DURANTI, Durante
Nacque a Brescia il 5 ott. 1487 da una famiglia di notai, provenienti dal contado. Seguendo l'esempio dello zio Pietro Duranti, studiò giurisprudenza, ma con risultati non particolarmente brillanti, e si dedicò alla carriera ecclesiastica insieme con il fratello Andrea. Divenuto chierico di prima tonsura, si recò a Roma, dove entrò nella cerchia del cardinale Alessandro Farnese grazie alla presentazione dello zio.
Tutta la carriera del D. fu dovuta alla protezione del cardinale Farnese e fu caratterizzata dall'accumulo di cariche e benefici, per quanto minimi. Nel 1515 il D. divenne familiare e amministratore dei beni del Farnese. Nel 1518 è ricordato come commensale del suo protettore, che gli fece avere nello stesso anno il canonicato nella cattedrale di Brescia: per l'occasione il D. fu autorizzato da Leone X a ricevere "extra, tempora" i quattro ordini minori, mentre il cardinale Farnese lo liberava da ogni responsabilità nell'amministrazione dei suoi beni. Nel 1521 Leone X gli assegnava due chiese nella diocesi di Brescia e nel frattempo premeva su Venezia per fargli avere maggiori benefici.
Nel 1523 il D. fu conclavista di Clemente VII, che gli assegnò una pensione: nello stesso anno riceveva dal cardinale Farnese il beneficio di S. Bartolomeo di Reginaldo e dal papa altri benefici nelle diocesi di Brescia e Bergamo. Nei dieci anni successivi visse soprattutto in Lombardia, tuttavia senza mai perdere i contatti con Roma e con il suo protettore. Non appena Alessandro Farnese ascese al soglio pontificio con il nome di Paolo III (1534) il D. fu richiamato a Roma quale cameriere e segretario del nuovo pontefice. Rientrato nella Curia, fece in modo di farvi tornare anche lo Zio Pietro, che a sua volta fece venire i nipoti Vincenzo e Bartolomeo Duranti. In quegli anni il D. fu "l'un des carnériers favoris de Paul III" (Dorez), pronto a preoccuparsi di qualsiasi problema anche minuto dei vari Farnese, in primo luogo Ottavio e Vittoria.
Nel 1535 il D. fece gli onori di casa a Carlo V in visita a Roma: Benvenuto Cellini, che poco amava il D., il quale l'avrebbe derubato di 500 scudi promessi dall'imperatore, lo ricorda goffo, impacciato e soprattutto incapace di parlare altra lingua al di fuori del suo dialetto. Il ritratto del Cellini è confermato da A. Massarelli (in Concilium Tridentinum, Diaria), che definiva il D. un uomo senza lettere o altra buona qualità, ma non trova conferma nei fatti, almeno per quanto riguarda i rapporti con l'imperatore: negli anni successivi il D. ebbe sempre l'appoggio e la benevolenza di Carlo V, che sostenne personalmente la sua ascesa nella gerarchia ecclesiastica (Arch. segr. Vat., Schedario Garampi, Indice 476, ff. 149v-150).
Sempre nel 1535 il D. fu nominato castellano e governatore del castello di Parma: contemporaneamente gli venne concesso il priorato di S. Salvatore delle Tezze in Val Canonica, nonché una pensione di 15 scudi d'oro e altri benefici ecclesiastici. L'anno seguente fu fatto cameriere del numero dei partecipanti, gli fu assegnato l'arcidiaconato di Brescia per rinunzia dello zio Pietro, gli fu accordata infine la cittadinanza romana a nome dei Senato e del Popolo romano.
Nel 1538 divenne vescovo di Alghero dietro presentazione di Carlo V: metà dei beni della Chiesa di Alghero spettavano, però, allo zio Pietro, probabilmente in cambio dell'arcidiaconato bresciano. Il D. non si recò mai nella sua diocesi, per la quale svolse soltanto le funzioni di amministrazione da lontano, e rimase a Roma, dove aveva iniziato a interessarsi dei problemi della diplomazia pontificia. Nel 1538 aveva infatti preso parte al congresso di Nizza, accompagnando Paolo III. Nel 1539 sostitui il cardinale Alessandro Farnese, in viaggio in Spagna, curando le relazioni con i nunzi pontifici in Germania e Francia. Di fatto negli anni successivi al 1540 il D., N. Ardinghelli e B. Maffei "constituaient à peti près ce que l'on appellerait maintenant la Secréterie d'Etat" (Correspondánce…, 1963, p. LII). Nel frattempo era divenuto segretario apostolico (1540), succedendo allo zio Pietro morto da poco, e successivamente maestro di camera del pontefice.
Il D. non aveva mancato di accumulare altri benefici minori, quali la concessione della chiesa parrocchiale di S. Martino di Alzano Inferiore nella diocesi di Bergamo. E si era servito della propria influenza per ottenere privilegi per la città natale. Già nel 1539 aveva ottenuto insieme con lo zio che il Collegio dei giudici di Brescia avesse gli stessi privilegi di quello dei giudici di Bologna. In questo periodo e in seguito ai favori accordati alla propria città la famiglia Duranti iniziò ad essere accettata dall'aristocrazia bresciana, dalla quale era stata precedentemente tenuta in disparte perché di origini umili e provinciali. Tuttavia i Duranti furono ricevuti nel Consiglio dei patrizi bresciani soltanto nel 1553, quando il D. era ormai cardinale e vescovo della città.
Nel 1541 il D. fu trasferito alla diocesi di Cassano allo Ionio, sempre su presentazione di Carlo V. Anche nella nuova diocesi non si recò mai, nemmeno per prenderne il possesso canonico. Tuttavia non se ne disinteressò completamente, come aveva fatto per Alghero: nel 1543 fece esentare la diocesi dalla soggezione alla metropolitana di Reggio e negli anni successivi favori la fondazione e l'opera di alcune confraternite.
