CALDERINI (Calderinus, Caldarinus, de Caldarinis), Domizio (Domitius, Domicius, Dominicus)
Nacque a Torri del Benaco agli inizi del 1446 da Antonio e da Margherita di Domenico Pase. Il suo nome di battesimo era Domenico, modificato poi in Domizio, secondo il gusto classicheggiante degli umanisti.
La data di nascita è stata fissata con una certa approssimazione dal Dunston, che ha sottoposto a riesame i dati cronologici tradizionali forniti da alcune subscriptiones di codici calderiniani (cui si dovrà aggiungere la nota autografa ad un Pausania della Biblioteca universitaria di Leida, B.P.G., 16 L, f. 1v) e da alcuni passi di prefazioni a suoi commenti sicuramente databili, in cui il C. indica la sua età. Contrastano con tali indicazioni alcune testimonianze di minor conto, ma soprattutto il testo di un'epigrafe fatta scolpire dal padre su un cippo a Torri, dalla quale risulterebbe che il C. alla sua morte: (avvenuta nel 1478)avrebbe compiuto i trentatré anni. Si è cercato di spiegare in vari modi la contraddizione tra questo dato e quelli forniti dal C., ma poiché il cippo fu collocato due anni dopo prevale l'opinione che si tratti di una svista del padre o del lapicida.
Ancor giovanetto il C. fu inviato a Verona, ove il padre, che esercitava con successo la professione notarile, aveva una casa. A Verona egli studiò lettere classiche sotto la guida di Antonio Brognanigo o da Brognoligo, che fu maestro di una folta schiera di umanisti veronesi. Il C. è ricordato tra gli scolari del Brognanigo sia nei versi di Virgilio Zavarisio in lode dei veronesi illustri dell'ActioPanthea (Veronae, Antonio Cavalcabovi e Giovanni Antonio Novelli, 1484, ff. c 6r s.), sia dal Panteo (che era stato suo condiscepolo) nel De laudibus Veronae (Ioannis Antonii Panthei Annotationes…, Venetiis s.d., f. r 3r); il Panteo sottolinea l'ardore con cui il C. cercava d'impadronirsi delle lettere greche e latine e quanto profitto ne ricavasse. Da Verona il C. passò a Venezia, chiamato dalla fama di Benedetto Brugnoli da Legnago, che già da qualche tempo teneva scuola in quella città. Del Brugnoli il C. fu scolaro per piu di due anni, e lo lasciò soltanto per trasferirsi a Roma.
Quando e per consiglio di chi il C. si recasse a Roma non è possibile sapere con esattezza. È probabile che vi giungesse intorno al 1466-67, sui vent'anni, e fosse subito attratto dall'ambiente dell'Accademia romana e dai circoli di studiosi che si raccoglievano intorno al Bessarione. Anche se non si può affermare con certezza che il "Domitius", cui sono indirizzati due epigrammi di Filippo Callimaco Esperiente (Philippi Callimachi Epigramm. libri duo, a cura di C. F. Kumaniecki, Wratislaviae 1963, pp. 39, 42), sia il C., ci è giunto un gruppo di epigrammi - che fanno parte di un "libellus" inedito del C., tramandatoci da un codice della Biblioteca nazionale di Parigi (Lat. 8274, ff. 141r-145v, 150r-156r) - dai quali risulta che egli fu in contatto con vari membri dell'Accademia romana. Egli poi fece parte (non sappiamo se fin dagli inizi del suo soggiorno a Roma) della "famiglia" del cardinale Bessarione, cui era particolarmente caro, e in un documento pontificio del 1471 (Arch. Segr. Vat., Arm.XXIX, Divers. Camer., 36, f. XVv) viene indicato come "secretarius et familiaris continuus commensalis" del Niceno.
La dimestichezza che egli ebbe col Bessarione e coi membri dell'Accademia bessarionea, la possibilità di fruire dei tesori della biblioteca del cardinale dovettero esercitare un notevole influsso sul giovane C., che, fornito della buona preparazione grammaticale che gli avevano dato i maestri veneti, ebbe a Roma la possibilità di ampliare i suoi orizzonti, arricchendo le sue conoscenze del greco e rivolgendo il suo interesse anche a testi filosofici, religiosi e teologici. Prova ne è la sua partecipazione alla disputa filosofica sulla supremazia tra Platone e Aristotele, che si era riaccesa in concomitanza con la composizione e la pubblicazione (avvenuta nell'estate 1469) della redazione latina dell'Incalumniatorem Platonis del Bessarione. Già qualche mese prima che uscisse quest'opera, Andrea Trapezunzio, figlio di Giorgio (l'autore delle Comparationes Philosophorum Aristotelis et Platonis, cui la difesa del Bessarione si riferiva), prendendo lo spunto da un trattatello De laudibus Platonis, composto nel 1467 da Ferdinando da Cordova (ms. J. 22, ff. 1-21v della Biblioteca Vallicelliana di Roma), e dalla prefazione in lode di Platone di Andrea Bussi, vescovo di Aleria, all'edizione di Apuleio, pubblicata a Roma il 28 febbr. 1469, aveva fatto diffondere un opuscolo Contra Platonem ex doctorum auctoritate (ms. VII.e.27 [già V.a.2] della Biblioteca Fardelliana di Trapani), in cui dava, a sostegno delle tesi paterne, un elenco di testimonianze tratte da autori classici, Padri della Chiesa, teologi, ecc. Subito dopo la stampa dell'InCalumniatorem scesein campo lo stesso Giorgio Trapezunzio, che cercò di confutare il Niceno, prima con una lettera in data 28 ag. 1469 (ms. V F 12, ff. n. n. della Biblioteca nazionale di Napoli), poi con un più ampio trattato andato perduto. A fianco del cardinale si schierarono il C. e il Perotti, quest'ultimo con la Refutatio deliramentorum Georgii Trapezuntii (pubbl. da L. Mohler, Kardinal BessarionalsTheologe, Humanist und Staatsmann, III, Paderborn 1942, pp. 345-375), il C. con una lunga lettera-trattato, indirizzata al vescovo di Treviso Francesco Barozzi, che ci è pervenuta ai ff. 286r-333v del codice CCLVII della Biblioteca capitolare di Verona (importante raccolta di scritti calderiniani) e fu composta, quasi certamente, durante la prima metà del 1470.
