DRAMMA (gr. δρᾶμα, da δράω "agisco")
La retorica tradizionale iscriveva la poesia drammatica tra i varî generi letterarî (epica, lirica, oratoria, ecc.). L'estetica moderna ha negato, come si sa, una reale autonomia di cotesti generi, riducendoli tutti a un'unica "liricità". Tuttavia la parola dramma continua anche oggi, come presso gli antichi, ad adoperarsi materialmente per designare, in senso ampio, qualunque forma letteraria destinata, in pratica o nell'intenzione, alla rappresentazione scenica: appartengono al teatro drammatico, genericamente parlando, la tragedia e la commedia, la sacra rappresentazione e la farsa, la moralité e il vaudeville, la parade e il sainete, la pochade e lo sketch. E si può aggiungere che, pur nell'immensa varietà di tutte queste forme drammatiche, un carattere comune permane al fondo di esse; quello di rappresentare, comunque, un conflitto. Sarà il conflitto spirituale d'un eroe combattuto da forze che lo avversano dall'esterno o anche dall'intimo dell'animo suo (Prometeo o Saul alle prese con la Divinità, Amleto che soccombe alla propria incapacità ad agire); sarà un urto tutto esteriore, materiale e grossolano (fra il protagonista d'una farsa e i suoi creditori, o tra il viveur del vaudeville e la moglie a cui egli tenta di nascondere le sue marachelle); ma un conflitto, o un contrasto, è sempre al centro dell'opera. Anche oggi Shaw, dopo aver sovvertito tutte le cosiddette "leggi" del dramma, ha salvato quest'unica, dichiarando fin dalla prefazione del suo primo volume di commedie: "non c'è dramma (play, pièce) senza conflitto".
L'idea di dramma e quella di conflitto sono, di regola, così associate, che noi parliamo di "drammaticità" anche per opere letterarie non destinate alla scena (drammaticità dell'Iliade, del Libro di Giobbe) o addirittura per opere d'altre arti (drammaticità del Giudizio di Michelangelo, della Quinta Sinfonia di Beethoven). Ma dramma in senso tecnico noi usiamo chiamare quello in cui la rappresentazione letteraria del conflitto sia fatta in una vera e propria forma scenica: in quella forma, cioè, da cui il poeta materialmente sparisce, per lasciar soli, con l'unico mezzo dell espressione dialogica, i suoi personaggi a parlare e ad agire. Il carattere tecnico proprio del dramma risiede appunto in questa apparente obiettività: e potrebbe dirsi che la nascita del genere drammatico - il quale nelle letterature spontanee è sempre l'ultimo, cronologicamente, a comparire - avviene con un più o meno lento e graduale distacco dell'azione "per sé stante" dall'invocazione lirica, o dalla commentata narrazione epica. Il coro della tragedia greca, le esortazioni edificanti di certe rappresentazioni cristiane del Medioevo, le dichiarazioni didascaliche e moralistiche del "raisonneur" o personaggio-coro di certa commedia ottocentesca, sono le testimonianze d'una residua presenza dell'autore, che ancora non si rassegna a sparire del tutto, e persiste a voler mescolare, in maggiore o in minor misura, la voce propria a quella delle sue creature.
È evidente che il dramma, in quanto opera letteraria, è intero e compiuto nelle pagine del poeta: la cosiddetta interpretazione scenica è un'aggiunta, che potrà esser fatta o diretta dallo stesso autore o da altri, ma che a ogni modo riguarda un'altra arte. Tuttavia i modi di questa interpretazione scenica, per la quale quasi tutti i poeti drammatici hanno praticamente scritto, hanno quasi sempre avuto grande importanza nella forma e nella stessa concezione delle opere drammatiche; sicché sarebbe difficile rendersi pienamente conto dello stile, della prospettiva, dei procedimenti, e insomma dell'arte dei drammaturghi, trascurando i mezzi di rappresentazione a cui i loro drammi furono o sono destinati. Quindi una vera e propria storia del dramma non può non comprendere anche una storia del teatro.
