Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Seicento le possibilità per una donna di affermarsi nel campo musicale sono estremamente limitate. Le più fortunate in questo senso sono le nobili, le donne borghesi di famiglia colta, le “figlie d’arte”, che possono trovare uno spazio come virtuose cantanti alle corti o nei teatri, e le monache. Queste ultime, per quanto non sempre “fortunate” (vista la prassi diffusa dell’obbligo al monacato), risiedono comunque in un ambiente in cui, nonostante i divieti e le restrizioni delle autorità ecclesiastiche, si svolgono attività musicali: la maggior parte delle compositrici secentesche opera infatti nei monasteri.
L’educazione in generale
L’educazione di una fanciulla del Seicento è di solito rudimentale: lettura e scrittura, elementi di aritmetica, ma soprattutto cucina e cucito. L’educatore vigila anzi sulle letture delle giovani, considerate facilmente corruttibili e prive di grandi capacità intellettive. La musica è considerata inoltre strumento di perdizione e di lascivia: “I suoni, i canti e le lettere che sanno le femmine (sono) le chiavi che aprono le porte della pudicizia loro” (Pietro Aretino, Primo libro de le lettere, Venezia 1538).
Nelle corti
Nelle corti, le fanciulle nobili ricevono un’educazione più libera di quanto non accada presso le famiglie borghesi. Si insegnano le lingue classiche e moderne, la matematica, la storia, la danza, l’arte e la musica. Fra le donne nobili che si distinguono per le loro doti musicali si possono annoverare la regina Elisabetta I d’Inghilterra, Anna d’Austria in Francia, e Sofia Elisabetta, duchessa di Braunschweig e Lüneburg.
Molte corti accolgono le donne come “virtuose”. Alla corte fiorentina dei Medici, per esempio, spiccano Vittoria Archilei e Francesca Caccini, figlia del compositore Giulio Caccini e compositrice ella stessa (come la sorella minore Settimia).
Un’altra celebre cantante, Adriana Basile, si esibisce, insieme alle sorelle e alla figlia Leonora Baroni, soprattutto alla corte dei Gonzaga a Mantova. In Inghilterra, invece, le dame di corte partecipano ai masques reali come cantanti e ballerine, insieme a musicisti professionisti.
La borghesia e le élites intellettuali
Nelle famiglie borghesi, a una fanciulla che abbia la fortuna di nascere in un ambiente intellettuale e colto è permesso talvolta studiare musica. I maestri di musica insegnano a suonare uno strumento ai figli, indipendentemente dal loro sesso, anche se col passar del tempo le donne sono spesso destinate a dimenticare ciò che hanno imparato, non avendo sbocchi professionali per esercitare il mestiere di musicista: la possibilità di lavorare in campo musicale, come suonare uno strumento in un’orchestra o in una cappella rimane infatti una prerogativa maschile. Le poche musiciste professioniste sono prima di tutto cantanti.
A Venezia Barbara Strozzi, figlia adottiva (o forse naturale) del poeta Giulio Strozzi, inizia la sua carriera come cantante, ma sarà destinata a diventare una delle più importanti compositrici del Seicento. Che sia consapevole del disagio di essere donna-compositrice lo dimostra fra l’altro la dedica a Vittoria della Rovere del suo primo libro di madrigali, pubblicato a Venezia nel 1644.
Barbara Strozzi
Dedica
Primo libro dei madrigali
(...) devo (...) la prima opera, che, come donna, troppo arditamente mando in luce, riverentemente consacrarla all’augustissimo Nome di Vostra Altezza, acciò sotto una Quercia d’oro resti sicura da i fulmini dell’apparecchiata maledicenza.
B. Strozzi, Primo libro dei madrigali, Venezia, 1644, 1644
La mala fama della musicista
Una donna che eserciti il mestiere di musicista mette a serio repentaglio la propria reputazione. Il poeta e agente teatrale Fulvio Testi ne dà atto in una lettera scritta nel 1633 al duca Francesco I d’Este di Modena riguardo alle cantanti di Roma.
