dispotismo
Governo esercitato da una sola persona o da un ristretto gruppo di persone in modo assolutistico e arbitrario, senza alcun rispetto per la legge. Il d. è uno dei concetti politici che, illustrato già da Aristotele (Politica, V, c. II: il despota deve seminare discordia fra i sudditi, impedire che qualcuno di essi acquisti autorità indipendente, conciliare in essi una disposizione servile), ha avuto un suo rilievo anche in Età moderna. L’analisi che del despota come uomo «virtuoso» faceva il Machiavelli nel Principe inaugurava una concezione che accompagnerà la lotta della monarchia assoluta contro il ceto aristocratico nella creazione di una struttura e di una coscienza nazionali. Essa culminerà nel cosiddetto «dispotismo illuminato» dei sovrani riformatori del 18° sec., che fu un tipico prodotto dell’illuminismo settecentesco di origine francese, in cui si riassumevano l’esaltazione della ragione (qui personificata dal monarca), l’astrattismo pianificatore dei riformatori e l’accettazione dell’assolutismo come forma di governo. E certamente iniziative riformatrici furono prese da despoti come Caterina II di Russia, Federico il Grande e vari altri sovrani di questo secondo Settecento, detto appunto l’età delle riforme. Un diverso e non meno importante modo di concepire il d. ha le sue prime origini nel repubblicanesimo rinascimentale e si alimenta del motivo tacitiano e anticesariano che sta alla base della mitica opposizione, nella storiografia di Roma antica (anche qui però il Machiavelli ha una parte notevole), tra libertà repubblicana e dispotismo imperiale. A questo motivo darà vigore, in difesa dell’aristocrazia, il Montesquieu dell’Esprit des lois; tra monarchia e dispotismo c’è questa sostanziale differenza, che nella prima fra popolo e sovrano v’è un «corpo intermediario» (cioè l’aristocrazia) che limita le pretese dispotiche del re e lo costringe a porre al di sopra di sé stesso la legge, mentre nel regime dispotico (Montesquieu parla sempre dell’Asia e dei turchi) la legge si identifica con l’arbitraria volontà del sovrano. La teoria di Montesquieu, largamente ripresa in funzione antiassolutistica prima e durante la Rivoluzione francese, sarà poi svolta in funzione antinapoleonica dalla Staël e soprattutto da B. Constant, nelle cui dottrine confluivano però non pochi motivi del repubblicanesimo rousseauiano. Essa resterà uno dei pilastri fondamentali, come polemica antidispotica e come teoria costituzionale, del pensiero liberale dell’Ottocento.
Concetto introdotto dalla storiografia tedesca del 19° sec. per indicare il processo di modernizzazione degli apparati amministrativi e finanziari, degli ordini sociali e delle istituzioni ecclesiastiche, avviato dai principali Stati europei a partire dalla metà del 18° sec. La politica riformatrice cui diede origine fu il risultato dell’influsso esercitato dall’Illuminismo sull’assolutismo di sovrani (despoti) che improntarono il loro governo al rinnovato connubio tra potere e cultura, e a un ideale, quello del re-filosofo, di ascendenza classica. Mutò il modo di intendere l’esercizio della sovranità, ora finalizzato al benessere di tutti i sudditi, nell’ottica paternalista di un re che proteggeva e sosteneva, conservando però intatte le prerogative di un potere autocratico di origine divina. Gli ambiti in cui il d. illuminato si dimostrò più efficace, trasmettendo un’importante eredità alle classi di governo dell’età rivoluzionaria e napoleonica e dell’Ottocento liberale, furono la lotta ai privilegi fiscali, in specie ecclesiastici, in funzione di una più equa distribuzione delle imposte, e il rinnovamento delle fonti normative. Il riordino dei domini ereditari degli Asburgo d’Austria iniziò con Maria Teresa (1740-80), che istituì un Consiglio di Stato con potere