SAVI, Domenico
SAVI, Domenico (Dominicutius Savi, Meco del Sacco). – Di questo «civis esculanus» si può ipotizzare la nascita da genitori sconosciuti, ad Ascoli, tra la fine del XIII e i primi decenni del XIV secolo. Di discreta estrazione sociale, fu sposato, secondo Marcucci, con una non meglio nota Clarella ed ebbe almeno un figlio di nome Angelo (Marcucci, 1766, p. 272; Archivio di Stato di Ascoli Piceno [= d'ora in poi ASAP], Fondo Sgariglia, F. V perg. 7).
L’appellativo Meco del Sacco, con il quale Savi è altresì noto alla storiografia, non figura nella documentazione coeva in cui egli viene indicato come Dominicus Savi, o con il diminutivo Dominicutius (Pastori, 1796, p. 15). Infatti Sacci è, con tutta probabilità, il frutto di un errore nella lettura di Savi, progressivamente avvalorato per il richiamo all’abito di un laico penitente.
Le scarne notizie a noi pervenute si sono conservate soprattutto grazie ai processi in cui Savi rimase coinvolto dalla fine degli anni Trenta al 1346. Le ricostruzioni degli storici locali, a partire dal secolo XVII (Sebastiano Andreantonelli, Paolo Antonio Appiani, Nicolò e Francesco Antonio Marcucci) hanno tentato di colmare le lacune biografiche; tuttavia esse appaiono non verificabili alla luce dei documenti ad oggi disponibili e talora inaffidabili, compromesse come sono da velleità denigratorie (De Santis, 1980, pp. 29-46).
Dominicutius compare per la prima volta nella documentazione in un privilegio di Rinaldo, vescovo di Ascoli, datato 1° agosto 1334. Ivi Savi vide accolta la richiesta di costruire «in cacumine montis Polesii» (oggi monte Ascensione) una chiesa dedicata all’ascensione di Cristo e all’assunzione della Vergine (ASAP, Fondo Sgariglia, F.V perg. 1). Con la concessione della prima pietra benedetta ottenne anche quaranta giorni d’indulgenza per quanti avessero, con le proprie sostanze, favorito l’edificazione della chiesa o l’avessero visitata nelle festività della dedicazione.
Di lì a breve si collocherebbe, secondo il Marcucci, un primo processo, non altrimenti confermato, a cui Savi sarebbe stato sottoposto dall’inquisitore Emidio da Ascoli (Marcucci, p. 272; De Santis, pp. 153-167; Benedini, 2000, pp. 173 s.). Certo è invece il processo in cui egli fu imputato tra il 1337 e il 1338.
A consentirne la ricostruzione è una lettera del 28 maggio 1338 con la quale Oliviero da Cerzeto, decano di S. Ilario, rendeva noto al vescovo Rinaldo, ai presbiteri e ai notai di Ascoli, d’esser stato incaricato da papa Benedetto XII d’occuparsi dell’appello di Savi contro la sentenza di fra Giovanni da Monteleone, inquisitore dell’ordine dei frati Minori (ASAP, Fondo Sgariglia, F.V perg. 3).
Domenico Savi aveva istituito ad Ascoli, negli immobili di sua proprietà vicino a porta Tufilla, un ospedale che al pari della chiesa sul monte Ascensione aveva suscitato – per il seguito ottenuto e i conseguenti benefici economici – invidie e maldicenze dei vicini frati Minori («suggesserunt mendaciter […] fore prefata hospitale et ecclesiam sinagogam» (ibid.). Sollecitato dai confratelli, Giovanni da Monteleone era intervenuto, incarcerando Savi e disponendo la distruzione di chiesa ed ospedale. Al riesame della causa ad Avignone, Savi ritrattò ottenendo l’assoluzione dalla scomunica.
Legato all’esito di questo processo è forse il mandato del pontefice, ricevuto dal vescovo di Ascoli, a vigilare sui beni del crucisignatus Savi, partito - o comunque risoluto a partire - per un pellegrinaggio penitenziale in Terrasanta (ASAP, Fondo Sgariglia, F.V perg. 2; Benedini, pp. 173 s.).
Domenico, ricevuta da Rinaldo il 14 luglio 1339 la licenza per ricostruire chiesa e ospizio dei quali deteneva il giuspatronato (ASAP, Fondo Sgariglia, F.V. perg. 4), fu poi parte lesa in un terzo procedimento che lo oppose, supportato dagli agostiniani, al pievano, ai presbiteri e ai chierici dell’adiacente Santa Maria Intervineas.