Fulvio Testi
Commentando le cantatrici del posto
Lettere
Se Vostra Altezza ricerca una perfetta onestà nelle cantatrici, non si volti a questo cielo. Qui le cantatrici si prendono qualche piacevole licenza, e moltissime dell’altre donne ancora, che non sanno cantare, diventano cantatrici in questa parte.
F. Testi, Lettere, a cura di M.L. Doglio, Bari, Laterza, 1967
Forse sono proprio le “cantatrici” di cui si legge nella lettera di Testi a ispirare il divieto papale contro la partecipazione delle donne alle attività musicali, ritenute sorgente di immoralità e di vita libertina. Papa Innocenzo XI cerca di proibire la presenza delle donne agli spettacoli musicali e teatrali, e nel 1686 ordina a tutte le “cantarine” di lasciare Roma o di entrare in convento.
In monastero
Il convento è il solo rifugio onorevole consentito alle donne non sposate. Non sempre le fanciulle scelgono liberamente il convento, per ragioni economiche più che religiose: le famiglie ricche preferiscono sposare una sola figlia, pagandole la dote, e mandare le eventuali sorelle in convento per non frammentare la fortuna familiare. I monasteri hanno il compito fra l’altro di completare l’educazione delle fanciulle, includendo fra le materie d’insegnamento la musica, ed esistono numerose testimonianze che riferiscono della qualità eccellente della musica praticata in quei luoghi.
Anche nei conventi tuttavia l’attività musicale può entrare in conflitto con la morale. Durante il Cinque e Seicento, gli scandali, anche a sfondo sessuale, in monastero sono leggendari. Le autorità ecclesiastiche ritengono che la musica ne sia una delle cause e cercano quindi di contrastarne una pratica troppo intensa, nonostante l’alto livello qualitativo della musica eseguita in convento e forse in ragione della fama che essa richiama sulle monache. Più di un papa nel Seicento promulga decreti che proibiscono a estranei di entrare nel monastero per insegnare la pratica strumentale o il canto alle monache.
Innocenzo XI
Limitazioni di apprendimento per le donne
Editto del 4 maggio 1686
Niuna Zitella, Maritata, Vedova, e di qualsivoglia grado, stato, e conditione, né pure delle essistenti per causa di Educatione, o altro ne Monasterij, e Conservatorij sotto qualunque pretesto, etiandio d’imparar la Musica per essercitarla ne detti Monasterij, apprendino a Cantare dagl’Uomini, o siano Secolari, o Ecclesiastici, o Regolari, ancor che in qualsivoglia grado di parentela attinenti, il Canto, et il Suono d’ogni sorte d’Instrumenti Musicali.
Numerosissime composizioni sono dedicate a monache musiciste. Peraltro la maggior parte delle compositrici italiane del Seicento sono monache e le loro opere sono perlopiù destinate a essere eseguite dalle consorelle: Chiara Margarita Cozzolani, Claudia Sessa, Claudia Francesca Rusca, Sulpitia Cesis, Lucretia Orsina Vizzana, Caterina Assandra, Raffaella Aleotti e altre. Ancora nel 1684, la dedica della raccolta dei pur pudicissimi “mottetti a voce sola” di Rosa Giacinta Badalla fornisce un vivido quadro dei problemi legati all’attività musicale femminile, dei quali la Badalla appare penosamente consapevole.
Rosa Giacinta Badalla
Dedica al lettore
Motetti a voce sola
Al benigno lettore
Dio sà, che incontro sono per havere, al primo suo comparire alla luce questi miei Componimenti? chi sà, che provino anco quelle delle male lingue publicandosi? chi sà, che havendo io creduto d’insinuar ad altri vagezza di cantar questi miei Motetti, non ne tragga io medema stimolo di piangere le mie sfortune? Comunque si sia, io cerco compatimento, non lode. E chi sarà di Cuore così scortese, che dall’acerba mia età (puoco fà uscita dal quarto lustro) voglia pretendere maturezza in quest’arte, che non sì perfettiona se non con la longhezza de gl’anni? In ogni caso, io te li presento Benigno Lettore, come saggi. Se sentirò, che non ti dispiacciano, mi farò Cuore di tentare con maggior copia la tua gentilezza. Vivi felice.
