DOMENICO da Gravina
Nacque all'inizio del sec. XIV a Gravina e qui visse esercitando la professione di notaio.
L'unica fonte per la biografia di D. è la cronaca da lui stesso scritta - il Chronicon de rebus in Apulia gestis - che fornisce notizie per un arco di tempo piuttosto limitato, riguardante soprattutto gli anni 1348-1350.
In questo periodo la Puglia fu teatro della dura lotta tra i sostenitori di Giovanna I d'Angiò e quelli di Luigi d'Ungheria. Alla fine del 1347 quest'ultimo era sbarcato nel Regno per vendicare l'uccisione del fratello Andrea, marito di Giovanna I, che era stato assassinato nel settembre 1345, e per far valere i diritti di successione al trono napoletano che vantava in virtù della discendenza diretta da Carlo II d'Angiò. Alla fine di gennaio 1348 Luigi d'Ungheria entrò a Napoli, da cui era fuggita Giovanna I insieme con il nuovo marito Luigi di Taranto. Ma il sovrano non riusci ad imporre la propria autorità in tutte le regioni del Regno per l'opposizione dei sostenitori di Giovanna: alla fine del mese di maggio decise di far ritorno in patria, lasciando nel Regno presidi armati sotto il comando di Stefano Laczkfy, voivoda di Transilvania. La partenza di Luigi d'Ungheria apri una nuova, più accesa, fase di lotta tra i partiti avversi: il voivoda Stefano, comunque, riusci a conservare il controllo di vaste zone, soprattutto in Puglia. Il conflitto prosegui con risultati alterni: nell'aprile del 1350 Luigi d'Ungheria sbarcò di nuovo nel Regno per cercare di risolvere la lotta a proprio favore. Nonostante alcuni importanti successi, non riusci a piegare gli avversari e nel settembre decise di lasciare definitivamente il Regno, rinunciando all'impresa.
Come il resto della Puglia, Gravina fu coinvolta nelle lotte di quegli anni. La città e il suo territorio erano state donate dalla regina Giovanna alla sorella Maria, moglie del duca Carlo di Durazzo, nel 1344; Luigi d'Ungheria nel 1348, concesse questo feudo al voivoda Stefano.
Il Sorbelli, al quale si deve la biografia più analitica - anche se non sempre esatta - di D., ha ritenuto che quest'ultimo si fosse schierato per il partito ungherese sin dal 1345, quando l'assassinio di Andrea spinse l'opposizione contro Giovanna a organizzarsi e a cercare sostegni fuori del Regno. In realtà la cronaca di D. non offre notizie in proposito. Riferisce, invece, che D. stesso venne accusato di aver preso parte alla congiura contro Andrea e al suo assassinio. L'accusa, respinta sdegnosamente da D. il quale dichiara di aver continuato a dimorare a Gravina nei giorni in cui i congiurati portavano a termine il loro progetto, non è ricordata dal Sorbelli; è messa, invece, in luce dal Soria, il quale la interpreta come una calunnia diffusa dai nemici di D. per porlo in cattiva luce con gli Ungheresi, quando questi prevalsero a Gravina, e poter procedere all'espropriazione dei suoi beni. A ben vedere il testo della cronaca, però, la tesi del Soria non appare accettabile. D., infatti, all'inizio del suo racconto elenca le sventure che egli stesso, al pari dei suoi conterranei, aveva subito durante la lotta apertasi in Puglia: tra queste sventure ricorda l'accusa e l'espropriazione, ma non le mette affatto tra loro in rapporto di causa ed effetto. E, d'altro canto. la lettura del resto della cronaca ci informa che D. subi l'esproprio dei beni familiari non già ad opera degli Ungheresi, bensi per mano del partito avverso. Appare, allora, legittimo ritenere che l'accusa venne mossa a D. subito dopo il settembre 1345, nel clima di sospetto diffuso allora nel Regno, e che, di conseguenza, in quel momento egli fosse considerato non già un esponente del partito ungherese, bensi persona in qualche modo legata ai nemici di Andrea.