L'opuscolo del C., che ci è giunto incompleto, si apre (ed è questa la parte più interessante) con un'aspra invettiva contro Giorgio da Trebisonda, di cui il C. pone in rilievo la malafede scientifica, la mordacità del carattere e l'ambiguo comportamento verso i Turchi. Seguono l'analisi minuta (sulla falsariga della Defensio bessarionea) di alcune delle numerose testimonianze allineate da Andrea Trapezunzio nel ContraPlatonem (cheil C. ritiene sia opera non di Andrea ma del padre) e l'inizio della confutazione dell'opuscolo perduto di Giorgio Trapezunzio, che stranamente collima con l'inizio dell'analoga Refutatio del Perotti.
Quest'opera del C. rimase inedita (ché il Bessarione fece circolare quella in sua difesa assai più sostanziosa del Perotti), ma il prestigio che il C. godeva doveva essere molto alto, se in quell'anno ottenne una cattedra nello Studio, e l'anno dopo, alla morte di Paolo II, un posto nella segreteria apostolica.
Il C. dovette iniziare il suo insegnamento con l'anno scolastico 1470-71, stando a quanto egli stesso dichiara nella prolusione ad un corso tenuto nel 1474 (ms. CCLVII, ff. 17r-21v della Capitolare di Verona), in cui afferma di aver già insegnato nello Studio per quattro anni. Oltre all'insegnamento di "rhetorica", il C. tenne anche quello di greco, ma non sappiamo quando quest'ultimo abbia avuto inizio. I documenti d'archivio, che si riferiscono alla carriera d'insegnante del C., si riducono soltanto a tre annotazioni in un registro dello Studio (Archivio di Stato di Roma, Conera Urbis, busta 41, reg. 118, ff. XXIIIv, XXIVr, XXVIIr), dalle quali risulta che il C. insegno greco durante l'anno scolastico 1472-73 (o durante la seconda porte di esso) con lo stipendio di 100 fiorini romani, e che insegnò "rhetorica" durante l'anno successivo con lo stipendio di 200 fiorini romani. Quanto alla sua attività di curiale, risulta che il C. fu nominato segretario apostolico partecipante con lettera a Marcello de' Rustici, decano dei segretari, in data 20 ag. 1471 (Arch. Segr. Vat., Arm.XXIX, Divers. Camer., 36, f. XVV) e segretario partecipante numerario con lettera papale in data 27 giugno 1474 (Ibid., Reg. Vat., 568, ff. XIIIr s.), mantenendo tale incarico fino alla morte (ibid., 657, f. 170r).
èprobabile che a questi successi non fosse estraneo il Bessarione, il quale doveva tenere in notevole considerazione il suo giovane segretario. Uomini come il Campano non esitavano a rivolgersi al C. per ottenere favori dal cardinale: otto lettere, indirizzate al C., figurano nell'epistolario del Campano (I. A. Campani Opera oinnia, Romae 1495, cc. a 8v, g 1v, h 1r, h 3v [due], h 4v, h 5r, h 6v) e mostrano quanto stretti fossero i legami di amicizia tra i due umanisti. Fatta eccezione per la seconda (che si dovrà riportare all'estate del 1470), queste lettere si riferiscono tutte alla missione in Germania che il Campano compì nel 1471 al seguito di Francesco Piccolomini. Una è scritta da Verona, ove amici e parenti del C. tributarono festose accoglienze al Campano di passaggio; le altre da Ratisbona, ove si teneva la Dieta, ed in esse il Campano ricorre spesso con insistenza presso l'amico, perché si adoperi ad ottenere dal cardinale il suo ritorno in patria e l'assegnazione di un nuovo ufficio redditizio.Nell'aprile del 1472 il C. seguì in Francia il Bessarione, inviato da Sisto IV in qualità di "legatus a latere" per cercare di stimolare la partecipazione di Luigi XI alla lotta contro i Turchi.
Possediamo due lettere inedite del C. dalla Francia, dirette all'umanista Oliviero Palladio, la prima in data 19 0 21 giugno da Lione, la seconda in data 26 agosto, probabilmente scritta da Vernon in Turenna. In queste lettere, che ci sono pervenute in una tarda trascrizione di Pietro Crinito (ms. 915, ff. 211v-217v della Biblioteca Riccardiana di Firenze), il C. non fa alcun cenno alla missione diplomatica del Bessarione e alle difficoltà ch'essa incontrava in Francia, ma ci dà alcune interessanti notizie di carattere privato: rammenta ad esempio di aver trascorso, durante la sosta a Milano, alcuni giorni in compagnia del Filelfo ("homine profecto maioris aestimationis quam doctrinae") e di aver trovato all'arrivo a Lione (avvenuto l'11 giugno) una grande quantità di libri, tra i quali una "historiam" di Mario Rustico "cum perveterem tum ad studia nostra accomodatissimam", di cui sta facendo eseguire in gran fretta una copia da inviare agli amici romani; aggiunge poi che - cessate le fatiche di un viaggio che s'era iniziato quasi due mesi prima (il Bessarione, com'è noto, aveva lasciato Roma il 20 aprile) - ha ripreso a poetare e ha composto un epigramma (di cui dà il testo) per il nuovo palazzo fatto erigere ad Urbino da Federico di Montefeltro, e un'elegia (di cui riproduce l'inizio) per una ragazza francese di nome Claudia di cui si è innamorato. In tutte e due le lettere ricorda poi i comuni amici romani, tra i quali Pomponio Leto, cui ha già scritto senza ottenere risposta.
