DROGA
di Augusto Palmonari
Il termine droga ha ormai assunto un significato sinistro per l'opinione pubblica, che ogni giorno è colpita da notizie di morti per causa di droga, di crimini gravissimi compiuti per la conquista o la difesa di porzioni dell'amplissimo mercato illecito che la distribuisce, di veri e propri 'Stati' fondati sulla produzione di droga e sul rifornimento del mercato mondiale.Il significato originario del termine, però, è assai ampio e aspecifico. Secondo il Dizionario Enciclopedico Italiano il termine 'droga' indica "in farmacologia ogni prodotto naturale, vegetale o animale, contenente uno o più principî attivi", mentre 'farmaco' è, nella definizione di P. Mannaioni (v., 1980), "ogni sostanza chimica capace di operare una modificazione significativa di un parametro biologico".
È evidente che definizioni di questo genere sono poco idonee a chiarire l'uso terapeutico dei farmaci e ancor meno a precisare gli effetti dannosi di molte droghe dalle caratteristiche specifiche.
Tutti i farmaci possono causare in chi li assume, in certe dosi e per un certo tempo, una situazione di dipendenza "in cui si instaura un rapporto di benessere condizionato tra un individuo e un farmaco" (v. Mannaioni, 1980, p. 4), e si parla allora di farmacodipendenza, mentre gli autori più accorti parlano di tossicodipendenza esclusivamente in rapporto alle droghe che alterano le emozioni e lo stato mentale, cioè quelle psicoattive (v., per esempio, Gossop, 1987; v. Plant, 1987). In questo articolo ci limiteremo dunque a mettere a fuoco gli effetti dell'uso e dell'abuso delle sostanze psicoattive e useremo il termine droga (o il suo plurale droghe) esclusivamente per riferirci a esse; citeremo come medicamenti o farmaci tutte le altre sostanze chimiche usate nei vari contesti della vita quotidiana.L'assunzione di sostanze psicoattive non produce, in molti casi, alcun effetto dannoso, anzi è possibile che chi le usa riferisca di aver tratto da esse effetti benefici per il rilassamento sperimentato, oppure per il miglioramento ottenuto nel proprio rendimento sociale, intellettuale o fisico. Tuttavia l'uso di droghe comporta sempre dei rischi molto seri: alcuni sono riferibili all'uso elevato e continuato di qualsiasi sostanza psicoattiva, altri sono specifici di alcuni tipi di queste stesse sostanze.
Ci soffermeremo in questa fase introduttiva sui rischi 'generali' in cui incorre chi usa droga, per analizzare poi le varie categorie di sostanze psicoattive e i pericoli che ciascuna di esse porta con sé.Prendere molta droga in una volta sola (assumerne, per esempio, tre o quattro volte la dose considerata la massima compatibile con il regolare funzionamento dell'organismo e delle attività mentali) comporta il rischio di perdere il controllo di se stessi, di giungere a livelli gravi di intossicazione, di mettere a repentaglio la propria vita. Assumere droga in modo frequente, ad alto dosaggio e per molto tempo provoca una distorsione della percezione e della relazione con l'ambiente in cui si vive: le relazioni sociali possono, in conseguenza di ciò, restringersi a un piccolo gruppo di persone dalle stesse abitudini e le difficoltà a trovare o a conservare un lavoro possono diventare sempre più ampie.I desideri 'normali' come quelli che si riferiscono al cibo e alla sessualità, così come le reazioni alle frustrazioni e al dolore, possono essere obnubilati o distorti dall'uso continuativo della droga, con una conseguente trascuratezza verso se stessi che può provocare ulteriori danni alla salute. D'altra parte, anche dosi moderate di droga (a parte gli stimolanti) inficiano per varie ore il controllo motorio di cui ogni persona è capace, i suoi tempi di reazione, la sua capacità di attenzione. Indipendentemente da come la persona si sente in tali condizioni, la sua capacità di guidare l'automobile, di controllare attrezzature meccaniche o elettroniche, di affrontare situazioni rischiose diminuisce, per cui il soggetto diventa fonte di pericolo per sé e per gli altri. Anche gli stimolanti possono danneggiare le competenze più fini sino a inficiare, in dosi elevate, lo stesso rendimento che in un primo momento avevano incrementato.
Diverse droghe di uso molto corrente, come per esempio l'alcol o i tranquillanti, possono facilitare in modo indiretto l'emergere di pulsioni aggressive dal momento che indeboliscono le inibizioni sociali e personali. Gli effetti delle droghe, tuttavia, sono assai diversi da persona a persona, a seconda delle caratteristiche biologiche e psicologiche dell'individuo e delle condizioni di salute di ogni organismo.
Anche la via attraverso cui una droga è assunta incide sugli effetti che essa avrà: usare droghe naturali in modo naturale è sempre meno pericoloso che introdurre nell'organismo droghe sintetiche, o raffinate con trattamenti chimici, per vie dirette del tutto innaturali. In altre parole: è meno pericoloso bere vino o birra che superalcolici, è meno pericoloso masticare foglie di coca che 'sniffare' cocaina, è comunque pericolosissimo iniettarsi per via intravenosa eroina o altri ipnotici.
La ragione per cui l'assunzione di droga per via orale è meno pericolosa di qualsiasi altra modalità di assunzione è molto semplice e immediatamente comprensibile: una sostanza ingerita per via orale giunge al circolo sanguigno, e perciò al cervello, dopo un processo di assimilazione relativamente lento e incompleto attraverso le pareti gastriche e intestinali; se invece la droga è iniettata direttamente in vena, entra nel circolo sanguigno e raggiunge il cervello molto rapidamente. Se poi la sostanza è fumata o inalata, i pericoli di intossicazione possono essere anche maggiori. Infatti dopo una iniezione endovenosa la droga è diluita in una quantità relativamente grande di sangue venoso, e deve giungere al cuore, poi ai polmoni ove il sangue deve ossigenarsi, e ritornare al cuore prima di essere pompata verso il cervello, diluita nel sangue arterioso. Quando invece le droghe, per esempio la nicotina o la cocaina, sono fumate o inalate profondamente, vanno dai polmoni al cuore e al cervello in modo più rapido e diretto, diluite in quantità relativamente più piccole di sangue arterioso (v. Weil, 1986³, p. 113).
Ogni analisi dei rischi cui si va incontro assumendo droga deve prendere in considerazione i fenomeni di tolleranza e di dipendenza-astinenza prodotti dalla maggior parte delle sostanze psicoattive.La tolleranza (o assuefazione) indica il modo in cui l'organismo si adatta alla presenza ripetuta di alcune droghe: in pratica, chi ne assume una per periodi prolungati è obbligato ad assumerne dosi sempre più alte per ottenere lo stesso effetto.
L'astinenza esprime la risposta dell'organismo alla mancanza improvvisa della droga abitualmente assunta e nei cui confronti si è sviluppata tolleranza. I sintomi dell'astinenza possono variare, a seconda della droga che si assume, da forti mal di testa a sudorazione, sensazione di freddo e tremori, conati di vomito inarrestabili, sensazioni di oppressione fisica e di angoscia, perdita di coscienza e convulsioni. I sintomi dell'astinenza possono essere aboliti immediatamente assumendo la droga nei cui confronti si è sviluppata assuefazione, in dosaggi maggiori di quelli assunti in precedenza. Se la droga non è disponibile, o comunque non viene presa, i sintomi da astinenza possono progressivamente diradarsi sino a scomparire del tutto nel giro di due o tre settimane.
La dipendenza consiste nel bisogno compulsivo di continuare ad assumere la droga nei cui confronti si è sviluppata assuefazione. Può essere in relazione con l'esigenza di evitare i sintomi da astinenza, e si parla allora di dipendenza fisica. Se la compulsione ha invece soprattutto origini psicologiche (bisogno di un'esperienza stimolante o piacevole, esigenza di un 'sostegno' chimico per affrontare i problemi quotidiani, desiderio di prendere le distanze dalla realtà), la si definisce dipendenza psicologica. È questo il tipo di dipendenza più diffuso. Esistono precisi criteri farmacologici per distinguere i due tipi di dipendenza. "La dipendenza fisica ha le seguenti caratteristiche: è sempre accompagnata da tolleranza, ma non necessariamente la tolleranza è accompagnata da dipendenza fisica; [...] è di solito accompagnata dalla dipendenza psichica [...]; nelle cellule che sviluppano la dipendenza fisica l'effetto della sospensione della sostanza assuefacente è di solito opposto a quello prodotto dalla somministrazione cronica dello stesso farmaco (la sottrazione acuta di morfina eccita le cellule cerebrali che sono invece depresse dalla somministrazione cronica); [...] è peculiare di pochi farmaci: è infatti prodotta da tutti gli oppioidi, da alcuni ipnotici barbiturici e non barbiturici e da alcuni psicofarmaci" (v. Mannaioni, 1980, p. 9).
Ci sono evidenze rilevanti in base a cui si può affermare che anche altre sostanze psicoattive, fra cui l'alcol e la nicotina, producono dipendenza fisica, se assunte con certe modalità. Con i metodi di laboratorio messi a punto dalla ricerca farmacologica e tossicologica è possibile identificare la capacità di una sostanza di produrre dipendenza fisica: si può affermare che possono produrla soltanto alcune sostanze psicoattive, e non altri farmaci.
La dipendenza psicologica è un altro importante elemento costitutivo delle tossicodipendenze; è caratterizzata da "sensazioni soggettive di instabilità psichica, soprattutto nei confronti dell'idea della recidiva nell'uso della sostanza, idea che crea insicurezza nel paziente, ne condiziona il comportamento, e rende difficile il distacco completo fra l'individuo e la sostanza assuefacente. La dipendenza psichica non ha segni obiettivi misurabili nell'uomo" (v. Mannaioni, 1980, p. 10).
È opportuno precisare che è spesso difficile distinguere con assoluta sicurezza nella pratica clinica, sia sul piano sintomatologico, sia sul piano eziopatogenetico, la dipendenza fisica dalla dipendenza psicologica. Di fatto, il fenomeno della dipendenza da droga è fra quelli in cui l'interdipendenza fra le componenti somatica e psicologica è più stretta.
A causa della difficoltà a distinguere, sul piano clinico, la dipendenza psicologica da quella fisica e dal momento che tutte le forme di dipendenza conducono all'abuso di sostanze psicoattive, un comitato di esperti della WHO (v., 1964) è giunto alla conclusione che si debba rinunciare a distinguere, nella pratica clinica, le due dipendenze. È dunque la dipendenza in sé, indipendentemente dal processo che la genera, la sindrome clinica da mettere in luce al fine di attivare provvedimenti di prevenzione secondaria nei confronti di chi ne è affetto.
La nozione di tossicomania (drug addiction) si riferisce alle situazioni in cui la dipendenza di un individuo dalla droga ha effetti dannosi assai seri per lui stesso e per la società, ed è connessa con gli atteggiamenti di rifiuto che si attivano nella società contro i soggetti dipendenti da droghe. Gli esperti del settore (medici di base, psichiatri, psicologi e operatori sociali) evitano di far uso di tale termine e dei suoi derivati (tossicomane, per esempio, o drug addicted) per le troppe connotazioni valutative, e non fondate su elementi sufficientemente chiari di giudizio, che essi comportano.
