DODONA (Δοδώνη)
La valle di Dodona si stende per circa 12 km. tra la Molossia e la Tesprozia nel centro dell'Epiro, a una ventina di km. da Giannina, ed è percorsa da un affluente del fiume Thyamis. Le rovine sono situate su un piccolo promontorio in faccia all'alto monte Tomaros (Tmaros; m. 2000) e si possono dividere in tre parti: la città, racchiusa in un piccolo quadrilatero irregolare di circa 600 metri di perimetro e con una sola porta; il teatro a SO.; il recinto sacro, trapezoidale, che aveva nella parte più aua il tempio, rettangolare (m. 40 × 20,50), con colonnato interno, e altri due edifici destinati all'esercizio della divinazione; e nella parte più bassa i thesauroi, numerosi, quadrati, rettangolari, semicircolari. Fu altresì identificato un tempio di Afrodite; dagli autori apprendiamo l'esistenza di portici e d'una statua di Dione.
L'oracolo. - Le testimonianze letterarie concordano nell'indicare Dodona come un antichissimo centro religioso dei popoli che precedettero gli Elleni, cioè dei Pelasgi; e se la funzione mantica ebbe sempre in Dodona una certa preponderanza, onde Dodona poté dirsi l'oracolo più antico, non mancò certamente un'attività religiosa generica: Erodoto (II, 52) dice infatti che tutta la teologia dei Pelasgi derivò da Dodona. D'altra parte, la stretta connessione dell'oracolo col culto del fiume Acheloo (Schol. in Iliad., XXI, 194) e la vicinanza della palude Acherusia e del fiume Acheronte (Paus., I, 17,5) facilmente rivelano, anche sotto i nomi delle divinità olimpiche posteriori, un'essenza religiosa assai complessa. È evidente infatti la coesistenza di elementi religiosi atmosferico-celesti (monti, querce, uccelli) e di altri ctonio-infernali (fonti, Acheloo). Anche la presenza di una coppia divina del dio e della dea (oceanide o titanide, come è detta Dione), coppia che a sua volta genera una dea-figlia, ammette un significato prettamente ctonio. Il numen locale di Dodona era quindi, in origine, completo, e fornito della più svariata attività; con la specializzazione delle mansioni restò poi soltanto la funzione oracolare. Non sappiamo i nomi "pelasgici" di questi numi; sappiamo che al contatto degli Elleni i numi stessi furono interpretati ellenicamente coi nomi di Zeus (a cui fu dato l'appellativo di Naios, forse da ναίω "scorro"), Dione, Afrodite.
Questa speciale complessione religiosa può forse spiegare la eccezionale importanza dell'oracolo. A parte le consultazioni mitiche di Deucalione, Inaco, Io, Ercole, dei Calidonî, noi troviamo che, anche in tradizioni risalenti ad epoca micenea e greco-arcaica, Dodona è centro politico non meno che religioso di tutta la nazione dei Greci. Così Ulisse si rivolge al Dio di Dodona per conoscere come ritornerà ad Itaca; così lo interroga Enea; così i Beoti in guerra coi Pelasgi dell'Attica ricorrono a Dodona. Data l'importanza politica del santuario, non deve meravigliare troppo il fatto che il nome regionale di Hellas (Hellopia, Helloi) si sia poi propagato a tutto il paese, tanto è vero che, anche in epoca seriore, il suo possesso garantì l'egemonia dell'Epiro.
In seguito Dodona dovette dividere la venerazione con Delfi, e passare al secondo posto, ma Esiodo ne parla con la più alta ammirazione, e Pindaro le dedica un poema. L'oracolo fu consultato da Creso e forse da Temistocle. In genere gli Ateniesi, quasi a controbilanciare l'influenza di Delfi più propensa agli Spartani, si mostrano devoti di Dodona; ma non manca il caso di città che contemporaneamente interrogano ambedue gli oracoli. Prima di Leuttra gli Spartani consultano Dodona, e così pure gli Ateniesi durante la guerra del Peloponneso. Durante il conflitto con la Macedonia, quando la Pizia propende per Filippo, Dodona è popolare in Atene. Una certa attività dell'oracolo può seguirsi durante le fortunose vicende dei re Molossi; al tempo della confederazione che ne seguì Dodona custodiva probabilmente l'archivio degli atti federali. Durante le lotte tra Macedonia ed Etolia lo stratego Dorimaco capo della lega etolica nel 219 saccheggia Dodona. Lo stesso fecero con ogni probabilita i Romani dopo Pidna, e i Traci alleati di Mitridate nell'89 a. C. Strabone (VII, 327) trova l'oracolo venuto meno; così Seneca e Lucano. Sotto Adriano Dodona offre qualche cenno di vitalità. Eusebio, Gregorio Nazianzeno e Teodoreto ne parlano come di una memoria. Dopo Teodosio fu a Dodona stabilito il culto cristiano, con un vescovo; ma durante la guerra gotica sotto Giustiniano Dodona fu definitivamente distrutta.