Chi fosse lo storico Mario Rustico, che il C. dice di aver scoperto in Francia, non si è potuto mai appurare. Il C. lo cita sia nella sua Vita Suetoni, sia in una nota marginale del ms. di dedica del commento a Marziale. Il C. ne parlò anche al Poliziano, quando si incontrarono nel 1473 a Firenze, tanto è vero che il Poliziano, recatosi a Torri in casa del C. dopo la sua morte, fece delle ricerche, sperando, invano, di trovarvi il codice. È probabile che il C. sia incorso in un equivoco; taluni hanno sospettato che il C. stesso abbia inventato codice, autore e citazioni. Oltre al presunto Mario Rustico, il C. si portò dalla Francia un codice "perantiquus" di Giovenale ed un giovane scrivano di nome Curio. Aldo Manuzio poi, nella prefazione alla sua edizione di Stazio del 1502, asserisce di aver sentito dire dal C. che in Francia esistevano dodici libri di Asconio Pediano, che il Valla avrebbe plagiato nelle sue Elegantiae.
Si sa come finì la legazione del Bessarione: di ritorno dalla Francia il vecchio cardinale morì a Ravenna il 18 nov. 1472, lasciando al suo fedele segretario - come attesta una lettera di Gentile Becchi al Magnifico (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Princ., XXI, 431) - un legato di 35 ducati. Alla morte del Bessarione la posizione del C. - che grazie al benefico patronato del Niceno era già salda - andò ancor più rafforzandosi per la benevolenza che gli dimostrarono, oltre al papa, i suoi potenti e munifici nipoti. Primo fra tutti Pietro Riario, che, creato cardinale di S. Sisto nel dicembre 1471, accumulò enormi ricchezze, e nei pochi anni che visse (si spense il 5 genn. 1474) raccolse intorno a sé uno stuolo non disinteressato di cortigiani, tra i quali molti verseggiatori umanisti, che facevano a gara a esaltarne l'ingegno e la prodigalità.
Al Riario il C. dedicò dodici poesie del suo "libellus" di versi latini (tramandatoci dal già citato codice Lat. 8274 della Biblioteca nazionale di Parigi), di cui otto si ritrovano, insieme a varie altre indirizzate al Riario da umanisti amici del C., nel codice CCLVII della Capitolare di Verona. Si tratta di componimenti occasionali di assai mediocre fattura, in cui il giovane cardinale viene celebrato con toni ed espressioni di smaccata adulazione. Il C. compose anche l'epigramma di dedica al Riario dei tre libri di ecloghe composte nel 1473 da Mario Filelfo (ms. Lat. 8368 della Biblioteca nazionale di Parigi), e quel che più conta un gruppo di epigrammi destinati a presentare i personaggi e le scene mitologici (in genere legati al mito di Ercole) raffigurati nelle singole portate del fastoso banchetto dato dal Riario il 7 giugno 1473 in onore di Eleonora d'Aragona, che andava sposa ad Ercole d'Este. I distici del C. ci sono giunti, di mano del Crinito, nel già citato codice Ricc. 915, ff. 211r s., 213r ss. (che contiene anche altre tre poesie per il Riario, di cui due della silloge parigino-veronese) e nel contesto di una lettera, indirizzata alcuni giorni dopo dalla stessa Eleonora al conte di Reggio, in cui vengono descritti dettagliatamente i festeggiamenti che le erano stati tributati a Roma.
Il C. fu a Firenze tra l'agosto e il settembre del 1473, quando presentò a Lorenzo de' Medici, cui era dedicato, il Commento a Marziale, che reca appunto la data del 1º settembre di quell'anno.
Il Laur. Plut. 53, 23 è il codice di dedica e fu scritto da due amanuensi, con note marginali, correzioni e una subscriptio di mano del Calderini. Oltre al commento a Marziale, contiene un'Apologia contro Niccolò Perotti, che il C. compose verso gli inizi di aprile, mentre spiegava il poeta a scuola, e dedicò a Gurello Carafa. Il Perotti - che, insieme a Pomponio Leto, sin dall'inverno 1471-72 lavorava intorno al testo di Marziale e aveva pubblicato da poco un'edizione del poeta - era venuto a conoscenza delle interpretazioni del C. e le aveva criticate in alcune lettere a comuni amici, di cui solo una, diretta a Pomponio Leto, ci è giunta. Il C. nell'Apologia si difende dalle critiche mossegli dal Perotti e, contrattaccando, minaccia di indicare entro pochi giorni oltre duecento errori commessi dal suo avversario nella traduzione di Polibio e nella correzione di Marziale e di altri autori. Il commento e l'Apologia (col titolo modificato in Defensio)furono stampati l'anno successivo a Roma e a Venezia con modifiche e l'aggiunta di addenda e corrigenda e di una nuova dedica a Gian Francesco Gonzaga, in cui il C. dichiara di rinunciare alla pubblicazione del libretto sui duecento e più errori del Perotti.
è verosimile che il viaggio del C. coincidesse con quello del Riario, che, nominato arcivescovo di Firenze il 20 luglio 1473, giunse in città (diretto al nord) il 26 agosto, e vi si trattenne, in mezzo a feste grandiose indette in suo onore dai Medici, fino al 30. A Firenze il C. ebbe occasione di incontrarsi con vari umanisti, primo fra tutti il Poliziano, che aveva interesse a mostrarsi deferente verso un protetto del Riario: come infatti appare da un gruppo di epigrammi scritti per l'occasione (Epigr. lat., V-X, in Prose volgari…, a cura di I. Del Lungo, Firenze 1867, pp.111-114), il Poliziano non lesinava lodi al cardinale, dal quale sperava - in un momento difficile, quando ancora la casa di Lorenzo non gli aveva aperto le sue porte - efficaci aiuti materiali.