Il modo più corretto per classificare i diversi tipi di droga è quello che si fonda sugli effetti che ciascuno di essi produce sul sistema nervoso centrale (SNC). Assai meno corretta è la classificazione che distingue droghe pesanti da droghe leggere a seconda che provochino o meno dipendenza fisica.
La classificazione fondata sui diversi effetti prodotti a livello di SNC ci permette di distinguere quattro categorie principali di droghe.
1. Droghe che deprimono il sistema nervoso centrale: bevande alcoliche, barbiturici e altri ipnosedativi, benzodiazepine, solventi di vario tipo.In dosi moderate esse fanno diminuire tensione e ansia, promuovono il rilassamento ma possono anche far diminuire l'efficienza fisica e mentale, oltre ad abbassare le capacità di autocontrollo. In dosi elevate fanno comparire comportamenti 'da ubriaco': sonnolenza, stupore, sonno, perdita di coscienza. Questi effetti possono essere associati, tranne che per i tranquillanti minori, con sentimenti positivi di piacere. L'assunzione frequente di dosi elevate crea tolleranza. Particolarmente marcata può essere la dipendenza dall'alcol e dagli ipnosedativi, meno forte quella dai tranquillanti minori. Nessuna dipendenza si sviluppa rispetto ai solventi e ai gas.Gli effetti deprimenti possono aumentare in modo pericoloso se si assume contemporaneamente più di una droga di questo tipo, o se alla droga deprimente si accompagna un oppioide.
2. Droghe che riducono il dolore: i diversi oppioidi, naturali (oppio, morfina, codeina) o di sintesi (eroina, metadone). Il termine 'oppioidi', a rigore, dovrebbe riferirsi soltanto ai prodotti sintetici che producono l'effetto dell'oppio e delle sostanze attive in esso presenti, ma è entrato nell'uso con il significato generale che anche noi usiamo. Le droghe appartenenti a questa classe riducono la sensibilità, la reazione emotiva al dolore, l'angoscia e l'ansia, producono sensazioni di calore e di tranquillità, interferiscono in modo relativamente ridotto con il funzionamento mentale e fisico. Dosi elevate provocano sedazione, stupore, sonno, perdita di coscienza. Con dosi ripetute frequentemente si giunge all'assuefazione e alla dipendenza fisica. Gli effetti deprimenti sul sistema nervoso centrale possono essere ingigantiti in modo pericoloso se sono presi contemporaneamente più oppioidi o un oppioide insieme ad altre droghe dall'analogo effetto deprimente.
3. Droghe che stimolano il sistema nervoso centrale: anfetamine e farmaci anfetaminosimili, cocaina, caffeina e nicotina. Queste droghe incrementano la vigilanza e la capacità di svolgere compiti fisici prolungati, 'tengono su il morale', rinviano il sonno, diminuiscono la sensazione di fatica e l'appetito. A eccezione della nicotina, in dosi elevate possono provocare nervosismo, ansia e (con l'eccezione anche della caffeina) psicosi paranoidi temporanee. I sintomi di astinenza includono anche sensazioni di fame e di grave affaticamento. Sebbene spiacevoli, tali effetti non sono praticamente mai di intensità tale da richiedere assistenza medica.
4. Droghe che alterano la funzione percettiva: LSD (dietilamide dell'acido lisergico) e altri allucinogeni sintetici, funghi allucinogeni, diversi tipi di Cannabis. L'assunzione di sostanze di questo tipo provoca incremento delle esperienze sensoriali, distorsioni percettive, sentimenti di dissociazione, intuizioni, morale 'alto', talvolta ansia e panico, scarsa attivazione o sedazione psicologica, rischi minimi di dipendenza fisica. LSD e funghi allucinogeni provocano pseudo-allucinazioni, la Cannabis invece rilassamento, sonnolenza, voglia di comunicare con gli altri. Assumendo PCP (la sostanza psicoattiva contenuta in uno dei funghi allucinogeni) si hanno effetti fisiologici significativi, con anestesia, sedazione o stimolazione, e una probabilità relativamente alta di effetti fisici e psicologici negativi.
Il problema della droga ha interessato gli ordinamenti giuridici fin dai primi anni del secolo e per le sue caratteristiche ha rapidamente assunto importanza internazionale, dando luogo a trattati multilaterali di indubbia rilevanza. La prima Convenzione sull'oppio fu firmata all'Aja il 23 gennaio 1912, e negli anni successivi, dal 1925 in poi, ne sono seguite altre sette fino a quella di New York del 30 marzo 1961 (detta Convenzione unica), che ha gettato le basi più ampie del sistema di controllo interstatuale. Aggiornata con un protocollo di emendamenti (Ginevra, 25 marzo 1972), essa rappresenta, unitamente alla Convenzione di Vienna del 21 febbraio 1971 sulle sostanze psicotrope, l'espressione più concreta della necessità di una cooperazione fra Stati per la lotta contro il grave flagello.
L'Italia, come molti altri paesi, specie europei, ha tratto dall'azione internazionale una forte spinta a operare sul proprio ordinamento interno: tutta la normativa italiana in materia di stupefacenti è direttamente influenzata dalla legislazione internazionale. È oggi vivacissimo nel nostro paese il dibattito sul modo di trattare i tossicodipendenti, sul piano giuridico oltre che sul piano clinico, mentre vi è convergenza di orientamenti sulla necessità di intensificare la lotta nei confronti del traffico delle droghe dichiarate illecite. La legislazione (in particolare sia la legge n. 685 del 1975, sia la più recente n. 162 del 1990) definisce le droghe illecite indicandole in tabelle in cui sono raggruppate diverse sostanze "stupefacenti o psicotrope", "sottoposte alla vigilanza e al controllo". Le tabelle esplicitano, in ordine decrescente, la pericolosità sociale delle sostanze in esse considerate e definiscono, in conseguenza, i criteri necessari per regolarne socialmente l'uso.
La rilevanza dei processi psicobiologici che provocano i fenomeni di assuefazione e di dipendenza, nonché gli effetti devastanti della tossicodipendenza sulla salute delle vittime, sulla loro efficienza personale e produttività sociale, e sulla loro vita familiare, giustificano senz'altro una norma sociale che controlli strettamente l'uso di sostanze i cui effetti possono essere tanto nocivi sul piano sociale. Chi sostiene la proibizione da parte della società dell'uso di droghe è sollecitato dalla preoccupazione di evitare che tanta gente corra verso il suicidio. La 'filosofia' che ispira le norme sociali e istituzionali che regolamentano l'uso di certe droghe appare però ispirata a logiche diverse, non sempre immediatamente comprensibili. Diversi studiosi del fenomeno droga, anzi, le giudicano incoerenti (v. Bakalar e Grinspoon, 1984).
Lo stesso criterio di giudizio adottato, che dovrebbe giustificare la necessità di un controllo rigido dell'uso di molte sostanze psicoattive - il fatto che esse provochino o meno tolleranza e dipendenza -, non è applicato in modo omogeneo. Anche alcol e nicotina, infatti, possono provocare stati di tolleranza e dipendenza, ma l'uso abituale di bevande alcoliche e di tabacco non è considerato illecito. Eppure è accertato in modo inequivocabile dagli studi epidemiologici che queste due sostanze, fra tutte le droghe, hanno provocato sinora il più alto numero di vittime.
Si deve riconoscere dunque che sull'attuale assetto della legislazione proibizionista incidono fattori di tipo culturale e simbolico, in parte evidenti, in parte difficili da apprezzare: il fatto, per esempio, che l'uso del vino è una componente antichissima della nostra cultura; il fatto che il tabacco è entrato da secoli nello stile di vita di tutte le classi sociali; il fatto che, per contro, è tuttora diffusa nell'opinione pubblica l'immagine della marijuana come droga 'di passaggio', il cui uso porta inevitabilmente all'eroina. A complicare il quadro, poi, si aggiunge l'alta intensità emotiva che caratterizza, oggi, ogni discussione su droghe e uso di droghe.
La situazione confusa in cui si svolge il dibattito sul rapporto fra vita sociale e droga evidenzia la mancanza di una chiara prospettiva teorica sul significato sociale delle sostanze che possono provocare una modificazione del funzionamento biologico dell'organismo, sul valore da attribuire alla modificazione volontaria degli stati di coscienza, sulla libertà dell'individuo di agire sul proprio organismo anche rischiando di comprometterne lo stato di salute. È inevitabile che in un paese pluralista le opinioni in merito siano molteplici e su molti punti possano essere conflittuali. Ma la diversità di opinioni dovrebbe dar luogo a discussioni rigorose e puntuali per definire posizioni etiche più mature e coerenti di quelle sinora elaborate. Non ci si può illudere che le scienze sociali possano determinare, da sole, una tale evoluzione etica e culturale. Ma alcuni loro possibili contributi alla chiarezza sono già individuabili e meritano di essere esplicitati.
Questo interrogativo potrebbe essere posto in termini più dettagliati. Potremmo, per esempio, esprimerlo così: c'è una motivazione unica in tutti coloro che assumono le diverse sostanze psicoattive (le droghe, appunto), oppure esistono motivazioni specifiche per ciascuna di esse? Questa formulazione della domanda - e una risposta che ammettesse motivazioni diverse per l'assunzione dei diversi tipi di droga - si accorderebbe con lo stereotipo ampiamente diffuso secondo cui le conseguenze tragiche dell'uso di droga deriverebbero dall'assunzione di droghe illecite, mentre l'assunzione di droghe lecite diventa un problema per la società soltanto nei casi in cui sia immoderata, ed ecceda i limiti fissati dalle norme sociali non scritte che presiedono alla convivenza civile. È evidente che questa distinzione dà per scontata l'esistenza di droghe 'buone', quelle legali, e droghe 'cattive', quelle illegali (v. Gossop, 1987).
È però dimostrato in modo inequivocabile, come abbiamo già visto nella parte introduttiva di questo articolo, che danni all'uomo sono provocati da tutte le sostanze psicoattive (non solo da quelle illegali) soltanto se sono assunte in quantità eccessive rispetto alle capacità metaboliche dell'organismo e per un tempo prolungato. Per tutti i tipi di droghe illecite esistono anche consumatori occasionali di dosi moderate che, a parte i problemi con la legge, non sono minimamente danneggiati da tale uso (v. Blackwell, 1983; v. Zinberg, 1984). Di fatto non ci sono prove di alcun genere che permettano di sostenere che le motivazioni ad assumere sostanze psicoattive siano diverse e specifiche per ciascuna di esse, almeno per quanto concerne la componente culturale che entra in ogni motivazione umana.
A. Weil (v., 1986³) sostiene e documenta che l'uso di sostanze psicoattive per modificare gli stati di coscienza non è una novità del nostro tempo. È sempre stato messo in atto, in tutte le civiltà e in tutte le età della storia. Gossop (v., 1987, p. 2) riprende lo stesso argomento: "Lungo tutta la storia, l'uomo ha fatto degli strenui sforzi per scoprire e inventare sostanze e tecniche in grado di aiutarlo a modificare i propri stati psicologici". Norbert Elias, il grande studioso dei processi di civilizzazione, affronta questo argomento e lo elabora in modo acuto quando individua nell'evoluzione storica, come caratteristica di ogni attività di loisir, la ricerca di eccitamento. Non è corretto assimilare, egli sostiene, il tempo libero dalle attività professionali al tempo dedicato al loisir: nel primo c'è fra l'altro un ampio spazio dedicato ad attività propriamente di riposo (sonno, far niente seduti in poltrona), nel secondo quello che si vuole soddisfare è il "bisogno diffuso che gli esseri umani hanno di forme di stimolazione a cui solo gli altri possono rispondere" (v. Elias e Dunning, 1986; tr. it., p. 153). Elias affronta il problema del perché, generalmente, negli incontri sociali di loisir si consumano bevande alcoliche: "Per spiegare le funzioni sociali del bere non è sufficiente rilevare che la depressione dei centri inibitori del cervello dovuta al consumo dell'alcol produce una sensazione temporanea di benessere.
