Ecumenismo
di Thomas F. Torrance
Ecumenismo
sommario: 1. Ecumenicità e cattolicità. 2. Il problema ecumenico. 3. Il movimento ecumenico. 4. Ecumenismo cattolico-romano. 5. L'ecumenismo e l'avvenire. □ Bibliografia.
1. Ecumenicità e cattolicità
Il termine ecumenismo si riferisce all'interessamento dinamico per l'unità e il rinnovamento della Chiesa e di tutte le cose in Gesù Cristo, che è emerso come il tratto caratteristico del cristianesimo del XX secolo. In esso lotta per divenire manifesta l'immensa realtà derivante dalla fondazione della Chiesa nell'Incarnazione del Figlio di Dio, intesa come l'avvento di Dio stesso nelle strutture della realtà umana e terrena, al fine di riportare l'intero creato alla primitiva unità ed armonia in Lui. Il termine ‛ecumenico' deriva dal greco οἰκουμένη che significava ‛la terra abitata' o ‛la comunità universale'. Ma a partire dall'epoca apostolica la Chiesa cristiana ha considerato l'οἰκουμένη alla luce dell'opera redentrice di Gesù Cristo: è infatti Cristo che Dio designò Erede di ogni cosa; per mezzo di Cristo, Dio creò i mondi, e solo per il tramite di Cristo la comunità universale realizzerà la pienezza a cui è destinata nel Regno di Dio. Luce radiante della gloria di Dio e impronta perfetta dell'essere stesso di Dio, Egli regge l'universo con la parola della sua potenza e, compiuta la purificazione dal peccato, ora siede alla destra della Maestà divina, investito del sommo potere su ogni cosa. È a Lui, Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto Uomo, Signore e Redentore di tutto il creato, che la ‟comunità universale futura" (τὴν οἰκουμένην τὴν μέλλουσαν) è stata assoggettata (Ebrei 2,5), acciocché trovi in Lui a un tempo il proprio fondamento e la propria perfezione finale. Per questa ragione la Chiesa viene presentata nel Nuovo Testamento come un'entità che tutto abbraccia in Cristo, comprendente l'epoca presente e quella avvenire, di guisa che la sua partecipazione - attraverso lo Spirito - alla sua pienezza futura, la futura comunità universale, costituisce qui ed ora nella storia terrena una realtà che, in quanto Corpo di Cristo (σῶμα Χριστοῦ), progredisce incessantemente, in accordo con la legge interiore della sua unione con Cristo che riempie ogni cosa, verso il compimento nella Pienezza di Cristo (πλὴρωμα Χριστοῦ). È quindi comprensibile che il termine ‛ecumenico' οἰκουμενικός cominciasse presto ad assumere una colorazione specificamente cristiana e teologica in riferimento al popolo di Dio che tutti abbraccia, la Chiesa universale, che è il corrispettivo fisico, nello spazio e nel tempo, del Regno di Cristo che non avrà mai fine. Appunto in quest'accezione, per esempio, il termine ‛ecumenico' fu adoperato per distinguere i concili che rappresentavano la Chiesa universale da altri concili aventi soltanto una rappresentatività e una giurisdizione limitate, e per designare quindi la fede o lo spirito della Chiesa universale, che quelli cercavano di formulare e proclamare. Significativamente, l'attributo ‛ecumenico' fu usato anche in Oriente per designare il Patriarcato di Costantinopoli, e non solamente perché attraverso la rivoluzione costantiniana la Chiesa diventava coestensiva all'οἰκουμένη (nell'accezione profana del termine), ma anche allo scopo di distinguere il patriarca ecumenico quale primus inter pares tra gli altri patriarchi e quale naturale presidente di un Sinodo o Concilio ecumenico, per mezzo del quale le chiese locali rappresentate s'impegnassero in un'attività ecumenica in accordo con l'essenziale e intrinseca universalità della Chiesa di Cristo.
In questa accezione, οἰκουμενικός era affine a καϑολικός, termine adottato dal primo Concilio ecumenico di Nicea per definire una dimensione essenziale della Chiesa universale. Al pari del termine ‛cristiano', che si diffuse ben presto come epiteto dato in Antiochia ai discepoli di Cristo, il termine ‛cattolico' sembra essersi diffuso poco dopo come epiteto dato dagli gnostici ai membri della Chiesa di tradizione apostolica (ἐκκλησιαστικοὶ καὶ ἀποστολικοί), che credevano nella portata universale della redenzione in Cristo, in quanto contrapposti a coloro che, in base alla loro prospettiva dualistica, in cui distinguevano la redenzione dalla creazione, limitavano l'Evangelo di redenzione solo ad una élite 'spirituale', mutilando così il kerygma apostolico. Il termine ‛cattolico', quindi, si sviluppò sia in riferimento alla pienezza dell'Evangelo, opponendosi a ciò che è parziale e disgregante, sia in riferimento all'integrale contenuto di verità presente in tutta la Chiesa storica, opponendosi a ciò che è manchevole ed eretico. La Chiesa cattolica è la Chiesa che conserva in ogni epoca e luogo in tutto il mondo una totalità di vita, di culto e di dottrina fondata sul dato originario della rivelazione divina e che incorpora la sostanza perenne della fede, affidata una volta per tutte agli Apostoli. È la Chiesa che resta ovunque integra attraverso il suo intrinseco rapporto, nello Spirito Santo, con la sua origine divina, che resta ovunque una e la stessa, attraverso la continua fedeltà alla sua fondazione apostolica in Gesù Cristo, ed è quindi la Chiesa che resta ovunque ‛ortodossa', cioè ‛rettamente conforme' alla verità dell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, comune alla Chiesa universale. Questa è la Chiesa che, nel Simbolo niceno, viene definita ‟una, santa, cattolica e apostolica". In questa formula ciascuna delle ‛note' essenziali della Chiesa - unità, santità, cattolicità e apostolicità - appare chiaramente inseparabile dalle altre tre; mentre però ‛apostolica' non designa semplicemente una delle ‛note' essenziali della Chiesa, ma costituisce per noi l'effettivo criterio (ecclesia apostolica) per la vera comprensione delle rimanenti ‛note', la stretta interdipendenza delle altre (una, sancta, catholica) rivela quanto l'ecumenicità e la cattolicità siano profondamente intrecciate, connesse e compenetrate l'una con l'altra nella santificazione della Chiesa attraverso Cristo e nello Spirito, per il cui tramite essa partecipa della vita eterna del Dio Uno e Trino. Così, in ultima analisi, ‛cattolicità' ed ‛ecumenicità' si riferiscono entrambe all'interiore totalità o universalità essenziale dell'esistenza della Chiesa in Cristo, che permane in profondità nell'esperienza del popolo di Dio in ogni epoca, perfino quando non vi sia, esteriormente, una universalità mondiale visibile. Come affermò s. Ignazio di Antiochia, nel primo esempio tramandato di uso della locuzione ‛Chiesa cattolica': ‟Ove è Gesù Cristo, ivi è anche la Chiesa cattolica" (Ad Smirnaeos, 8, 2). La natura essenziale della Chiesa è cattolica perché essa è l'unico Corpo di Cristo, e la vita essenziale della Chiesa è ecumenica perché consiste nella santificazione e nell'unificazione dell'umanità in Cristo, Signore di tutto il creato. La Chiesa è intrinsecamente cattolica ed ecumenica perché, in quanto Corpo di Cristo, il quale riconcilia e riunisce in sé ogni cosa, è proletticamente l'intero genere umano, da Cristo già fatto proprio e in Lui sussistente: la sua esistenza e la sua missione sono quindi necessariamente destinate a tutti gli uomini.
Ora, mentre i significati di ecumenicità e di cattolicità praticamente si sovrappongono e sono in realtà fondamentalmente identici, nella loro effettiva evoluzione storica si rende manifesta una certa diversità di accentuazione. ‛Ecumenicità' tende ad assumere un carattere più evangelico e teologico, mettendo l'accento sul mistero cristologico e pneumatico della Chiesa, sulla vita redenta del popolo di Dio, sulla centralità dell'Eucaristia nel ministero e nella struttura della Chiesa, sull'unità dinamica ed ontologica delle chiese locali attraverso la koinonia, e sul carattere carismatico del Concilio ecumenico. ‛Cattolicità' tende invece ad assumere un carattere maggiormente istituzionale e giuridico, mettendo l'accento sulla Chiesa come Corpo di Cristo animato dallo Spirito e pertanto capace di comunicare lo Spirito a tutti gli uomini, sulla necessità di una unità visibile nella Chiesa - società consacrata dotata di autorità ecumenica -, sulla formale funzione legislativa del Concilio ecumenico, e perciò sull'ecclesiologia come presupposto di ogni dogma cattolico. Questa distinzione riflette, in una certa misura, i diversi orientamenti della Chiesa greco-ortodossa e della Chiesa cattolica romana, particolarmente dopo il grande scisma tra Oriente ed Occidente. La prima sembra più interessata alla forma intrinseca della Chiesa universale in cui l'unità della Chiesa è anzitutto una realtà spirituale, alla volontà cattolica della Chiesa in spirito e verità - evidente nell'identità di tradizione e nell'unanimità di fede -, alla sua totalità in Cristo. La seconda sembra più interessata alla forma estrinseca della Chiesa universale, sviluppatasi per preservare e manifestare la sua natura spirituale e cattolica in quanto istituzione divina: più interessata cioè alle decisioni conciliari imperative, e a un sistema di diritto canonico che regoli, in conformità con la legge divina, la costituzione e la vita della Chiesa sotto un unico capo visibile, con il risultato che la Chiesa visibile, gerarchicamente ordinata, diviene necessaria per la salvezza. L'ecumenicità in Oriente muove da una realtà interiore, sostanzialmente indefinibile, per manifestarsi esteriormente in una comunione corrispondentemente fluida di patriarcati e sinodi in cui, in virtù della tradizione apostolica e del consenso universale, Cristo stesso resta il criterio di verità; la cattolicità in Occidente, invece, muove da un sistema esteriore rigidamente definito di diritto canonico, verso una realtà interiore che, corrispondentemente, è più suscettibile di definizioni dogmatiche, con il risultato di conferire al magistero, nel processo irreversibile di mediazione della legge divina, un indispensabile ruolo nella definizione della fede salvifica.