di coordinamento tra i dicasteri, avviò il processo di codificazione del diritto, intraprese una politica ecclesiastica ispirata ai principi del giusnaturalismo. Consentì inoltre la puntuale entrata in vigore del catasto, la cui redazione era stata intrapresa da Carlo VI, in primo luogo al fine di censire le proprietà fondiarie del ducato di Milano. Dal 1765 Maria Teresa governò assieme al figlio, imperatore Giuseppe II (1765-90), e il riformismo asburgico divenne progressivamente più audace: abolizione della censura ecclesiastica, dei piccoli conventi, della manomorta, della servitù della gleba, ristrutturazione dei seminari e delle parrocchie, apertura dei pubblici uffici a tutte le confessioni cristiane ed estensione dei diritti civili ai sudditi di religione ebraica. Giuseppe II istituì anche un nuovo sistema scolastico, obbligatorio nel ciclo primario, e sostenne con rinnovato vigore lo sviluppo economico e commerciale, traendo ispirazione da dottrine diverse (mercantilismo, fisiocrazia e liberismo). In Prussia, Stato cresciuto nel corso dei secc. 17°-18° fino a contendere con gli Asburgo d’Austria per l’egemonia sull’area tedesca, il giovane Federico II (1740-86) mantenne le linee guida del regno paterno, portando avanti il rafforzamento di una burocrazia e di un esercito che erano già prima un modello di innovazione, disciplina ed efficienza. L’appellativo di Federico il Grande, fondatore della nuova Prussia, Stato che alla sua morte era divenuto una delle maggiori potenze d’Europa, gli derivò dalla capacità di coniugare doti militari e di governo a una spiccata sensibilità letteraria e artistica. Soprattutto l’amicizia con Voltaire ebbe molto peso sulla sua immagine di despota illuminato, di sovrano che per primo varò un sistema di istruzione primario obbligatorio e abolì la tortura. Federico applicò inoltre forti restrizioni alla pena di morte e sostenne l’associazionismo massonico e la tolleranza religiosa, in specie all’interno del suo esercito pluriconfessionale. La figura e l’opera del re prussiano costituirono un riferimento anche per la Russia, Stato che era entrato sulla scena europea grazie all’intenso processo di modernizzazione attuato da Pietro I il Grande (17° sec.), e che aveva partecipato alla guerra dei Sette anni, mettendo a dura prova un equilibrio politico, sociale ed economico ancora precario. Di origine e cultura tedesca, Caterina II (1762-96) salì al trono dopo avere deposto il marito Pietro III e impresse un forte impulso alla siderurgia e alla cantieristica navale, considerandole ancora strategiche per i destini del Paese. Istituì inoltre un Senato di nomina regia e gli uffici dei governatori di provincia, funzionari che ebbero anzitutto l’onere di fronteggiare le sollevazioni cosacche. L’accordo raggiunto con la grande aristocrazia boiara (Carta della nobiltà, 1785) impedì a Caterina di abolire la servitù della gleba, ma le consentì di attuare la confisca delle proprietà ecclesiastiche e la creazione di un clero ortodosso stipendiato dallo Stato; invece il progetto di rendere interamente obbligatorio e gratuito il nuovo ciclo di istruzione primaria fu reso impossibile dal dissesto finanziario della monarchia. Il Portogallo dei Braganza fu lo Stato iberico più innovatore grazie al marchese di Pombal, ministro di Giuseppe I, che diede stimolo all’economia, rafforzò l’esercito e attuò un disegno di centralizzazione statale basato sulla lotta ai privilegi di clero e nobiltà, e sulla secolarizzazione dell’istruzione. In questo contesto maturò il provvedimento di espulsione dei gesuiti dal Portogallo e dalla colonia del Brasile (1759), che fu seguito dalla soppressione dell’ordine in tutti gli Stati europei (a eccezione della Prussia) e poi dallo scioglimento della Compagnia (1773). Inoltre Pombal