Se nel consumo di alcol le persone cercassero soltanto il benessere, potrebbero restare a casa e bere lì. È molto probabile che la gente beva alcol in compagnia perché la depressione dei centri inibitori del cervello facilita l'amichevole stimolazione reciproca a un livello relativamente alto di emotività, cioè favorisce l'espressione dell'essenza della socievolezza di loisir" (ibid.). È vero, aggiunge, che ci sono regole che vietano di superare certi limiti sia nel bere sia nell'esprimere l'eccitazione, ma il rischio che la situazione possa sfuggire di mano c'è sempre ed è possibile che lo stesso 'giocare col fuoco' sia, in questo caso, parte del piacere.
Le scienze sociali sono dunque giunte, anche senza porsi direttamente il problema del significato sociale delle droghe, a individuare come componente rilevante dell'azione umana la ricerca di stati di eccitamento che danno luogo a una modificazione, anche limitata, dello stato di coscienza. Le sostanze psicoattive costituiscono un mezzo (non il solo) per ottenere tale scopo. Elias si sofferma a lungo a mostrare come lo sport, per esempio, costituisca nella cultura occidentale la modalità più diffusa per ottenere l'eccitamento che caratterizza il loisir. A esso si è giunti, attraverso un complesso processo di civilizzazione, partendo dai giochi violenti dei tempi passati.Si può immaginare un mondo umano in cui sia completamente bandito l'uso di tutte le sostanze psicoattive? Weil, che affronta direttamente il problema droga, argomenta che, poiché il cambiamento degli stati di coscienza nasce nella mente dell'uomo e non in sostanze provenienti dall'esterno, è possibile ottenerlo anche con mezzi 'naturali' quali tecniche di meditazione e pratiche yoga. Secondo l'autore, la diffusione di queste tecniche potrebbe bandire del tutto l'uso di sostanze psicoattive (v. Weil, 1986³, p. 194).
Una soluzione così radicale del problema non sembra realizzabile su vasta scala nella nostra cultura, in cui è radicata la credenza che il consumo di beni costituisca uno dei modi per soddisfare i bisogni umani. Per questo, parafrasando Gossop, si deve constatare che l'obiettivo perseguito a livello di politica sociale sembra non già quello di rendere inutile l'uso di certe droghe ma piuttosto quello di convivere con esse. Imparare a convivere con la droga: trovare cioè criteri e norme condivise che ammettano l'uso di sostanze psicoattive per modificare lo stato di coscienza (cercare l'eccitazione nel loisir, secondo il linguaggio di Elias), evitando però di infrangere o disattendere le regole fondamentali della convivenza sociale. Evitando, in altre parole, che le eventuali situazioni di dipendenza impediscano la partecipazione del soggetto alle forme socialmente approvate della vita quotidiana.
Queste considerazioni generali non chiariscono però il processo attraverso cui, in tante situazioni concrete, l'attore sociale è portato a perseguire l'obiettivo di modificare il proprio stato di coscienza tramite iniziative che implicano l'uso di sostanze psicoattive. Elias, considerando il rapporto fra ricerca dell'eccitazione emotiva in situazioni di loisir e uso dell'alcol, dà per scontata per le bevande alcoliche (ma non la analizza in profondità) una "funzione facilitante" il contatto interpersonale. In rapporto a tale funzione sono state elaborate, e sono socialmente approvate, tecniche sofisticate di preparazione, conservazione e valorizzazione sociale del vino e dei superalcolici, che danno luogo a un universo simbolico specialistico in grado di influenzare il pensare quotidiano di vasti strati della popolazione.Nessuno ha ancora studiato questi problemi in modo da costruire una teoria dinamica dell'uso di sostanze psicoattive e dei processi attraverso cui se ne sceglie una in particolare o se ne usano diverse nello stesso tempo. Ci sono però due variabili ritenute unanimemente idonee a influenzare il processo che conduce a sperimentare una prima volta, ed eventualmente a consumare per tempi prolungati, le diverse sostanze psicoattive: il modo in cui l'attore sociale percepisce la droga; il contesto sociale in cui la droga è assunta.
Il far uso di una sostanza psicoattiva, sia essa prescritta dal medico a scopo terapeutico e acquistata in farmacia, sia essa acquistata sul mercato a scopo voluttuario (una bottiglia di whisky da portare a una festa), sia essa ottenuta sul mercato illegale per evitare una crisi di astinenza o per placare un'abitudine compulsiva, non è mai un atto privo di significati psicologici rilevanti. L'attore sociale ha sempre un'idea (o un insieme di idee) su quello a cui la sostanza può servire, sul come è opportuno assumerla, sul modo in cui essa potrà influenzare il suo stato di coscienza, i suoi pensieri, il suo comportamento. C'è, per esempio, chi prende i tranquillanti per affrontare in modo più lucido un incontro sociale che prevede carico di tensione, c'è chi è preoccupato che 'ci sia da bere' affinché una festa riesca, c'è chi assume anfetamina per rendere di più in un compito decisivo per la propria carriera, c'è chi teme di restare senza sigarette perché sa che senza fumare si sentirebbe spaventosamente irrequieto.
Le aspettative che ciascuno ha nei confronti della sostanza che assume sono generate dalla sua conoscenza della sostanza, da quello che ha già sperimentato direttamente, da quello che gli amici possono avergli raccontato, o da ciò che il medico gli ha spiegato. Queste aspettative costituiscono un fattore in grado di orientare la risposta del consumatore nei confronti degli effetti farmacologici della droga. Di ciò abbiamo verifiche empiriche assai puntuali.
Un classico studio di S. Schachter e J. Singer (v., 1962) ha dimostrato che l'assunzione di determinati farmaci non è, per sé, sufficiente a produrre i cambiamenti psicologici che abitualmente vi sono associati; perché questi effetti si realizzino ci deve essere, da parte di chi usa un farmaco, un 'etichettamento' psicologico dello stato fisiologico ed emotivo che sta sperimentando. Nello studio in questione gli autori invitavano tre gruppi di soggetti a partecipare a un esperimento psicologico sulla percezione visiva. Prima della prova percettiva ai soggetti del primo gruppo veniva fatta un'iniezione di adrenalina e venivano fornite informazioni corrette sugli effetti della sostanza; al secondo gruppo veniva somministrata la sostanza ma non venivano spiegati gli effetti; al terzo gruppo era somministrato un placebo. Dopo l'iniezione i soggetti venivano inviati, uno per volta, in una sala d'attesa ove incontravano un 'complice' dello sperimentatore, anch'egli in veste di soggetto sperimentale in attesa di sottoporsi alle prove percettive. Il comportamento di costui era caratterizzato, in modo quasi clamoroso, da irritazione e rabbia. Si poté osservare che i soggetti a conoscenza degli effetti psicologici dell'adrenalina erano poco influenzati dal comportamento del complice. Quelli che avevano assunto il farmaco senza spiegazioni, invece, esprimevano esplicitamente stati d'animo tesi e rabbiosi simili a quelli manifestati dal complice. Il gruppo trattato con placebo era meno influenzato, rispetto al secondo gruppo, dagli eventi immediati ma lo era comunque più del gruppo cui era stata somministrata la sostanza insieme con un'accurata descrizione dei suoi effetti. Nell'esperimento entrano in gioco due fattori. Uno è costituito dall'attivazione fisiologica provocata dalla sostanza (tachicardia, tremore, vampate di calore, ecc.), l'altro è costituito dalle attese e dalle credenze della persona circa lo stato di attivazione sperimentato.
Quando i soggetti non riescono a definire il proprio stato, pur avvertendo una sensazione di 'attivazione' maggiore della norma, possono facilmente essere influenzati a livello comportamentale da quello che fa il complice. Invece i soggetti consapevoli degli effetti dell'adrenalina non sono influenzati dal complice perché sanno riconoscere, nella propria esperienza immediata, i cambiamenti provocati dal farmaco.
Le credenze, gli atteggiamenti e le attese di chi assume sostanze psicoattive sono molto importanti anche al di fuori dei laboratori. Nel suo studio sui fumatori di marijuana H. Becker (v., 1953) ha descritto come un individuo impara a essere influenzato dalla droga. Chi prova la marijuana per la prima volta non sente, in genere, alcun effetto. Talvolta si sente un po' strano ma non sa come interpretare una tale esperienza, altre volte gli effetti sono percepiti come spiacevoli sul piano fisico e il soggetto si sente male. Per questo molti di coloro che provano concludono che non vale la pena insistere, mentre altri sono invece preoccupati per non aver sperimentato alcun effetto euforico e chiedono chiarimenti a più esperti compagni di avventura. In tali conversazioni la loro attenzione è richiamata su dettagli specifici della loro esperienza con la droga, che non avevano considerato in modo adeguato. Se riproveranno a fumare marijuana, saranno più preparati a riconoscerne l'influenza. Chi inizia, in altre parole, deve imparare a riconoscere i dettagli dell'influenza subita e ad acquisire i concetti necessari per identificare e descrivere come ci si sente dopo aver 'fumato'.
Prima di questa 'socializzazione' gli effetti della droga sono troppo ambigui perché chi la fuma possa dire come si sente. I 'novizi', spesso, sono spaventati dai cambiamenti dello stato di coscienza e abbandonano le prove per paura che esso si riproduca, mentre, da chi è più pratico, la stessa esperienza può essere vissuta invece come estremamente piacevole. D'altra parte ciò non avviene soltanto per la marijuana. Anche l'eroina richiede un periodo iniziale in cui si impara a interpretarne gli effetti. Per molti la prima esperienza con l'eroina è spiacevole: Gossop (v., 1987) dà notizia di un esperimento in cui a un gruppo di soggetti non dipendenti fu iniettata una piccola dose di eroina o un placebo. L'effetto di quest'ultimo fu ritenuto più piacevole di quello dell'eroina. Così per molti ragazzi che fumano per la prima volta una sigaretta l'esperienza può essere molto spiacevole, e altrettanto può accadere con le prime ubriacature da vino e da superalcolici.
