Vedi Ecuador dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Stretto tra Perù e Colombia, l’Ecuador è diventato una repubblica presidenziale nel 1979, dopo un ventennio caratterizzato dall’alternanza tra regimi militari e governi civili. Tuttavia, ancora nel 1997, nel 2000 e nel 2005 tre colpi di stato ‘popolari’ – avvenuti cioè sulla spinta di proteste di piazza e generalmente condotti con l’appoggio del parlamento, sebbene con l’apporto determinante dell’esercito – hanno minacciato nuovamente la stabilità del paese. A tutt’oggi l’Ecuador resta uno degli stati più turbolenti dell’America Latina.
La nuova Costituzione, approvata nel 2008 tramite referendum, ha concentrato maggiori poteri nelle mani dell’esecutivo, prima indebolito a causa di un parlamento frammentato e conflittuale. Le nuove disposizioni prevedono che il presidente resti in carica per quattro anni e che possa essere rieletto una sola volta.
L’attuale presidente è Rafael Correa, che ha traghettato il paese durante le fasi della riforma istituzionale – da lui fortemente voluta – e ha impresso alle politiche di governo una spinta in netta controtendenza rispetto ai suoi predecessori. Eletto sull’onda di una campagna elettorale di stampo populista, che prometteva di ridare stabilità al paese additando le strutture partitiche come inefficienti e facendo appello direttamente al popolo, Correa ha adottato una retorica anticapitalista, sulla quale ha poi plasmato la sua successiva azione politica. Tuttavia l’obiettivo della stabilità istituzionale non sembra essere ancora del tutto raggiunto, come ha confermato la crisi di fine 2010. Nel maggio 2011 Correa ha comunque ricevuto un indiretto sostegno popolare attraverso l’approvazione del referendum, da lui voluto, per la riforma tra le altre cose del settore giudiziario e dei media.
Nel mezzo delle manifestazioni Correa, colpito da un fumogeno, si è rifugiato in un ospedale e ha dichiarato lo stato d’emergenza. Nel frattempo nelle maggiori città, non protette dalle forze di polizia in sciopero, la folla si è abbandonata ai saccheggi. Al termine della giornata si contavano otto morti e quasi 300 feriti nei disordini.
Lo stato d’emergenza, revocato il giorno dopo nel resto del paese, è rimasto invece in vigore a Quito, dove l’esercito ha continuato a garantire la sicurezza interna in sostituzione delle forze di polizia. Correa ha accettato un aumento dei salari di circa 7000 poliziotti, ma ha approfittato della crisi per sostituire gli ufficiali delle forze di polizia di più alto grado con persone a lui fedeli.
Anche sul piano internazionale l’arrivo di Correa alla presidenza ha comportato un profondo mutamento. I rapporti con gli Stati Uniti, primo partner commerciale, sono infatti andati deteriorandosi. Nel 2007 Quito ha abbandonato i negoziati per un accordo di libero scambio con Washington, e nel luglio 2009 ha lasciato scadere la concessione all’esercito statunitense per l’utilizzo di una base militare sul proprio territorio. Parallelamente a questo raffreddamento, Correa si è avvicinato sempre più ai governi di sinistra della regione latinoamericana (nel 2009 ha portato il paese ad aderire all’Alleanza bolivariana per le Americhe fondata da Hugo Chávez, presidente del Venezuela) e alla Cina, grande potenza emergente.
Dal punto di vista regionale permangono forti tensioni con la Colombia. L’Ecuador ospita circa 135.000 rifugiati colombiani e il paese è il rifugio principale di molti guerriglieri delle Farc, che conducono una battaglia antigovernativa contro Bogotà. Ciò ha spinto l’esercito colombiano a condurre alcune operazioni transfrontaliere, provocando la reazione diplomatica di Quito, che ha interrotto i rapporti con la Colombia nel marzo 2008. Solo dalla seconda metà del 2010 ha avuto inizio un lento e incerto scongelamento delle relazioni.
I rapporti con il Perù, nemico storico a causa di dispute territoriali, sono invece ormai pacificati dalla firma del trattato di pace nel 1998. Il trattato ha ricomposto la disputa frontaliera che era stata all’origine, nel 1995, del più recente conflitto militare tra stati della regione sudamericana.
L’Ecuador è un paese molto giovane dal punto di vista demografico e abbastanza composito dal punto di vista etnico. I meticci (discendenti da un genitore indigeno e da uno europeo o africano) compongono infatti circa il 65% della popolazione totale, mentre gli indigeni ne costituiscono il 25% e il restante 10% è composto da altre minoranze. Dal momento che gli indigeni, seppur minoranza, costituiscono comunque un quarto della popolazione totale, il partito che li rappresenta, (il Movimiento de unidad plurinacional – Pachakutik) ha potuto beneficiare dal 1996 di un buon consenso elettorale e nel 1998 è riuscito a far inserire il riconoscimento della ‘multiculturalità’ dello stato ecuadoregno nella Costituzione.