Certamente tutto ciò rappresenta solo una diversità relativa tra Oriente e Occidente, giacché la Chiesa ortodossa orientale è anch'essa gerarchicamente ordinata in modo tale che la forma e l'ordine esteriori sono strettamente coordinati mediante la legge canonica con la realtà essenziale della Chiesa in quanto società spirituale e sacerdozio sovrano; e d'altra parte nella Chiesa cattolica occidentale viene accordato alla realtà interiore della Chiesa in quanto società spirituale il primato sulla legge e sulla struttura ecclesiastiche, dato che la funzione essenziale di queste ultime resta - né più né meno - quella di conservare e custodire l'integrità della Chiesa in quanto divina istituzione (de jure divino) e società perfetta (societas perfecta). Inoltre, sia in Oriente che in Occidente si è verificata un'immissione nella costituzione e nella vita della Chiesa di categorie giuridiche, sociologiche e politiche proprie della sfera secolare, cosicché alla natura intrinseca ed essenziale della Chiesa si sono sovrapposti elementi non evangelici e non teologici, e questo ha creato seri problemi per la comprensione dei concetti di ecumenicità e di cattolicità. La cosa è evidente, per esempio, nella Chiesa greco-ortodossa ove la legge bizantina e le procedure della corte di Bisanzio hanno lasciato la loro impronta non solo sulla struttura e sullo status dell'episcopato in quanto organo di governo, ma anche sull'evoluzione della stessa liturgia. Ma non è meno evidente nella Chiesa cattolica romana, che non soltanto ha incorporato nel suo diritto ecclesiastico elementi fondamentali del diritto romano, per non parlare di quello germanico - elementi che hanno inciso sulla struttura giuridica della Chiesa, con il suo orientamento verso un potere ecclesiastico accentrato nell'autorità papale -, ma ha perfino inserito nella definizione stessa della Chiesa l'attributo caratterizzante di ‛romana'.
Nel corso di questi sviluppi storici, durante i quali la Chiesa fu costretta a venire a patti con il potere secolare in diverse epoche e sotto diversi profili, i mutamenti sopravvenuti nella struttura e costituzione formale della Chiesa, e i contrasti teologici a questi connessi, portarono a incomprensioni e scismi, tanto che l'ecumenicità e la cattolicità della Chiesa divennero problematiche. E tuttavia, nonostante le divisioni e gli scismi, tra la Chiesa orientale e quella occidentale, tra la Chiesa calcedoniana e quelle monofisite in Oriente, e tra la Chiesa cattolica romana e le Chiese evangeliche in Occidente, si è mantenuta, pur nella diffusa frantumazione della Chiesa cristiana, una tradizione centrale di fede e di vita apostolica, incentrata in Cristo e fondata sulla intrinseca totalità della Chiesa in Lui; tradizione che ha posto l'esigenza di una comprensione della cattolicità più profonda e più ampia, tale da includere tutta l'esperienza storica della Chiesa in quanto popolo peregrinante di Dio in mezzo al quale Cristo è perennemente presente per il tramite dello Spirito. Una siffatta esigenza è andata grandemente rafforzandosi nel XX secolo in seguito all'espandersi del messaggio cristiano e allo sviluppo su scala mondiale delle comunità cristiane battezzate nell'unico nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così la funzione ecumenica della Chiesa, derivante dalla sua essenziale unità e universalità in Cristo e consistente nel realizzare l'unità di tutta l'umanità in quanto popolo di Dio redento e santificato - il Regno dei Cieli in terra - diviene sempre più urgente, se la Chiesa vuole restare fedele alla sua fondazione divina in Cristo e mantenersi obbediente allo Spirito Santo, Signore e Datore di vita, che procedendo dal Padre e dal (o per il tramite del) Figlio dimora nella Chiesa, ed è Colui in virtù del quale, per il tramite del Figlio, possiamo tutti accedere al Padre. L'ecumenismo, così come lo conosciamo nel XX secolo, è da un lato questa basilare funzione ecumenica della Chiesa, che ha acquistato una cogenza assoluta di fronte alla disunione della Chiesa visibile ed alle profonde divisioni del genere umano, e dall'altro è una visione potentemente rinnovata della comunità universale futura o οἰκουμένη in quanto realtà escatologica e teleologica della Chiesa cattolica, realtà già costituita nella (e con la) sua origine, nella rinascita dell'unico popolo storico di Dio in Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, quando Iddio effuse il suo Spirito su ‛ogni carne'.
2. Il problema ecumenico
La Chiesa cristiana fin dall'inizio si è preoccupata della sua unità, sia perché come Chiesa dell'unico Dio partecipa dell'unicità di Dio attraverso l'unione e la comunione con Lui, che la rende immagine creata della divina perfezione della Santissima Trinità, sia perché il suo vero essere, in quanto peregrinante popolo storico di Dio, consiste nel rinnovamento e nella riunione nel Corpo di Cristo dell'umanità divisa e frammentata. L'unità è insita nell'essenza stessa della Chiesa in quanto comunità di persone che sono state riconciliate con Dio e l'una con l'altra attraverso la vita e la passione del Figlio Incarnato. Incarnandosi nell'esistenza spezzata e alienata dell'uomo caduto ed assumendo, salvando e santificando, in se stesso, l'adamica umana natura, Egli ha ristabilito la comunione tra l'uomo e Dio e tra uomo e uomo nella vera carne e sangue di noi creature umane e storiche, al fine di assommare tutte le cose in se stesso, l'‛unico' Uomo Nuovo, Gesù Cristo. L'esistenza della Chiesa come Chiesa si fonda così sull'opera del Salvatore, che cancellò il peccato e la colpa che avevano estraniato il genere umano e vinse l'inimicizia e la discordia tra l'uomo e Dio; e l'essenza della Chiesa consiste nella vita redenta di coloro che, riconciliati con Dio in Cristo, sono con ciò stesso riconciliati anche l'uno con l'altro, e sono riuniti insieme in un'unica comunità vivente, in cui ogni membro è ciò che è attraverso la partecipazione comune di tutti in Cristo e la reciproca partecipazione alla vita degli altri nell'amore. Riconciliazione nella Chiesa significa vivere insieme fino in fondo la vita riconciliata tramite una vita tesa a tal fine e impegnandosi nella missione divina di ricostituzione dell'unità con tutto il mondo onde condurre altri nella fratellanza di coloro che si sono riconciliati con Dio e gli uni con gli altri. Ma è in virtù ditale riconciliazione che la Chiesa vive e continua a vivere in tutti i tempi: è essa infatti che le restituisce l'unità con Dio, sorgente creativa della sua vita, ed è per il suo tramite che perennemente realizza la sua natura in quanto comunità universale in cui l'unità dell'umanità, spezzata dal peccato, viene ricostituita e portata alla sua pienezza nella nuova creazione. L'unità di cui la Chiesa si è preoccupata sin dalle sue origini è, quindi, sia l'unità ontologica immanente nelle fondamenta della Chiesa in quanto comunità dei riconciliati, sia l'unità dinamica immanente nella vita e missione della Chiesa in quanto comunità riconciliante. È l'unità della nuova umanità, ricapitolata come un unico insieme (καϑόλου in Cristo e data alla Chiesa nella (e con la) sua incorporazione in Cristo; unità che, in virtù della sua intrinseca totalità o cattolicità, preme per espandersi fino agli estremi confini; ed è questa l'unità che la Chiesa, con l'autorità proveniente dalla presenza dell'unico Spirito di Dio che in lei dimora, ha la funzione di realizzare progressivamente nel mondo, sino ai confini della terra e sino alla fine dei tempi. La Chiesa non può essere ciò che è in Cristo, e non può continuare ad essere ciò che è destinata ad essere in Lui - incarnazione e manifestazione della nuova umanità universale - senza impegnarsi in questo vasto movimento che da un sostanziarsi in profondità della nuova umanità in Cristo progredisce estendendosi universalmente nella pienezza di Cristo che riempie di sé l'intero creato. Qualunque fallimento da parte della Chiesa nel realizzare l'unità dinamica in virtù della quale vive, verrebbe quindi immediatamente a porre in dubbio la sua fondazione ontologica nell'unità di Dio conferitale per il tramite di Cristo e nello Spirito, e qualsiasi divisione in seno alla Chiesa avrebbe l'effetto di introdurre una contraddizione nella sua esistenza medesima, poiché significherebbe che la Chiesa sarebbe caduta in contrasto con la sua intima natura, peccando contro la sua stessa riconciliazione con Dio e pertanto contro l'unità nella quale e attraverso la quale è costituita come popolo di Dio, Corpo di Cristo.