Risulta evidente, da tutti questi dati, come per diventare consumatori regolari di una certa droga sia necessario avere relazioni abituali con un ambiente che faciliti il primo rapporto con quella droga e aiuti a imparare a trarre soddisfazione dagli effetti che si possono provare. Soffermandosi in particolare sulla iniziazione al fumo di tabacco, Eiser e altri (v., 1989) hanno rilevato che chi comincia a fumare non è mai del tutto naïf: dispone già, prima di cominciare, di innumerevoli credenze come, per esempio, quelle secondo cui il fumo rilassa, aumenta la concentrazione, aiuta ad affrontare la tensione, può essere pericoloso per la salute ma soltanto a lungo termine. Sono tali credenze, elaborate grazie a molteplici relazioni sociali, che forniscono al soggetto un repertorio di argomenti con cui può giustificare il proprio comportamento e intraprendere la nuova esperienza.Una volta che una persona ha appreso a sperimentare gli effetti di una droga, le sue credenze e le sue aspettative circa la droga possono condurla a reagire come se fosse sottoposta all'influenza di questa anche quando non ne abbia in realtà assunta. In uno studio su consumatori abituali di marijuana furono date ai soggetti sigarette contenenti o Cannabis o una preparazione placebo di materiale 'erbaceo' da cui il principio attivo THC era stato artificialmente tolto. Sebbene il livello medio di intossicazione dei soggetti che avevano fumato il placebo fosse molto più basso di quello dei soggetti che avevano fumato vera marijuana, alcuni dei primi sentivano gli stessi effetti dei secondi. I consumatori abituali di Cannabis, in altre parole, giungono spesso a sentirsi influenzati anche da un placebo, mentre i soggetti che hanno avuto meno esperienza con la sostanza sono più precisi nel distinguere fra droga e placebo (v. Gossop, 1987).
Accanto alle aspettative nei confronti della droga, costituisce un fattore di estrema rilevanza nel facilitare o inibire l'uso di essa il contesto in cui un attore sociale giunge a contatto con le diverse sostanze psicoattive. È famoso lo studio sui reduci americani dal Vietnam di Robins e collaboratori. Nel 1971 era stato stimato che almeno metà dei soldati del corpo di spedizione americano avevano fatto uso di oppiacei (soprattutto di eroina) almeno una volta. Fu poi accertato che un gran numero di soldati, quando era di stanza in Vietnam (in zona di operazioni o no), aveva usato oppiacei per lunghi periodi. Oltre a ciò, chi usava droga ne usava generalmente più di un tipo: anfetamine, barbiturici, Cannabis. Circa quest'ultima, sembra che tre quarti dei soldati ne facessero uso. Ci si attendeva che al ritorno in patria l'uso e l'abuso delle sostanze, soprattutto dell'eroina, continuassero, provocando devastazioni gravissime.
Di fatto si è visto che soltanto il 7% degli ex soldati che in Vietnam avevano usato eroina continuarono ad assumerla: gran parte di essi non era dipendente pur assumendola spesso, e anche i soggetti già dipendenti furono generalmente in grado di interromperne il consumo. Un fenomeno così rilevante, sostengono gli autori della ricerca, può essere messo in rapporto soltanto con la forza dell'influenza ambientale: passando dall'ambiente minaccioso ed estraneo della zona di guerra a quello familiare e rassicurante del paese d'origine, la spinta ad assumere droga diminuisce e l'uso di essa si riduce in modo impressionante (v. Robins, 1973; v. Robins e altri, 1979).
Anche molti rilievi storici sul modo con cui le diverse droghe si sono diffuse in Occidente confermano l'importanza del contesto sociale per determinarne (o facilitarne) l'uso. Clausen (v., 1968) sostiene che sino all'inizio degli anni sessanta i tossicodipendenti da oppioidi erano in numero assai ridotto. Al massimo 100.000 negli Stati Uniti, il paese in cui il fenomeno era di gran lunga più diffuso (altri autori dicono non più di 50.000). In Gran Bretagna erano 300-400, così nei Paesi Scandinavi, in Francia e in Italia, e nella Germania Occidentale, non più di 5.000. Chi assumeva oppiacei proveniva spesso dalle professioni sanitarie (medici, infermieri) o aveva sofferto lunghe malattie per trattare le quali erano stati utilizzati gli oppiacei.
La dipendenza veniva messa in rapporto con la frequenza con cui medici e infermieri da un lato, malati cronici dall'altro, entravano in contatto con la droga o potevano disporne con relativa facilità. Dopo l'inizio degli anni sessanta però, sul mercato americano comparvero grandi quantità di eroina e di altre droghe; l'uso di oppiacei e delle altre sostanze si diffuse fra strati sempre più vasti di popolazione, soprattutto in aree urbane sottoprivilegiate ove si concentravano fenomeni di affollamento e di criminalità e altri gravi problemi sociali. Si giunse così a una situazione in cui in certi slums il 10% dei maschi adolescenti erano tossicodipendenti e i tre quarti di essi erano afro-americani, portoricani o messicani (v. Clausen, 1968). Dagli Stati Uniti il fenomeno si diffuse poi, sostenuto dalla delinquenza organizzata, anche nelle periferie metropolitane europee, giungendo negli anni recenti a diffusioni talvolta paragonabili a quelle di molti slums americani.Fenomeni sociali di tanto rilievo non possono essere interpretati soltanto in termini di dinamiche psicologiche individuali. Non si può sostenere che siano i disturbi della personalità, assai diffusi nei contesti deprivati, a provocare l'avvicinamento all'uso di droga. Semmai uso di droga e disturbi della personalità sono provocati dagli stessi fattori socioambientali.
Si è giunti, in questa prospettiva, a interpretare la tossicodipendenza come esito di situazioni di deprivazione sociale, in cui una vera e propria subcultura deviante, volta alla ricerca della droga, informa di sé la vita quotidiana degli adolescenti, organizzandola spesso in modo assai complesso e ingegnoso (v. Preble e Casey, 1969).Anche se è dimostrata una correlazione elevata fra deprivazione sociale e tossicodipendenza, i dati epidemiologici concernenti la diffusione del fenomeno non permettono di considerare la situazione di deprivazione sociale come condizione necessaria o sufficiente perché un individuo divenga tossicodipendente. Il processo attraverso cui un attore sociale giunge ad assumere droga ed eventualmente a diventare dipendente è dunque assai complesso. Vale la pena tentare di decifrarlo partendo dai punti sinora esaminati.
Abbiamo fornito nei paragrafi precedenti due risposte al perché la gente prende la droga. Per elaborare con più precisione le nostre tesi ci soffermeremo a riflettere su ciascuna di esse dopo averle sinteticamente ripresentate. Al quesito 'perché la gente prende la droga?' può essere data una risposta fondata su una spiegazione di tipo culturale. Nella nostra cultura infatti ai singoli individui, attraverso i vari gruppi cui appartengono, sono rivolti forti inviti a sperimentare stati di coscienza diversi: quelli in cui ci si sente efficienti al massimo, o si è distaccati dalla routine del quotidiano, o si provano sensazioni percettive straordinarie, ecc. La ricerca di stati di coscienza diversi ha permesso, fra l'altro, di mettere a punto metodi assai efficaci per vincere o sospendere il dolore fisico. Fra gli strumenti disponibili per realizzare cambiamenti nello stato di coscienza sono da tempo impiegati diversi tipi di droga la cui diffusione, in epoca recente, è divenuta amplissima (uscendo dalla sfera dell'azione specialistico-terapeutica, o anche esoterica) per lo sfruttamento che ne fa un progetto economico criminale. La diffusione dell'uso di droga ha fatto sì che siano state costruite socialmente credenze svariate circa il valore dei diversi stati di coscienza e le vie da percorrere per realizzarli o conservarli.Abbiamo visto che l'assunzione di droga può essere spiegata nei termini di un processo sociologico.
La rapidità con cui i cambiamenti sociali avvengono provoca, soprattutto per categorie di individui o per gruppi sradicati dai contesti sociali d'origine (in cui la vita si svolgeva sulla base di un assetto di valori e di norme ampiamente condivisi), la perdita di tutti i punti di riferimento tramite cui orientare le scelte fondamentali e quotidiane. In tale quadro assume un rilievo particolare la diffusa e intensa pressione a cercare nel consumo di certi beni il proprio valore di individui unici. La pressione al consumo riguarda anche, soprattutto per alcuni gruppi marginali, le sostanze psicoattive, il cui mercato - lecito o illecito - è assai fornito. Ciascuna di esse è presentata come via di uscita dalle difficoltà quotidiane o come strumento per acquisire uno status di particolare prestigio nei confronti del proprio gruppo di riferimento. È comprensibile come l'acquisizione di beni così rilevanti sia considerata da molti individui, particolarmente quelli la cui identità non è strutturata in modo solido e rassicurante, l'obiettivo più significativo da perseguire in un momento dato.
Accanto a queste spiegazioni di tipo culturale e sociologico ne sono state elaborate altre che mettono in primo piano l'importanza di fattori interpersonali o intrapersonali. Il modo in cui i processi interpersonali possono spingere l'attore sociale a consumare droga è stato studiato soprattutto in riferimento all'interazione del soggetto adolescente con il gruppo dei coetanei o con la famiglia, utilizzando concetti tratti dalle teorie dell'apprendimento sociale e del controllo sociale (v. Kandel, 1980). Nel corso del processo di socializzazione il comportamento dell'adolescente è influenzato sia da forze intergenerazionali (provenienti dagli adulti, soprattutto genitori o insegnanti), sia da forze intragenerazionali (i gruppi di coetanei). L'influenza si realizza attraverso due processi fondamentali: l'imitazione (v. Bandura, 1977), mediante la quale gli adolescenti modellano la propria condotta e i propri atteggiamenti ripetendo, sulla base di ciò che osservano, i comportamenti degli adulti; il rinforzo sociale (v. Skinner, 1959), attraverso cui gli adolescenti fanno proprie le definizioni di realtà condivise nell'ambiente in cui vivono e adottano comportamenti e valori approvati dagli altri 'significativi'.In questa prospettiva le posizioni che i familiari assumono a proposito dell'uso di droga, siano esse permissive e tolleranti oppure fermamente contrarie, sono particolarmente rilevanti nel favorire o nel contrastare i comportamenti che gli adolescenti assumeranno nei confronti della droga (v. McDermott, 1984; v. Kandel e Adler, 1982; v. Kandel e altri, 1978; v. Eiser e altri, 1989).
Negli stessi termini sono interpretate le diverse forme dell'influenza esercitata dai gruppi dei coetanei (v. Bauman e Fisher, 1986; v. Akers, 1985).Vi sono alcuni limiti di fondo in tali studi, e prima di tutto quello di considerare in modo semplicistico il rapporto con tutte le sostanze psicoattive. Non è detto che, almeno nella nostra cultura, una famiglia in cui si consumano dosi moderate di vino induca i figli, in tal modo, a sperimentare e usare altre sostanze psicoattive (eroina o cocaina comprese). Un altro limite è quello di applicare troppo spesso in termini acritici il paradigma comportamentista dell'imitazione. I processi interattivi che conducono all'uso di sostanze psicoattive e lo consolidano si svolgono spesso secondo modalità assai complesse non riconducibili al principio del modeling (v. Doise e Palmonari, 1984; v. Emler, 1990).
Si deve riconoscere tuttavia che, a parte il lucido contributo di Emler all'interpretazione della devianza adolescenziale, assai pochi studi hanno tentato un'interpretazione sociocognitiva dei processi interattivi (interpersonali) che conducono al consumo di droga. Resta perciò alla corrente del social learning, indipendentemente dalla validità dei modelli interpretativi impiegati, il merito di aver focalizzato l'attenzione degli studiosi sull'importanza delle relazioni interpersonali nell'attivare e nel mantenere l'assunzione di sostanze psicoattive lecite o illecite.
La presenza di problemi della condotta in soggetti preadolescenti e adolescenti è una variabile altamente correlata con l'uso di droga. Per meglio dire, si è dimostrato che i problemi della condotta in età evolutiva sono frequentemente predittivi di un successivo abuso di droga da parte dell'individuo considerato (v. Robins e McEvoy, 1990). Questa connessione è spiegata, in parte, dal fatto che gli adolescenti con problemi della condotta sono in contatto più spesso dei loro coetanei 'normali' con il mercato delle droghe illecite, ma nessuno studioso ritiene esauriente questa spiegazione.
