DOMENICO di Francesco, detto Domenico di Michelino
Nacque a Firenze nel 1417. Ricordato dal Vasari tra i discepoli dell'Angelico, come hanno chiarito le ricerche svolte dal Milanesi (1878), derivò il suo nome dal suo primo maestro il "forzierinaio" Michelino, artista identificato dalla Collobi Ragghianti (1949-50) con il Maestro di Paride.
Tra il 1440 e il 1446 D. fu incaricato di eseguire lo stendardo processionale per l'ospedale degli Innocenti (Bellosi, 1977). Il dipinto, che raffigura gli innocenti sotto il manto della Madonna, ha subito nel 1500 manomissioni tali da renderne quasi illeggibile il carattere originario.
A questo primo periodo dovrebbe risalire anche l'Annunciazione della J. G. johnson Collection di Filadelfia (Mather, 1906), di stretta derivazione angelicana. Sulla base di quest'opera B. Berenson (1913) attribui al D. un gruppo di dipinti tra cui il Giudizio universale (Berlino, Staatliche Museen) datato 1456, eseguito forse in collaborazione con Zanobi Strozzi. Affine e probabilmente coeva è l'Annunciazione della National Gallery di Londra (che comprendeva anche la tavoletta raffigurante la Cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre, presso l'Artsbisschoppelijk Museurn di Utrecht: cfr. Collobi Ragghianti, 1949-50; van Os-Prakken, 1974).
Nel 1444 D. risulta essere iscritto all'arte dei medici e speziali (Colnaghi, 1928). Subito dopo entrò in rapporto con F. Pesellino, forse in relazione alla produzione di cassoni: i pannelli, raffiguranti la Storia di Susanna (Rennes, Musée des beaux-arts), compiuti nel 1450 per il matrimonio di Alessandra Strozzi con Giovanni Bonsi, hanno affinità con opere analoghe del Pesellino, in particolare con i Trionfi dell'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (cfr. Collobi Ragghianti, 1949-50, pp. 370, 377, nn. 29 s.; Zeri, 1976, pp. 77 s.).
La decorazione di cassoni con scene spesso tratte dai Trionfi e dal Canzoniere del Petrarca costitui un tirocinio che sviluppò le sue capacità di illustratore.
Nel 1459 finì di dipingere il gonfalone lasciato incompiuto da Lorenzo di Puccio, per la Compagnia di S. Marco delle Laudi, che si adunava in S. Francesco a Cortona. In questi anni il pittore veniva approfondendo anche la conoscenza dell'arte di Filippo Lippi ravvisabile nella Madonna in trono dell'Alte Pinakotheke di Monaco (datata 1458), in cui è evidente la maturazione delle componenti dello stile di D., che si manterrà complessivamente costante (Ciaranfi, 1925-26). Nel 1463 dipinse figure di Santi per l'armadio in cui la Compagnia di S. Maria della Purificazione e di S. Zanobi a Firenze riponeva lo stendardo; D. stesso era membro della Compagnia di S. Zanobi delle Laudi (Colnaghi, 1928).
Nel gennaio 1456 (Gaye, 1830) fu incaricato dagli operai di S.Maria del Fiore di eseguire un Ritratto di Dante. Compiuto nel giugno, il dipinto gli fu pagato più del pattuito, poiché non solo la figura del poeta risultava perfettamente realizzata secondo il modello che gli era stato fornito, ma era anche valorizzata con l'aggiunta di alcune scene.
Il monumento pittorico a Dante (ritenuto dell'Orcagna fino al reperimento dei documenti del Gaye) fu probabilmente commissionato al pittore per celebrare il secondo centenario della nascita del poeta. Il dipinto doveva essere collocato nel luogo in cui tra il 1413 e il 1430 era stata un'altra opera di soggetto analogo, che certamente costitui una fonte per D. (Chastel, 1959). L'opera rappresenta Dante in piedi, con il libro aperto di fronte a Firenze, in atto di designare con la mano destra il regno dei dannati. Dietro di lui è la montagna del purgatorio percorsa dai peccatori. Fasce curve stanno infine ad indicare i cerchi del paradiso.
Sebbene Dante compaia in primo piano, cinto di alloro, il dipinto celebra piuttosto la città di Firenze, riconoscibile per la presenza della cupola del Brunelleschi. L'esaltazione è quindi rivolta alla "gloria terrestre" secondo una tendenza tipicamente rinascimentale.
I documenti riguardanti il dipinto indicano che la figura di Dante doveva essere eseguita secondo un modello fornito da Alessio Baldovinetti. Quest'ultimo, che forse aveva procurato la commissione a D., fu poi incaricato di valutare l'opera assieme a Neri di Bicci, artista con il quale D. intrattenne rapporti e per il quale stimò con Zanobi Strozzi la tavola di S. Romolo (Neri di Bicci, Le ricordanze). L'illustrazione della Commedia può quindi offrire notevoli spunti per una riflessione sull'arte di Domenico. I lineamenti generali della composizione derivano da Filippo Lippi; D. rivela poi echi dell'Angelico tradotti in una sua maniera piuttosto secca e dura, il modellato compatto lo avvicina invece a Pesellino. Oltre a queste caratteristiche l'opera presenta un'impronta derivante da A. Baldovinetti per i colori; infine si nota la citazione dello sfondo di S. Giovanni Battista nel deserto, parte della pala di S. Lucia di Domenico Veneziano (Washington, National Gallery), nel paesaggio dell'inferno.
Il monumento pittorico dovette godere ai suoi tempi di grande fama e fu anche tradotto a stampa da un ignoto incisore (Vienna, Albertina). Esso costituisce comunque l'unico riferimento certo ed integro per l'identificazione dell'opera di D. che è stata ricostruita in particolare da B. Berenson, A. M. Ciaranfi e da R. van Marle.
Questi interventi hanno indicato la traccia generale entro la quale, con soluzioni di compromesso, si sono svolte le successive attribuzioni (tra cui si ricordano quelle di Venturi [1933], Salmi [1935], Zeri [1965], Fredericksen-Zeri [1972], Bellosi [1977]), senza che la personalità di D. risulti nettamente evidenziata da quella di Zanobi Strozzi, di Giusto d'Andrea e anche di Zanobi Machiavelli.
L'opera di D., sempre piuttosto povera nell'inventiva, si dimostra di volta in volta più o meno accurata a seconda dell'importanza della destinazione e del committente. La sua bottega doveva essere in certa misura simile a quella fiorente e ben avviata di Neri di Bicci, dedita ad una vasta gamma di attività, retta soprattutto da necessità commerciali.
Tra le ultime, scarse notizie su D. si ricorda la denuncia al Catasto del 1480 (Pini-Milanesi, 1876), da cui risulta che abitava con la moglie Marsilia nel quartiere di S. Croce, gonfalone Ruote, parrocchia di S. Ambrogio; la sua bottega era in S. Stefano e possedeva una vigna con uliveto e casa colonica nel Chianti. D. morì a Firenze il 18 apr. 1491 e fu sepolto nella chiesa di S. Ambrogio.
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