ECLETTISMO (dal gr. ἐκλέγω "scelgo")
Con questo nome si suol designare quell'atteggiamento del pensiero che, considerando unilaterali i diversi sistemi filosofici, cerca di armonizzarli, scegliendone gli elementi veri e coordinandoli insieme. Esso si manifesta sempre in tutti i periodi storici accanto ai sistemi in cui si esprimono le intuizioni originali dei grandi pensatori, e nasce dal loro urto, dalle discussioni a cui danno luogo, e nelle quali si mettono in rilievo le deficienze di ciascuno. Le menti meno ardite e vigorose sono in generale portate a tentativi di conciliazione: gli stessi discepoli attenuano per lo più le concezioni dei maestri e, per difenderle contro gli attacchi, le completano con elementi presi da altre scuole. L'eclettismo si diffonde così, nei periodi di stanchezza, quando mancano filosofi di genio e il conflitto dell'età precedente ha fatto sentire il bisogno d'un'intesa; quando l'interesse pratico di salvare certe comuni credenze nell'ordine sociale prende il sopravvento sulle audacie speculative; e soprattutto come conseguenza d'un diffuso scetticismo, che metta in rilievo l'impossibilità di cogliere in modo definitivo la verità assoluta. Dal punto di vista teorico, l'eclettismo adduce in suo sostegno l'infinità inesauribile del vero, per cui ogni visione di esso da parte d'un intelletto umano, limitato per natura, non può essere che frammentaria; per correggere questa unilateralità bisogna cercare d'integrare le parziali vedute filosofiche le une con le altre.
L'eclettismo si diffonde in Grecia e in Roma verso la fine del sec. II a. C. con una mescolanza delle dottrine accademiche, peripatetiche e stoiche, che, dopo essersi vivacemente contrapposte, finiscono col trovare un terreno comune d'intesa pratica nella concezione finalistica e razionale della realtà, eontro il materialismo meccanico degli Epicurei. Lo scetticismo di Carneade mentre sgretola con la sua parte negativa i dogmatismi di quelle tre scuole, lavorisce col criterio del verosimile, che ha essenzialmente un ufficio pratico, quella conciliazione; e l'influsso dello spirito pratico dei Romani, dopo la loro conquista della Macedonia nel 168, agisce nello stesso senso. È significativo l'aneddoto, riferito da Cicerone, del proconsole Gellio, che voleva riunire a congresso in Atene i rappresentanti delle diverse scuole, perché si mettessero d'accordo sul sommo bene. Antioco d'Ascalona (129-69 a. C.) accolse nell'Accademia molti elementi stoici; Panezio di Rodi (185-110 a. C.) e Posidonio di Apamea (135-51 a. C.), prendendo per base la dottrina stoica, la combinarono con quelle di Platone e di Aristotele; e dello stesso spirito conciliante diede prova il loro discepolo Cicerone che, ponendo come criterio, sulle orme degli accademici, ciò che è praticamente probabile, trovò nel comune consenso delle genti un complesso di credenze, su cui stoici, accademici e peripatetici erano sostanzialmente d'aecordo, pur differendo nei particolari.
Nella filosofia medievale, orientata prevalentemente in senso teologico, non poteva aver luogo un vero e proprio eclettismo, apparendo la verità suprema come realmente manifestata solo per bocca d'alcuni, e che dovesse quindi essere interpretata solo attraverso le parole di costoro. Tuttavia, come variò, dalla patristica alla scolastica, la scelta di tali antichi interpreti della divina verità, cosi può dirsi che anche ivi si realizzasse talora, in concreto, un certo eclettismo, che tendeva ad armonizzare antiche dottrine verso il fine comune della rivelazione cristiana. Ma un vero eclettismo poteva tornare a farsi valere solo quando al concetto teologico della rivelazione subentrasse l'idea di una verità che, come lume naturale, si trovasse in vario grado in tutti gli uomini.
Questa dottrina del "senso comune" che la scuola scozzese pose nel sec. XVIII a fondamento della credenza nella realtà del mondo oggettivo, della coscienza morale e della fede in Dio, nell'immortalità dell'anima e nella libertà del volere, ebbe poi la sua migliore espressione speculativa nella teoria della "ragione impersonale" su cui Victor Cousin pose le basi del suo eclettismo. Assai più profonda, d'altra parte, era la concezione dell'eclettismo quale, già nella seconda metà del Seicento, era stata difesa da Leibniz. Grande spirito di conciliatore e sistematore, egli diceva di trovare qualche ragione in tutto e in tutti e osservava come le varie scuole filosofiche, avendo torto nella maggior parte delle loro negazioni, avessero poi ragione nella maggior parte delle loro tesi positive. E riprendeva il nome di philosophia perennis - già adottato nel'500 dallo Steuco per designare il più profondo accordo che pur nelle antiche filosofie poteva scoprirsi nei riguardi della religione cristiana - a simbolo di questa eterna realtà del vero, in vario modo palese nelle più diverse dottrine. Ma questo eclettismo non era già rinuncia al sistema per l'accettazione antologica delle altrui verità, bensì giustificazione gerarchica delle altrui verità nel proprio sistema: un eclettismo, quindi, che già si avvicinava, pur senza avvertirlo, allo storicismo.