EBREO ERRANTE
. La leggenda, nella sua forma ancor viva e diffisa tra il popolo, narra di un ebreo il quale schernì Gesù, spingendolo a camminare verso il Calvario, e in castigo fu condannato ad errare fino al giorno del Giudizio: di continuo, egli percorre tutti i paesi del mondo, senza potersi fermare, e per vivere ha pochi soldi (cinque, di solito) che si rinnovano sempre nella sua scarsella.
In questa leggenda, si scorgono alcuni elementi antichissimi: l'uno che risale fino ai Vangeli, relativo a qualche testimonio della vita e della morte di Gesù che non gusterà la morte fino al ritorno del Figlio dell'uomo (ciò che fu creduto, a titolo di gloria, e non di punizione, dell'apostolo Giovanni); l'altro, della sopravvivenza in terra assegnata per tradizione ai sacrileghi, ai grandi peccatori, e primo fra tutti a Caino, errante in eterno sotto gli aculei del rimorso. Una prima leggenda, di cui s'ha un accenno nel sec. VII (nel Λειμωνάριον di Giovanni Mosco), ci mostra, sotto il nome di Malco, il soldato che arrestò Gesù, condannato in un carcere sotterraneo, dove rimarrà, sottoposto a pene di vario genere, sino alla fine del mondo: e questa leggenda s'è tramandata separatamente fino a oggi, come attesta il folklore siciliano. Sul principio del sec. XIII, nei Flores historiarum di Ruggero di Wendower e nell'Historia maior di Matteo Paris, s'ha notizia (proveniente d'Armenia) d'un portiere del pretorio di Pilato, a nome Cartafilo, il quale aveva esortato il Nazareno a muoversi, e aveva ricevuto per risposta: "Io vado, ma tu aspetterai fin ch'io ritorni"; e al tempo stesso s'ha in Italia, presso il cronista di Ferraria in Terra di Lavoro, e poi in Boncompagno da Signa e Guido Bonatti, l'attestazione dell'infaticabile pellegrino, che porta il nome di Bottadeo ("Ioannes Buttadeus"): Cecco Angiolieri e Niccolò de' Rossi nei loro versi, si gioveranno di quel nome a indicare un'estrema longevità. Fin d'allora vi furono dei poveracci, o dei gabbamondo, che andavano attorno spacciandosi per quel misterioso e immortale personaggio. Altre notizie ne serbarono il cronista senese Sigismondo Tizio (all'anno 1400) e certe curiose memorie domestiche del fiorentino Antonio di Francesco d'Andrea (secondo decennio del sec. XV). La leggenda ebbe nuovo impulso, specie in Germania, dopo la Riforma, e fu divulgata da molti libri popolari, nel sec. XVII: il Volksbuch tedesco (1ª ed. 1602, trad. e rist. più volte in Francia, nel Belgio, in Olanda, in Danimarca, in Svezia) ci presenta compiuta la figura dell'ebreo pellegrino con i suoi cinque soldi; il nome è divenuto Aasvero: più tardi, nei Paesi Bassi, Isacco Lakedem.
I poeti moderni s'impadronirono di quel tipo leggendario, a cominciare dal Goethe, che vagheggiò un Aasvero materialone e mordace, spettatore ironico delle umane miserie (e un tratto che la leggenda antica presenta, anche in Italia, è quello d'una bonaria penetrazione e chiaroveggenza del vagabondo); lo Schubart vi colse il tema pessimista di un uomo che subisce la pena di non poter morire. E così via, specialmente nel periodo romantico, l'Ebreo errante assunse i più varî significati simbolici. Taluni vi scorsero il rappresentante del suo popolo, persistente e perseguitato; altri, il negatore di Dio, con cui si riconcilia dopo una lunga espiazione; ma su tutti prevalse il simbolo del faticoso e interminabile cammino dell'umanità, anelante a una pace e ad una giustizia lontana. Particolarmente notevoli: The Song for the Wandering Jew del Wordsworth (1800), Le Juif errant del Béranger (1831), Ahasvérus del Quinet (1839), il popolare Juif errant di Eugène Sue (1844), Ahasverus dell'Andersen (1847), La mort du juif errant di Edouard Grenier (1844), Ahasver in Rom, di R. Hamerling (1865). In Italia, Una sosta dell'Ebreo errante, di A. Graf (nei Poemetti drammatici, 1905): l'Ebreo sosta nel laboratorio di Faust, e all'aspirazione faustiana di vivere oppone la sua vana e sconsolata volontà di morire.
Bibl.: S. Morpurgo, L'ebreo errante in Italia, Firenze 1891; L. Neubaur, Die Sage vom ewigen Juden, 2ª ed., Lipsia 1893; G. Paris, Le juif errant, in Légendes du Moyen Age, Parigi 1903; R. Renier, La legg. dell'Ebreo errante, nelle sue propaggini litterarie, in Svaghi critici, Bari 1910; L. Neubaur, Zur Gesch. der Sage vom ewigen Juden, in Zeitschr. d. Ver. f. Volkskunde, XXII (1912); A. D'Ancona, La leggenda dell'Ebreo errante, in Saggi di lett. pop., Livorno 1913; A. M. Killen, L'évol. de la légende du Juif errant, in Revue de littér. comparée, V (1925), e H. Glaesener, Le typ d'Ahasvérus aux XVIIIe et XIXe siècles, ibid. XI (1931); J. Minor, Goethes Fragmente vom ewigen Juden, Stoccarda 1904.