DOCIBILE
È ricordato per la prima volta nell'867 nella datazione di un documento gaetano con la qualifica di prefecturius, cioè di signore della città. Nulla si sa delle sue origini famigliari o della sua carriera prima di questa data, né sono documentabili legami di parentela tra lui e il predecessore Costantino, menzionato l'ultima volta nell'866, insieme con il figlio Marino associato nel governo e destinato alla successione. Ciò fa pensare che D., nell'866 o nell'867, si sia impadronito del potere con la violenza, come si presume abbia fatto nello stesso periodo anche il prefecturius di Amalfi. Come si desume dalle lettere di Giovanni VIII, in seguito D. assunse il titolo di ipato usato già dal suo predecessore. A Gaeta allora questo titolo non sembra aver indicato più una dignità di corte concessa dall'imperatore bizantino a una singola persona, ma era diventato piuttosto un titolo ereditario usato dalle famighe più importanti della città prima che fosse monopolizzato dal signore. Per assicurare il potere alla propria famiglia D. associò nel governo il figlio Giovanni (I) (la prima notizia sicura a questo proposito è dell'877). La dinastia fondata da D. avrebbe regnato a Gaeta per quasi duecento anni.
Nel secolo IX Gaeta, posta a metà strada tra Roma e Napoli, era, come Amalfi e Napoli, una specie di avamposto occidentale e Stato satellite dell'Impero bizantino. La città e il suo territorio erano stretti tra il mare e lo Stato della Chiesa a nord e la contea longobarda di Capua ad est. Durante tutto il periodo del governo di D. i Saraceni che, occupando la Sicilia, avevano conquistato una base sicura per le loro terribili scorrerie lungo la costa tirrena, costituivano un fattore politico determinante. Dopo un periodo di relativa calma seguita alla sconfitta subita presso Ostia (849), i Saraceni ripresero le loro incursioni verso l'870. Allora D. cadde nelle loro mani e dovette essere liberato dagli Amalfitani. Come il dux di Napoli anche D. preferì quindi venire ad un accordo con loro e fu in conseguenza scomunicato da Giovanni VIII.
Intorno all'875 tutti gli Stati marinari avevano fatto la pace con i Saraceni, permettendo loro così di continuare indisturbati le scorrerie lungo la costa dello Stato della Chiesa. Nell'876 il papa si recò a Capua ed ottenne che Salerno, Capua e forse anche Amalfi abbandonassero il loro atteggiamento tollerante. Con lo stesso obiettivo nel marzo e nell'aprile Giovanni VIII mandò lettere e ambasciatori a Gaeta e nel giugno si incontrò personalmente con D. a Traetto. Ma gli accordi stabiliti non furono rispettati né da D. né dagli altri signori della Campania. In una lettera circolare del settembre 879 il papa minacciò loro quindi la scomunica, senza ottenere nulla. Alla fine Giovanni VIII si recò ancora una volta a Capua, dove intervenne nella questione della successione e indusse il conte Pandolfo di Capua a muovere contro Docibile. Quando però Pandolfo occupò Formia, D. chiamò in suo aiuto i Saraceni della colonia di Agropoli presso Salerno, bloccando così l'avanzata dei Capuani. Le trattative condotte con il papa, che si recò personalmente a Gaeta, convinsero infine D. a cambiare atteggiamento e a combattere contro i Saraceni, ma non a lungo. Ben presto concluse la pace con loro e li insediò - a quanto pare nell'883 dopo la morte di Giovanni VIII - presso la foce del Garigliano. Sia Erchemperto sia il Chronicon Salernitanum riferiscono che D. avrebbe incitato i Saraceni a sferrare un attacco contro Teano nel territorio capuano, il quale fu tuttavia respinto.
È controversa la questione delle concessioni territoriali che Giovanni VIII avrebbe fatto al signori di Gaeta per indurli ad abbandonare l'alleanza con i Saraceni. Nel cosidetto placitum di Castro Argento del 104 è inserita una bolla con la quale Giovanni VIII cede a D. il "patrimonio pontificio" a Traetto e la città di Fondi con i dintorni. La data del documento è incerta. Nella discussione più recente esso viene attribuito o ai primi o agli ultimi anni del pontificato di questo papa (873-875 o dall'880 in poi: Arnaldi, pp. 134 ss.). Si dice anche che la donazione sarebbe in ogni caso rimasta senza effetto, visto che D. in nessun momento si attenne agli accordi. Da un documento risalente con ogni probabilità all'890 risulta che D. e il suo consociato Giovanni detenevano, almeno temporaneamente, l'amministrazione del patrimonio pontificio a Traetto con il titolo di trectores patrimonio Gaetano". Il documento però non convalida l'ipotesi di una donazione pontificia e non può essere interpretato neanche in chiave di diritto feudale, visto che questo nel sec. IX non si era ancora affermato nello Stato della Chiesa. Secondo la Cronaca di Montecassino Giovanni VIII nell'880 cedette effettivamente dei territori, ma si trattava di territori gaetani che egli concesse al conte Pandolfo di Capua. Nel caso della bolla a favore di D. si tratta invece probabilmente di un falso, confezionato in relazione alla coalizione antisaracena del 915, per assicurare ai signori di Gaeta il possesso di Traetto e di Fondi (Arnaldi, pp. 143 ss.).