La cronaca di D. offre, poi, notizie più dettagliate su di lui a partire dagli ultimi mesi del 1348. Fino ad allora Gravina si era mantenuta fedele alla duchessa di Durazzo e aveva continuato ad essere governata dal capitano ducale Pietro di San Felice. Quest'ultimo, però, di fronte all'aggravarsi del conflitto armato e temendo, probabilmente, un intervento del voivoda Stefano, che si trovava presso Foggia, decise di dimettersi dall'incarico. Al suo posto i cittadini scelsero Angelo Gualtieri, senza, peraltro, mettere ancora in discussione la fedeltà alla duchessa (la ricostruzione di questi avvenimenti proposta dal Sorbelli presenta alcune inesattezze). Lo stesso D. appare ancora schierato con la duchessa, o comunque non ancora apertamente passato al partito avverso, dato che risulta titolare della custodia del castello di Gravina. Il cambiamento di fronte da parte sia della città, sia di D., dovette avvenire all'inizio del 1349. Allora il voivoda Stefano decise di nominare un proprio capitano per Gravina, facendo così valere i diritti feudali che aveva ricevuto da Luigi d'Ungheria. La sua scelta cadde su Nicola di Angelo di Monte Sant'Angelo, il quale, prima di prendere possesso della carica, decise di inviare a Gravina due messi per sondare le intenzioni dei cittadini. D. ospitò nella propria casa i due nunzi del capitano e poi indusse Angelo Gualtieri a convocare l'assemblea, affinché i Gravinesi scegliessero liberamente il signore feudale. E fu lo stesso D. a leggere in assemblea le lettere recate dai due messi. L'assemblea decise in favore del voivoda e incaricò D. e altri due cittadini, Cicco de Gregorio e Roberto de Bucca, di recarsi al castello di Santa Maria del Monte per comunicare a Nicola di Angelo che Gravina lo accettava come capitano.
La decisione fu presa all'inizio di febbraio. D. e i suoi amici - partirono subito per il castello di Santa Maria e in breve furono di ritorno insieme con Nicola di Angelo. Ma quando erano ormai vicini a Gravina vennero avvisati che la sera prima la città aveva cambiato opinione, cedendo alle pressioni del napoletano Odorisio "de Turri", inviato dalla duchessa di Durazzo. D. cercò allora di entrare nel castello di Gravina; ma anche qui fu respinto dal suo vicario, al quale egli stesso aveva affidato la custodia della rocca. Tuttavia ben presto il partito ungherese riusci di nuovo a prevalere sui partigiani della duchessa: il 9 febbraio D. e il nuovo capitano riuscirono ad entrare in città, mentre i capi del partito avverso ne uscivano e si rifugiavano presso Roberto di Sanseverino. Prevedendo un attacco dei Durazzeschi contro Gravina, D. si recò presso il voivoda Stefano, allora a Barletta, per chiedergli l'invio di truppe. Le forze ungheresi erano impegnate in quel momento contro Ruvo e Terlizzi, che si erano sollevate: D. prese parte alle azioni contro i due centri e, dopo la loro sottomissione, ottenne un forte contingente militare guidato da Giovanni Chutz. Scontratisi con Roberto di Sanseverino, gli Ungheresi, dopo un inizio incerto, riuscirono a prevalere e ad imporre il loro controllo su un vasto territorio intorno a Gravina.
Ma le truppe dello Chutz presidiarono per poco tempo la città: richiamate dal voivoda Stefano, lasciarono Gravina dopo aver ottenuto l'atto formale di soggezione di questa. D., nella sua qualità di pubblico notaio, rogò il documento. La partenza delle truppe ungheresi dette nuovo coraggio al partito durazzesco dentro e fuori Gravina. Di nuovo Roberto di Sanseverino mosse contro la città e di nuovo D., insieme con il capitano Nicola di Angelo ed altri, si recò a Barletta per chiedere aiuti. Questa volta, però, la risposta del voivoda fu negativa. Rientrati a Gravina, i capi del partito ungherese decisero di eliminare subito i loro avversari interni: tra il 23 e il 24 aprile catturarono i loro oppositori e devastarono le proprietà di questi. D. avrebbe voluto condannarli a morte, ma il capitano Nicola di Angelo si oppose. L'opinione di D. non prevalse nemmeno quando, nei giorni immediatamente successivi, i capi del partito ungherese discussero sulle possibilità di resistere all'attacco del Sanseverino. D. proponeva di organizzare la difesa della città; ma prevalse l'opinione di chi preferiva fuggire, considerando inutile ogni resistenza, data la sproporzione delle forze in campo. La mattina del 28 aprile D. con gli altri esponenti del partito ungherese usci da Gravina: portava con sé soltanto il figlio maggiore Gregorio, mentre lasciava la madre, la moglie e i tre figli minori, Cola, Baliarina e Filippo, l'ultimo dei quali era nato da pochi giorni.
I fuggitivi riuscirono a raggiungere Corato, dove vennero accolti dal presidio ungherese. Nel frattempo i familiari di D. si salvavano a stento, nascondendosi in case di amici, dalle rappresaglie dei Durazzeschi. Da Corato D. si mosse prima per Monte Sant'Angelo, poi andò a Barletta e quindi raggiunse Altamura: qui si riunì con la madre, la moglie e il figlio Cola, mentre gli altri due - Baliarina e Filippo - restavano a Gravina come ostaggi. Probabilmente nel mese di giugno si trasferi, infine, a Bitonto.