In senso ristretto, si chiama dramma una forma d'arte drammatica indipendente da modelli classici, che nasce a mezzo il Settecento con Le fils naturel di Diderot (1757) e prende consapevolezza di sé nelle pagine critiche del Diderot stesso e del Lessing. In realtà nel dramma sembra darsi convegno tutta la nuova cultura europea per farvi della propria universale virtù rinnovatrice l'esperimento più arduo, quello estetico. Così questa forma d'arte, a differenza d'altre quasi inafferrabili nelle loro origini, nasce scrivendo da sé la propria storia: sono suoi storici e teorici i suoi poeti medesimi, i quali, autori di teatro soltanto occasionali, prima di tutto sono pensatori e filosofi. Il dramma è concepito come commedia seria: cioè rappresentazione d'una vicenda umana non straordinaria, non idealizzata dal verso, non accentuata nelle sue passioni più alte o più basse fino a toni eroici o paurosi, e tuttavia interessante per la verità che ne rampolla e le meditazioni che ispira. Francia, Inghilterra, Italia, convergono in questa comune aspirazione da cui sembra prender l'abbrivo, nella mente di Lessing, la letteratura tedesca.
Già nella commedia (v.) di Molière era insito un elemento drammatico, che alcuni successori di lui tendono a sceverare dal comico e a rendere autonomo. Non per nulla nel gusto dell'indagine psicologica il gran secolo della letteratura francese s'era creato uno stile in cui si risente il distacco di essa dall'eredità umanistica italica. Nei primi del Settecento, fra certi dibattiti d'intellettuali, quest'indagine psicologica tendeva ad estendersi dall'uomo in astratto all'uomo in rapporto con la sua professione, con le istituzioni, con la famiglia; ch'è il gran terriccio del dramma. Marivaux sul teatro può dare alla sua satira forme fantastiche, ma anche allora essa non è puntata mai contro l'uomo in astratto: nel Triomphe de Plutus (1728) è il finanziere che l'interessa: nell'Île des esclaves (1725), nella Nouvelle Colonie (1728) egli sempre attinge dalle sue molte sperienze civili. Dopo il Glorieux (1732) di Destouches in cui il comico ha un accento così drammatico, rappresenta un passo decisivo verso la costituzione del dramma vero e proprio la cosiddetta commedia lacrimosa: la inizia La Chaussée con Le Préjugé à la mode (1735) e con Mélanide (1741): tien dietro Voltaire con L'Enfant Prodigue (1736) e con Nanine (1749). La commedia lacrimosa non è ancora il dramma in senso stretto, ma presuppone la stessa disposizione spirituale; una vita intima molto esercitata a risolvere i sentimenti nella ragione, quella "sensibilità", insomma, ch'è capacità di risentire come problema morale, e quindi in certa loro equivalenza con i fatti più straordinarî, i fatti della vita quotidiana disdegnati dalla vecchia tragedia. Un tal patetico presuppone anche, in molti casi, arrivata alla coscienza della propria dignità e responsabilità la classe borghese. Sorprende che in Francia la borghesia s'annunci in letteratura e sul teatro prima che nella vita. Ed è proprio un personaggio comico, il Figaro di Beaumarchais, che sembra farsene l'araldo alla vigilia della rivoluzione.