Una comprensione più completa di come i problemi della condotta contribuiscano a condurre l'attore sociale che ne soffre all'abuso di droghe può essere raggiunta osservando l'influenza degli stessi problemi comportamentali sulle relazioni in cui gli adolescenti sono coinvolti, sugli ambienti che frequentano, sulle scelte degli status adulti che si propongono di perseguire.La correlazione fra disturbi della condotta e assunzione (immediata o futura) di droga impone di approfondire la conoscenza delle cause dei disturbi della condotta, tanto più che finché l'interdipendenza fra disturbi e consumo non sarà chiarita, la prevenzione dell'uso di droga non potrà fondarsi che su azioni tese a ridurre i problemi della condotta soprattutto nei soggetti in età adolescenziale.
È ancora ampiamente diffusa la tendenza a interpretare sia i disturbi della condotta, sia il consumo di droga in rapporto con distorsioni della struttura delle personalità. Si è giunti in alcuni casi, come nota Cox (v., 1985), a descrivere una addictive personality. Le ricerche di Hill e altri (v., 1960) e quelle di Gilbert e Lombardi (v., 1967), utilizzando un repertorio di personalità (MMPI), avevano infatti riscontrato su campioni di tossicodipendenti la prevalenza di profili di personalità caratterizzati da depressione, sentimenti di inadeguatezza, paura dell'insuccesso (la frequenza di queste sindromi nel campione di controllo era assai meno accentuata). Si è così giunti alla conclusione che l'assunzione di droga è dovuta a disturbi strutturali della personalità. In realtà queste conclusioni sono troppo frettolose: i disturbi messi in luce dagli studi ora illustrati, infatti, potrebbero essere la conseguenza, e non la causa, dell'assunzione prolungata di droga.
In altre parole: mentre è verificata con sicurezza una correlazione positiva fra disturbi della condotta nelle varie fasi dello sviluppo e consumo di droga, non esiste alcuna prova empirica dell'esistenza di un tipo di personalità predisposto all'uso di droga. I dati disponibili non autorizzano alcuna deduzione causale diretta del tipo 'chi è affetto da certi disturbi della condotta è destinato a divenire drogato'.
Essi mostrano piuttosto la duplice esigenza di costruire una fenomenologia più articolata e completa dei processi attraverso cui si giunge all'uso e all'abuso di droga, e di mettere in atto misure più adeguate per prevenire tutte le forme di disturbi della condotta.
Quale rapporto di compatibilità-incompatibilità esiste tra le spiegazioni culturali, sociologiche e interpersonali dei processi che conducono all'uso delle sostanze psicoattive? Le diverse spiegazioni corrispondono forse a cause diverse che si attivano l'una indipendentemente dalle altre, dando luogo a processi diversi che conducono comunque allo stesso risultato, l'uso di droga e la dipendenza da essa? Gli studi sinora disponibili sono ancora troppo frammentari e disarticolati perché possa essere data una risposta certa. Sembra tuttavia di poter affermare, anche se in modo provvisorio e aperto a tutte le possibili smentite, che i diversi livelli di spiegazione di cui disponiamo possono essere articolati fra loro (v. Doise, 1982).
Dar conto dell'assunzione di droga chiamando in causa l'esigenza culturale di sperimentare stati di coscienza diversi da quelli 'naturalmente' vissuti ogni giorno, o in una fase particolare dell'esistenza, è del tutto plausibile e corretto ma, nel concreto dell'esperienza di ogni attore sociale, può apparire piuttosto generico. C'è infatti chi cerca, in tale diversità, l'eccitazione o l'efficienza, chi invece la diminuzione dello stress o il sollievo dall'angoscia che lo attanaglia, chi il distacco dall'esperienza quotidiana, chi, infine, la diminuzione di un dolore fisico che lo affligge senza sosta. Non si possono dunque trascurare le condizioni sociali e le relazioni interpersonali nel cui contesto la persona in gioco decide di 'provare' o di continuare a usare una certa droga. Per comprendere come si giunga all'uso e all'abuso delle droghe, in altre parole, occorre mettere a punto un'analisi assai complessa dello spazio di vita dell'attore sociale che mette in atto un tale comportamento. Non è sufficiente, per questo, conoscere la specificità dell'azione farmacologica delle varie sostanze, né le caratteristiche della personalità di chi le assume. È d'altronde altrettanto illusorio interpretare la tossicodipendenza sulla base di un rigido determinismo sociale o culturale per cui decisioni e scelte personali sarebbero considerate irrilevanti.Per interpretare un fenomeno sociale così inquietante occorre ormai orientarsi a meglio comprendere l'articolazione fra i fattori culturali, sociali e interpersonali che concorrono nell'attivarlo.
Il consumo di sostanze psicoattive è uno fra i vari comportamenti umani finalizzati a ottenere una modificazione dello stato di coscienza. È quindi un fenomeno strettamente connesso con i processi di civilizzazione e con la condizione dell'uomo nella nostra e in altre civiltà.La comprensione di un comportamento così complesso può essere raggiunta soltanto articolando tra loro spiegazioni plausibili, e verificate empiricamente, elaborate a livello dei processi culturali, sociologici e interpersonali.Il flagello sociale costituito dall'abuso di sostanze psicoattive obbliga le autorità istituzionali a prendere provvedimenti contro la produzione e il traffico illecito-speculativo di tali sostanze; obbliga inoltre tutte le forze sociali a promuovere interventi preventivi e riabilitativi di particolare urgenza. Una soluzione radicale dei problemi posti dall'uso e dall'abuso di droghe, però, potrà essere raggiunta soltanto se la società riuscirà a elaborare una presa di posizione chiara sul piano filosofico, e coerente sul piano etico, nei confronti sia del significato e del valore da accordare ai diversi stati di coscienza, sia della accettabilità dei vari mezzi impiegati per modificarli.Un impegno di crescita civile, dunque, non soltanto un problema di ingegneria sociale e giuridica
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di Pino Arlacchi
1. Culture antiche e culture contemporanee
Nonostante il consumo di sostanze capaci di alterare lo stato di coscienza fosse comune a innumerevoli società e culture dell'antichità classica, e nonostante nel XVIII secolo fosse già presente un commercio internazionale dell'oppio tra l'India e la Cina e tra l'Asia e l'Europa, è solo negli anni settanta e ottanta del nostro secolo che nasce un sistema mondiale della droga, inteso nei termini di una serie di mercati concorrenziali nazionali e di un mercato internazionale delle sostanze stupefacenti governato dalle leggi e dalle dinamiche dell'offerta e della domanda.Il moderno mercato mondiale degli stupefacenti costituisce una novità nella storia dell'uomo. Esso non si è sviluppato sulla base di un lento, 'naturale' allargamento delle relazioni del mercato locale, convertitesi in sistemi regionali i quali, a loro volta, si sono poi trasformati in entità più ampie. E non si è formato neppure a partire da una espansione e da una unificazione delle correnti di scambio del mercato di lunga distanza, trasformatesi poi gradualmente in mercati nazionali, regionali e locali.
Né i mercati locali delle foglie di coca dell'area andina, né i luoghi del commercio e del consumo dell'oppio nelle aree asiatiche sono stati la base su cui si è sviluppato l'odierno mercato mondiale delle droghe. Pochi studiosi si sono accorti dell'assenza di una rilevante continuità tra l'odierno circuito di scambio commerciale delle droghe e i circuiti di mercato delle società tradizionali. Mercati tradizionali di sostanze stupefacenti erano presenti da centinaia di anni in diverse zone del pianeta. Essi svolgevano la funzione di consentire l'approvvigionamento di un bene essenziale per l'esistenza di migliaia di persone.Il termine 'essenziale' viene usato qui come una categoria di tipo storico. Il consumo della coca, per esempio, è diventato 'essenziale' per l'esistenza quotidiana dei poveri Indios in seguito alle drastiche alterazioni del loro modo di vita introdotte dalla conquista spagnola: la masticazione della coca divenne necessaria per superare i disagi della fame e della fatica conseguenti alla loro trasformazione in manodopera salariata delle piantagioni e delle miniere di proprietà straniera (v. FE.DRO, 1986).Al pari degli scambi commerciali delle altre merci (v. Polanyi, 1944), i mercati locali tradizionali delle droghe non hanno mai manifestato alcuna tendenza autonoma verso l'espansione.
A meno che non si voglia ancora credere alla favola dell'homo oeconomicus presente fin dalle origini della civiltà umana, occorre riconoscere la natura fondamentalmente statica e limitata dei sistemi antichi di produzione e di scambio delle droghe. Non a caso, infatti, molti di tali mercati sono scomparsi definitivamente, oppure si sono ridotti al minimo, per poi essere richiamati in vita, sotto altra forma, in tempi più recenti. Non esistevano, nelle società tradizionali, una 'cultura' e una 'economia' della droga separate dal resto della società. I rapporti di scambio basati sulle droghe erano incorporati entro relazioni sociali ed eventi simbolici molto più vasti, che implicavano fiducia e sicurezza. I mercati della droga erano circondati da un ampio numero di 'difese' destinate a proteggere l'organizzazione sociale dalle interferenze da parte delle pratiche di mercato. I fattori di limitazione dell'uso e dello scambio commerciale di sostanze stupefacenti nascevano da tutti i punti dello spazio sociologico: costumi e leggi, religioni e magia, contribuivano allo stesso modo al risultato di circoscrivere gli atti di consumo e di circolazione delle droghe in tempi e occasioni stabiliti.
Per gran parte dell'umanità, fino a pochi decenni addietro, la droga non era un bene da vendere, comprare, scambiare come ogni altro bene: la cocaina, l'oppio, la Cannabis non erano merci. Erano parte integrante di antichi equilibri culturali. Facevano parte della vita quotidiana o delle espressioni cerimoniali di piccoli coltivatori agricoli, pastori, commercianti, sacerdoti, funzionari pubblici per i quali queste sostanze, che oggi chiamiamo droghe, non erano altro che un sollievo dalla fatica del vivere, o un elemento di celebrazione dell'eccezionalità, oppure un simbolo di status che 'aveva senso', che riceveva significato sempre e comunque all'interno di una determinata struttura culturale.
Al di fuori di un contesto culturale specifico il consumo della droga perdeva di senso. Bastava spostarsi di poche centinaia di chilometri all'interno del Mediterraneo e del Medio Oriente tradizionali per assistere a una specie di fotogramma continuamente cangiante dei rapporti tra una droga e un sistema culturale. La pura e semplice disponibilità, l'offerta di droga sul mercato non aveva un gran peso, non aveva cioè la capacità di creare domanda. La droga non era ancora una merce universale. Finché essa è stata parte di un sistema culturale, la sua riproducibilità era quasi impossibile. Bastava spostarsi da una cultura a un'altra perché il suo consumo non avesse senso.Le culture occidentali conoscevano l'uso della Cannabis sin dall'antichità greco-romana, ma ne hanno evitato il consumo di massa in favore dell'alcol fino a pochi anni fa. Nonostante fossero circondati da popolazioni abituate a fumare hascisc fin dai tempi più lontani, i Greci hanno evitato questa droga fino alla metà del secolo scorso (v. Stefanis e altri, 1975). La loro resistenza all'hascisc aveva radici legate alla religione cristiano-bizantina e alle tradizioni di autonomia politico-culturale da far valere contro gli invasori turchi, che erano i classici fumatori di hascisc.