Da questa città continuò a combattere a fianco degli Ungheresi. Nel 1349 prese parte a varie spedizioni, dirette soprattutto contro Corato, e cercò invano di penetrare a Gravina. Alla fine del 1349 o nel corso dell'anno successivo fu raggiunto a Bitonto dai figli che erano stati trattenuti come ostaggi nella città natale. Nel 1350 partecipò all'attacco ungherese contro Somma Vesuviana e ricevette dal re Luigi le proprietà di un certo Franco Croci di Bitonto a titolo di risarcimento per i beni che gli erano stati espropriati dai Durazzeschi a Gravina.
La sua cronaca si ferma al 1350, così che non siamo in grado di avere notizie su D. dopo questo anno.
La cronaca compilata da D. è una delle fonti più importanti per gli avvenimenti del Regno tra il 1333 e il 1350 e in particolare per il conflitto tra Giovanna I e Luigi d'Ungheria, e quella principale per la lotta che si svolse in Puglia. Essa è giunta a noi in un codice cartaceo trecentesco che la critica ritiene autografo e che si conserva nella Nationalbibliothek di Vienna. Secondo il Sorbelli la cronaca, in un latino piano e semplice, venne scritta in due diversi momenti, nell'estate del 1349, quando D. si era da poco trasferito a Bitonto, e alla fine del 1350 o all'inizio dell'anno successivo. La narrazione termina con la definitiva rinunzia al Regno da parte di Luigi d'Ungheria: essa segue l'ordine cronologico in maniera non rigida, nel senso che gli avvenimenti sono trattati soprattutto in base alla loro importanza nell'economia del racconto, e spesso il medesimo episodio risulta ricordato più volte e descritto in modo analitico solo quando i suoi particolari sono utili alla miglior comprensione dell'intera vicenda. Il Sorbelli ritiene che la cronaca sia sostanzialmente veritiera, in quanto, a suo parere, D. riusci ad evitare di trasferire nel racconto la propria passione politica e a conservare una certa obiettività nel rappresentare gli avvenimenti. Il giudizio è condiviso dal Léonard ma limitatamente ai fatti di Puglia: secondo lui, infatti, il racconto che D. fa delle vicende accadute alla corte napoletana, nel periodo precedente e in quello immediatamente successivo la morte di Andrea, non è di prima mano e richiede, pertanto, una attenta verifica.
La cronaca venne edita per la prima volta da L. A. Muratori in Rerum Italicarum Scriptores, XII, Mediolani 1728, coll. 549-722. L'edizione del Muratori fu successivamente riproposta, senza alcuna variazione, da A. A. Pelliccia, Raccolta di varie croniche, diari ed altri opuscoli appartenenti alla storia del Regno di Napoli, III, Napoli 1781, pp. 191-486 e da E. Anfossi che la pubblicò a Napoli nel 1890insieme con una traduzione del testo in italiano. Passi della cronaca, tradotti in italiano, sono stati successivamente pubblicati da A. Serino. Memorie nostre desunte dalle cronache pugliesi di notar Domenico da Gravina, Gravina 1901. L'edizione più recente è quella curata da A. Sorbelli per la nuova edizione dei Rerum Italicarum Scriptores, XII, 3, Città di Castello 1903-1909.
Fonti e Bibl.: Si è già detto che l'unica fonte per ricostruire la biografia di D. è la cronaca da lui stesso scritta e di cui si sono indicate le edizioni. Di D. si sono occupati G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, II, 2, Napoli 1747, pp. 92 s.; F. Soria, Memorie storico-critiche degli scrittori napoletani, I, Napoli 1781, pp. 314-316; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 116; B. Capasso, Le fonti della storia delle provincie napoletane dal 568 al 1500, in Arch. stor. per le prov. napol., I (1876), pp. 584 s.; L. Volpicella, Bibl. storica della prov. di Terra di Bari, Napoli 1884, pp. 727; A. Sorbelli, Introduzione, alla sua edizione della cronaca di D., pp. III-XXIX; E-G. Léonard, Histoire de Jeanne Ire reine de Naples, comtesse de Provence (1343-1382), I, Monaco-Paris 1932, pp. LXI-LXVI; A. Petrucci, Notarii. Documenti per la storia del notariato italiano, Milano 1958, p. 106 e tav. 54; Il notariato nella civiltà italiana, Milano 1961, pp. 230 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, p. 240.