La natura della situazione, tuttavia, è tale che l'unità così conferita alla Chiesa, in quanto incorporata in Cristo, è un'unità che si conquista solo attraverso il superamento della divisione. Questa è l'unità che Gesù Cristo costituisce in sé come unico Mediatore tra Dio e l'uomo: mediante il suo sangue versato in espiazione Egli ha fatto la pace con Dio e al tempo stesso ha infranto ogni barriera e ha abolito ogni inimicizia tra l'ebreo e il gentile, tra il popolo storico di Dio e il resto dell'umanità, creando da essi in se stesso un unico Uomo Nuovo, unendoli in un solo Corpo e riconciliandoli con Dio (Agli Efesini, 2, 13 ss.). D'altro lato una unità di tal genere viene costantemente preservata solo nel confronto con la divisione giacché la Chiesa è inviata da Cristo in un mondo lacerato dalla disarmonia e dal disaccordo, squarciato e disgregato dal peccato, poiché 6 insito nella natura stessa del peccato il dividere, il distruggere l'unità, l'isolare gli uomini, il disgregare la fratellanza, il separare l'uomo da Dio e l'uomo dall'uomo, e tale è appunto il mondo che noi oggi conosciamo: un mondo oppresso da profonde divisioni nella sua realtà sociale e culturale, da radicali fratture internazionali e razziali, da aspri contrasti politici e ideologici e - fattore non ultimo - da divisioni originate da contrasti religiosi. Poiché è in questo mondo diviso che la Chiesa è inviata per proclamare l'Evangelo di riconciliazione, per vivere la vita riconciliata e operare come comunità riconciliante, essa deve vivere e agire in modo tale da restare fedele a quell'unità ad onta dei pericoli e delle minacce provenienti dal mondo diviso, per impedire che le divisioni colpevoli dell'umanità caduta si ripercuotano nella Chiesa, introducendo la divisione nella sua stessa vita, costituzione e missione. Come dice san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, la divisione nella Chiesa è qualcosa di così terribile che si ripercuote persino nel suo rapporto costitutivo con Dio per il tramite di Cristo, implicando quindi un Cristo diviso, il che è un'atroce bestemmia. Ma proprio perché Cristo non è diviso, la Chiesa deve stare costantemente in guardia contro l'insorgere di qualsiasi scisma nel proprio seno, per esempio nella celebrazione della eucaristia: essendovi un solo Cristo, non vi può essere che una unica Chiesa, unita, un unico Corpo indiviso di Cristo, un solo battesimo, una sola eucaristia. Il fatto che San Paolo si esprimesse in siffatti termini - e così certo doveva esprimersi - rivela che persino nella sua fondazione apostolica la Chiesa non poteva essere la Chiesa, il Corpo di Cristo, senza preoccuparsi profondamente della propria unità nel Signore. Ciò equivale a dire che l'esistenza e la missione stessa della Chiesa in mezzo a un mondo diviso implicano l'attività ecumenica come insita fin dall'origine nella funzione vitale della Chiesa: la funzione cioè di conservare la propria unità e manifestare la propria intrinseca universalità. Ora, questa funzione diviene ancor più imperativa quando l'intrinseco orientamento ecumenico deve misurarsi con le divisioni del mondo in cui la Chiesa è inviata, giacché allora l'attività ecumenica che incombe alla Chiesa non è solo quella di mantenere la propria unità e realizzare la propria universalità, ma quella di proclamare e ricercare la salvezza ed il rinnovamento di tutto il genere umano nell'opera riconciliatrice e ricreatrice di Cristo: essa deve quindi cercare di realizzare la sua unità come parte del disegno universale concepito da Dio per tutti gli uomini e per tutto il creato; in altre parole, deve realizzare l'unità di tutto il genere umano in seno al creato attraverso l'universalizzazione della forma essenziale di umanità cui la Chiesa partecipa come Corpo di Cristo che riunisce ed unifica ogni cosa in sé. Così l'essenziale funzione vitale della Chiesa - non appena essa ebbe fatto il suo ingresso nella storia, e poi attraverso tutta la storia fino alla consumazione dei secoli -, è necessariamente, nel suo intimo impulso, altrettanto ecumenica che evangelica, giacché con la propria missione evangelica di sanare i contrasti del genere umano nel mondo con la riconciliazione divina, la Chiesa ha anche un compito ecumenico da assolvere: il rinnovamento e la riunificazione di tutti gli uomini nella (e per mezzo della) sua pienezza in Gesù Cristo.
Da una prospettiva ecumenica, il problema che la Chiesa deve affrontare inserendosi nel mondo può essere espresso nel seguente modo: come può l'intrinseca unità (e universalità) della Chiesa esprimersi e realizzarsi in modo tale da radicarsi nella vita sociale e culturale dell'umanità, e come tale unità deve esser preservata - e, se infranta, restaurata - di contro alle forze disgregatrici continuamente operanti nel contesto nel quale la Chiesa vive, cresce e prende forma? La risposta teologica contenuta nel Nuovo Testamento, nella fondazione apostolica della Chiesa, come anche nell'insegnamento dei primi Padri, al tempo in cui la Chiesa cattolica cominciava a emergere, nell'οἰκουμένη del mondo antico, è chiara: l'unità può essere realizzata e preservata solo se le basi del pensiero e della cultura umana vengono radicalmente ricostruite, di guisa che i contrasti e le divisioni profondamente radicati siano continuamente trascesi attraverso la riconciliazione ed il rinnovamento in Cristo, e solo se la chiesa di Cristo, lungi dal ritrarsi dal mondo, sviluppi progressivamente in esso un sistema organizzato di vita, comunitaria e pubblica (πολιτεία) che sia in valido accordo con il Vangelo ch'essa proclama (Ai Filippesi, 1, 27 ss.) e sia interamente informata al disegno (ϕρώνημα) di Cristo rivelato nella sua incarnazione e umiliazione (κένωσις, ταπείνωσις; Ai Filippesi, 2, 1 ss.). Nella misura in cui tutto ciò interessa la Chiesa oggi, l'interrogativo al quale bisogna rispondere è allora il seguente: sino a che punto questa risposta teologica al problema ecumenico è andata di pari passo con il concreto operare nella realtà empirica della Chiesa, e che cosa bisogna fare perché, nelle condizioni del mondo odierno, si realizzi una siffatta armonia tra la sfera teologica e la sfera empirica, cioè tra fede e costituzione? Questa è la forma specifica del problema ecumenico nel XX secolo, e il movimento ecumenico è sorto appunto come tenace tentativo di dare una soluzione a questo problema.
Prima di prendere in considerazione il movimento ecumenico, sarà però utile dare uno sguardo ai due tentativi avutisi in passato di armonizzare la sfera teologica con quella empirica nell'effettiva missione della Chiesa nel mondo, e cioè: a) nella Chiesa primitiva, a mano a mano che si espandeva all'interno e al di là dei tradizionali confini della Chiesa ebraica; b) nella Chiesa cattolica, a mano a mano che andava sviluppandosi dai propri fondamenti apostolici, assumendo una struttura istituzionale e costituzionale all'interno del mondo civilizzato. È vero che entrambi tali tentativi ebbero luogo assai per tempo nella vita dell'unica Chiesa cattolica e apostolica, ma i loro effetti sono giunti sino a noi e anzi, dopo aver attraversato i secoli, solo oggi, in pieno sec. XX, le loro implicazioni stanno diventando pienamente evidenti. Per la loro natura, essi hanno una diversa incidenza sul corso dell'odierno movimento ecumenico.