Il Poliziano ricorda alcuni particolari di quell'incontro sia nella Praefatio in Suetonium, ove asserisce di aver saputo che il C. aveva trovato in Francia un'opera di Mario Rustico, sia nei Miscellanea, ove dice di aver discusso col C. un passo di Catullo, suscitando il consenso e l'ammirazione dell'ospite per la sua interpretazione (cap. XIX), e rammenta che il C. collazionò un codice in scrittura beneventana di Marziale della biblioteca pubblica dei Medici (cap. XXIII). Il Poliziano compose anche un epigramma scherzoso, in cui mediante un giuoco di parole allude alla scarsa religiosità del C. (Epigr. lat., XX, p. 119).
Il C. dovette lasciare Firenze prima del 14 settembre, data di ricevimento di una lettera di Gentile Becchi (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, XXI, 431). Il Becchi, lamentandosi che il C. fosse partito "sanza ringratiamento", sottopone al Magnifico la minuta di una lettera da inviare a Roma a Filippo Martelli, affinché disponga il pagamento al C. di 50 fiorini larghi, quale compenso per la dedica del Commento a Marziale.
I contatti del C. con l'ambiente fiorentino continuarono a rimanere vivi. Dal protocollo del carteggio mediceo risulta che il 2 ott. 1473Lorenzo inviava in prestito a Domizio un "Appollonio grecho" (Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, p. 497);una lettera del C. a Niccolò Michelozzi del 19 ag. 1474ci informa che il C. aveva da poco restituito, tramite il Martelli, un codice di Quintiliano, e chiedeva insistentemente al Michelozzi di fargli avere in prestito da Lorenzo un codice di Pausania da far trascrivere celermente a Roma da Giovanni Roso. In questa stessa lettera il C. annuncia a Niccolò che è ormai quasi pronta (e sarà tra breve a Firenze) un'opera ch'egli ha dedicato a Giuliano de' Medici. L'opera in questione è il Commento a Giovenale, che reca appunto - con studiata simmetria col Commento a Marziale dell'anno precedente - la data del 1º sett. 1474. Poiché da una lettera di Luigi Lotti da Barberino a Niccolò Michelozzi del 9 sett. 1474 - in cui il Lotti lontano da Firenze prega l'amico di salutargli, tra gli altri, il Cennini, il Fonzio e il C. (cfr. T. De Marinis-A. Perosa, Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, Firenze 1970, pp. 59 s.) - risulterebbe che questi si trovava a Firenze proprio agli inizi di settembre di quell'anno, bisognerà ritenere che anche questa volta il C. (contrariamente a quanto sembra suggerire la lettera) abbia presentato di persona a Giuliano de' Medici la copia del Commento a Giovenale che gli aveva dedicato.
Una prima stesura più ampia (ma in forma provvisoria e priva di dedica) del commento a Giovenale ci è giunta nel codice Laur. Gadd. 165 (con aggiunte marginali autografe). Il Laur. plut. 53, 2, scritto da Bartolomeo Sanvito, contiene la redazione ufficiale, ed è la copia di dedica, presentata dal C. a Giuliano de' Medici. Il commento fu poi stampato (insieme al testo di Giovenale) a Venezia nell'aprile dell'anno successivo. Anche in questo commento gli spunti polemici non mancano, e ne fa le spese, oltre al Perotti, che non aveva smesso di punzecchiare il C. per il suo commento a Marziale, un collega dello Studio romano, Angelo Sani Sabino, che da alcuni anni si occupava di Giovenale e aveva pubblicato da poco dei Paradoxa in Iuvenalem (Romae 1474). Il C. sia nella prefazione sia in una postilla al commento accusa il Sabino di aver utilizzato (a sproposito) gli appunti su Giovenale, ch'egli andava dettando ai suoi scolari. Al commento fa seguito una "Defensio adversus Brotheum" (così viene chiamato il Perotti), in cui il C. confuta le spiegazioni date dal suo avversario per lettera a sette passi di Marziale e rileva nove emendamenti errati nell'edizione di Plinio, che il Perotti aveva curato ed edito di recente. Questa "Defensio" - spiega il C. - è soltanto un saggio; egli sta infatti portando a termine e farà uscire tra breve un'opera polemica in quattro libri, due dei quali dedicati alla dimostrazione che il Perotti aveva corrotto Plinio in duecento e settantacinque passi.
I commenti a Marziale e a Giovenale ci introducono nel vivo della produzione filologica del C., che si concentra, nella sua quasi totalità, nel biennio 1473-75, in cui vedono la luce le sue opere più significative. Il 7 sett. 1474 - a pochi giorni dalla presentazione della copia di dedica del Giovenale a Giuliano de' Medici - esce a Roma un commento all'Ibis ovidiana, con lettera di dedica a Falcone Sinibaldi, tesoriere pontificio, in cui il C. nuovamente accenna all'imminente pubblicazione della sua opera polemica in quattro libri (di cui il primo avrebbe dovuto contenere la ritrattazione dei luoghi più difficili di Giovenale, che il Sabino aveva interpretato erroneamente nei suoi Paradoxa); il 13 ag. 1475 vede la luce, sempre a Roma, un poderoso volume miscellaneo, che contiene il testo e commento, dedicato ad Agostino Maffei, delle Selve di Stazio, i commenti, dedicati a Francesco d'Aragona, dell'epistola ovidiana di Saffo a Faone e di alcuni luoghi oscuri di Properzio, una seconda epistola del C. all'Aragona, con il titolo "Epilogus et προσϕώνησις de observationibus", e infine, col titolo "Ex tertio libro Observationum", il commento ad alcuni passi di autori classici, scelti da un'opera miscellanea (le "Observationes"), che il C. stava allestendo, e che avrebbe dovuto sostituire, utilizzandone gran parte del materiale, l'opera polemica in quattro libri preannunziata nella "Defensio adversus Brotheum" e nella dedica all'Ibis.
