CONFUORTO (Conforto, Di Conforto), Domenico
Non abbiamo quasi nessuna notizia diretta sulla sua vita: sappiamo soltanto che fu avvocato. Altri dati biografici possono essere desunti indirettamente.
Il Cortese l'ha identificato con un notaio Domenico di Conforto, che esercitò la professione a Napoli dal 1636 al 1674, ma il Nicolini ha dimostrato l'inesattezza di questa identificazione, confrontando la grafia degli ultimi atti del notaio, che è quella di un uomo assai vecchio, con l'autografo dei Giornali... del Confuorto.
Al C. possono essere attribuite con molta probabilità diverse opere genealogiche apparse in quegli anni sotto lo stesso nome: bisogna notare comunque che l'attribuzione in base all'omonimia non è senz'altro pacifica, perché questo cognome era piuttosto comune a Napoli. In primo luogo, in ordine cronologico, abbiamo la Critica di Roberto Lanza a due principali luoghi dell'Istoria della famiglia Carafa composta dal regio consigliere Biagio Altomari, s. n. t., ma stampata a Napoli nel 1692.
Roberto Lanza è pseudonimo del C., come risulta dalla risposta pubblicata l'anno stesso dall'Altomari: Emendazione della Critica di Roberto Lanza, cioè di Domenico di Conforto a due principali luoghi dell'istoria della famiglia Carafa. Alle origini di questa polemica c'era una disputa per questioni di primogenitura fra due rami della famiglia Carafa, e ciascuno di essi aveva appunto incaricato uno specialista di questioni genealogiche di difendere la propria causa.
Intorno al 1695 il C. compose, sotto lo pseudonixno di Fortundio Erodoto Montecco (anagramma di Dottore Domenico Confuorto), le Notizie d'alcune famiglie populari della Città, è Regno di Napoli divenute per le ricchezze, è dignità raguardevoli.
Di quest'opera, rimasta manoscritta, si conoscono diverse copie, conservate a Napoli (Società napoletana di storia patria e Biblioteca nazionale) e a Roma (Biblioteca nazionale, Mss. Vitt. Eman. 1307,3, e Biblioteca dei Sovrano Militare Ordine di Malta, ms. 253).
Un'altra opera rimasta manoscritta, e finora non segnalata dagli studiosi, è Il Torto e 'l Dritto della Nap. a Nobiltà overo Genealogia delli Cinque Seggi della Città di Napoli d'Incerto Autore. Il manoscritto è della fine del XVII secolo o degli inizi del XVIII, e il nome dell'autore si ricava dalla prefazione (Bibl. d. Sovrano Militare Ordine di Malta, ms. 254).
Nel 1701 vennero pubblicati a Napoli i Discorsi postumi dei Signor Carlo de Lellis di alcuno poche nobili famiglie, con l'annotationi in esse, e supplimento di altri discorsi genealogici di famiglie nobili della Città, e Regno di Napoli, del Dottor Signor Domenico Conforto. Dei ventidue "discorsi" contenuti in quest'opera quattro sono del de Lellis, e diciotto del Confuorto. Infine nel 1732 venne pubblicata a Bologna Della famiglia Ceva descritta in Genova nell'albergo Grimaldi, discorso genealogico del dott. Domenico di Confuorto continuato fino ai nostri tempi. Di quest'opera, evidentemente postuma, non conosciamo il nome del continuatore, né fino a che punto sia arrivata la stesura del Confuorto.
Il Nicolini mette in dubbio l'attribuzione della Critica di Roberto Lanza..., soprattutto perché quel Biagio Altomari col quale il C. polemizzò vivacemente fu pochi anni dopo, nel 1700, il censore civile dei Discorsi postumi.., che giudicò "plenos varijs eruditionibus, publico utilibus...". Ciò contrasta evidentemente col giudizio negativo espresso otto anni prima nell'Emendazione... , nella quale aveva definito il C., fra l'altro, "Autor venale, che per scampar la vita va salendo le case altrui, con componere mille favole il giorno per pochi carlini..." (p. 11). Noi pensiamo invece che l'attribuzione venga confermata dal fatto (non rilevato dal Nicolini) che il C., nelle Notizie d'alcune famiglie populari..., carica di vituperi, anche piuttosto grossolani, l'Altomari, scrivendo in particolare che egli "si pose à far hofficio di Procuratore inventando diverse sottigliezze per cavar denari dalle borse de' suoi Clienti" (p. 12 della copia presso la Biblioteca nazionale di Roma). Ci sembra dunque che questo C. sia lo stesso autore della Critica di Roberto Lanza.... Alla difficoltà, certo fondata, proposta dal Nicolini, si potrebbe rispondere che forse nel frattempo era sopravvenuta fra i due una riconciliazione.