L'uso dell'alcol da parte della popolazione greca aveva assunto anche il significato di un'opzione culturale e politica.Altri esempi sono costituiti dall'uso scarso dell'alcol e della Cannabis in Cina, nonostante la loro larga disponibilità (v. Singer, 1974), e dall'astensione dall'uso di ogni tipo di droga, eccetto l'alcol, praticata in Italia fino ai tardi anni settanta, nonostante il suo ruolo rilevante nei circuiti di traffico illecito dell'area mediterranea (v. Madeddu e Malagoli, 1970).Alcune ricerche antropologiche hanno mostrato con chiarezza come anche la diffusione di una droga leggera e i suoi modelli di consumo in una società tradizionale possano essere profondamente influenzati dal tipo di struttura socioculturale complessiva entro cui tale diffusione avviene. I Twa del Ruanda, in Africa, usano la Cannabis in quanto elemento collegato a un sistema più ampio di simboli che sottolineano la loro unicità come gruppo sociale. I Twa sono dei consumatori accaniti di droga, e legano l'uso della Cannabis alla forza e al coraggio. Tutti i non-Twa, invece, usano alcol (v. Codere, 1975).Già nel secolo scorso si erano cominciati a verificare i primi grandi fenomeni di rottura delle resistenze culturali, politiche e sociali di una comunità nazionale di fronte all'accrescimento della produzione e della disponibilità di oppio. I casi della Cina (v. Hess, 1965; v. Ding e Chan, 1970) e dell'Iran dell'Ottocento (v. Mowlana, 1974) sono al riguardo esemplari. Ma molte altre unità nazionali si difendevano da forme di diffusione incontrollata della droga attraverso le loro culture tradizionali, come nel caso della Turchia, dell'India e dell'Afghanistan. Il meccanismo 'automatico' d'interrelazione tra domanda e offerta che oggi governa questo mercato - e che lo ha fatto diventare un vero moderno mercato concorrenziale - non si era ancora instaurato in gran parte del mondo.Tutti e tre i paesi citati - Turchia, Afghanistan e India - erano, e sono ancora oggi, aree tradizionali di coltivazione dell'oppio. Nessuno di questi paesi aveva conosciuto fino a pochi anni addietro un problema di consumo di massa dell'oppio paragonabile a quello della Cina prerivoluzionaria o dell'Iran (v. Gobar, 1976).
Chi ricorda che cosa sia stata la diffusione dell'oppio in Cina se ne può rendere conto: il 30% della popolazione cinese del secolo scorso fumava oppio, e ancora nel 1949, al momento della presa del potere da parte del Partito comunista, esistevano 20 milioni di consumatori regolari di oppio e di eroina e diverse centinaia di migliaia di persone legate al loro traffico. Non dimentichiamo infine l'esempio della Iugoslavia, un paese che per oltre cento anni, fino al 1974, ha prodotto legalmente grandi quantità di oppio, ma che fino alla fine degli anni sessanta non ha avuto serie manifestazioni di tossicodipendenza (v. Kilibarda e Zizic, 1973).Esiste poi il caso del Giappone che non ha mai conosciuto il fenomeno della diffusione di droghe pesanti fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale, con l'inizio dell''epidemia' di anfetamine (v. Brill e Hirose, 1969; v. Ishii e Motohashi, 1977). Ancora oggi la società giapponese è molto resistente alla diffusione dell'eroina e degli oppiacei proprio perché sono le metanfetamine ad avere la massima diffusione.Per riassumere: fino a quando la droga non si è svincolata dalle sue radici socioculturali, diventando un puro oggetto di consumo per milioni di persone in tutto il mondo, la sua produzione e la sua circolazione sono state drasticamente limitate. Le recenti inchieste sull'uso della droga mettono in evidenza la nuova dimensione consumistica degli stupefacenti.
L'odierno mercato mondiale della droga è stato imposto a una parte dell'umanità dalla alleanza tra una nuova imprenditorialità criminale e segmenti talvolta molto ampi degli apparati statali e della comunità politica e finanziaria internazionale. È una rivoluzione dall'alto, come quella della borghesia capitalistica, che ha comportato la distruzione - esplicita o sotto forma di strumentalizzazione e di svuotamento interno - delle società e degli equilibri tradizionali.
2. Le fasi di sviluppo del sistema mondiale
Il problema mondiale della droga è passato negli ultimi decenni attraverso tre fasi fondamentali di sviluppo. Negli anni cinquanta e sessanta esso si configurava come una questione sostanzialmente nordamericana. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale cominciò a verificarsi negli Stati Uniti una costante crescita del numero dei tossicodipendenti da oppiacei, che passarono da poche migliaia negli anni quaranta a 200-250.000 negli anni sessanta e a 500.000 verso l'inizio degli anni settanta.
Tale crescita - verificatasi in concomitanza della riorganizzazione della rotta classica del traffico, imperniata sulla Turchia, come luogo di coltivazione del papavero e di raffinazione della morfina base, sui gruppi criminali francesi di origine corsa, come produttori ed esportatori dell'eroina, e sulle famiglie mafiose italo-americane come monopolizzatrici dell'importazione e della distribuzione su grande scala - contribuì a determinare un crescente allarme nell'opinione pubblica americana e una corrispondente azione diplomatica del governo degli Stati Uniti nei confronti dei governi europei. Il governo turco e quello francese vennero accusati di inerzia e di lassismo nei confronti dei produttori e dei trafficanti, e lo scontro diplomatico tra Stati Uniti e Francia assunse in alcuni momenti toni piuttosto acuti (v. Stavrou, 1974).
Anche nei principali paesi europei i tassi del consumo illecito hanno mostrato, nel medesimo venticinquennio 1945-1970, una crescita costante. Ma questa è risultata nel complesso di entità lieve (soprattutto per le droghe pesanti come l'eroina e la cocaina), e comunque tale da non suscitare proteste e allarme sociale particolarmente intensi.La situazione dell'intera questione in questa prima fase può perciò essere sintetizzata con le dichiarazioni polemiche del rapporto Murphy-Steele, scritto al termine di una missione ufficiale di studio del Congresso degli Stati Uniti nel 1971. In questo rapporto si confermava senza mezzi termini che "l'eroinomania è un prodotto essenzialmente americano e la maggior parte degli altri paesi la considerano appunto in questi termini. Di conseguenza si spendono molte parole a proposito della cooperazione con gli Stati Uniti, ma pochi fatti" (v. Murphy e Steele, 1971, p. 36).
La seconda fase si può considerare aperta con l'inizio degli anni settanta e può essere definita come il momento nel quale sia il mercato che il problema della droga assumono una dimensione europea e occidentale in un primo tempo, e mondiale in un secondo tempo. Uno dopo l'altro nel corso degli anni settanta i paesi europei, grandi e piccoli, vedono le loro frontiere aperte dall'artiglieria pesante dei grandi carichi di eroina commerciati dalle famiglie mafiose e da altri gruppi della criminalità organizzata sia europea che extraeuropea. In Francia si ha il primo morto ufficiale per overdose da eroina nel 1969, in Italia nel 1973. Il governo olandese si trova a dover affrontare un'epidemia di morti da eroina nella prima metà degli anni settanta. Molti altri paesi conoscono lo stesso fenomeno nella seconda metà dello stesso decennio.
Un'ondata di eroina asiatica sudoccidentale a basso prezzo ha cominciato ad attaccare le frontiere inglesi tra il 1980 e il 1981 e ha contribuito a far saltare le difese di quello che veniva considerato il più protetto dei mercati europei. Il sistema inglese di distribuzione controllata della droga ha visto nel giro di pochi anni il numero stimato dei tossicodipendenti passare da 5-6.000 a circa 50.000 nel 1986 (v. IASOC, 1986).
Quanto descritto finora significa che fino all'inizio degli anni ottanta la pretesa dei paesi del Terzo Mondo e dei paesi socialisti di essere ampiamente immuni dal problema dell'abuso della droga pesante - pur essendo alcuni di loro produttori della materia prima - aveva un'effettiva giustificazione nelle cifre. Agli occhi di molti osservatori, e di molti governi di quelle regioni, la questione droga appariva come una questione di matrice esclusivamente occidentale-capitalistica.
Ma gli anni ottanta si sono rapidamente caratterizzati per l'emergere impetuoso del Terzo Mondo come area di consumo della droga pesante e per la nascita di una consistente domanda di stupefacenti anche nei paesi socialisti. Un serio problema di tossicodipendenza viene segnalato in Messico, in Brasile, in Iran, in Egitto, in India, Thailandia, Malesia, Nigeria e in molti altri grandi e importanti paesi del Terzo Mondo. La crescita dei diversi mercati nazionali della droga prescinde in ampia misura dal livello di sviluppo o di sottosviluppo economico presente in ciascuna singola realtà nazionale, anche se la diffusione del fenomeno coinvolge in misura particolarmente preoccupante alcuni paesi del Terzo Mondo a più rapido e recente sviluppo, collocati nei crocevia degli scambi economici mondiali.I dati sui sequestri mondiali delle tre principali droghe e di cocaina in Europa danno la misura di un'espansione dell'offerta illegale che si è svolta in modo relativamente regolare fino all'inizio degli anni ottanta, per poi 'esplodere' tra il 1983 e il 1988.
Tra i vari tentativi di misurare il giro di affari e i profitti generati dalla compravendita dei narcotici nel mercato illecito, sono degni di nota quelli effettuati dalle Nazioni Unite nel 1987 e dal gruppo di esperti appartenenti ai 7 maggiori paesi industrializzati (FATF) nel 1989. La stima ONU del fatturato mondiale delle principali droghe è di circa 300 miliardi di dollari all'anno, 122 dei quali sono da ricondurre - secondo il FATF - agli scambi illeciti che hanno luogo in Europa e negli Stati Uniti. Il rappresentante di un paese aderente al FATF ha stimato in 30 miliardi di dollari la quota del fatturato generale annuo di cui si appropriano i commercianti all'ingrosso di stupefacenti. La tabella mostra le dimensioni economiche di ciascuno dei principali submercati illeciti in Europa e negli Stati Uniti.
Le cifre riportate sono state ottenute secondo criteri di valutazione alquanto restrittivi. È molto probabile che il fatturato effettivo delle vendite di eroina nel mercato europeo ammonti a 5-6 volte il valore indicato, e che le vendite di Cannabis superino in Europa i 20 miliardi di dollari di fatturato. Le medesime cifre non includono, inoltre, le vendite di hascisc negli Stati Uniti e in Europa, le vendite di tutte le droghe in paesi come l'Australia, il Canada, il Giappone, nonché i profitti realizzati nelle zone di produzione e di transito dei narcotici. Esse servono comunque a fornire un'idea dell'ordine di grandezza dei flussi finanziari connessi a uno dei maggiori mercati illeciti. L'entità dei flussi di denaro provenienti da transazioni che si svolgono nel mercato delle droghe -denaro che viene riciclato tramite i sistemi finanziari nazionali e internazionali - viene stimata dal FATF sugli 85,4 miliardi di dollari, pari al 50-70% dei profitti totali del commercio all'ingrosso.