I commenti del C. son nati nella scuola. Egli ha raccolto in essi il frutto della sua ancor breve ma intensa esperienza di insegnante, cui aveva arriso sin dagli inizi un grandissimo successo. Oltre ai corsi sugli autori cui si riferiscono i commenti a stampa pervenutici, il C. accenna in vari luoghi a corsi su Silio Italico e Cicerone e annuncia più volte l'imminente pubblicazione di commenti già composti (alle Epistole ad Attico e alle Verrine di Cicerone, a Svetonio e a Silio Italico), che attendono soltanto l'ultima mano per essere dati alle stampe. Del commento a Svetonio ci è pervenuta una redazione parziale ai ff. 94r-249v del codice CCLVII della Capitolare di Verona e in tre mss. della Riccardiana di Firenze (153, 833 e 2127); di quello a Silio Italico si può tentare la ricostruzione servendosi sia delle preziose note marginali autografe dell'Ottob. lat. 1258, sia delle note anonime, che si leggono in varie copie dell'edizione di Silio curata nel 1471 da Pomponio Leto e nel codice D.11.2 della Casanatense di Roma, che si presume derivino dal commento calderiniano perduto. Nulla sappiamo invece dei commenti ciceroniani. Di due corsi ciceroniani sul De oratore e il De officiis ci sono pervenute le prolusioni, rispettivamente ai ff. 17r-21 e 266-269v del codice CCLVII della Capitolare di Verona. La prima delle due prolusioni reca la data del 1474, la seconda è senza data, ma indubbiamente posteriore.
Il C. non accenna mai, né nelle prefazioni note ai suoi commenti né in altri scritti, corsi e commenti virgiliani. Eppure ci sono pervenuti un frammento di un suo commento inedito al sesto libro dell'Eneide aiff. 121r-139v del ms. Lat. 807 della Staatsbibliothek di Monaco (uno zibaldone di scritti del Poliziano messi insieme dal Crinito) e un commento a vari componimenti dell'Appendix Vergiliana, trasmessoci da due codici (Vat. lat. 2740, ff. 74r-83v e Niccolò Rossi 174, ff. 1r-29r della Biblioteca Corsiniana di Roma) e da un'edizione a stampa postuma. È probabile che si tratti di opere giovanili, che il C. non ritenne di dover perfezionare e dare alle stampe.
Nel giro di pochi anni, come si è visto, il C. con impaziente slancio giovanile allestì un corpus ragguardevole di commenti continui a testi che presentavano particolari difficoltà d'interpretazione. "Domitius Calderinus - disse di lui Raffaele Volterrano (Commentariorum Urbanorum… libri, Lugduni 1552, col. 643) - acri vir ingenio, primus qui hoc tempore poetas duriusculos diligentius coeperit enarrare et in eos commentarios edere admodum iuvenis". Si trattava infatti di testi, che per le continue allusioni al mondo del mito (Ibis, Epistola di Saffo a Faone)o al mondo dell'attualità e della storia (Marziale, Giovenale, le Selve)richiedevano una ampia conoscenza di fonti mitologiche e storiche. Il C. concentrò la sua attenzione su un gruppo compatto di autori della latinità argentea (Marziale, Giovenale, Stazio, Svetonio, Silio Italico, Plinio, ecc.), che gli consentirono, integrandosi vicendevolmente, una ricostruzione abbastanza precisa dell'ambiente storico e culturale in cui operarono. Quanto all'Ibis, "opus plenum irae et obscuritatis" (come egli lo definisce), il C. nella prefazione cita come fonti, di cui si è valso, Apollodoro, Licofrone, Pausania, Strabone, Apollonio e il suo scoliaste. Il C. riuscì spesso a superare la barriera costituita dall'esegesi medievale, attingendo a nuove fonti greche e latine, e alle parafrasi dei commentatori tradizionali cercò di sostituire il metodo combinatorio, che si fonda sulle varie testimonianze delle fonti. Scarsamente sensibile a problemi di lingua e di stile, il C. rivolse il suo interesse principabnente all'esegesi erudita storicomitologica. Va tuttavia sottolineato che ai progressi compiuti nel campo dell'erudizione non sempre corrispose un altrettanto sensibile affinamento, dello spirito critico. Uomo impaziente e smanioso del rapido successo, il C. spesso non riuscì a concentrare, come sarebbe stato necessario, la sua attenzione sui dati diligentemente raccolti, per soppesarne l'attendibilità o per filtrarne con rigore metodico gli elementi essenziali. In molti casi i rapporti istituiti dal C. sono discutibili e superficiali; frequenti le contraddizioni e le ipotesi discordanti e fantasiose. Né il C. si sottrasse al rischio della πολυμαϑία gratuita, comune a questo tipo di commenti, in cui notizie non necessarie o non essenziali si affastellano nei margini del libro per puro sfoggio di erudizione; fu tuttavia capace di felici intuizioni, e arrecò qualche contributo notevole alla critica del testo. Collazionò vari codici (tra i quali alcuni "vetustissimi")correggendo qua e là la vulgata; propose anche qualche buona congettura, soprattutto al testo di Silio Italico, che anticipa intuizioni di filologi moderni. Sull'obiettività e serenità dell'attività scientifica del C. influirono negativamente alcuni aspetti del suo carattere e del suo comportamento. Quel "vitium… livoris atque obtrectationis in omnes paene doctos" che gli riconobbe un suo ex familiare, il volterrano Raffaele Maffei (ibid.)e su cui hanno insistito gran parte dei contemporanei, la smania della polemica a tutti i costi e il continuo sospetto di essere defraudato delle proprie scoperte sono pecche che variamente condizionarono la sua produzione filologica, facendo sì che talvolta si possa rimanere perplessi di fronte a certe affermazioni e si nutra il sospetto che la polemica serva a coprire qualche sotterfugio.
