MORELLI, Donato
MORELLI, Donato. – Nacque a Rogliano, Cosenza, il 10 aprile 1824 da Rosalbo e da Giuseppina Giuranna. La sua famiglia era fra le più cospicue della Calabria per ricchezze e per larga parentela, ma non possedeva titoli di nobiltà.
È da presumere che, fino alla metà dell’Ottocento, i Morelli riconoscessero come legittimi sovrani i Borboni, visto che il 10 settembre 1844 ospitarono con una certa magnificenza, nel loro palazzo di Rogliano, Ferdinando II, la regina Maria Teresa e la corte, in visita nella provincia, e che appartenessero a quella borghesia del Regno delle Due Sicilie la quale auspicava un’evoluzione democratica della monarchia verso un regime costituzionale. Quando, pertanto, il 29 gennaio 1848, il re elargì – con la segreta speranza di disinnescare la rivoluzione scoppiata due settimane prima in Sicilia – la Costituzione, è probabile che accogliessero con favore la notizia. Tuttavia gli scontri, avvenuti il 14 maggio a Napoli, fra l’esercito e gli insorti, con i quali si conclusero non solo la partecipazione dei Borboni alla I guerra d’indipendenza, ma anche la loro esperienza costituzionale, segnarono una rottura netta e non più revocabile con la casa regnante. In questa data i liberali delle Due Sicilie ritennero giunto il momento di fare insorgere le province. La Calabria, lontana da Napoli, ma vicina all’isola, sembrava adatta per una iniziativa che, nelle speranze degli organizzatori, si sarebbe estesa alle altre regioni meridionali, fino a investire, da ultimo, la capitale dello Stato.
Il 17 maggio venne perciò costituito, a Cosenza, un comitato di difesa – di cui fece parte Morelli – il quale preparò una petizione da presentare a Ferdinando II, con l’invito a mantenere la Carta da poco concessa; il documento non fu, in effetti, mai consegnato, perché ai patrioti fu ufficialmente assicurato che il re avrebbe mantenuto fede allo Statuto. Il nuovo organismo, tuttavia, si mantenne vigile e inviò agenti a Catanzaro, a Reggio e nell’isola, per preparare una sommossa. L’intendente di Cosenza, a quel punto, si dimise e il battaglione di stanza nella città fu richiamato a Napoli. Il 30, un nuovo comitato, detto «di salute pubblica», proclamò l’insurrezione e, due giorni dopo, convocò, con un proclama, un parlamento nella città. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: da Napoli partì, diretta in Calabria, una spedizione militare agli ordini del generale Alessandro Nunziante, che, nel giro di un mese, ebbe ragione dei ribelli.
Nel settembre del 1848 Donato Morelli e il fratello Vincenzo vennero rinviati a giudizio, con la pesante accusa di cospirazione. Vincenzo fu considerato uno dei capi della sommossa e, perciò, condannato a morte, assieme ad altri 14 liberali, dalla Corte speciale di Cosenza, con sentenza del 12 marzo 1853. Tenuto conto, tuttavia, che non si era sottratto alla giustizia con la fuga, la pena gli venne sospesa. Donato, accusato anch’egli di cospirazione e di aver organizzato bande armate, fu invece rimesso in libertà provvisoria, il 24 settembre 1852, per insufficienza di indizi. Due anni dopo, il processo a suo carico venne riaperto e fu spiccato, contro di lui, un nuovo mandato di cattura, al quale sfuggì, dandosi alla latitanza, fino a che un decreto abolì l’azione penale nei suoi confronti. Rimase, tuttavia, «attendibile», ossia soggetto a sorveglianza speciale, con l’obbligo di restare in casa e di non spostarsi senza una formale licenza della polizia.
Eludendo tutti i controlli, alla metà del 1856, si recò assieme al fratello Carlo a Napoli, a una riunione di esponenti liberali, nella quale si discusse se aderire al movimento murattiano o a quello di Mazzini. Morelli, intervenendo nel dibattito, sostenne la necessità di rivolgere le proprie speranze al Piemonte e fu così persuasivo che la sua tesi prevalse e venne deciso di procedere a un inventario delle forze liberali nel Mezzogiorno. Gli furono, anzi, attribuiti pieni poteri per la Calabria.
Tornato nella sua città natale, associò, in tale lavoro di ricognizione, due vecchi cospiratori, Domenico e Francesco Frugiuele, e uno studente ventenne, Raffaele Mazzei. La loro indagine ebbe un risultato confortante. Furono suoi interlocutori alcuni rappresentanti delle più importanti famiglie, per nobiltà o per censo, della regione: a Catanzaro raccolsero il suo appello Luigi e Filippo Marincola, Vincenzo e Antonio Stocco, Filippo Satriano, Michele Simonetta e Carmine Tallarico, mentre a Cosenza risposero i Barracco e i Berlingieri. Negli ultimi mesi del 1857, venne costituito, in quest’ultimo centro, un comitato dell’ordine, liberale, di intenti non ancora unitari o antiborbonici, il cui lavoro cospiratorio – a detta di Raffaele De Cesare (1889) – si limitava a piccole astuzie contro la polizia. Fu la guerra di Crimea a far maturare il proposito unitario, alimentato poi dalla morte, il 22 maggio 1859, di Ferdinando II.