Il primo problema consisteva nel modo di realizzare nel mondo l'intrinseca universalità dell'unico popolo storico di Dio, pur conservando una continuità organica con Israele. Con l'Incarnazione dell'universale Verbo Creatore in Gesù Cristo, il quale diviene il Capo di una nuova progenie ricomprendente in se stessa l'intera umanità, un mutamento capitale doveva verificarsi nell'economia del popolo di Dio. Nello sviluppo della Chiesa come Corpo di Cristo, questa nuova umanità urgeva verso la propria universalizzazione o cattolicizzazione. Con l'effusione dello Spirito il giorno di Pentecoste, essa non poteva rimanere più a lungo confinata entro una forma ristretta di giudaismo, giacché il movimento dall'Uno verso i molti, dalla concreta particolarità nel Gesù storico verso l'umanità universale in Lui e attraverso Lui - movimento partecipe della vera essenza della Chiesa - esigeva un riorientamento profondo nella fede, nella vita e nel culto dell'antico popolo di Dio. Era in gioco la portata illimitata dell'Evangelo cristiano annunziante l'amore di Dio come incondizionato e eguale per tutti gli uomini, al di sopra dei ristretti confini del giudaismo, il quale rimaneva attaccato all'Alleanza e alla Legge di Dio come a qualcosa di peculiarmente ed esclusivamente proprio. Ciò che occorreva era una nuova intelligenza della Legge di Dio e dell'Alleanza di grazia nella loro universale applicazione a tutte le nazioni e a tutti i popoli, come anche nella loro specifica applicazione a Israele in quanto strumento vicario della rivelazione storica che Dio ha fatto di sé al mondo intero; il divino disegno salvifico prevede infatti la connessione e la continuità organica con l'Israele storico nella Legge e nell'Alleanza. Questo fu il tema del Concilio apostolico (a rigore il primo Concilio ecumenico) tenuto a Gerusalemme, nel quale fu raggiunto un modus vivendi tra l'universalizzazione del popolo di Dio mediante la missione tra i Gentili e l'origine storica della Chiesa in Israele (Atti, 15).
La risposta teologica al problema ecumenico della Chiesa giudeocristiana fu chiaramente formulata da san Paolo. Era in gioco non soltanto l'universalità della Chiesa ma l'unità della Chiesa, che non poteva essere conservata senza un'organica continuità con Israele, essendo Israele il solo popolo al quale fosse stata fatta la promessa del Messia. Ciò significa che non può esserci una Chiesa cristiana indipendente da Israele - poiché i Gentili possono appartenere all'unico popolo di Dio soltanto con l'incorporazione nella comunità d'Israele in virtù della mediazione di Gesù Cristo - ma significa anche che Israele non poteva entrare in possesso dell'eredità destinatagli in Dio se non in (e attraverso) Gesù Cristo (Ai Romani, 9-11; Agli Efesini, 2). In altre parole, l'intrinseca unità e universalità della Chiesa in Cristo, il quale raccoglie in sé l'intero Israele come anche l'intera umanità, non implica una separazione della Chiesa da Israele, e meno che mai un rifiuto di Israele, ma il riconoscimento del ruolo vicario, voluto da Dio, svolto da Israele, nel mediare la rivelazione che Dio ha fatto di sé all'umanità e persino nel costituire la sacra matrice dalla quale Dio ha generato suo Figlio perché fosse il Salvatore del mondo; e implica quindi l'unitaria espansione della Chiesa in organica continuità con Israele, con lo sviluppo di Israele e la sua immissione nella futura οἰκουμένη.
La Chiesa cristiana si dimostrò tuttavia incapace di tradurre questa risposta teologica al problema ecumenico nella realtà empirica della sua storia terrena: nel tentativo di realizzare nel mondo la propria intrinseca universalità come Corpo di Cristo, essa si trovò infatti costretta a una grave frattura con la Chiesa ebraica. Fu cioè incapace di raggiungere una cattolicità tale da includere la Chiesa ebraica, e ciò perché non riuscì a conservare quella particolare unità che le derivava dalla continuità organica con la ‛comunità d'Israele'. Un crescente senso di perdita a questo riguardo va facendosi sentire nella Chiesa del sec. XX, dovuto oltre che al risveglio di rapporti teologici con il giudaismo, anche alla convinzione che i cristiani hanno bisogno degli ebrei non solo per l'intelligenza del Vecchio Testamento, ma anche per l'intelligenza del Nuovo e - non da ultimo - per la ricerca del ‛Gesù storico'. E il risanamento dei rapporti tra cristiani ed ebrei come appartenenti ad un unico popolo di Dio può ben fornire l'elemento catalizzatore di cui l'ecumenismo abbisogna per la riunificazione dei cristiani stessi. Il dialogo con Israele è quindi destinato a svolgere nell'ecumenismo del sec. XX un ruolo di crescente importanza.
Il secondo problema consisteva nel realizzare l'intrinseca unità e universalità della Chiesa come Corpo di Cristo in modo tale che si radicasse e si diffondesse dovunque nel vasto mondo della cultura e della civiltà con proprie e adeguate strutture istituzionali e costituzionali. La spaccatura tra cristianità e giudaismo condusse in larga misura a un distacco dell'unità e dell'universalità evangeliche della Chiesa dal loro prender corpo nel popolo della rivelazione storica redentrice di Dio, cosicché esse si adattarono con maggiore prontezza, e forse anche con maggiore facilità, alle strutture sociogiuridiche dell'impero accentrato in Roma o in Costantinopoli. Il problema può essere ulteriormente specificato: a) come problema della trasposizione della struttura della Chiesa dal suo contesto originario, costituito dalla cultura non dualistica del popolo ebraico, a un contesto caratterizzato dal dualismo radicale della cultura greco-romana; b) come problema dell'assimilazione, da parte della Chiesa, di strutture sociogiuridiche della vita e dell'attività umana assai differenti da quelle sviluppatesi in Israele nel corso del lungo dialogo storico tra Dio e il popolo dell'Alleanza.
Il carattere totale della Chiesa cattolica, se deriva certo da Gesù Cristo stesso, assunse però la propria forma distintiva da Israele, la cui storia giunge sino a noi come la storia della sola civiltà superiore fondata sulla religione e della sola grande cultura che sia fondamentalmente non dualista (v. Macmurray, 1938, pp. 16 ss.). Non è questo, certo, un fatto accidentale, giacché quello della Chiesa cristiana con Israele non è un rapporto basato semplicemente su un'origine storica che si debba lasciare dietro le spalle, ma un rapporto nel quale la religione cristiana si presenta come uno sviluppo essenziale della storia e dell'esperienza interiore di Israele. Tale continuità della Chiesa cristiana con Israele è specialmente evidente nell'integrazione - peculiarmente ebraica - di religione e modo di vivere, di culto e comportamento sociale, di riflessione e azione, integrazione che sta in acuto contrasto con il dualismo insito nella cultura ellenica o latina. Ed è questo che caratterizza la sua prospettiva di fondo, la sua visione olistica dell'uomo come anima del proprio corpo e corpo della propria anima, la sua concezione di una società integrata senza classi, e soprattutto il suo modo di intendere l'interazione della provvidenza di Dio con il mondo della natura, dell'uomo e della storia, modo di intendere implicante il più stretto rapporto tra l'attività divina e l'attività umana. E fu questa totalità che improntò di sé la fondazione della Chiesa in (e attorno a) un Messia ebreo e mediante un apostolato ebreo, determinando il particolare tipo di rapporti interni che governano la sua peculiare struttura in quanto Corpo di Cristo (Agli Efesini, 2, 21; 4, 12 ss.), struttura nella quale gli aspetti religiosi e sociali, ontologici e formali della vita e dell'attività della Chiesa - essendo già per natura integrati in una totalità vivente - avevano scarso bisogno di una coordinazione costituzionale esterna.
Tale era la natura della totalità o cattolicità della Chiesa nella sua fondazione giudeocristiana. Ma che cosa accadde quando tale totalità fu trasportata nella cultura scissa del mondo greco-romano, così profondamente contagiata dalla dicotomia della realtà in un mondo eterno dell'essere e in un mondo mutevole del divenire, ovvero in un mondo spirituale e in un mondo materiale? L'impatto di un siffatto dualismo lasciò la sua impronta sulla Chiesa principalmente su due piani: sul piano teologico, con l'articolazione della fede cattolica entro le forme concettuali e linguistiche modellate dalla cultura precristiana greca e romana; e sul piano sociologico, con lo sviluppo della Chiesa cattolica entro le strutture di potere gerarchiche della società greca e romana. Ora, appunto a causa del tipo di totalità che le derivava dalla sua fondazione ebraica, la Chiesa era destinata a radicarsi e a crescere in forme coerenti e integrative nella vita sociale e nella civiltà dei paesi nei quali si impiantava: non avrebbe potuto infatti rimanere fedele alla propria unità e cattolicità, staccandosi dalla concretezza empirica dell'esistenza umana e sviluppando una propria sfera di attività sacra contrapposta a una sfera da considerarsi come secolare. Ma proprio qui sta il problema ecumenico: come evitare il dualismo, dannoso per l'unità e la cattolicità, e come realizzare teologicamente e sociologicamente la propria integralità all'interno di una cultura scissa? Per la Chiesa si trattava o di accingersi a ricostruire le fondamenta della cultura nella quale veniva a radicarsi, o di arrivare a una qualche sintesi operativa con essa, pur lasciandola fondamentalmente intatta.