Prassi dell'oracolo. - Gli elementi mantici erano originariamente costituiti da una quercia sacra, le cui foglie stormendo al vento producevano il suono che l'esegeta sacro interpretava; da una fonte che sgorgava ai piedi della quercia (Plinio, II, 228); dall'eventuale presenza di colombi sacri il tubare o il volo dei quali poteva costituire altri dati mantici. Ma già al tempo di Erodoto (II, 55) la presenza dei colombi πελίαι) è spiegata razionalisticamente e riferita a sacerdotesse umane (tre, secondo Erodoto; due in Sofocle, Trachinie, 171; una in Servio, Aen., III, 466). Altri parlerà di colombe "humanam vocem edentes" (Serv., loc. cit.); altri (Strab., VII, fr. 2) ricorda che il dialetto locale chiamava πελίαι le vecchie; evidentemente questo dato delle Peleiadi ha costituito per tutti gli antichi una grave difficoltà; né è facile a sciogliersi neppure per noi. Giacché è evidente che in origine l'ufficio esegetico dodoneo è in mano di una famiglia di sacerdoti detti τόμουροι oppure ὑποϕῆται (Odissea, XVI, 403; Iliade, XVI, 233) che mai si lavavano i piedi, e dormivano sulla nuda terra, trasmettendosi la carica per discendenza (il nome di Σελλοί o ‛Ελλοί è etnico e più generale); rifuggivano da ogni raffinatezza quasiché Zeus si compiacesse della rozzezza loro: alla loro testa avevano un ναἶαρχος eponimo.
Ma quando e perché compaiano le tre Peleiades, le τρεῖς γραῖαι di Strabone (VII, 329), non possiamo dire. Strabone fa risalire il fatto a quando Dione fu aggiunta a Zeus; ma poiché è verosimile che il culto della dea sia sempre esistito accanto a quello del dio, le sacerdotesse avrebbero dovuto trovarsi anche nelle origini più remote. Certo è che in epoca storica le mansioni mantiche noi le troviamo in mano alle sacerdotesse, mentre agli uomini resta solo la prassi dei sacrifici; i soli Beoti, che avevano ucciso una Peleiade, dovevano ricevere gli oracoli dai sacerdoti (Strab., IX, 402).
Durante il sec. IV sono documentate, sull'autorità di Cicerone (De div., I, 34), forme cleromantiche a Dodona; e, sempre nella stessa epoca, un curioso sistema di tripodi posti in giro o comunque collegati i quali toccati risuonavano; secondo altri, un solo bacino sul quale il vento faceva battere tre astragali.
Le domande e le risposte venivano scritte su laminette di piombo, la cui prassi noi possiamo seguire sull'esempio di quella in uso per l'oracolo di Apollo Coropaios (cfr. Robert, in Hermes, 1883, 466). Tutte quelle che furono trovate negli scavi e che ora sono conservate nel Museo di Atene furono pubblicate dal Carapanos; una scelta, nelle sillogi del Dittenberger e del Collitz-Bechtel.
Sono infine documentati a Dodona dei giuochi detti Νᾷα, con corse di carri, e degli agonoteti.
Alcuni autori (Cinea, Stefano bizantino, Suida, Mnasea, Filosseno, ecc.) hanno sostenuto l'esistenza di due Dodone, delle quali una in Tessaglia presso Scotussa; a questa si riferirebbe il passo omerico dei Perrebi (Iliade, II, 748). Ma né Erodoto né Aristotele fanno cenno di essa; la leggenda è probabilmente nata per l'unione etnica e geografica della Tessaglia con l'Epiro.
Bibl.: C. Carapanos, Dodone et ses ruines, Parigi 1878, fondamentale; A. Bouché-Leclercq, Histoire de la divination, Parigi 1879-81, II, pp. 277-331; O. Kern, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, coll. 1257-65.