Con la morte improvvisa di Pietro Riario (5 genn. 1474) non si allentarono i legami del C. con la famiglia del papa. Dalla lettera già citata in data 27 giugno 1474, con la quale il C. veniva nominato segretario apostolico partecipante numerario, risulta che egli era allora "familiaris continuus commensalis" di un altro nipote del papa, il cardinale Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio, II. Il C. accompagnò il Della Rovere in Francia, quando questi vi si recò in qualità di legato papale per sedare un tumulto sorto ad Avignone e per prevenire il pericolo della minacciata convocazione di un concilio a Lione. La legazione partì nel febbraio 1476 e rimase in Francia, a quanto sembra, fino al mese di settembre. Di questo viaggio il C. ci ha lasciato una descrizione, che ci è giunta mutila ai ff. 27r-30v del codice CCLVII della Capitolare di Verona. Poco prima della partenza, e precisamente il 18 dic. 1475, il C. aveva pronunciato un panegirico (giuntoci ai ff. 276r-281 dello stesso codice veronese e nel Vat. Urb. Lat. 735) in onore di un altro nipote del papa, Giovanni Della Rovere, fratello del cardinale, che aveva ottenuto l'ufficio di prefetto della città di Roma, rimasto vacante per la morte recente del cugino Leonardo.
Negli ultimi anni di vita il ritmo di lavoro del C., che prima era stato così intenso, andò sensibilmente allentandosi. Le ragioni poterono essere molteplici, ma un fatto è certo, che il C. - o per stanchezza dovuta all'intemperante dispiego di forze o per sopravvenuta crisi sulla bontà di un metodo di lavoro - abbandonò la sua attività di commentatore, ripiegando su nuove e più pacate soluzioni. "De commentariis - dice nella "προσϕώνησις de observationibus" del suo volume staziano - nulla mihi posthac erit cura magnopere". Coi commenti già stampati e con quelli in corso di completaniento il C. considerava ormai chiuso un ciclo di lavoro. Nell'ottobre 1475 egli fece uscire a Roma un'edizione (senza commento) di tre Declamationes attribuite a Quintiliano, dedicandola ad Aniello Arcamone, ambasciatore del re di Napoli presso il papa; ma il suo impegno maggiore era rivolto alla composizione di tre libri di Observationes (un nuovo tipo di opera filologica, destinata ad avere particolare fortuna col Beroaldo e col Poliziano), ad una traduzione dal greco di un "opus varietate doctrinae iucundissimum futurum et tam utile quam magnum", e alla "recognitio tabularum Ptolomaei". Ancor nella lettera (che dovrebbe essere del 31 luglio 1476)al nipote Bernardino Messanello, dice di aver per le mani "tria opera, quorum unum atque id sane ingens e gracco vertimus in latinum". Dei tre libri di Observationes - fatta eccezione per il frammento del terzo libro incluso nel volume del 1475 - non si è saputo più nulla; quanto alla versione dal greco, si dovrà identificare con la versione di Pausania, che ci è giunta incompleta ai ff. 31r-93v del codice CCLVII della Capitolare di Verona, e fu poi pubblicata (da questo codice) a Venezia verso la fine del secolo. Il C. si interessava a Pausania sin dal 1474, come risulta dalla lettera già citata a Niccolò Michelozzi; un altro codice di Pausania, l'attuale B.P.G., 16 L conservato nella Biblioteca universitaria di Leida, egli si fece trascrivere a Venezia da Giorgio Tribizias nel 14773 "eo consilio, ut in latinum verterem", come dice in una nota autografa al f. 1v. Quanto a Tolomeo, si tratta della versione di Iacopo di Angelo di Scarperia della Cosmographia, che il C. aveva riveduto e doveva essere stampata da Corrado Sweynheim. Dopo la morte dello Sweynheim (che aveva atteso per tre anni alla difficile stampa del libro e delle tavole), l'opera fu edita, sempre a Roma, da Arnold Buckinck nell'ottobre del 1478, a pochi mesi dalla morte del C., la cui prefazione a Sisto IV ci è giunta inedita ai ff. 262r-265 del cod. CCLVII della Capitolare di Verona.
Il C. morì di peste molto probabilmente nel giugno del 1478. La lettera papale, con la quale Francesco da Noceto è nominato suo successore nell'ufficio di segretario apostolico, reca infatti la data del 22 giugno 1478 (Arch. Segr. Vat., Reg. Vat., 657, ff. 170r-172v).