Imputati del danneggiamento della cappella dell’ospedale inferto nell’aprile del 1340, il 20 ottobre dell’anno seguente gli ecclesiastici furono definitivamente condannati da Bertrando Senherii, luogotenente del vicario super spiritualibus della Marca, al risarcimento per essersi rifiutati di presentarsi al processo dopo una prima, inosservata, sentenza di scomunica (ASAP, Fondo Sgariglia, F.V. perg. 5; Benedini, pp. 193-205).
Donato il giuspatronato di chiesa e ospedale agli agostiniani ascolani nel marzo 1344 (ASAP, Fondo Sgariglia, F.V. perg. 6-7; Insediamenti agostiniani, 1994, p. 102), Domenico Savi fu di lì a poco nuovamente deferito dal minorita Pietro da Penna San Giovanni per eresia; l’accusa era di autoproclamazione messianica corroborata dall'aver travalicato la condizione laicale e traviato numerosi penitenti.
Già punito in passato con il rogo dei libri, gli furono stavolta comminati una pena pecuniaria e il domicilio coatto a Roma; insieme fu proibito l'accesso a chiesa e ospedale e inibita la disposizione di donazioni ad essi destinate. Con l'appello di entrambe le parti a Clemente VI, il caso venne affidato prima al vescovo di Ascoli Isacco Bindi (19 luglio 1344; Archivio segreto vaticano, Reg. Vat., 216, cc. 430v-431r; ASAP, Fondo Sgariglia, F. V perg. 8), poi, il 19 gennaio 1345, al cardinale Guglielmo de Curte (ASAP, Fondo Sgariglia, F. V perg. 9; Archivio segreto anzianale, perg. R.III, 1). Su ingiunzione del papa, già nell'ottobre 1345, Savi aveva riottenuto taglie e gabelle indebitamente esatte e beni sottratti (ASAP, Fondo Sgariglia, F. V perg. 10-11; Pastori, pp. 56 s.). Fu però solo con l'assoluzione ad cautelam di Savi da parte di Guglielmo de Curte (26 maggio 1346) che l'iter si chiuse sconfessando così l'inquisitore, a breve sottoposto a processo (ASAP, Archivio segreto anzianale, perg. R.III, 2; De Sanctis, pp. 57-63 e 203-259; D’Alatri, 1987; Cadili, 2017).
L’assenza dell’ospedale dal catasto ascolano del 1381 fornisce un terminus ante quem per la fine delle opere assistenziali ivi condotte e, contestualmente, per la scomparsa del suo iniziatore (Di Gregorio-Valerio, 1997, pp. 131 s.).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Ascoli Piceno, Fondo Sgariglia, F. V perg. 1-11; Archivio segreto anzianale, perg. R. III, 1-2; Archivio segreto vaticano, Reg. Vat., 216, cc. 430v-431r.
F.A. Marcucci, Saggio delle cose ascolane e de' vescovi di Ascoli nel Piceno, Teramo 1766; L. Pastori, Dissertazione istorico-critica sul monte Polesio, ora detto monte dell’Ascensione e sul fondatore della Chiesa esistente nelle vette di esso, in G. Colucci, Antichità picene, Fermo 1796; A. De Santis, Meco del Sacco: inquisizione e processi per eresia (Ascoli-Avignone, 1320-1346), Ascoli Piceno 1980; M. D’Alatri, Un processo dell’inverno 1346-1347 contro gli inquisitori delle Marche, in Id., Eretici ed inquisitori, Roma 1987, pp. 77-116; Insediamenti agostiniani nelle Marche del XVII secolo. Le relazioni del 1650 e la soppressione innocenziana, a cura di R. Cicconi, Tolentino 1994, pp. 96-102; M. Di Gregorio-V. Valerio, Ospedali e strutture di accoglienza per pellegrini in Ascoli Piceno a partire dall'XI secolo: fonti storico documentarie e sopravvivenze architettoniche, in Homo viator: nella fede, nella cultura, nella storia, a cura di B. Cleri, Urbino 1997, pp. 131 s.; S. Benedini, Un processo ascolano tra sospetti d'eresia e abusi inquisitoriali, in Picenum Seraphicum, XIX (2000), pp. 171-207; G. Gagliardi, Meco del Sacco. Un processo per eresia tra Ascoli e Avignone, in L'età dei processi. Inchieste e condanne tra politica e ideologia nel '300, a cura di A. Rigon - F. Veronese, Roma 2009, pp. 305-318; A. Cadili, Disciplinare l’inquisizione: spunti a partire da un caso marchigiano. Con l’edizione critica del processo del 1346-47 contro l’inquisitore Pietro da Penna San Giovanni, in Picenum Seraphicum, XXXI (2017), pp. 9-90.