Il tasso di povertà della popolazione, pur ridottosi negli ultimi anni, resta elevato: nel 2008 il 35% dei cittadini viveva sotto la soglia di povertà, mentre nelle aree rurali tale valore giungeva a toccare il 60%. Anche l’istruzione primaria rimane un grave problema: i progressi sotto questo punto di vista hanno conosciuto uno stallo negli ultimi anni, e l’Ecuador resta il paese con il più basso tasso di alfabetizzazione dell’intera America Latina.
Dal 2000 il governo ecuadoregno ha deciso di adottare il dollaro statunitense come valuta corrente. La dollarizzazione dell’economia ha arginato l’iperinflazione di cui il paese è stato storicamente vittima, ma al contempo ha aumentato il rischio che shock valutari sulla moneta statunitense si ripercuotano sul sistema economico nazionale.
Nonostante l’influenza del dollaro sull’economia sia rimasta inalterata, con l’arrivo di Correa la politica economica ha virato verso sinistra. Il presidente spinge per un maggiore interventismo dello stato nell’economia e ha optato per una politica di nazionalizzazione delle industrie, diretta soprattutto verso i settori dell’energia e delle telecomunicazioni. La finanziaria 2010-11 ha inoltre previsto un aumento del 12% della spesa pubblica, finalizzato in prevalenza all’ammodernamento delle infrastrutture, oggi in pessime condizioni. Per un paese che non ha più ferrovie utilizzabili a causa della loro fatiscenza, il traffico su gomma rimane l’unico sistema di trasporto interno disponibile.
Nel dicembre 2008, dando un segnale di chiusura dal punto di vista internazionale, Correa ha scelto di dichiarare default su alcuni debiti in scadenza nel 2012, sostenendo che la maggior parte di tale debito era stato emesso illegalmente.
Sebbene in crescita, il deficit delle finanze pubbliche ecuadoregne appare sotto controllo (il debito si aggira attorno al 20% del pil), mentre un problema è costituito dalla crescente dipendenza dell’economia dalle esportazioni di petrolio, che oggi contribuiscono per il 20% al pil del paese rispetto al 10% di quindici anni fa. La progressiva ‘specializzazione’ nella produzione petrolifera rende Quito sensibile alle fluttuazioni del prezzo del greggio.
Il paese è in effetti il terzo in America Latina per riserve petrolifere (6,5 miliardi di barili), dietro a Venezuela e Brasile, ed è terzo anche per esportazioni (279.000 barili al giorno nel 2009) dopo Venezuela e Colombia. La sua forte dipendenza dalla produzione di greggio si riflette nel suo mix energetico, che è infatti orientato per l’80% verso il consumo di petrolio. L’idroelettrico è utilizzato per il 45% dell’intera generazione elettrica, e questo si ripercuote sulla continuità della fornitura: durante la stagione secca (ottobre-marzo), infatti, il paese è affetto da frequenti black-out. Il gas riveste invece un ruolo marginale (3,9% dei consumi nazionali), e l’Ecuador è uno dei pochissimi paesi al mondo a non produrre né consumare carbone.
La firma del trattato di pace tra Ecuador e Perù, nel 1998, ha posto fine alla maggiore disputa territoriale che coinvolgeva il paese e che, avendo dato origine a tre guerre dal 1941, è stata a lungo considerata da Quito come la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale. Le migliori relazioni con il Perù hanno permesso al paese di ridurre le dimensioni delle proprie forze armate, scese dai 59.500 effettivi del 2003 ai 56.500 del 2007. Questo numero è però tornato ad aumentare con l’inasprirsi delle vertenze confinarie con la Colombia, tanto che nel 2009 l’esercito sfiorava i 58.000 effettivi.
Dal punto di vista delle relazioni militari regionali l’Ecuador collabora strettamente con il Venezuela, e dalla fine del 2010 ha stretto accordi di intesa per esercitazioni militari congiunte con il Cile. Sempre sul finire del 2010 Caracas ha fornito a Quito sei caccia Mirage per far fronte alla ‘minaccia comune’, identificata nella cooperazione tra la Colombia e gli Stati Uniti.
A riprova delle complicate relazioni con gli Usa merita menzione il fatto che nel luglio 2009, alla scadenza di un contratto decennale, Correa abbia deciso di non rinnovare la concessione gratuita all’esercito statunitense per l’utilizzo della base aerea di Manta, in precedenza punto di partenza per alcune tra le più importanti operazioni anti-narcotici degli Stati Uniti in America Latina.