La morte precoce del C. suscitò vivo cordoglio, e molti amici, soprattutto veneti, ne piansero in versi la scomparsa. Il Poliziano stesso compose un epitaffio (Epigr. lat., LXXX, p. 151), e quando all'inizio del 1480 si recò a Verona, dove s'incontrò col nipote del C., Bernardino Messanello, e poi a Torri, dove sperava di trovare tra i libri dello scomparso il codice di Mario Rustico, che il C. asseriva di aver scoperto in Francia, egli compose un nuovo epitaffio (Epigr. lat., LXXXII, p. 153), che fu inciso sul rovescio di un cippo che il padre aveva fatto erigere in onore del figlio, e che ancor oggi esiste. Questo secondo epigramma del Poliziano è in testa ad una raccolta di poesie in onore di Domizio, che il padre o chi per lui mise insieme e fece trascrivere poco tempo dopo nelle prime ed ultime carte del citato codice veronese CCLVII, ff. 2r-10v, 334r-349v. Il Poliziano dà notizia di questo viaggio nel Veneto nella Praefatio in Suetonium e nel cap. IX dei Miscellanea, ma il suo atteggiamento verso il C. è ora profondamente mutato. Via via che nel corso del suo insegnamento e dei suoi studi il Poliziano ebbe modo di saggiare molte affermazioni dell'ex collega romano, l'ammirazione di un tempo per lui andò declinando, cedendo il posto a sentimenti, non sempre generosi e obiettivi, di acerba disistima. Negli appunti (in gran parte inediti) dei suoi corsi, nelle due centurie di Miscellanea, in alcune lettere dell'epistolario latino, le critiche al C. si fanno sempre più violente, e nel cap. IX dei Miscellanea ilPoliziano, raccogliendo con maggior consapevolezza critica le polemiche di un Merula e di un Perotti, traccia del suo avversario un profilo che, a parte la crudezza dei toni, coglie sostanzialmente nel segno, anche se, trascurando o sottovalutando gli aspetti positivi, che pur ci sono nell'opera filologica del C. (e che vengono implicitamente confermati dall'enorme diffusione che i commenti calderiniani ebbero), ha involontariamente contribuito a condizionare negativamente il giudizio che su di lui daranno i posteri
Edizioni. I commenti del C. ad autori latini ebbero numerosissime edizioni, dapprima senza testo, poi nei margini delle opere cui si riferivano; talvolta furono editi in gruppo, spesso riuniti a commenti di altri alla stessa opera o ad opere diverse dello stesso autore. Il commento calderiniano a Marziale, preceduto da due lettere di dedica (a Giovan Francesco Gonzaga e a Lorenzo de' Medici), da alcuni versi "in volumen dicatum Laurentio", da una Vita Martialis e da una lista di addenda, seguito da una lista di corrigenda, dalla Defensio cum recriminatione in calumniatorem commentariorum Martialis e da un epigramma di M. Lucio Fosforo, fu edito per la prima volta a Roma il 22 marzo 1474 da J. Gensberg, senza testo, e lo stesso anno rivide due volte la luce a Venezia, prima presso Giovanni da Colonia e J. Manthen, poi presso Jacques Le Rouge. La prima edizione col testo fu stampata a Venezia nel 1480; numerose altre ristampe ne furono poi fatte sino agli inizi del Seicento. Il commento a Giovenale, preceduto da una lettera di dedica a Giuliano de' Medici e da una Vita di Giovenale, seguito da lini nota contro il Fidentino (Angelo Sabino) e dalla Defensio adversus Brotheum grammaticum, ebbe la sua prima edizione, insieme col testo di Giovenale, a Venezia il 24 apr. 1475 presso Jacques Le Rouge, e fu ristampato a Brescia, senza testo, il 15 settembre dello stesso anno; per le numerose edizioni successive si veda l'esauriente elenco di E. Sandford (Juvenalis, in Catalogus translationum et commentariorum: Mediaeval and Renaissance Latin translations and commentaries, I, Washington 1960, pp. 180, 220 s.). Il commento all'Ibis di Ovidio, con una lettera di dedica a Falcone Sinibaldi e una nota sulla vita e l'esilio d'Ovidio, seguito da una breve postilla polemica e da nove distici di G. A. Toscano, fu edito la prima volta a Roma, senza testo, da G. Sachsel e B. Goisch il 7 sett. 1474 (A. La Penna, Scholia in P. Ovidii Nasonis Ibim, Firenze 1959, pp. 42 ss.). Di Ovidio il C. commentò anche l'epistola di Saffo a Faone in un volume miscellaneo, contenente anche il commento a Properzio e quello alle Selve diStazio, stampato a Roma il 13 ag. 1475 da A. Pannartz. Le Selve di Stazio, col relativo commento, sono precedute da una lettera di dedica ad Agostino Maffei e da una poesia del C., e seguite da una Vita di Stazio; il commento all'epistola ovidiana è preceduto da una dedicatoria a Francesco d'Aragona; seguono l'Elucubratio in quaedam Propertii loca, quae difficiliora videbantur, degli estratti da un terzo libro di Observationes del C., preceduti da un Epilogus e da una Προσϕώνησις, de observationibus indirizzati a Francesco d'Aragona. Il volume è infine concluso da tre distici del C. "ad lectorem". Questa miscellanea calderiniana ebbe numerose ristampe, talora con l'aggiunta del commento dell'Ibis, spesso in edizioni di Opera omnia di Stazio; una notevole fortuna ebbe il commento all'epistola ovidiana, che insieme a quello dell'Ibis e alla nota De exilio Ovidii fu ristampato un'infinità di volte durante i secoli XV e XVI in edizioni variamente commentate delle Eroidi e dell'Ibis. Infine i Commentarii del C. sulle opere dell'AppendixVergiliana (Culex, Copa, Elegia in Maecenatem, Dirae, Est et non, Vir bonus, Rosae, Aetna, Ciris)furono editi postumi in un libretto senza indicazioni tipografiche (che si ritiene stampato a Milano da Simone Magniago intorno al 1480); in seguito essi furono inseriti in numerose edizioni commentate di Virgilio dei secoli XV e XVI.