L'espansione del mercato mondiale degli stupefacenti iniziata negli anni settanta e proseguita per buona parte degli anni ottanta si è accompagnata a un fenomeno di accentuato rialzo dei prezzi della droga. L'espressione 'si è accompagnata' va intesa nel senso che in certi casi la domanda è stata preceduta e in certi altri seguita dalla crescita dell'offerta e dei prezzi. Per quanto riguarda il mercato all'ingrosso dell'eroina, il prezzo di questa droga sul mercato americano, che era ed è il più grande mercato illecito del mondo, è aumentato di circa 10 volte tra l'inizio degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, e un andamento analogo si è avuto in quasi tutti i paesi europei.
Il prezzo all'ingrosso della cocaina ha seguito un andamento meno lineare, crescendo lungo gli anni settanta e declinando poi negli anni ottanta in seguito all'eccesso di produzione e di offerta verificatosi in America Latina.Il rialzo medio dei prezzi dei principali stupefacenti è connesso, inoltre, a un fenomeno di accrescimento dell'intensità dei rapporti tra offerta e domanda. L'espansione della dimensione economico-geografica del mercato, avvenuta con l'aumento del numero dei consumatori, ha cominciato ad avere ripercussioni immediate sulle decisioni produttive e, viceversa, l'aumento della quantità di droga offerta sul mercato dalle imprese illegali ha iniziato a 'creare domanda', diventando un fattore attivo in grado di riprodurre condizioni di mercato nei più diversi contesti geografici e culturali.
Senza questa stretta interrelazione tra offerta e domanda non avremmo avuto, e non abbiamo effettivamente avuto in passato, questo carattere, diventato ormai universale, della figura del tossicomane, del giovane consumatore di eroina e di cocaina, che si riproduce con stupefacente regolarità dall'Italia alla Malesia, dal Perù all'Australia.
Dalle indagini epidemiologiche più aggiornate si ricava che i consumatori attuali di droga del Terzo Mondo tendono a presentare caratteristiche socioculturali molto simili a quelle dei tossicomani occidentali. Non sono i vecchi fumatori di oppio del Pakistan o dell'India o della Malesia che diventano consumatori di eroina. Sono figure sociali differenti. I consumatori e i fumatori di oppio sono spesso persone di età matura che vivono nelle aree rurali. I consumatori di eroina sono invece i giovani delle aree urbane e di diverse condizioni sociali, proprio come nei paesi occidentali.
Sulle matrici dell'espansione mondiale della domanda illecita di droghe sono state elaborate molte osservazioni e varie teorie, ma siamo ancora ben lontani da una spiegazione a largo raggio, accettata dalla maggioranza degli studiosi. Alcuni ricercatori hanno sottolineato l'importanza di fattori quale la presenza, tra i consumatori, di un numero elevato di soggetti provenienti da famiglie 'rotte' (padre assente o debole, genitori separati, ecc.) o disagiate, oppure da situazioni economiche, sociali e residenziali svantaggiate (minoranze etniche, quartieri metropolitani degradati, ecc.). Altri studiosi hanno però messo in dubbio la validità di tali correlazioni, sottolineando modalità di diffusione del fenomeno della tossicomania entro famiglie, quartieri e ceti 'normali', non riconducibili alla sfera della devianza o della marginalità.
Nel corso di una serie di ricerche effettuate da chi scrive in alcuni contesti italiani di benessere diffuso, con scarsa presenza di sacche di povertà, di devianza e di marginalità, è stato possibile notare un'intensa correlazione negativa tra tossicodipendenza da eroina da un lato e grado di istruzione formale dall'altro. Gli eroinomani residenti in alcune tra le zone più ricche dell'Italia settentrionale negli anni 1988-1990 provenivano in larghissima parte dal ceto medio produttivo e benestante, ma alla formazione della popolazione tossicodipendente contribuivano in modo sproporzionato famiglie d'origine e soggetti caratterizzati da un livello di istruzione basso e medio-basso.
Solo verso la fine degli anni ottanta sono cominciati ad apparire i primi sintomi di una 'maturazione' del mercato mondiale delle droghe, che preludono all'apertura di una terza fase del suo ciclo di sviluppo. In numerosi contesti dell'Occidente si vanno facendo sempre più evidenti i segnali di un cambiamento di tendenza della domanda di eroina e cocaina. Sia i risultati di osservazioni dirette dell'andamento di alcuni mercati urbani italiani particolarmente significativi (v. Arlacchi e Lewis, 1990), che le valutazioni fornite negli ultimi tempi da numerosi enti nazionali e internazionali di monitoraggio concordano nell'indicare una situazione di sostanziale stabilità se non di lieve declino del consumo e della domanda di droghe pesanti in Europa e nel Nordamerica. Il rapporto per l'anno 1989 dell'International Narcotic Control Board delle Nazioni Unite sulla situazione mondiale è molto esplicito al proposito: nonostante un accrescimento della produzione illecita di oppio e l'aumento della quantità di stupefacenti offerti nei mercati ricchi dell'Occidente dalle mafie italiana, turca, cinese, colombiana e africana, e nonostante il boom dei sequestri di eroina e cocaina, l'abuso di droghe leggere e pesanti è stazionario nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale.
L'età media dei tossicomani italiani, francesi e spagnoli risulta in costante crescita dalla metà degli anni ottanta in poi.I risultati della rilevazione svolta dal National Institute on Drug Abuse degli Stati Uniti, nel 1990, segnalano una diminuzione molto marcata dei consumatori dichiarati di cocaina e di marijuana rispetto al 1988 e al 1985. In quest'ultimo anno, i consumatori statunitensi di marijuana erano 18.190.000, contro 11.616.000 nel 1988 e 10.200.000 nel 1990. I cocainomani regolari erano 5.750.000 nel 1985, 2.923.000 nel 1988 e 1.600.000 nel 1990.Il significato di questi dati consiste nell'indicare la possibilità di una rottura di quella automaticità di relazioni tra offerta e domanda che ha contribuito così potentemente alla costituzione dei mercati illeciti dell'Occidente lungo gli anni settanta. Tale inversione di tendenza può essere stata stimolata dall'estensione al campo del consumo delle droghe del 'proibizionismo spontaneo' messo in atto nei segmenti più avanzati delle società occidentali nei confronti dell'uso di droghe lecite come l'alcol e il tabacco, e dall'atteggiamento di crescente diffidenza verso vari prodotti dell'industria chimica e farmaceutica sospettati di danneggiare l'ambiente e la salute.
La distribuzione dell'eroina nei mercati interni dei paesi occidentali viene spesso descritta come un processo sotterraneo, organizzato da entità misteriose secondo criteri e fini largamente incontrollabili. Si tratta in realtà di un fenomeno economico razionale, e di un''industria' molto ben insediata. Ci sono in essa grossisti e dettaglianti, importatori e distributori, tutti sottoposti in vari modi all'azione delle forze di mercato. Come nelle economie lecite, la differenza o lo squilibrio tra prezzi all'ingrosso e prezzi finali può essere considerevole.
Ma una messa a fuoco più ravvicinata dell'economia dell'eroina mostra l'esistenza di una serie di peculiarità e di anomalie rispetto alla maggior parte dei moderni sistemi di produzione e di distribuzione. Le più evidenti possono essere così enumerate: a) un sistema distributivo che opera attraverso una serie di reticoli di piccole dimensioni, di rapporti personali del tipo 'faccia-a-faccia', piuttosto che per mezzo di pubblicità impersonale e di punti di vendita pubblici; b) uno squilibrio dei prezzi estremamente elevato (intorno al 3.000%) tra la prima transazione all'ingrosso e la vendita al consumatore finale; c) un alto grado di monopolizzazione negli strati superiori della distribuzione nonostante il livello molto contenuto delle barriere di natura tecnologica all'ingresso.
Questo insieme di caratteristiche si trova in contraddizione con la configurazione dei rapporti tra imprese orientate verso il profitto operanti nella stessa industria, che viene descritta nei manuali di economia. Per quale ragione, ad esempio, l'industria in questione non si organizza in unità di più grandi dimensioni che agiscono in forme impersonali, in modo da accrescere le vendite e ridurre i costi? Se l'industria della droga è contrassegnata - come quella legale - da un alto grado di razionalità degli scambi, perché non è in grado di sfruttare le economie di scala e i vantaggi della pubblicità? E quali sono le ragioni della persistenza di una situazione di monopolio, quando i grandi profitti e le deboli barriere tecniche dovrebbero incoraggiare potentemente la competizione?Una possibile spiegazione di tali anomalie sta nelle specifiche proprietà intrinseche della merce che questa industria produce (la capacità di creare dipendenza e di 'irrigidire' perciò la domanda, la sua tendenza a decrescere in purezza e potenza man mano che si passa dalle zone di produzione ai consumatori finali, ecc.). Ma la maggior parte delle peculiarità dell'economia dell'eroina sono da ricercarsi nel particolare rapporto che lega il suo mercato al resto della società e nell'altrettanto particolare composizione sociologica della sua offerta.
La produzione, l'importazione, la vendita e la stessa detenzione dell'eroina costituiscono un reato in quasi tutti i paesi del mondo. La condizione di illegalità dell'industria influisce in modo decisivo sulla natura delle transazioni, impedendo la commercializzazione pubblica e impersonale della droga, conferendo un enorme valore aggiunto a ogni atto di compravendita, elevando il livello dei rischi e incoraggiando la formazione di barriere di natura extraeconomica negli stadi più elevati del mercato.I mercati dell'eroina esistenti in Europa e nel Nordamerica mostrano una struttura largamente simile.
Relativamente concentrati al vertice, essi diventano sempre più dispersi man mano che il prodotto si dirige verso il basso tramite una catena di sublivelli. A ognuno di questi si crea uno scatto di prezzo, determinato dalle spese, dal consumo di tempo, dal costo del lavoro, dai costi di organizzazione, dai profitti sul capitale investito, dai rischi connessi alla probabilità di arresto, di furto o di truffa. Lo scatto di prezzo è molto maggiore di quello determinato da pure considerazioni di efficienza, in quanto include una serie di costi aggiuntivi generati dalla natura clandestina dell'industria. Questa influisce anche sulla piccola dimensione delle unità di distribuzione, nonché sulla loro relativa compartimentazione e sulle difficoltà di accesso.
Moore e Rottenberg sottolineano l'elemento costituito dal 'rischio calcolato' come fattore primario per la creazione dei profitti nel mercato dell'eroina. Sebbene la maggior parte dei profitti affluisca agli stadi dell'importazione e della vendita all'ingrosso, le probabilità di essere intercettati dalle autorità e di trovarsi in pericolo fisico sono maggiori al livello della vendita al dettaglio, a causa della visibilità e della vulnerabilità dei suoi soggetti, unite alla frequenza delle transazioni e all'incertezza circa la tossicità potenziale della merce acquistata (v. Moore, 1977; v. Rottenberg, 1968).Se le probabilità d'intercettazione sono minori al livello dell'importazione e dell'alta distribuzione, è anche vero, però, che le eventuali sanzioni penali sono corrispondentemente più elevate. Da qui la messa in opera da parte delle figure interessate di tutta una gamma di strategie tese a minimizzare le probabilità di arresto. L'illegalità degli scambi e i rischi connessi rappresentano perciò una delle principali ragioni della segretezza, della tendenza a restringere l'accesso ai ruoli dell'offerta, e dell'esclusione dei consumatori da tutti i livelli meno che infimi della distribuzione.Tutte queste condizioni conducono a elevare il valore aggiunto delle transazioni e il relativo tasso di profitto. Le opportunità per l'accumulazione di capitale e per l'allargamento della scala delle operazioni all'interno dell'industria dell'eroina, o in altri settori del commercio illegale, sono perciò estremamente ragguardevoli per gli operatori collocati nei segmenti più redditizi e sicuri della catena distributiva. Al livello delle vendite al minuto, i profitti si distribuiscono lungo una vasta ragnatela di piccoli spacciatori e di spacciatori-consumatori, mentre ai livelli più alti si concentrano nelle mani di un numero di soggetti relativamente ristretto.
