eclettismo
Termine con cui si designano tanto un metodo quanto alcuni indirizzi o scuole filosofiche antiche e moderne. Come metodo, l’e. è l’atteggiamento di pensiero che dai vari sistemi filosofici sceglie alcune dottrine e le coordina armonicamente (se si opera invece la pura giustapposizione, si ha propriamente il sincretismo). Come indirizzo o scuola filosofica, l’e., riferito da Diogene Laerzio alla scuola fondata da Potamone di Alessandria («da poco tempo è stata introdotta anche una scuola eclettica da Potamone di Alessandria, il quale scelse le sue opinioni filosofiche da ciascuna delle varie scuole», I, 21), indica l’orientamento invalso nelle scuole stoica, platonica e aristotelica in Grecia e in Roma dalla fine del 2° sec. a.C., volto a conciliare le dottrine dei diversi filosofi, in partic. di Platone e di Aristotele, riducendo le loro profonde opposizioni. Tra i maggiori esponenti dell’e. si è soliti annoverare Filone di Larissa, Panezio di Rodi, Posidonio di Apamea, Andronico di Rodi, ma mancano testimonianze circa la costituzione di scuole eclettiche o esplicite dichiarazioni di afferenza a tale indirizzo di pensiero. L’uso del termine sembra piuttosto invalso in sede dossografica e poi storiografica per indicare l’evolversi dei grandi sistemi filosofici dell’antichità mediante il reciproco confronto e la centralità dell’aspetto pratico e utilitaristico acquisito dalla filosofia in epoca ellenistica e romana. Una formazione filosofica di carattere generale era impartita non in vista della formazione di filosofi, ma di altre figure professionali (di carattere politico, amministrativo o giuridico) mediante manuali, testi introduttivi (εἰσαγωγαί) e dossografie, che ovviavano alla lettura diretta delle opere e favorivano un atteggiamento di conoscenza mediante ‘luoghi comuni’ ove andavano persi i tratti specifici di originalità e di demarcazione dei singoli sistemi filosofici. In tale prospettiva si è indicato l’atteggiamento di Cicerone, riconducibile al probabilismo accademico, come forma di e. per la centralità riconosciuta al consensus gentium. In epoca moderna Brucker torna a parlare dell’e. (Historia critica philosophiae, II, pars I, lib. I, cap. II), collegandolo alla nascita della filosofia moderna fino a Leibniz. Diderot dedica all’ e. un’ampia voce dell’Encyclopédie, definendolo come una filosofia libera che trae profitto dalla critica scettica («l’eclettico dovrà camminare sempre accanto allo scettico per raccogliere tutto ciò che il suo compagno non ridurrà in pulviscolo inutile») e differenziandolo dal sincretismo: «il sincretista è un vero settario»; «niente è tanto comune come un sincretista; niente è tanto raro come un eclettico». Differenziazione criticata in ambito kantiano, per es. da W.T. Krug che scrive «l’eclettismo non è altro che sincretismo» (Allgemeines Handwörterbuch der philosophischen Wissenschaften, 1827). Nel sec. 19° Cousin e la sua scuola hanno recuperato il senso positivo della nozione di e.; nell’Histoire générale de la philosophie (1863), Cousin scrive: «l’arte che ricerca e discerne il vero nei differenti sistemi […] si chiama eclettismo. Essa è composta di intelligenza, equità, di benevolenza; ed è la musa che deve presiedere a una storia veramente filosofica della filosofia».