Non a caso però Marivaux e Destouches hanno vissuto prima in Inghilterra; né la coscienza borghese di questi e altri intellettuali francesi si può intendere senza quel progressivo influsso inglese che a mezzo il Settecento diventa "anglomania". Quanto al dramma, la parte specifica dell'Inghilterra è di propiziare a quello un consenso filosofico ed estetico. La filosofia di Locke, forza propulsiva di ogni ideologia settecentesca, accolse nel suo intimo quel disdegno degli orpelli retorici e classici che il cartesismo aveva potentemente avviato, e avvalorò il disgusto degli eroi, l'amore della lingua comune, della schiettezza, della semplicità. Sennonché, in Inghilterra questo gusto letterario borghese, che pur s'imprimeva nel giovane giornalismo, arrivava a stento al teatro, dove la borghesia (quando non faceva dell'umorismo farsesco) non riusciva a interpretare sé stessa senza sollevarsi fino al tono tragico. Tomaso Southerne (1660-1746), Nicola Rowe (1673-1718), Giorgio Lillo (1693-1739) sono dei tragici, non dei drammaturghi. Strano appare poi che una collaborazione indiretta, ma non trascurabile, alla fortuna del "dramma" venisse anche dalla nazione più ristretta, teoricamente, in pregiudizî ostilissimi a quello: l'Italia. Gl'interpreti più adatti al teatro di Marivaux non erano stati i comici della Comédie italienne così indipendenti da ogni tradizione letteraria? Anche la Spagna ha in ciò la sua parte: e lo rileverà subito Lessing. È nota l'influenza di Lope de Vega e della sua scuola sul teatro francese: e che altro era stata la commedia di cappa e spada se non una prima seria rappresentazione della classe media, quale pur poteva essere allora, e pur con tante intrusioni di elementi chimerici? E certa mescolanza di comico e tragico non l'aveva pur teorizzata, fosse pure con animo non presago, Lope de Vega, nel poemetto didascalico Nuova arte di far le commedie?
Insomma in terra di Francia tutte le vecchie nazioni europee sembrano darsi convegno a porre, nel dramma, le basi della loro modernità estetica: perciò il posto d'iniziatore par sempre ben riservato al Diderot non solo per il commento teorico, onde avvalorò l'esperimento teatrale, ma anche perché in lui uomo, come nell'opera di cui si fece banditore, confluiscono e armonizzano i varî influssi europei. Appassionata è in lui quella coscienza borghese che sembra essere presupposto indispensabile al dramma: quel diritto degli uomini di pensiero a vivere di questo, come guide spirituali del mondo, egli coraggiosamente se l'attribuisce rifiutando ogni altra professione. Ed ecco che cosa intende per dramma Diderot: una azione scenica ispirata dallo spettacolo della vita quale essa appare ad un uomo che ne sente la responsabilità e che non intende uscire, nell'arte, dalla cerchia delle proprie esperienze di cittadino. Perciò il personaggio non deve operare in uno sfondo mitico, ma deve venire caratterizzato il più possibile: né si lasci egli andare a tirate teoriche sul bene e sul male, ma quel bene e quel male senta, esprima, giudichi in rapporto alla sua condizione sociale. Che sarà anche il modo migliore di accostarli all'esperienza di tutti. Di naturalezza conforme a siffatti propositi dev'essere la recitazione. Queste idee annunciate fervidamente, ma con una certa indifferenza per gli eterni diritti della poesia, negli Entretiens sur le Fils naturel (1757) e nel saggio De la poésie dramatique, sono attuate per altro alla brava nel detto dramma Le fils naturel e nell'altro Le père de famille (1758). I difetti di queste due opere grossolane continueranno a caratterizzare in molta parte il dramma, si può dire, fino all'apparizione di Ibsen, perché il positivismo dell'Ottocento, come erediterà molti propositi dell'enciclopedismo, così, specie nel dramma, rivelerà le sue analogie fondamentali con quello. Teorizzato come letteratura senza retorica, il dramma diventa subito con Diderot, e tornerà spesso ad essere tal quale nell'Ottocento, il figlio prediletto della retorica: alle tirate sui grandi problemi astratti si sostituiscono le declamazioni sui problemi del concreto viver civile nei quali la tromba eroica cede all'empito avvocatesco, e le maglie della tesi stringono il volo della fantasia. In quel primo momento si salva appena in Francia Le philosophe sans le savoir (1765) di Sedaine.