Nel frattempo aveva continuato ad accumulare cariche, nonostante uno scandalo, che aveva portato nel 1541 alla destituzione di Vincenzo Duranti dall'ufficio di datario. Nel 1542 il D. divenne segretario apostolico del numero dei partecipanti e prelato domestico del pontefice e fece ottenere la cittadinanza romana ai fratelli Paolo e Andrea, con facoltà di trasmetterla ai loro discendenti. Nello stesso anno acquistò una casa a Roma in Campo Marzio insieme con i fratelli. Fra il 1542 e il 1544 ottenne nuovi benefici, come il canonicato e la prebenda di S. Maria di Bedizzole (diocesi di Brescia), fu provvisto della chiesa di S. Maria del Mare a Crotone e soprattutto gli fu permesso di conservare tutti i benefici già detenuti nelle diocesi di Alghero, Famagosta, Brescia, Bergamo e Cassano.
Nel 1544 divenne infine cardinale e nel 1545 ricevette il titolo della basilica dei XII Apostoli: secondo il Massarelli il cardinalato sarebbe stato il frutto ben pagato di vari traffici e dei favori fatti a Costanza Farnese, figlia naturale del pontefice. Tuttavia bisogna tener conto sia del fatto che Paolo III aveva probabilmente in animo di creare cardinale già Pietro Duranti sia il più che trentennale servizio del D. presso casa Farnese. Sempre nel 1544 il D. fu nominato legato alatere per l'Umbria con giurisdizione su Camerino, Narni, Spoleto e Rieti.
Risale a quest'epoca la sua attività contro gli "eretici" e i "luterani", che doveva proseguire a Brescia e culminare nelle polemica con Pier Paolo Vergerio ed altri protestanti attivi nella sua diocesi bresciana. In queste circostanze lo zelo del D. fu tale da obbligare Venezia a intervenire più volte per moderarne le "persecuzioni" (Nunziature di Venezia, VI). Nella sua lotta contro gli "eretici" il D. cercò anche l'appoggio di Ignazio da Loyola, che apparentemente ignorò le sue richieste, e della Curia romana, che nel 1551 gli concesse la facoltà di assolvere i luterani Pentiti. Una nota curiosa delle attività controriformistiche del D. è costituita dal fatto che il suo medico romano fu Girolamo Donzellino, più tardi noto esponente dei riformatori italiani.
Intanto il D. era divenuto nel 1549 90vernatore di Narni, mentre nel 1550 Giulio III lo aveva confermato legato a latere dell'Umbria, nonché di Cesi e Cerreto, assegnandogli inoltre due pensioni annue per un totale di 2.000 ducati. Nel 1551 il D. fu trasferito alla diocesi di Brescia, grazie ai buoni rapporti con i Veneziani, i cui interessi aveva difeso sin dal congresso di Nizza, e al ruolo avuto nell'elezione di Giulio III. Aveva iniziato a premere per avere la diocesi di Brescia nel 1549: ottenne anche alcuni benefici finanziari e va rilevato che fu l'unico vescovo non veneto di Brescia fra il XV e il XVIII secolo.
Anche a Brescia il D. badò più all'aumento del proprio patrimonio e alle necessità della propria famiglia che non alla vita della propria diocesi (eccezion fatta per la persecuzione degli eretici), come testimonia lo stato d'incuria trovato dal suo successore, Domenico Bollani. Sino all'ottobre del 1551 resse anche la diocesi di Cassano, dalla quale trasse nuove pensioni per 800 scudi, poi ridotti a 500. Nel frattempo rimase un personaggio chiave della diplomazia pontificia, grazie alla vasta rete di contatti personali e alla benevolenza imperiale e veneziana: nel 1552 la segreteria di Stato lo pregò di adoperarsi presso l'imperatore per mettere pace in Germania.
In questo periodo il D. fu, secondo alcuni autori, anche suffraganeo di Ranuccio Famese nella Chiesa di Ravenna, dove avrebbe favorito i gesuiti: dovrebbe trattarsi di una confusione fatta fra lui e Vincenzo Duranti.
Per quanto concerne la diocesi bresciana, nel 1551 il D. promosse la Constitutiones Ecclesiae Brixiensis per combattere l'eresia. Proseguiva intanto la tradizione nepotistica dello zio Pietro. Nel 1546 aveva fatto in modo che il nipote Aurelio divenisse protonotario apostolico, accolito del pontefice, cappellano, conte palatino e cavaliere dello Speron d'oro. Nel 1550 fece nominare prefetto del castello di Camerino il proprio fratello Giovanni Andrea, cui aveva già fatto avere la castellania del castello di Parma. Nel 1552 nominò Vincenzo Duranti. gia vescovo di Termoli, vicario generale della diocesi di Brescia, mentre nel 1557 il nipote Alessandro Duranti divenne vescovo coadiutore sempre di Brescia. Ebbero inoltre vari benefici nella diocesi bresciana Valerio, che fu anche familiare di Paolo III, Gregorio, Gian Giacomo e Nicola Duranti.
Negli ultimi anni il D. si ritirò a Brescia e non ritornò a Roma, nonostante un richiamo ufficiale di Paolo IV nel 1556. Qui mori il 24 dic. 1558, lasciando il suo patrimonio al fratello Pietro e una famiglia ormai saldamente installatasi nell'aristocrazia bresciana. Doveva essere ricordato come uno dei simboli peggiori della politica di nepotismo e favoritismo dei tempi di Paolo III.
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M. Sanfilippo