Sul piano teologico, la Chiesa scelse la prima alternativa. Messa di fronte al compito di comunicare il proprio messaggio del Dio vivente e interagente con il mondo da Lui stesso creato, la cui opera redentrice si svolge nella storia umana, il messaggio dell'Incarnazione del Verbo Creatore, figlio di Dio, in Gesù Cristo, entro le strutture spaziali e temporàli di questo mondo, e della salvezza e del rinnovamento di tutto il creato attraverso la passione e la resurrezione di Cristo, la Chiesa dovette constatare che, a causa di un assiomatico dualismo tra il dominio dell'intelligibile (mundus intelligibilis) e quello del sensibile (mundus sensibilis) insito nella sua prospettiva fondamentale, il mondo civilizzato dei Gentili poteva edificare la fede cristiana soltanto ‛mitologicamente', cioè come una presentazione - in forme drammatiche e simboliche, tratte dal mondo mutevole del divenire - di una verità atemporale e ultraterrena riguardante un Dio il quale, concepito o come assolutamente diverso o come immanente nella natura delle cose (ϕύσις) non interagisce liberamente - né potrebbe farlo - con questo mondo. Quando la Chiesa si rese conto che era in gioco la dottrina giudeocristiana di Dio nel suo rapporto con il mondo, e la realtà e la presenza oggettiva di Dio stesso in Gesù Cristo, cioè la divinità di Cristo, dottrina che appartiene al cuore dell'Evangelo cristiano, s'impegnò nel compito immenso di ricostruire, al fine di superarne l'endemico dualismo, le fondamenta della cultura, della filosofia e della scienza del tempo. Il principale intento della Chiesa era di esprimere la propria fede in Dio Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo in forme concise e intelligibili, tali da poter essere comprese e difese, e tali da preservare la perenne sostanza della fede derivante dalla rivelazione che Dio fa di sé in Cristo. E realizzò il proprio programma con tanto successo che non soltanto sostituì al prevalente politeismo la teoria ebraico-cristiana dell'unico Dio, fonte creatrice di tutte le cose e dell'ordine dell'universo, ma gettò le fondamenta sulle quali tutta la scienza moderna doveva in ultima analisi basarsi, e cioè la dottrina dell'intelligibilità intrinseca dell'esistenza contingente e la concezione di un'unica razionalità permeante l'universo creato. Fu quindi all'interno di questo basilare riorientamento concettuale che i dogmi cattolici riguardanti Cristo e la Santissima Trinità conseguirono, attraverso i grandi Concili ecumenici, la loro salda e chiara formulazione e si modellarono nelle classiche forme che hanno avuto un così profondo effetto nella cattolicizzazione della Chiesa, cioè nel dare espressione alla fede ecumenica e alla natura della Chiesa in una forma universalmente riconoscibile e autorevole.
Questa fu la risposta teologica data dalla Chiesa cattolica al proprio problema ecumenico. Ora, in che modo, sul piano sociologico, il concreto operare nella realtà empirica e sociale della Chiesa si adeguò a una soluzione siffatta? In che misura la Chiesa si dimostrò in grado di trasferirla entro strutture istituzionali e costituzionali adeguate alla propria natura in quanto Corpo di Cristo nel mondo? A questo riguardo, la Chiesa si trovò costantemente sollecitata a scegliere la seconda delle alternative sopra menzionate, e cioè ad effettuare una qualche specie di sintesi operativa con le strutture sociogiuridiche dei paesi nei quali si radicava - strutture la cui organizzazione aveva già ricevuto una notevole impronta di unità e universalità dall'Impero romano - per assimilarle così nella propria vita e nella prcpria missione: la realizzazione della comunità universale del genere umano. Nel corso di tali sviluppi, però, la Chiesa elaborò un proprio sistema istituzionale e costituzionale contaminato anch'esso dal radicale dualismo immesso nelle strutture della civiltà occidentale dalla filosofia greca e dal diritto romano, dualismo che sortì l'effetto di scindere la totalità religiosa della tradizione giudeocristiana in un dualismo di sfere di esperienza, cioè in una sfera visibile e una invisibile, in una sfera interna e una esterna. Si creò così uno stato di cose che, per sua natura, richiedeva una coordinazione teologica da attuarsi mediante un sistema di connessioni causali sacramentali, e una coordinazione sociale da attuarsi mediante un sistema di strutture gerarchiche e di organi costituzionali.
La Chiesa assunse così la propria forma nel mondo sotto il segno dell'analogia col vecchio rapporto dualistico tra corpo e anima, e quindi come società sacra vivificata dallo Spirito Santo. Nel suo aspetto pubblico, come società esteriore istituita da Dio, la Chiesa è quindi soggetta alla legge ecclesiastica, mentre nel suo aspetto spirituale interiore è soggetta all'attività misteriosa e alla grazia dello Spirito in essa dimorante, la sfera esteriore e quella interiore essendo coordinate in modo tale che la mediazione della grazia viene a cadere entro la funzione del diritto canonico, e la Chiesa visibile, gerarchicamente ordinata, diventa necessaria per la salvezza. Questo modo di associare la vita della Chiesa, nel Corpo mistico di Cristo, a strutture costituzionali e giuridiche, e certo anche l'armonizzazione della sua funzione pastorale, nell'amministrazione della grazia salvifica, con la particolareggiata elaborazione della legge ecclesiastica, preparò il terreno non solo per gravi disaccordi all'interno della Chiesa universale di Cristo, evidenti nelle reazioni delle Chiese ortodosse in Oriente e delle Chiese evangeliche in Occidente, ma anche per continui conflitti sia in Occidente che in Oriente tra la Chiesa e il ‛mondo', specialmente evidenti, questi ultimi, nella lunga lotta medievale tra potere spirituale e potere temporale.
In altre parole, la Chiesa cattolica si dimostrò incapace di trasferire in modo adeguato la propria risposta teologica al problema ecumenico nella realtà storica e sociale: essa esitò infatti a effettuare una radicale ricostruzione delle istituzioni sociogiuridiche ereditate dall'Impero greco-romano, tale da superare il dannoso dualismo in esse latente. Si venne così a creare per la Chiesa un persistente problema ecumenico, manifestantesi in una tensione tra spiritualità interiore e struttura formale esteriore, tensione sfociante in un conflitto tra sfera teologica e sfera empirica, tra fede e costituzione. Tale conflitto, naturalmente, assunse forme assai differenti in Occidente e in Oriente, a seconda del versante del dualismo al quale veniva data - relativamente - una maggiore accentuazione. Quindi, mentre la Chiesa cattolica nella sua totalità, sia in Oriente che in Occidente, si trovava di fronte al compito di realizzare la propria unità e universalità intrinseca entro la vita sociale e istituzionale del mondo, la Chiesa orientale si mostrò incline a sviluppare una spiritualità maggiormente mistica e cosmologica, la quale limitava la concettualizzazione della fede e la codificazione della dottrina, ostacolando a un tempo l'impulso a esprimere la propria cattolicità in un sistema centralizzato e disciplinato di strutture ecclesiastiche; la Chiesa occidentale, invece, erede del genio romano del diritto, dell'organizzazione e dell'amministrazione, si dimostrò incline ad accettare in modo più completo le strutture dell'ordine esistente come strumenti per esprimere la propria cattolicità, in una forma pubblica e ufficiale, come la religione universale dell'ecumene. In tal modo, però, la Chiesa occidentale si impegnò ad accettare il potere associato a quelle strutture, e si accinse a farne uso come mezzo per conservare una continuità di sviluppo costituzionale e di universalità ufficiale. In questo processo la Chiesa ebbe la tentazione di considerare se stessa in primo luogo come società organizzata e giuridicamente strutturata, fornita di autorità ecumenica e del supremo potere giurisdizionale, piuttosto che come la comunità universale nella quale la realtà della nuova umanità derivante da Cristo andasse diffondendosi per il mondo superando tutte le divisioni e le barriere che affliggono il genere umano.
Questo è il problema ecumenico che è riemerso con grande energia nel sec. XX, richiedendo urgentemente una soluzione sia nell'ambito del Movimento ecumenico tra le Chiese evangeliche sia, con il Concilio Vaticano Il, nell'ambito della Chiesa cattolica romana. E tanto più acuto si è fatto il problema quanto più grandiosi sono stati i risultati raggiunti dalla Chiesa cattolica occidentale nella trasformazione sociale e religiosa del mondo occidentale. La Chiesa cattolica romana ha avuto successo non solo nel diffondere l'Evangelo in ogni luogo, nel convertire popoli e nazioni alla fede cristiana, ma anche nel permeare in modo tale la vita e la società europea con il lievito del Regno dei Cieli da dare origine a una cultura cristiana che trascende i confini sia di razza che di lingua. Essa ha creato così un apparato cattolico unitario che serve come base per la sua missione mondiale e per la realizzazione definitiva di una comunità mondiale coincidente con l'umanità nella sua totalità. Questo risultato è stato però raggiunto a prezzo dell'assimilazione in se stessa delle vecchie strutture giuridiche, organizzative e amministrative ereditate dai Romani in quanto mezzi per assicurare la propria unità, stabilità e continuità come Chiesa cattolica romana.
In tale processo la Chiesa cattolica romana ha accolto in se stessa un dualismo e una tensione tra la natura spirituale della Chiesa come Corpus mysticum e la sua realtà esteriore come società giuridicamente e gerarchicamente ordinata.