Lo sbarco di Garibaldi nella regione, nella notte dal 19 al 20 agosto 1860, sulla spiaggia di Melito, creò infine nuove e importanti aspettative. Le forze guidate dall’eroe dei due mondi entrarono il giorno successivo a Reggio, costringendo la guarnigione, comandata dal generale Carlo Gallotti, a rifugiarsi nel castello e a capitolare il 22. Giunta la notizia a Cosenza, il municipio riconobbe come potere legittimo il Comitato rivoluzionario – composto da Morelli, Pietro e Carlo Compagna, Francesco Guzolini e Domenico Frugiuele – che intestava i suoi decreti con la dicitura «Italia e Vittorio Emanuele».
La sera del 25 le autorità civili e militari si riunirono a Cosenza nel palazzo dell’Intendenza. Morelli, dopo aver dichiarato che l’esercito borbonico, nella regione, era «rotto e disperso» e che la flotta «aveva quasi interamente aderito alla causa nazionale », invitò i reparti di stanza nella città ad evitare spargimento di sangue e a «fraternizzare con il popolo». Nella notte un telegramma portò la notizia che Catanzaro era stata liberata e un secondo informò che i volontari garibaldini erano giunti a Scilla. Il 27, il generale Giuseppe Cardarelli, comandante la piazza, firmò la resa.
Garibaldi, intanto, proseguiva la sua marcia verso il cuore del Regno, senza incontrare alcuna resistenza. Fermatosi a Rogliano, venne ospitato in quel palazzo Morelli che aveva accolto, alcuni anni prima, Ferdinando II e la sua corte. Dal balcone che dà sulla piazza parlò al popolo. Nel pomeriggio del 31 agosto nominò Morelli governatore della provincia con pieni poteri e gli dettò due decreti, con i quali abolì la tassa sul macinato per tutte le granaglie, eccettuato il frumento, ridusse il prezzo del sale da otto a quattro grani «per ciaschedun rotolo» e autorizzò gli abitanti di Cosenza e dei Casali a esercitare gratuitamente gli usi di pascolo e semina nelle terre demaniali della Sila. Allontanatosi Garibaldi, il nuovo governatore pubblicò, il 5 settembre, il decreto sulla Sila, avendo cura di stabilire che l’esercizio degli usi civici non doveva, in ogni caso, pregiudicare il diritto dei proprietari a far valere le loro ragioni.
Nel gennaio del 1861 Morelli venne eletto alla Camera – dove sedette a destra – nel collegio di Cosenza e in quello di Rogliano, e optò per il primo. Quando, nel 1862, Garibaldi si mosse per occupare Roma e lo chiamò a partecipare all’impresa, declinò l’invito, temendo una possibile guerra civile. Fu in seguito riconfermato per otto legislature fino al 1886: dalla IX alla XIV legislatura rappresentò il collegio di Rogliano e nella XV quello di Cosenza. Fu membro della commissione d’inchiesta sul brigantaggio, commissario di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti e relatore del progetto di legge per variazioni del prezzo di vendita dei tabacchi. Numerosi furono i suoi interventi «nella discussione dei bilanci dello Stato e di progetti di legge tra i quali quelli relativi alla liquidazione dell’asse ecclesiastico, alla manutenzione e sistemazione delle strade nelle province meridionali, alla classificazione delle opere idrauliche. Votò in favore della abolizione della pena di morte» (Lattari Giugni, 1967, p. 351).
Fu nominato senatore, per la terza categoria, il 26 gennaio del 1899 e prestò giuramento il successivo 26 novembre.
Morì a Rogliano l’8 ottobre 1902. Di Morelli si conosce un solo scritto a stampa, Ai miei elettori. Poche parole, Rogliano 1865.
Fonti e Bibl.: Per la vita e l’opera il lavoro meglio informato, anche perché poté giovarsi dell’archivio dei Morelli, oggi scomparso, è R. De Cesare, Una famiglia di patrioti: ricordi di due rivoluzioni in Calabria, Roma 1889. Notizie sulla figura e sull’attività di Morelli si possono trovare in V. Visalli, I calabresi nel Risorgimento italiano: storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, Torino 1891 (rist. Cosenza 1989, ad ind.); R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1895, ad ind.; P. Camardella, I calabresi nella spedizione dei Mille, Ortona a Mare 1910 (rist. Cosenza 1976, ad ind.); R. Fasanella D’Amore di Ruffano, Il Risorgimento a Bisignano, con alcune lettere inedite di D. M. ed altri documenti, Cosenza, s.d.; J. Lattari Giugni, I parlamentari della Calabria dal 1861 al 1967, Roma 1967, pp. 350 s.; R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita (1855-1864), Milano 1999, pp. 180, 300, 329 s.; A. Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, Roma 1999, pp. 341, 343; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, s.v.; M. Rosi, Dizionario del Risorgimento Nazionale, vol. III, Milano 1933, pp. 645-647; Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, vol. II, p. 222; ibid., F. Ercole, Il Risorgimento italiano, vol. III, s.voce.