Poeta latino (Bilbili, Spagna Tarraconense, 39 o 40 d. C. - ivi 104 d. C. circa). Ricevuta la prima istruzione in Spagna, venne nel 64 a Roma, sperando appoggio nelle potenti famiglie iberiche, come quella dei Seneca. Tutto dedito alla poesia, trascorse la vita come cliente nelle case dei potenti. Coltivando le sue innate doti di verseggiatore e di osservatore impareggiabile, si dedicò al genere dell'epigramma: genere già praticato con grande successo da Catullo, e dagli altri neòteroi; ma nessuno aveva dedicato a esso attenzione esclusiva, come fece Marziale. La raccolta completa dei suoi carmi (nella stragrande maggioranza composti in metro elegiaco) comprende quattordici libri di epigrammi, più un libro separato che costituisce la prima produzione del poeta: il cosiddetto Liber de spectaculis (raccolto con questo nome nel 1602), il cui nucleo è costituito da 30 componimenti pubblicati nell'80, in occasione delle feste per l'inaugurazione dell'Anfiteatro Flavio, e dedicati a Tito. L'adulazione dell'imperatore procurò a M. l'ammissione nell'ordine equestre e altri benefici. La restante produzione è frutto soprattutto del periodo in cui regnò Domiziano, che M. adulò senza ritegno per ottenerne il favore, senza peraltro molto successo. Nell'84 apparvero i due libri di Xenia e di Apophoreta, epigrammi legati alle occasioni della vita mondana (sono il 13º e 14º della raccolta); dall'88 al 94 M. produsse la massa dei suoi componimenti, pubblicati in altri otto libri, dei quali alcuni composti nel ritiro di Forum Cornelii (l'odierna Imola), dove il poeta aveva cercato di sfuggire all'ambiente romano, che in fondo lo amareggiava e dal quale non riusciva a trarre il necessario per vivere con agiatezza. Quando l'imperatore fu ucciso, M. si trovò in grave imbarazzo, sì che dell'11º libro pubblicò solo un florilegio, insieme al 10º; ma a Roma non poté resistere a lungo, disprezzato com'era per la diffamazione della memoria di Domiziano che ora egli tentava. Ritiratosi nella città nativa sotto la protezione della ricca vedova Marcella, qui pubblicò (102) il 12º libro di epigrammi. n L'arte di M., messa da parte la massa di componimenti scritti col solo scopo di procurare denaro e favori all'autore, che si esprime perciò come un parassita senza molti scrupoli, è in realtà una sottile arte di osservatore di tutto un mondo fondamentalmente frivolo e ignobile, il mondo della piccola gente che viveva attorno ai potenti, e dei potenti stessi, coi loro vizî e le loro più o meno folli costumanze. Maestro nel colpire in frasi incisive una situazione ridicola o un vizio ripugnante, M. dette all'epigramma quel sapore che poi sempre gli è rimasto di componimento adatto a tutti gli scopi, in particolare all'allusione, al ritratto, al cogliere un attimo di vita reale; nella particolare capacità di trarre ispirazione dall'ambiente consiste appunto l'originalità di Marziale. La parte più viva della sua opera è però in una certa vena di amara malinconia che, tenuta in disparte dalla necessità di piacere al mondo e ai più, si affaccia qua e là e fa intravedere nell'autore un'anima di moralista tutt'altro che superficiale. La vivacissima opera di M. è il documento parlante di un'epoca e d'una città, Roma, la maggiore e la più varia del mondo di allora, cui M. rimase sempre legato, per i suoi lati peggiori e per i migliori. Conosciuto nel Medioevo solo attraverso florilegi e citato talvolta col nome di Martialis Cocus, M. ebbe grande fortuna nell'Umanesimo e nel Rinascimento. Un codice contenente il Liber de spectaculis e i primi dieci libri degli epigrammi fu scoperto nella biblioteca di Montecassino da Boccaccio (1362-63); e di lì derivò probabilmente a Petrarca la conoscenza dell'opera di Marziale. L'editio princeps è del 1470; l'edizione commentata che ne dette Domizio Calderini nel 1474 è interessante anche per le vivaci polemiche cui diede luogo, nei commenti di Giorgio Merula e di Niccolò Perotto (Cornucopia, 1478). Alcune interpretazioni di Calderini furono criticate dal Poliziano nella prima e nella seconda Centuria dei Miscellanea.