Essa ha tentato di sottrarsi a tale situazione mediante un'identificazione formale della struttura spirituale della propria vita di grazia in Cristo con la struttura canonica della propria vita amministrativa in quanto corpo organizzato operante nella storia. Ora, mentre l'intento era senza dubbio quello di preservare, attraverso una disciplinata amministrazione e un'opera di governo conforme a norme valide e permanenti della propria tradizione, la costituzione e l'integrità della Chiesa cattolica, nella realtà questo processo acutizzò il problema ecumenico con l'accordare alla Chiesa come corpo giuridicamente organizzato un relativo primato sulla Chiesa come comunità di persone unite per il tramite di Cristo nello Spirito.
Questa è la forma specifica in cui il problema ecumenico ha fatto irruzione nel sec. XX. È bensì vero che il problema fece la sua comparsa, sotto questa forma, già nel movimento conciliare del tardo Medioevo e poi, in forma diversa, nella Riforma, ponendo in entrambi i casi l'insistente esigenza di un rinnovellato modo di intendere la Chiesa cattolica, cioè anzitutto in riferimento a Cristo come autorevole Re e Capo anche della sua vita costituzionale visibile, e quindi in riferimento alla Chiesa come comunità dei credenti che seguono Cristo e a Cristo guardano come a colui nel quale è incluso e compreso l'intero mistero della salvezza del mondo. Solo nel sec. XX, però, siamo giunti a valutare pienamente la profondità del problema e si sono avuti progressi decisivi verso la sua soluzione, non ultimo quello compiuto nel Concilio Vaticano II (cfr. la Lumen gentium), nel quale al mistero essenziale della Chiesa in Cristo e alla sua attualizzazione in una comunità universale di persone strutturata nell'amore di Cristo è stato ora accordato il primato sulla struttura giuridica della Chiesa in quanto corpo che organizza gerarchicamente un'autorità e un potere di estensione mondiale.
Il rinnovamento evangelico e liturgico della Chiesa nel sec. XX - insieme con il crescente riconoscimento del carattere ebraico insito nella Chiesa, in quanto le deriva dalla sua fondazione apostolica - ha fatto inoltre emergere un problema fondamentale, quello dell'adeguatezza dell'organizzazione e della struttura istituzionali della Chiesa nel mondo - così come si sono sviluppate nella storia europea attraverso l'assimilazione delle strutture e dei meccanismi di potere dell'impero secolare - alla natura essenziale della Chiesa di Gesù Cristo, il quale ripudiò ogni sistema di istituzioni e di valori basato sul potere e associò la Chiesa al Regno dei cieli che ‛non è di questo mondo', conferendole così un'aperta dimensione escatologica e introducendo quindi nella Chiesa un orientamento metaistituzionale e metacanonico che la rende affatto dissimile da qualsiasi altra istituzione sulla terra.
Come nei primi secoli la Chiesa cattolica si rese conto di dover ricostruire le fondamenta della filosofia e della scienza greca al fine di creare appropriati modi concettuali e linguistici nei quali poter articolare, in una duratura forma ecumenica, la propria fede nell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, così nel sec. XX la Chiesa è sfidata a ricostruire le fondamenta delle istituzioni e del diritto dell'Europa al fine di dare origine a forme appropriate di vita e di prassi, attraverso le quali possa realizzare, in quanto Chiesa del Dio Uno e Trino, la propria missione sulla terra nell'avvento di una comunità universale comprendente l'intera umanità, nella quale siano scomparse tutte le barriere e tutte le divisioni.
3. Il movimento ecumenico
Il moderno movimento ecumenico per la collaborazione e l'unione delle Chiese cristiane separate ha il suo inizio ufficiale con la prima Conferenza mondiale delle missioni, tenuta ad Edimburgo nel 1910. Essenzialmente protestante per origine e carattere, la conferenza doveva il suo principale impulso immediato all'attività evangelica e missionaria su scala mondiale svolta nel XIX secolo ed agli inizi del XX dalle Chiese riformate e dalle loro unioni mondiali su base confessionale, quali la World Alliance of Reformed Churches (la prima a formarsi nel 1865), come anche da organismi cristiani internazionali quali la Young Men's Christian Association (YMCA) e la World Student Christian Federation. Questo multiforme movimento ecumenico, che deriva dalla Riforma stessa e rappresenta l'effetto ritardato del tentativo compiuto dalla Chiesa nel XVI secolo di realizzare l'unità e l'universalità evangelica della Chiesa cattolica mediante un rinnovamento e una riforma basati sui suoi fondamenti apostolici, affonda però in definitiva le sue radici, al di là della Riforma, nell'intento spirituale ed evangelico perseguito dalla Chiesa nel corso dei secoli di attuare nel mondo, in forme adeguate alla fondazione originaria della Chiesa in Gesù Cristo, un modo di vita specificamente cristiano.
Sebbene sia stato represso da parte della Chiesa medievale, col suo fermo proposito di prendere nelle proprie mani, per mezzo di divieti ed imposizioni canoniche, il controllo della propria universalità, tale intento riprese nuovo vigore con la Riforma, e lo troviamo alla base dell'esigenza, manifestata dai riformatori, di una cattolicità ed universalità liberate dalle limitazioni di un cristianesimo latinizzato e di una Chiesa romanizzata; donde il loro tentativò di risalire, dagli sviluppi tardi della Chiesa cattolica romana, alle fonti patristiche ed apostoliche. Ma proprio perché maturò dalla tensione medievale tra la cattolicità spirituale ed evangelica della Chiesa e la sua manifestazione universale fondata sull'imperio esteriore della legge e dell'amministrazione, la Riforma assunse l'aspetto di un rinnovamento evangelico interiore della Chiesa in nome di criteri teologici, rinnovamento che, ad onta della sua pretesa di continuità di verità e di dottrina con la Chiesa cattolica primitiva, segnò inevitabilmente una frattura nella continuità storica di vita e di azione della Chiesa cattolica occidentale e nel suo processo di estrinsecazione in una cattolicità definita ed imposta canonicamente. La Riforma rappresentò quindi, negativamente, una protesta contro il conservatorismo della struttura giuridica della Chiesa cattolica romana e certamente anche una rivolta contro la sua pretesa a una giurisdizione ecumenica suprema, per non parlare del suo ricorso a strumenti ecclesiastici di coercizione; ma, positivamente, la Riforma fu un tentativo creativo di ricercare il rinnovamento della Chiesa in quanto Corpo terreno-storico di Cristo e così ‟di recuperare le sembianze della Chiesa cattolica primitiva" (Calvino). Così, lungi dall'esser superata, la profonda tensione fra cattolicità teologica e universalità istituzionale perdurò nella Chiesa occidentale, tanto che essa non riuscì nè attraverso la Riforma nè attraverso la Controriforma a realizzare quella cattolicità universale che è propria dell'essenza della Chiesa in quanto Pienezza di Cristo, e che rimase cionondimeno immanente pur nelle forme ormai diversificate assunte dalla Chiesa in Occidente: in modo più evidente nella Chiesa cattolica romana, ma in modo non meno deciso nelle Chiese evangeliche derivanti dalla Riforma, come indica il crescente slancio della loro attività ecumenica. Il movimento ecumenico nel mondo protestante del XX secolo va quindi inteso come l'irruzione, nella ricerca del rinnovamento della Chiesa come unico Corpo di Cristo, dello spirito originario della Riforma, e come il tentativo a lungo rinviato di terminare l'opera dei riformatori - rimasta incompiuta - attraverso il superamento delle forze disgregatrici che frantumarono e separarono le Chiese evangeliche della Riforma non soltanto dal resto della cristianità cattolica ma anche l'una dall'altra, realizzando così, nel contesto del mondo moderno, il corpo indiviso della primitiva Chiesa cattolica e apostolica.
Per sua natura il problema ecumenico del protestantesimo non poteva essere risolto semplicemente con l'elaborazione o l'assimilazione di una qualche forma di cattolicità canonica così come si era sviluppata nella tradizione occidentale della Chiesa, tale cattolicità essendo essa stessa profondamente contagiata da quel dualismo disgregatore che era sfociato nei grandi scismi, prima fra la Chiesa orientale e quella occidentale e poi tra la Chiesa cattolica romana e le Chiese evangeliche. La profonda lacerazione che si manifestò nella cristianità occidentale all'epoca della Riforma e poi la gravissima frantumazione delle Chiese riformate rivelarono che il problema ecumenico aveva le sue radici in tensioni e dualismi basilari della cultura europea, che non erano mai stati adeguatamente affrontati e superati nella Chiesa occidentale, e che la grande sintesi medievale aveva mascherato solo per un breve periodo. Il problema ecumenico specifico del protestantesimo, tuttavia, è collegato con le nuove forme che quei dualismi e tensioni basilari assunsero nel XVI e XVII secolo. Tali forme furono incorporate nel modello della cultura protestante e fu attraverso quella cultura che esse diedero vita e forma alle Chiese separate che in quel contesto si radicarono e svilupparono la loro vita istituzionale. È quindi comprensibile come la soluzione ecumenica del loro problema, che le Chiese evangeliche stanno sforzandosi di raggiungere a tentoni nel movimento ecumenico, sia destinata, se coronata da successo, a condurre alla costituzione di una Chiesa alquanto diversa dall'attuale cattolica romana, con la sua forma storicamente e sociologicamente condizionata. Tutto questo implica che la Chiesa di Cristo nel suo insieme non potrà recuperare definitivamente la sua genuina ecumenicità e cattolicità, specialmente nella prospettiva della comunità universale del genere umano di cui è la custode, senza una completa cristianizzazione delle basi della cultura umana nella scienza e nella società.