Sennonché a raggiungere d'un balzo (ma solo teoricamente) la concezione del futuro dramma ibseniano sorge in Germania l'iniziatore della letteratura tedesca, Efraimo Lessing (1729-1781). Con lui attinge la sua vetta più alta questo lungo e complesso lavorio critico preromantico europeo, da cui, intanto, il dramma esce presagito e teorizzato con un' esattezza sorprendente e forse senza riscontri. In questo senso la Dramaturgia di Amburgo (1767-1768) di Lessing, raccolta di note critiche, appartiene tutta alla storia del dramma. Né a lui è facile trovare precursori fra i poeti di Germania, chi non voglia considerare tale Andrea Gryphius (1616-1664) per certo aspro realismo che traspira da alcune sue azioni sceniche. Lessing, dunque, esce dalle strettoie del pregiudizio sociologico e vuole che il dramma sia una cosa più alta: abbia nella vita moderna la stessa funzione che la tragedia nell'antica e all'eroe di questa sia pari in dignità il personaggio di quello. Pur con figure e casi che caratterizzano ma non trascendono la vita quotidiana, anche il dramma, come la tragedia, attinge le profondità religiose dello spirito in quanto rivela operante sullo schermo della coscienza la legge morale che, in ogni atto, ad ogni momento, e non solo a strascico di vendette, o squassata dal fato, dice le sue parole incancellabili (sarebbe facile trovare in Lessing parole che Ibsen non avrebbe mutate oltre un secolo dopo, quando meditava sull'essenza del dramma a specchio della filosofia kantiana). Il teatro "dev'essere il complemento delle leggi" e avere in questa sua superiore moralità la sua catarsi conforme a quella dell'ἕλεος καὶ ϕόβος predicato per la tragedia da Aristotele. Non da virtuosità letteraria, ma dal sorgere d'uno stato d'animo nuovo e moderno resteranno oltrepassate e fuse le categorie del comico e del tragico. Ma il primo a non corrispondere ai propositi fu il teatro di Lessing, tanto più limitato di quelli: e l'altra questione della libertà religiosa impostata nel suo capolavoro Nathan il Saggio (1779) non raggiunge una vera risonanza filosofica, e resta un po' estranea al pathos psicologico dei personaggi, come, appunto, una tesi. I successori, più che procedere verso Ibsen, sembrano retrocedere verso Diderot, cioè verso le dispute avvocatesche: e come gli spiriti illuminati si battevano allora contro la crudele legislazione sulla maternità illegittima e sull'infanticidio, ecco il dramma diventare uno strumento di polemica. Esempî di questo grossolano procedere sono difatti troppo spesso i drammi degli Stürmer und Dranger: di Klinger, Lenz, Leisewitz, Maler Müller, H. L. Wagner. La Stella (1776) e Le sorelle (1776) di Goethe si possono considerare piuttosto commedie sentimentali. L'onda lirica romantica parve travolgere sul teatro questo realismo dappertutto e specie in Germania; nella quale però, anche nella ripresa, rimane caratteristico che il tono del dramma s'avvicini più al tragico che al comico, come già avviene in Kabale und Liebe di Schiller, e avverrà più tardi in Maria Magdalene di Hebbel o nell'opera di Grillparzer.
Nell'Ottocento, passata la ventata lirica del romanticismo, il dramma europeo ritrova quei pregiudizî sociologici dai quali pareva esser nato. E quale dei grandi dibattiti che travagliarono il secolo non ebbe per sua arena anche il palcoscenico? La questione sociale, il divorzio, il duello, i presunti diritti della scienza sulla morale, la riabilitazione dei condannati, ecc., quanti drammi non ispirarono! La storia del dramma lungo il secolo si potrebbe dividere conforme alle varie tappe della sua cultura. Qui basterà osservare che, in Germania, anche quando è più radicato nel terreno sociologico, il dramma tende ai toni alti ed è accostabile alla tragedia (Hauptmann); altrove, p. es. in Francia (Dumas figlio) e m Italia (Paolo Ferrari), tende piuttosto ai toni satirici e si confonde con la commedia; più di rado indugia in toni patetici (Giacosa). Resta bensì ancor viva una forma drammatica estranea a cosiffatti propositi; ma si tratta della vecchia commedia lacrimosa. Sennonché, come nel romanzo, anche nel dramma, si fanno innanzi i grandi scrittori russi, dei quali soltanto Ostrovskij è esclusivamente attore drammatico, mentre gli altri portano sulla scena le caratteristiche della loro arte narrativa. Sicché prevale in alcuni di essi, come in Gogol e Turgenev una visione piuttosto particolare della vita, mentre i drammi di Tolstoj e Cechov recano l'impronta di quel tormentoso bisogno di esteriorizzare il proprio animo che si riscontra nei loro romanzi e racconti. E anche nei drammi essi sanno muoversi nei regni della pura poesia senza restare schiavi degl'impacci teatrali. Rimane però a Enrico Ibsen il merito d'avere definitivamente riconciliato la poesia col teatro vincendo pregiudizî che la tradizione classica aveva tramandati e la pratica prima enciclopedistica, poi romantica, poi classica, avvalorati. Tutta questa storia rivive in quella delle opposizioni incontrate dall'ibsenismo nella seconda metà del secolo scorso.