R. G. Badalla, Motetti a voce sola, Venezia, 1684
Il monastero di San Vito a Ferrara è particolarmente noto per il suo “concerto grande”: 23 monache che cantano e suonano gli strumenti più vari.
Numerose testimonianze parlano della presenza di strumenti musicali nei conventi; le autorità ecclesiastiche tuttavia tentano in tutti modi di proibire il loro uso, considerandoli troppo profani e lascivi per le suore. Ed è forse a causa di queste restrizioni che pochissime compositrici scrivono musica strumentale. Isabella Leonarda, la più prolifica di tutte le compositrici del Seicento, è una delle pochissime eccezioni a questa regola, essendo autrice di 12 Sonate per uno o due violini.
Sia Isabella Leonarda che la compositrice Maria Xaveria Parruccona sono suore del collegio di Sant’Orsola (rispettivamente a Novara e nella vicina Galliate); pare significativo che l’ordine delle orsoline, così attivo in campo musicale, sia praticamente l’unico ordine monastico femminile in Italia non soggetto alle rigide leggi della clausura.
La musica svolge un ruolo importante anche nei conventi francesi. Le monache dell’abbazia di Longchamps in particolare sono lodate per la loro musica, e commissionano per il proprio uso le Leçons de Ténèbres di François Couperin nel 1714.
In Germania il movimento protestante conduce alla chiusura di molti conventi e all’assenza della pratica musicale polifonica da parte delle monache. Le fanciulle vengono incoraggiate a studiare musica, ma solo allo scopo di cantare gli inni luterani. Le poche opere secentesche composte da donne (come, per esempio, la contessa di Erbach Amalia Catharina) riflettono questo clima religioso.
Le scuole, i collegi, i conservatori
La pratica musicale nelle scuole per ragazze (in alcuni casi scuole pubbliche per le orfane; in altri, istituzioni che accolgono giovani di alto rango) raggiunge a volte livelli di grande qualità.
In Italia, gli ospedali veneziani vantano delle eccellenti orchestre; in Inghilterra, Henry Purcell compone nel 1689 la sua opera Didone ed Enea per un collegio di “giovani gentildonne” a Chelsea; e in Francia, Nivers, Clérambault e altri noti compositori scrivono mottetti per le fanciulle della Maison Royale de Saint-Louis a Saint-Cyr.
Le dive del melodramma, le cantanti teatrali
Con l’affermarsi del melodramma nel Seicento appaiono sulla scena un gran numero di primedonne. In Italia, fra le altre, la diva Anna Renzi; in Francia, Anne de la Barre, Marthe le Rochois e l’italiana Anna Bergerotti. La fortuna delle donne soprano in Francia si basa senz’altro sul fatto che i francesi detestano la voce dei castrati, che in Italia sono i concorrenti diretti delle cantanti d’opera.
In Inghilterra, dove il melodramma tarda a godere di un successo popolare, il teatro della Restaurazione ricorre sempre di più alla musica per richiamare un pubblico altrimenti riluttante e annoiato. Le cantanti più celebri di queste songs teatrali sono Mary (o Moll) Davies e Mrs. Ayliff.
Altre compositrici
La maggior parte delle musiciste professioniste sono cantanti: non sorprende dunque che le compositrici si dedichino soprattutto alla musica vocale, eseguibile da loro stesse con l’accompagnamento di un singolo strumento che realizzi il basso continuo o con organici ridotti. Lady Mary Dering, in Inghilterra, e Mademoiselle de Ménétou, in Francia, sono fra le numerose autrici di canzoni per voce sola e basso continuo. Molte donne francesi inoltre, spesso protette dall’anonimato, contribuiscono con la produzione di canzoni alle raccolte mensili di airs sérieux et à boire.
Ancora in Francia, la cantante italiana Antonia Bembo compone numerosi brani vocali, compresa un’opera lirica, per la corte di Luigi XIV. La compositrice francese più importante del Seicento è senz’altro la clavicembalista Elisabeth-Claude Jacquet de la Guerre, una donna che si distingue per aver composto musica non solo vocale (cantate) ma anche strumentale (brani per clavicembalo e sonate per violino).