Come editore, il C. curò il testo di tre Declamationes maiores pseudoquintilianee (IX, Gladiator;X, Sepulcrum incantatum;VIII, Gemini languentes)stampate a Roma nel 1475 da J. Schurener con una lettera di dedica del C. ad Aniello Arcamone (ristampata da B. Botfield, Prefaces to the first editions…, London 1861, pp. 155 s.), e della versione latina della Cosmografia di Tolomeo redatta da Iacopo di Angelo da Scarperia (Romae, A. Buckinck, 1478). Per quel che riguarda poi il frammento della versione calderiniana della Descriptio Graeciae di Pausania, comprendente tutto il primo libro (Attica)e i primi capitoli (fino al VI, 2) del secondo (Corinthiaca), esso fu stampato a quanto si ritiene (mancando ogni indicazione tipografica) a Venezia da Ottino di Luna intorno al 1500; una seconda edizione, curata da Giovanni Oporino, uscì a Basilea nel 1541 (G. B. Parks, Pausanias, in Catalogus translationum…, II, Washington 1971, pp. 216 ss.).
Una Vita Suetoni del C. è premessa ad alcune edizioni delle Vitae Caesarum (Milano, Antonio Zaroto, 1480; edd. senza ind. tip., presumibilmente del 1480) e delle Vitae con gli Scriptores Historiae Angustae (Milano, Filippo di Lavagna, 1475; Venezia, Bernardino Rizzo, 1489, e Giovanni Rosso Vercellese, 1490; due ediz. senza ind. tip., di cui la prima si presume sia stata stampata a Venezia intorno al 1485).
Oltre alle lettere di dedica già menzionate, figurano a stampa del C. una lettera, senza data, al cardinale Iacopo Ammannati, in testa ad un volumetto stampato a cura del Beroaldo (Bologna, Platone de' Benedetti, 27 giugno 1494), che contiene vari opuscoli di Celso Maffei; una lettera a Niccolò Michelozzi da Roma in data 19 agosto [1474], in T. De Marinis-A. Perosa, Nuovi documenti per la storia del Rinascimento (Firenze 1970, pp. 58 s., tav. 20); infine una lettera al nipote Bernardino Messanello da Roma, in data 31 luglio [1476], pubblicata da K. Müllher, Reden und Briefe italienischer Humanisten, Wien 1899, pp. 211-13, e poi, indipendentemente, da G. Levi, Cenni intorno alla vita ed agli scritti di D. C., Padova 1900, pp. 82-84. Il C. in vita pubblicò soltanto tre poesie latine, cioè dei faleci in testa ai commenti a Marziale e alle Selve di Stazio e dei distici in calce al volume staziano. Delle altre pervenuteci (circa una cinquantina), due furono pubblicate, rispettivamente, da A. Cinquini, Spigolature da codici manoscritti del sec. XV, in Classicie neolatini, IV(1908), p. 251; e da C. Perpolli, L'"Actio Panthea" e l'umanesimo veronese, in Atti e mem. dell'Accad. d'agricoltura, scienze e lettere di Verona, s. 4, XVI (1915), p. 33; altre dieci (riportate adespote in una lettera di Eleonora d'Aragona) furono stampate (senza che peraltro l'editore si rendesse conto che erano del C.) da C. Corvisieri, prima nell'articolo Iltrionfo romano di Eleonora d'Aragona nel giugno del 1473, in Arch. della R. Società romana di storia patria, X(1887), pp. 645 ss., e poi nell'edizione di A. de Tummulillis, Notabilia temporum, Roma 1890, pp. 198 ss.
Bibl.: L'unica monografia sul C. è quella già citata di G. Levi (Padova 1900), che allo stato attuale degli studi è del tutto insoddisfacente. Ad essa si aggiunga: S. Maffei, Verona illustrata, II, Verona 1731, pp. 220-233; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 2, Modena 1776, pp. 346-348; G. B. Giuliari, Della letteratura veronese al cadere del secolo XV e delle sue opere a stampa, Bologna 1876, passim;F.Gabotto-A. Badini Confalonieri, Vita di Giorgio Merula, Alessandria 1894, pp. 88-206; A. Della Torre, Storia dell'Accademia platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 9, 14 s., 819; R. Sabbadini Le scoperte dei codici latini e greci ne' secc. XIV e XV, I, Firenze 1905, pp. 125 s., 154, 167, 179 s.; R. Malaboti, D. C. Contributo alla storia dell'Umanesimo, Milano 1919; G. Mercati, Per la cronologia della vita e degli scritti di Niccolò Perotti, Roma 1925, pp. 69, 78, 82, 93 ss., 104; S. Timpanaro, Atlas cum compare gibbo, in Rinascimento, II(1951), pp. 314-318; G. B. Picotti, Ricerche umanistiche, Firenze 1955, pp. 19, 21, 64, 174; Mostra del Poliziano nella Biblioreca Medicea Laurenziana…(cat.), a cura di A. Perosa, Firenze 1955, pp. 14 s., 17, 31 ss., 63 s., 113; D. Maffei, Alessandro D'Alessandro giureconsulto umanista (1461-1523), Milano 1956, pp. 41 ss., 95; G. Brugnoli, La "Praefatio in Suetonium" del Poliziano, in Giorn. ital. di filol., X (1957), pp. 211-220; R. Weiss, In memoriam Domitii Calderini, in Italia medioevale e umanistica, III(1960), pp. 309-321; C. Dionisotti, Umanisti dimenticati?, ibid., IV(1961), pp. 292 s., 295 s.; I. Maier, Les manuscrits d'Ange Politien, Genève 1965, pp. 63, 194, 214, 281, 292 s., 431; Id., Ange Politien. La formation d'un poète humaniste (1469-1480), Genève 1966, pp. 121 ss., 135, 422, 430; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, pp. 308 s., 365; F.-R. Hausmann, Giovanni Antonio Campano (1429-1477), Freiburg i. Br. 1968, pp. 45, 141, 160, 173, 182, 189 s., 193 s., 204, 426 ss, 434 s., 439, 489; J. Dunston, Studies in D. C., in Italia medioevale e umanistica, XI(1968), pp. 71-150; C. Dionisotti, C., Poliziano e altri, ibid., pp.151-185; Enc. Ital, VIII, p. 384; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.