La natura dispersa e frammentata del mercato al minuto dell'eroina fa sì che nessun singolo gruppo o cartello di fornitori possa dominare da cima a fondo un sistema distributivo interno. L'unica possibilità che si può verificare è che in un piccolo mercato locale di recente sviluppo (un villaggio o un piccolo centro, un quartiere, un segmento di una fascia sociale) un gruppo di dettaglianti sia in grado di controllare la distribuzione per un periodo di tempo definito, o che controlli le condizioni alle quali il mercato stesso viene rifornito.
Da una serie di studi effettuati in Europa e negli Stati Uniti, a partire dalla fine degli anni sessanta, è possibile ricavare un modello generale della struttura del sistema di distribuzione dell'eroina in una realtà metropolitana. Preble e Casey e poi Moore per la città di New York, Lewis per Londra, Ingold per Parigi, Arlacchi e Lewis per Napoli e la Campania hanno delineato i contorni di una catena di commercializzazione articolata in sei anelli principali. Il primo è quello dell'importazione della droga sul mercato locale in quantità superiori a 10 chilogrammi. Il secondo è quello dei commercianti all'ingrosso in grado di acquistare partite che vanno da 2-3 fino a 10 chilogrammi (da cui la denominazione di 'kiloconnection'), che rivendono in quantità di più piccole dimensioni (di regola al di sotto del chilogrammo) agli operatori collocati all'interno del terzo anello, quello della distribuzione intermedia. Il quarto anello è costituito dagli spacciatori-trafficanti 'a peso', che acquistano piccole partite dai distributori per rivenderle in lotti da una diecina di grammi ciascuno ai piccoli spacciatori da strada. Questi ultimi costituiscono la figura più 'visibile' e più impopolare in quanto sono gli unici a trovarsi a diretto contatto con il pubblico dei tossicodipendenti, all'interno del quale esiste un'ulteriore stratificazione tra consumatori puri e consumatori-spacciatori, in grado di acquistare un paio di grammi alla volta dagli spacciatori veri e propri sia al fine di rivenderli ad altri tossicodipendenti che a scopo di consumo personale.
Una fauna variopinta di personaggi che lavorano in strada si affianca alle figure descritte sopra. Si tratta di gente che effettua consegne, promuove la merce di un dato spacciatore, offre informazioni sui luoghi di vendita e sui prezzi, compie dei 'test' sulla qualità della droga, ecc. (v. Preble e Casey, 1969; v. Lewis e altri, 1985; v. Moore, 1977; v. Ingold, 1985).Il sistema di ruoli della distribuzione non è statico né rigido, soprattutto al livello della vendita al minuto, dove i partecipanti si trovano spesso a fluttuare da un ruolo all'altro allo scopo di ottenere una delle due merci-chiave del mercato: droga e denaro.
Alcuni studiosi hanno combinato informazioni provenienti dal lavoro sul campo con dati provenienti dalle forze dell'ordine, per compiere varie stime sul numero dei distributori, sul volume e sulla purezza dell'eroina, sui profitti netti per ciascun tipo di distributore. Moore, per esempio, ha calcolato che nella situazione di New York i profitti netti annui di uno spacciatore da strada si aggirino intorno ai 15.000 dollari, e quelli di un piccolo spacciatore che vende bustine per conto del primo ammontino a circa 1.000 dollari.
Per quanto riguarda la situazione dei livelli più bassi, alcuni autori (v. Johnson e altri, 1985) distinguono tra reddito monetario e reddito in droga (il primo con riferimento al denaro contante ottenuto con le vendite, il secondo al valore della droga ricevuta in pagamento). Nelle loro analisi del mercato napoletano Arlacchi e Lewis hanno riscontrato per la categoria dei consumatori-spacciatori un bilancio in perdita se calcolato sulla base dei profitti ricavati dalle vendite, e un bilancio in attivo se alle entrate monetarie si aggiunge il valore di mercato della droga da essi usata per consumo personale. Il saggio di profitto per ciascuno degli anelli della catena distributiva in Campania risultava essere il seguente: importatori 370%; grossisti 135%; distributori 90%; spacciatori 'a peso' 40%; spacciatori 'da strada' 54%; consumatori-spacciatori 12% (v. Arlacchi e Lewis, 1985).
La stratificazione in sei livelli appena descritta costituisce un utile strumento di interpretazione della realtà del sistema distributivo dell'eroina. Essa non deve però essere concepita come una rigida armatura entro cui forzare ogni fenomeno incontrato nel lavoro sul campo. Il palcoscenico della droga mostra un costante movimento di individui attraverso i ruoli descritti. Esiste una mobilità orizzontale, ed entro certi limiti più ristretti anche di tipo verticale, tra le diverse componenti della gerarchia e del mercato. Alcuni soggetti passano da un ruolo all'altro nel corso della stessa settimana e talvolta della stessa giornata. Le ricerche sul sistema distributivo dell'eroina a New York hanno mostrato come il settore delle vendite al dettaglio consista di transazioni molto più complesse di un puro e semplice scambio faccia-a-faccia.
Un numero notevole di figure intermedie lega i venditori con i compratori. Si tratta dei 'lavoratori a giornata' dell'industria dell'eroina, che svolgono compiti di 'connessione' per la ricerca di case e di luoghi riparati in cui bucarsi, compiono acquisti o vendite per conto terzi, pubblicizzano un prodotto, presentano nuovi clienti, forniscono le siringhe. De Gennaro (v., 1982), Ingold e Lewis descrivono i sintomi di un incipiente, simile fenomeno in Italia, Francia e Inghilterra.Secondo Kaplan (v., 1977) il confezionamento e la vendita dell'eroina nella città di New York richiedono una forza lavoro di circa 20.000 persone, la grande maggioranza delle quali vive una condizione molto simile a quella dei 'lavoratori a giornata' del mondo agricolo e industriale. Essi stazionano all'angolo di una strada pronti ad accettare qualunque lavoro venga loro offerto, in cambio di un salario molto variabile. I 'braccianti' dell'eroina vengono normalmente pagati in contanti (la contabilità scritta è molto esigua), e la probabilità di lavorare per lo stesso datore di lavoro il giorno successivo è alquanto scarsa.
Le condizioni di lavoro e gli accordi sono quantomai variabili e devono essere negoziati di volta in volta. Spesso si tratta di eseguire solo degli spezzoni molto limitati di un compito: per esempio vendere 10 bustine, per averne poi 2 come compenso. I rischi connessi anche alle più semplici operazioni sono alti, in quanto l'universo della droga è pervaso di violenza in ogni suo aspetto. Un 'bracciante' può venire imbrogliato, derubato, picchiato o arrestato in ogni momento. Il suo luogo di lavoro è costituito spesso dagli ambienti più degradati dello scenario urbano, dove egli lavora per molte ore con prospettive di guadagno incerte.
Eppure la presenza abbondante e a basso costo di lavoratori a giornata è fondamentale per il funzionamento dell'intero sistema di distribuzione della droga. Senza di essi gli spacciatori e i distributori sarebbero costretti ad affrontare i notevoli rischi connessi al contatto diretto con il pubblico dei consumatori, e dovrebbero inoltre rinunciare a una parte molto consistente dei propri profitti.
Alcune descrizioni troppo semplificate del sistema distributivo a sei livelli sono state in alcune occasioni criticate da esperti appartenenti ai corpi di polizia e da studiosi specializzati nelle ricerche di etnografia urbana. Alcuni di essi hanno messo in risalto non solo la mobilità degli individui lungo le diverse posizioni della catena, ma anche la diversa lunghezza della stessa in differenti momenti dello sviluppo del mercato dell'eroina. Sono esistite delle situazioni in cui la traiettoria di una singola partita di droga ha comportato fino a un massimo di otto passaggi, e altre (verificatesi soprattutto nelle zone di produzione o nelle sedi dell'importazione su vasta scala) in cui tali passaggi si sono ridotti fino a quattro.In termini generali, si può in ogni caso mantenere lo schema dei sei livelli come una griglia analitica soddisfacente, perlomeno nel momento del primo approccio all'oggetto dell'indagine. Può essere ancora più utile, a dire il vero, dividere il sistema distributivo in due settori fondamentali, uno competitivo e uno oligopolistico. Quest'ultimo consiste di un numero limitato di imprese criminali, il cui compito è quello di vendere droga alle unità più piccole del settore competitivo che sono le uniche a trovarsi in contatto con il pubblico non criminale.La conformazione fortemente segmentata ed ermetica di ciascuno degli stadi della rete di distribuzione serve a ridurre i rischi dell'identificazione da parte dei consumatori finali (che sono molto numerosi e poco affidabili dal punto di vista della sicurezza delle informazioni), ma preclude contemporaneamente ai venditori più potenti l'appropriazione di gran parte dei profitti del settore competitivo.
Alcuni particolari gruppi, però, e in modo più accentuato i cosiddetti 'operatori indipendenti' - soggetti che sono in grado di provvedere autonomamente all'importazione di centinaia di grammi e talvolta anche di chili di eroina acquistati nelle zone di produzione - possono entrare 'opportunisticamente' in un dato mercato per la prima volta, e inglobare fino a tre-quattro stadi della distribuzione realizzando grandi profitti.
Questo fenomeno dell'entrata 'clandestina' di nuovi soggetti nel mercato dell'eroina è particolarmente intenso nei momenti di sconvolgimento degli equilibri oligopolistici provocati da conflitti interni ai gruppi della criminalità organizzata o in conseguenza di intense campagne repressive. Anche i periodi di forte crescita della domanda interna di droga pesante - come nel caso dell'Italia tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta - possono portare all'ingresso di nuove unità distributive, indipendenti dai precedenti assetti di potere e prive di curricula criminali consolidati. I commercianti di droga di nazionalità diversa da quella del mercato di riferimento si trovano particolarmente avvantaggiati in queste situazioni: l'offerta aggiuntiva di eroina da essi provocata può arrivare a cambiare l'intera natura di un mercato interno, come è accaduto con gli importatori pakistani di eroina in Inghilterra nel 1980.
Il fenomeno, però, non ha in genere una durata particolarmente prolungata nelle situazioni in cui esiste un'egemonia storica del mercato della droga da parte di gruppi criminali di grandi dimensioni e di esteso radicamento politico e sociale. Prima o poi, i nuovi arrivati sono costretti al confronto economico e al conflitto armato con le imprese illecite di più antica radice nonché con le forze dell'ordine. Data la loro minore capacità di corrompere gli apparati di polizia e gli scarsi contatti con il mondo politico, i nuovi arrivati finiscono col soccombere o con l'essere incorporati in posizione largamente subalterna nei ranghi delle coalizioni criminali più potenti.
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