L'opera principale dei C., i Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, pubblicati a Napoli in due volumi nel 1930-1931, a cura di F. Nicolini, sono una fonte molto importante per la storia di Napoli sul finire del XVII secolo. Confrontati alle altre cronache coeve, i Giornali di Innocenzo Fuidoro (pseudonimo di Vincenzo d'Onofrio), che vanno dal 1660 al 1680, e soprattutto al Cronicamerone di Antonio Bulifon, che copre gli anni 1670-1692 e 1700-1706, i Giornali dei C. risaitano soprattutto per la ricchezza e la precisione dell'infonnazione.
Invero si tratta per lo più di un'informazione minuta e aneddotica, racconto vivo e divertente, ma anche stereotipo di fatti di cronaca, matrimoni, processioni, funerali, duelli, risse, scampagnate viceregali, questioni genealogiche, scandali vari. Il C. non mostra né intelligenza politica né capacità di storico, e spesso appiattisce l'importanza dei fatti che viene narrando. Il suo orizzonte mentale è quello angusto, tipico di un borghese napoletano dell'epoca. La sua cultura si limita alla giurisprudenza e alla scienza genealogica: fondamentalmente misoneista, egli rimase estraneo, anzi fu ostile al vasto movimento di rinnovamento culturale che proprio in quegli anni toccava a Napoli il suo fulgore. Era rispettosissimo dell'autorità costituita, anche se non risparmiava critiche ai rappresentanti prepotenti e corrotti di essa, dai più bassi funzionari ai viceré spagnoli. Attaccatissimo alla religione, narra pure con minuzia e soddisfazione gli scandali che coinvolgono il clero. E naturalmente dedica una particolare attenzione alla nobiltà.
Con ciò non si vuol dire che i Giornali servano solo ad illustrare la vita quotidiana della città, o a chiarire dei dettagli. L'informazione del C. si estende ad ogni evento cittadino, e dalla massa enorme di dati da lui registrati si ricavano elementi spesso unici e importantissimi su alcune delle vicende più rilevanti della Napoli dell'epoca. In particolare i Giornali sono una fonte preziosa per la ricostruzione delle vicende del quietismo a Napoli, sul "processo degli ateisti", sulla cacciata del delegato dell'Inquisizione romana e sulle controversie giurisdizionali con la S. Sede.
Un'altra interessante caratteristica dei Giornali è che il C. vi inserì come "pezze d'appoggio" un gran numero di opuscoli, placchette, giornali, incisioni, manifesti, fogli volanti e simili, che illustrano gli episodi narrati. Essi purtroppo sono conservati solo nei volumi autografi, che arrivano fino al 1694. Per i cinque anni restanti l'editore è dovuto ricorrere ad una copia molto infedele.
Fonti e Bibl.: L. Giustiniani, La biblioteca stor., e topografica del Regno di Napoli, Napoli 1793, p. 175; C. Minieri Riccio. Catal. dei mss. della biblioteca di C. Minieri Riccio, I, 2, Napoli 1868, pp. 99 s.; C. Padiglione, La biblioteca del Museo nazionale della Certosa di S. Martino in Napoli ed i suoi manoscritti, Napoli 1876, pp. 106 s., 289-291; N. Cortese, I ricordi di un avvocato napol. del Seicento: Francesco d'Andrea, Napoli 1923, pp. 227 s., 237; F. Nicolini, Aspetti della vita italo-spagnola nel Cinque e Seicento, Napoli 1934, pp. 246, 258 s.; Id., Su Miguel Molinos, Pier Matteo Petrucci e altri quietisti segnatamente napoletani. Notizie, discussioni, documenti, in Boll. dell'Arch. stor. del Banco di Napoli, III (1951), pp. 158 s.; Id., Su Miguel de Molinos e taluni quietisti ital. Notizie, appunti..., ibid., XIII (1959), pp. 223-349 passim; R. Colapietra, Vita pubblica e classi polit. del viceregno napol., Roma 1961, passim; R. De Maio, Società e vita religiosa a Napoli nell'età moderna (1656-1799), Napoli 1971, passim; L. Osbat, L'Inquisiz. a Napoli. Il processo agli ateisti 1688-1697, Roma 1974, passim.