gestì con prontezza e modernità la ricostruzione di Lisbona, colpita dal terremoto del 1755. In ambito italiano, i processi riformatori di maggior rilievo furono quelli attuati in Lombardia, nel granducato di Toscana e nei regni di Napoli e Sicilia, anche se non mancò un tentativo di timide riforme, soprattutto di natura fiscale, anche nello Stato della Chiesa. Nel ducato di Milano, la ristrutturazione degli uffici pubblici, l’abolizione della venalità delle cariche e l’entrata in vigore del catasto teresiano migliorarono l’efficienza dell’apparato di governo e del sistema fiscale. Per la Lombardia austriaca il secondo 18° sec. fu anche un’epoca di grande fioritura culturale (biblioteche, accademie, pubblicazione del periodico Il Caffè, 1764-66). La Toscana di Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena (1765-90), figlio di Maria Teresa d’Austria e futuro imperatore (Leopoldo II, 1790-92) fu il primo Stato europeo ad abolire la pena di morte. L’importante provvedimento, che recepiva l’insegnamento dell’illuminista milanese Cesare Beccaria, si accompagnò alla riforma della giustizia affidata al ministro Pompeo Neri, e a un piano di interventi improntato a dottrine fisiocratiche, liberiste (abolizione delle corporazioni, delle dogane interne e dell’Annona) e giurisdizionaliste (abolizione della manomorta). Sotto il regno di Pietro Leopoldo si diffuse il giansenismo soprattutto nella diocesi di Pistoia, ove fu elaborato un progetto di ristrutturazione della gerarchia ecclesiastica toscana e di graduale autonomia da Roma. A Napoli, la piena attuazione di uno slancio riformatore, che sul piano teorico fu il più intenso e precoce d’Italia, giacché imperniato su figure di primo piano dell’illuminismo europeo come A. Genovesi, G. Filangieri e sull’eredità di P. Giannone, fu ostacolata energicamente dalle resistenze della feudalità e dal dualismo capitale-periferia. Sotto il regno di Carlo di Borbone (1734-59), a parte la redazione del catasto onciario, si ultimò solo il riordino delle Segreterie e fu abolito il consiglio Collaterale. Il riformismo partenopeo si spense definitivamente con l’allontanamento dell’abile ministro Bernardo Tanucci (1776), osteggiato da Maria Carolina d’Asburgo Lorena, consorte di Ferdinando IV, per una politica giudicata troppo acquiescente alla Spagna.
Il concetto, ampiamente diffuso nel pensiero politico occidentale, esprime l’idea che, al di fuori dell’Europa, la più tipica forma di governo fosse quella in cui il potere non è limitato dalle leggi e in cui il rapporto tra il sovrano e i sudditi si configura come un rapporto tra padrone e schiavi. La categoria del d. orientale, le cui origini risalgono al pensiero di Aristotele, rimase viva nel Medioevo, tra gli altri in Tommaso d’Aquino, che riprese la posizione aristotelica. Per N. Machiavelli era l’impero turco a esemplificare il d. orientale; secondo Montesquieu prototipo del d. orientale era la Cina, in cui ogni energia umana veniva repressa in una condizione di arretratezza. Per il pensiero politico dell’Illuminismo il d. orientale rappresentò anche un modello polemico negativo, attraverso il quale veniva criticata la politica europea dell’assolutismo. La categoria superò la crisi del pensiero illuministico, accentuando il proprio carattere di sublimazione dell’eurocentrismo. La staticità che veniva riconosciuta nei Paesi dominati dal d. orientale fu successivamente interpretata da K. Marx in termini di modo di produzione. In età contemporanea l’idea di un governo dispotico tipico dei Paesi asiatici contrapposti, in tal senso, all’Europa e all’America è stata ripresa da K.A. Wittfogel, che nella sua opera, Oriental despotism (1957), affronta il tema in una prospettiva di studio dei sistemi burocratici e dei modi di organizzazione sociale.