Il problema ecumenico del protestantesimo, quale è scaturito dalla Riforma, appare determinato da tre fattori principali.
1. Il primo è di natura socio-politica, e consiste nella proiezione, nella mutevole situazione del XVI secolo, della tensione medievale fra potere spirituale e temporale, che sfociò nella netta separazione dei due poteri. Mentre il Medioevo aveva segnato il predominio del potere spirituale, nel XVI secolo l'equilibrio si spostò nella direzione opposta, cioè verso il predominio del potere temporale. Ma giacché era stata la Chiesa cristiana a conferire al Sacro Romano Impero la sua fondamentale unità, il pendere della bilancia verso il potere temporale aprì la porta a un grave conflitto fra le varie ambizioni di potere nella sfera secolare, con il risultato che l'Europa si frantumò in gruppi nazionali e stati autonomi, dotati di propri centri secolari di potere. Per questa ragione, pertanto, a mano a mano che le Chiese nate dalla Riforma si andavano radicando nella vita sociale dei diversi paesi, scindendosi così in base a modelli di separazione naturale e culturale (donde il principio cuius regio eius religio), la Riforma si fece sempre più profondamente coinvolgere nell'antica tensione occidentale fra la vita spirituale della Chiesa e l'orientamento secolarizzante verso il potere nel mondo.
2. Il secondo è di natura teologica, e consiste nel massiccio rilancio della teologia agostiniana, disgiunta dalle concezioni aristoteliche tanto sistematicamente impiegate nella costruzione della sintesi medievale. Fu in larga parte attraverso il costante riferimento a sant'Agostino, il grande magister theologiae della Chiesa occidentale, che i teologi della Riforma tentarono di rafforzare il rinnovamento evangelico e dottrinale della Chiesa e di difenderlo contro i teologi cattolici romani, che contrattaccavano con le armi giuridiche e scolastiche dei maestri medievali. Ciò comportò inevitabilmente l'introduzione in seno alla Riforma del dualismo epistemologico, sacramentale e cosmologico dell'agostinismo e la sua incorporazione nelle posizioni teologiche sancite dalla riforma. La cosa è evidente soprattutto nella concezione simbolica del sacramento come segno esteriore e visibile di una grazia interiore e invisibile, concezione che si ritrova in tutti i principali catechismi della Riforma, come anche nell'incisiva distinzione luterana tra ‛i due regni' della fede e della vista, del vangelo e della legge, ecc. Questa nuova forma di agostinismo, cui si accompagnò la profonda influenza esercitata dal Rinascimento, ebbe l'effetto di acuire, nelle concezioni della Chiesa che i protestanti andavano maturando, la tensione fra la religiosa interiorità e immediatezza e la manifestazione esteriore istituzionale del cristianesimo, e di perpetuare nella società e nella cultura protestante una struttura dualistica nella quale diveniva sempre più dominante la sfera secolare; fattore non ultimo, in questo processo, la volontà di realizzare la base democratica della comunità umana.
3. Il terzo fattore, non adeguatamente apprezzato, ma determinante per l'impostazione del problema ecumenico, fu il grande rionnovamento verificatosi nel XVI e XVII secolo nella visione che l'uomo aveva dell'universo: il fondamentale trapasso dalla cosmologia tolemaica a quella newtoniana. Da un lato, si determina il passaggio da un sistema concettuale più statico a uno più dinamico, passaggio che, interessando tutti i settori della conoscenza e del comportamento umano, rende obsolete le rigide strutture del pensiero medievale; ma d'altro lato si verifica il trapasso da una forma di dualismo scientifico ad un'altra di tipo più rigoroso e coerente in cui il deismo celato nel pensiero medievale - cioè il rapporto statico tra una divinità immota impassibile e il mondo della natura - viene in piena luce, con il risultato di accelerare il processo di secolarizzazione avviato per tempo nel Medioevo con le ambizioni temporali della Chiesa. L'inserimento di questo dualismo newtoniano nel campo della scienza e della filosofia europea portò al costante sviluppo di un'epistemologia in cui la forma fu separata nettamente dall'essere, e la struttura dalla sostanza, con la conseguente svalutazione dell'essere e della sostanza e il predominio di concetti fenomenistici e operazionistici; e al tempo stesso diede origine alla poderosa concezione dell'universo meccanicistico, la quale (sostituendosi a qualsiasi tipo di filosofia religiosa) venne fornendo in misura sempre maggiore l'ossatura generale entro la quale la struttura dualistica della società europea doveva svilupparsi e la cultura europea cercare la sua espressione. Tale essendo il contesto in cui le Chiese protestanti si trovarono ad operare, non è difficile capire che gli orientamenti concettuali dualistici attinti, con la Riforma, dall'agostinismo si adattarono sin troppo facilmente al dualismo scientifico, filosofico e sociale dei tempi moderni, accentuando in tale modo ed in maniera molto grave il problema ecumenico così formulabile: come recuperare un orientamento concettuale in cui forma ed essere, struttura e sostanza siano naturalmente commisti, e come realizzare dinamicamente e onticamente, entro la realtà strutturale dello spazio-tempo, la totalità della Chiesa apostolica e cattolica così com'è fondata nell'Incarnazione.
Tale era stato l'intimo intendimento della Riforma, che essa cercò di realizzare rendendo centrale e predominante la fede classica della Chiesa cattolica in Gesù Cristo e nella Santissima Trinità, e operando una correzione cristologica della Chiesa cattolica visibile, secondo cui l'intero campo della salvezza amministrata dalla Chiesa doveva essere riportato in armonia con Cristo e con il Vangelo. Fin dall'inizio, tuttavia, la Riforma si trovò invischiata in una situazione in cui il recupero della cattolicità ed integrità primitiva della Chiesa in Cristo e i dogmi cattolici dei Concili ecumenici d'Oriente e d'Occidente imponevano una scissione dalla cattolicità così come si era storicamente sviluppata e giundicamente strutturata nella Chiesa occidentale. Lungi dal risolverlo, i dualismi in cui il protestantesimo si trovò imprigionato resero più acuto il problema ecumenico: come infatti mantenere la continuità teologica nella verità e nella dottrina con la fondazione apostolica della Chiesa cattolica ed al tempo stesso mantenere la continuità storica nella vita e nell'azione con la Chiesa cattolica nelle sue forme istituzionali e tradizionali? Questo è evidentemente un problema che non può essere risolto dal solo protestantesimo, poiché esige una ricostruzione dei propri fondamenti operata insieme dalle Chiese evangeliche e dalla Chiesa cattolica romana, giacché le forme tradizionali nelle quali quest'ultima continua a confrontarsi con le Chiese evangeliche sono state esse stesse profondamente condizionate dai modelli sociali e culturali dei secoli scorsi; modelli che, chiaramente non appartenendo all'essenza perenne della Chiesa cattolica, possono solo oscurarla e distorcerla se continuano ad esserle assimilati o ad essere identificati con la sua struttura essenziale in quanto Corpo di Cristo. Per quel che concerne il protestantesimo, tuttavia, la storia del suo sviluppo teologico nel contesto del dualismo filosofico e scientifico rivela che, dietro il problema ecumenico, la vera questione immediatamente suscitata dalla Riforma, per esempio in relazione all'accento posto dal cattolicesimo sulla successione storica, è quella del rapporto storico della Chiesa nel Presente con lo stesso Gesù Cristo storico. Fu proprio questo concentrarsi dell'attenzione della teologia protestante sul Gesù storico che portò in piena luce tale questione, come il punto cruciale riguardo al quale deve essere trovata un'effettiva soluzione.