In realtà il dramma diventa con Ibsen quale l'aveva auspicato Lessing un secolo prima: la tragedia dei tempi moderni. I dibattiti delle passioni contemporanee, e delle stesse fazioni, arrivano anche al suo teatro: onde tanti fraintendimenti intorno a lui e dopo di lui e qualche volta anche in lui. Basti pensare che il gran problema dei diritti della donna, che ha un posto centrale fra quelli dibattuti dall'800, trova in Ibsen il più appassionato agitatore. Per la prima volta nei suoi drammi accanto all'eroe borghese troviamo l'eroina borghese. Ma coteste passioni invece che esacerbate dalle dispute avvocatesche sono placate dalla poesia: i personaggi invece che specchiarsi negli odî e negli entusiasmi fugaci delle folle operano nel riflesso dell'imperativo categorico kantiano.
Dopo Ibsen pare che anche la critica più tradizionalistica vada smettendo le sue prevenzioni contro il teatro. E tuttavia un siffatto ibsenismo appare oggi piuttosto come una conclusione che come un principio. Certi elementi allegorici e fantastici di cui Ibsen, ai suoi ammiratori europei, era parso venire via via liberandosi, in una ricerca di verità sempre più schietta e immediata, accennano ora a riprendere il sopravvento per vie nuove che non s'intende ancor bene a quali nuove forme preludano.
Bibl.: Oltre alle storie generali del teatro (per le interferenze con la commedia e con la Tragedia v. la bibliografia di queste voci): L. Fontaine, Le théâtre et la philosophie au XXVIIIe siècle, Parigi 1879; W. Wetz, Die Anfänge der ernsten bürgerlichen Dichtung des achtzehnten Jahrunderts, Worms 1885; A. Eleosser, Das bürgerliche drama; seine Geschichte im XVIII. Und XIX. Jahrundhert, Berlin 1898; J. J. Weiss, Le théâtre et les møurs, 1889; G. Scott, The Drama of yesterday and to-day, Londra 1899; M. Foth, Das Drama in seinem Gegensatz zur dichtkunst. Ein verkanntes Problem der Aesthetik, Lipsia 1902; G. F. Gaiffe, Le drame en France au XVIIIe siècle, Parigi 1910; G. Lanson, Hommes et livres, Parigi 1895; J. Guilleminot, L'évolution de l'idée dramatique chez les maîtres du théâtre de Corneille a Dumas fils, Parigi 1909; R. Doumic, De scribe à Ibsen, Parigi 1893; L. Lacour, Les femmes dans le théâtre du XIXe siècle (s. a.); J. Clarétie, La vie moderne au théâtre, Parigi 1869-1875; E. Zola, Le naturalisme au théâtre, Parigi 1881; J. Lemaître, Impressions de théâtre, Parigi 1888-1898 (voll. 10); F. Sarcey, Quarante ans de théâtre, Parigi 1900-1902 (voll. 8); P. Newski (Corvin de Kroukovskoy), Le théâtre en Russie, Parigi 1890; E. Tissot, Le drame norvégien, Parigi 1893; G. Gori, Il teatro contemporaneo, Torino 1924; G. Ruberti, Storia del teatro contemporaneo, Bologna 1928; W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, Halle 1911 segg.; R. Petsch, Deutsche Dramaturgie von Lessing bis Hebbel, Monaco 1912; H. Bulthaupt, Dramaturgie des schauspiels, 2ª ed., Oldenburg 1922 segg.