Le mire espansioniste dei conti di Capua, che nel 900 si impadronirono anche di Benevento, costituirono per D. un pericolo costante, per difendersi dal quale egli si servì dei Saraceni insediati presso la foce del Garigliano. Riferendosi all'anno 887, Erchemperto parla di gaetani caduti prigionieri dei Capuani, mentre nel 903 D. respinse con l'aiuto dei Saraceni un attacco di Atenolfo [I] di Capua e Benevento alleato con Napoli ed Amalfi.
Considerando la scarsità delle fonti in quell'epoca, il voluminoso testamento di D., redatto nel 906, costituisce una testimonianza importante ed unica, dato che non è tramandato alcun testamento dei duchi di Amalfi e di Napoli. Come gli altri documenti gaetani del tempo, è datato secondo gli anni di governo degli imperatori bizantini. D. vi conferma alle figlie e ai figli, ricordati per nome, la parte ereditaria a loro destinata - di oro, argento, rame, stoffe di seta - e il possesso di servi e di case da lui costruite o comprate nella città di Gaeta. Ai soli figli e ai loro eredi vengono assegnati i diritti su varie chiese, mentre il patrimonio fondiario fuori della città doveva restare, per la maggior parte, indiviso tra figlie e figli. Inoltre D. lasciò 500 soldi d'oro a monasteri e ai poveri "pro anima" e dispose la liberazione di alcuni suoi servi.
Con una politica matrimoniale ben calcolata D. aveva rafforzato i suoi legami con i signori vicini: la figlia Magalu era sposata con il gastaldo Rodiperto di Aquino; Eufemia con un prefecturius di Napoli. L'ipotesi che anche la moglie "Matrona ipatissa" fosse di origine napoletana, non trova conferma nelle fonti.
D. morì probabilmente pochi anni dopo aver fatto testamento, anche se il figlio Giovanni associato nel governo è ricordato per la prima volta come suo successore soltanto nel 914.
Fonti e Bibl.: Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, in Mon. Germ. hist., Script. rer. Lang., Hannoverae 1878, p. 257, c. 55; Iohannis VIII papae Epistolae, ibid., Epistolae, VII, a cura di G. Waitz, Berolini 1911, p. 36, n. 37; Die Chronik von Montecassino, ibid., Scriptores, XXXIV, a cura di H. Hoffmann, Hannover 1980, p. 113, c. 43; Codex diplom. Caietanus, I, Montecassino 1887, pp. 22 s. nn. 13, 15-17, 19 (testamento del 906), 246 n. 130 (bolla di Giovanni VIII inserita nel placito di Castro Argento del 1014); Chronicon Salernitanum, a cura di U. Westerbergh, in Acta Universitatis Stockholmensis, Studia Latina Stockholmensia, III, Stockholm 1956, p. 144, c. 134; H. Hamel, Untersuchungen zur älteren Territorialgeschichte des Kirchenstaates, Diss. phil., Göttingen 1899, pp. 81, 83, 86-90; J. Gay, L'Italie méridionale et l'Empire byzantin, Paris 1904, pp. 128, 251 s.; P. Fedele, Il ducato di Gaeta all'inizio della conquista normanna, in Arch. stor. per le prov. nap., XXIX (1904), p. 58; Id., Di un preteso duca di Gaeta nel secolo ottavo, ibid., pp. 779 s.; F. Scandone, Il gastaldato di Aquino, ibid., XXXIII (1908), pp. 730, 734; XXXIV (1909), pp. 50 s.; M. Merores, Gaeta im frühen Mittelalter (8.-12. Jahrh.), Gotha 1911, pp. 10, 12-19, 21 s., 24 s., 67, 70-72, 85 e passim; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, III, 2, Gotha 1911, pp. 34, 87, 90, 146; W. Kölmel, Rom und der Kirchenstaat im 10. und 11. Jahrh., Berlin 1935, pp. 142 s.; G. Arnaldi, La fase preparatoria della battaglia del Garigliano del 915, in Annali della Facoltà di lett. e filos. dell'Univ. di Napoli, IV (1954), pp. 130, 136-139; N. Cilento, Le origini della signoria capuana nella Longobardia minore, Roma 1966, pp. 111, 125 n. 32; D. Lohrmann, Das Register Papst Johannes' VIII. (872-882), Tübingen 1968, pp. 120 s.; N. Cilento, Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli 1971, pp. 324 s.; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell'Italia meridionale dal IX all'XI secolo, Bari 1978, pp. 13 s.; Id., I Longobardi meridionali, in Storia d'Italia, (UTET). III, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino 1983, p. 349; P. F. Kehr, Italia pontificia, pp. 82 s.