevatori, limitatamente agli anni 1960,1967 e 1974, per motivi di spazio; con l'avvertenza che le rilevazioni attinenti alle liste di collocamento prescindono da altri tipi d'inoccupazione, meno rilevanti di quelli indicati, e attinenti rispettivamente alle casalinghe in cerca di prima occupazione, ai pensionati in cerca di occupazione e agli occupati in cerca di altra occupazione.
Prima di commentare l'evoluzione temporale delle componenti dell'inoccupazione è opportuno rammentare che le due sorte di rilevazioni non sono comparabili a causa della loro diversa natura: statistica la prima, amministrativa la seconda. Peraltro, le divergenze si riducono di molto ove si tenga presente che fra gl'iscritti alle liste di collocamento si trovano anche molti di coloro che l'ISTAT rileva come sottoccupati (una categoria non compresa negl'inoccupati e che riguarda i lavoratori che svolgono un'attività lavorativa inferiore alle 33 ore settimanali non per propria volontà, ma imposta dalle imprese) e, senza dubbio, anche parte di coloro che, pur essendo emigrati all'estero per motivi di lavoro, rimangono iscritti alle liste, ma ovviamente non risultano tra gl'inoccupati presenti in Italia, come rilevati dall'ISTAT. Se si tien conto di queste circostanze, sembra verosimile che gran parte delle differenze tra le due serie di dati ufficiali sull'inoccupazione trovi la sua logica spiegazione. Ancora, è da rammentare che non poche persone sono indotte a iscriversi alle liste di collocamento non tanto per conseguire un'occupazione, quanto per beneficiare di taluni sussidi e provvidenze connesse all'iscrizione medesima e che d'altro canto gli uffici di collocamento si trovano nella pratica impossibilità di accertare l'effettivo stato di d. degl'iscritti. A questo punto è forse opportuno avvertire che analoghe differenze tra gl'inoccupati rilevati attraverso l'ISTAT e gl'iscritti agli uffici di collocamento si sono riscontrate in altri paesi che (come, per es., il Canadà) utilizzavano queste due fonti di rilevazioni.
Accentrando l'attenzione alle stime quantitative ISTAT, e dopo aver ricordato che le valutazioni in precedenza indicate esprimono la media annuale delle rilevazioni compiute da tale ente, è da notare anzitutto che nell'arco temporale 1960-74 il fenomeno dell'inoccupazione ha manifestato, nel complesso, una tendenza decrescente. Per conseguenza, il tasso di d. (ossia la percentuale delle forze di lavoro disoccupate e in cerca di prima occupazione sul totale delle forze stesse) è diminuito dal 3,9 per cento (anno 1960) al 2,8 per cento (anno 1974). A proposito del tasso di d. è da avvertire che esso è un indice sufficientemente significativo della situazione del mercato del lavoro. Infatti, poiché le forze di lavoro rappresentano l'offerta globale di questo fattore produttivo presente sul mercato, il tasso di d., oltre a fornire la misura dell'eccedenza dei lavoratori rispetto ai posti di lavoro disponibili, consente anche di accertare di quanto la situazione effettiva del mercato si differenzia dalla piena occupazione, che può considerarsi raggiunta allorquando il numero dei disoccupati, intesi in senso lato, è ridotto a quel minimo ineliminabile connesso alla natura e alla struttura stessa del sistema economico.
Con riferimento alle due componenti dell'inoccupazione, è da aggiungere che mentre il numero dei disoccupati, in senso stretto, iscrive una notevole riduzione, quello concernente le persone in prima occupazione mostra invece un aumento tutt'altro che modesto. E la maggior parte degli appartenenti a quest'ultima categoria di inoccupati, giova aggiungere, si ritrova nell'Italia centro-meridionale.
Il difforme andamento nel tempo delle due suddette componenti ha originato una modificazione nella struttura dell'inoccupazione: sia in fatto di età (progressivamente spostata verso le classi più giovani), sia in tema di aspirazioni e titoli di studio.
Le indagini speciali intraprese dall'ISTAT confermano, infatti, che i disoccupati, in senso stretto, appartengono in prevalenza alle età centrali (ossia tra i 20 e i 49 anni); mentre relativamente più giovani sono, per contro, le persone in cerca di prima occupazione, con il 44% di esse nella classe dei giovanissimi (sino a 19 anni compiuti), il 37% nella classe compresa tra i 20 e i 24 anni, e il 15% nella classe 25-29 anni, per praticamente estinguersi nelle classi di età successive. D'altro canto, la distribuzione per titolo di studio indica che il livello medio d'istruzione dei disoccupati è nettamente inferiore a quello delle persone in cerca di prima occupazione, che essendo più giovani hanno potuto acquisire vantaggi dell'estensione della scuola dell'obbligo sino ai 14 anni e dell'accresciuto grado di scolarità manifestatosi nell'ultimo ventennio in Italia. Invero, il 69% dei disoccupati non va oltre la licenza elementare e di essi circa il 18% è analfabeta o privo di titolo di studio. Al contrario, delle persone in cerca di prima occupazione solo il 27% non ha superato il gradino della licenza elementare e solo il 2% è sfornito di titolo di studio.
Altrettanto notevoli sono le differenze per quanto riguarda i livelli di studio superiori: i diplomati e i laureati disoccupati sono solo il 9% del totale, mentre tra le persone in cerca di prima occupazione sfiorano il 40%, elemento codesto che conferma l'esistenza, in misura notevole, della cosiddetta d. intellettuale. Di questo fenomeno sono testimonianza più diretta le stesse cifre assolute che indicano, per l'anno 1973, in 150.000 unità i diplomati e in 34.000 i laureati che sono alla ricerca attiva della prima occupazione.
Per quanto concerne poi il modo di ricerca dell'occupazione, a prescindere dall'eventuale iscrizione alle liste degli uffici pubblici di collocamento, per i disoccupati il modo più spesso utilizzato è quello delle relazioni personali (poco meno del 30%), seguito dalla lettura delle inserzioni messe dai datori di lavoro sui giornali (poco più del 10%). Per dati più recenti v. italia: Condizioni economiche.
Bibl.: G. De Meo, Evoluzione storica e recenti tendenze nelle forze di lavoro in Italia, in Giornale degli economisti, luglio-agosto 1969; P. Ferri, La disoccupazione in un processo di sviluppo economico. Alcuni aspetti dell'esperienza italiana 1951-68, Milano 1971; A. Predetti, Occupazione e retribuzione del fattore lavoro in Italia, ivi 1971; Autori vari, Il mercato del lavoro in Italia, a cura di S. Vinci, ivi 1974.