Il dilemma del protestantesimo può essere enunciato nel modo seguente. Come reazione contro l'orientamento ultraterreno proprio del Medioevo, rivolto verso Dio e il destino ultimo dell'uomo - orientamento in base al quale la Chiesa, agendo in vece di Dio e quale estensione dell'incarnazione, viene considerata come il primo agente nella storia, che assolve il suo ruolo assommando in sé il potere spirituale e quello temporale - e in armonia sia con la svolta moderna verso sistemi concettuali dinamici, che con l'accettazione newtoniana del tempo fra le categorie scientifiche fondamentali, il protestantesimo cercò di porre l'accento sull'interazione del Dio vivente con il mondo da Lui creato e di interpretare la Chiesa alla luce della possente azione di Dio nella storia del mondo per la salvezza del genere umano. In altre parole il Protestantesimo considerò Dio stesso il primo Agente nella storia umana, ed invero l'unico e solo Agente universale che conferisce vera continuità alla Storia dell'uomo attraverso tutti i suoi cambiamenti, fortune e calamità, dirigendo il corso del suo progredire verso il compimento del divino disegno eterno per l'intero creato. Così, considerando il mondo empirico dello spazio e del tempo con serietà a un tempo acientifica e teologica, il protestantesimo oppose alla tradizionale interpretazione prescientifica cattolica della Scrittura e dei dogmi una reinterpretazione dinamica della teologia biblica e dottrinale, ivi compresa l'ecclesiologia, alla luce di una prospettiva radicalmente storica, fondata su un costante riferimento al Gesù Cristo storico come centro ove si dischiude l'accesso al disegno tracciato dalle azioni salvifiche di Dio nello spazio e nel tempo terreno. Ma sull'altro versante il protestantesimo si trovò gravemente invischiato nella netta scissione deistica tra Dio e il mondo che emerse dal nuovo dualismo cosmologico della scienza newtoniana e che fu rafforzata dal dualismo epistemologico della filosofia cartesiano-kantiana. Il risultato fu l'estromissione di Dio dal mondo empirico dello spazio e del tempo cosicché, nell'interpretazione della storia dell'uomo, l'ininterrotta continuità delle connessioni causali si sostituì all'azione divina e un vasto abisso si aprì fra le verità eterne e gli eventì storici, ciò che determinò un costante oscillare del pensiero europeo tra idealismo e materialismo. Il protestantesimo ricadde così in una nuova forma dell'antica tensione medievale fra la vita evangelica e contemplativa della Chiesa nella sfera dello spirito e il rigido sistema giuridico permeante la sua cattolicità in quanto operante nella storia, e all'origine di tutto ciò si ritrova ancora una volta il radicale dualismo agostiniano fra mundus intelligibili" e mundus sensibilis. Nel protestantesimo esso assunse la forma di un dualismo fra il mondo dell'esperienza interiore spirituale suscitata dal rapporto ‛esistenziale' con un Dio assolutamente trascendente, e il mondo esterno dell'esperienza sensibile, governato da rigide leggi di causa ed effetto in un universo meccanicistico. Le prime vittime di questo orientamento furono la stessa storia e naturalmente il Gesù storico. La cosa è evidente nella distinzione neo-luterana fra due specie di storia: la Historie positivistica, operante con un serrato Continuum di causa ed effetto, che elimina ab initio qualsiasi intervento divino nella vita umana, come l'Incarnazione o la Resurrezione, e la Geschichte esistenzialista, che offre un'interpretazione fenomenologica e simbolica di Gesù quale ci viene presentato dalla tradizione primitiva della Chiesa, sotto il profilo di quel che Egli significa per noi nel nostro orientamento nei confronti della trascendenza. Ma non è meno evidente nel costante dénoument di questo tipo di impostazione, nel quale il Gesù Cristo reale e storico regolarmente sfugge a questa ricerca ‛scientifico-storica'. Il concentrarsi dell'attenzione neo-protestante sul ‛Gesù storico' registra così costanti insuccessi, giacché il rapporto storico col Gesù storico viene regolarmente troncato dai presupposti dualistici che lo inficiano sin dall'inizio. Ma un tale insuccesso a questo riguardo, un insuccesso che colpisce il cuore stesso della fede cristiana, il rapporto della Chiesa storica con il Gesù Cristo storico, doveva rendere ancora più acuto il problema ecumenico quale era emerso con forza al tempo della Riforma, mostrando che la frattura fra la continuità teologica nella fede e nella dottrina e la continuità storica nella vita e nell'azione non poteva in definitiva che frustrare e stornare il profondo interesse che la Riforma nutriva per la riforma cristologica di tutta la Chiesa; e quindi rese anche manifesto che una soluzione del problema ecumenico non poteva essere raggiunta solo con un rinnovamento evangelico, come pareva ritenessero i riformatori, ma esigeva anche una ricostruzione epistemologica delle basi stesse della cultura europea, tale da superare il profondo dualismo che incrina il rapporto tra verità e storia.
Sebbene spezzata, soffocata e ritardata per parecchi secoli dopo la Riforma, la volontà di ricostruire il corpo indiviso della Chiesa cattolica primitiva, nel quale potessero ovunque palesarsi le vere sembianze di Cristo, restò viva nelle Chiese evangeliche e diede origine infine al moderno movimento ecumenico e alla formazione del Consiglio ecumenico (World Council of Churches). La forza motrice era indubbiamente costituita dall'immensa passione evangelica delle Chiese protestanti del XIX secolo, tesa alla proclamazione del Vangelo di Gesù Cristo a tutte le nazioni, insieme con l'enorme espansione missionaria della Chiesa cristiana dall'Europa e dal Nordamerica verso gli altri continenti. L'impulso immediato che determinò il movimento ecumenico fu dato dall'urgente necessità di una collaborazione fra gli organismi missionari e le chiese missionarie, nelle nuove situazioni venutesi a creare oltremare, ove le divisioni esistenti nella Chiesa del Vecchio Mondo apparivano non solo come irrilevanti, ma anche come un costante intralcio all'evangelizzazione e come una palese contraddizione dell'intima essenza del Vangelo cristiano. Considerevole fu l'effetto, sulle Chiese madri del Vecchio Mondo, di questa pressione missionaria per la collaborazione e l'unità, soprattutto per merito dell'organizzazione di conferenze missionarie, culminanti nella prima Conferenza mondiale delle missioni, tenuta a Edimburgo nel 1910, e poi del Consiglio internazionale delle missioni, costituito nel 1921. Fu proprio quando intere Chiese, sotto la spinta di questo intento evangelico, si impegnarono nella causa del rinnovamento e della riunificazione nell'unico Corpo di Cristo, che il movimento ecumenico cominciò a prendere un indirizzo preciso. E tanto più urgente esso si era fatto alla luce delle profonde divisioni riguardanti la razza, la religione e la convivenza sociale che, esplose con la prima guerra mondiale, hanno continuato a dilaniare da allora l'esistenza del genere umano. Le Chiese di tutto il mondo furono spinte ad impegnare tutte le loro risorse nella causa della pace e della riconciliazione fra le nazioni e, di fronte al progressivo sviluppo del marxismo e del comunismo, a ricercare una soluzione specificamente cristiana in cui l'anelito di ecumenicità nella Chiesa mondiale divenisse parte di un più vasto anelito per l'avvento della comunità universale del genere umano. Questo fu anche il periodo, nell'evoluzione del pensiero protestante liberale, in cui si ebbe un'estrema concentrazione sul ‛Gesù storico' con il risultato di allentare i vincoli ecclesiastici tra i cristiani e di esaltare la devozione diretta per Cristo e il suo insegnamento sul Regno di Dio al di sopra delle differenze confessionali, con la conseguenza di infondere un ulteriore stimolo cristiano nel messaggio sociale di libertà universale e comune umanità.
In un primo tempo, a causa della struttura dualistica del pensiero e della società protestante, l'attività ecumenica si sviluppò lungo due direttrici parallele, ciascuna delle quali diede vita a proprie conferenze mondiali e a proprie strutture provvisorie. I due movimenti si chiamarono Fede e Costituzione (Faith and Order) e Vita e Azione (Life and Work), diversità di denominazione che ben caratterizza l'antica tensione della Chiesa occidentale risalente, attraverso il Medioevo, alla tarda età patristica. Non esistevano comunque profonde differenze fra i due movimenti, e infatti molti eminenti ecclesiastici e teologi ecumenici diedero la loro piena adesione ad entrambi, cosicché si stabilì fra essi uno stretto collegamento, se non altro attraverso i loro comitati permanenti o organizzativi, che annoveravano fra i loro membri e funzionari non pochi degli stessi leaders. L'esistenza del movimento Fede e Costituzione diede profondità teologica all'attività ecumenica fra le Chiese, garantendo che la discussione dei problemi dottrinali, nonostante e anzi proprio a causa dei profondi contrasti che sollevavano, non sarebbe stata trascurata, ma avrebbe occupato un posto centrale nella comune ricerca di unità e di rinnovamento; garantendo inoltre che le questioni circa la fede e la costituzione ecclesiastica, il dogma e la struttura canonica, non sarebbero state accantonate, ma esaminate minuziosamente nella misura del possibile, nelle loro profonde interdipendenze. Così l'accento, specificamente riformato o calvinista, posto sulla costituzione in quanto questione essenzialmente de fide trovò una sua collocazione saldissima nel movimento ecumenico in espansione. Fu inevitabile che nel confronto fra Chiese e tradizioni diverse promosso dalle conferenze di Fede e Costituzione predominassero all'inizio i problemi ecclesiologici; ma fu anche inevitabile che la discussione prima o poi andasse oltre le divergenze ecclesiologiche immediate per giungere al nocciolo dei problemi nella fede in Cristo e nella Santissima Trinità comune anche alla Chiesa cattolica, e ricercasse quindi una via di uscita per superare i contrasti contingenti circa la costituzione e la tradizione della Chiesa, come cominciò effettivamente a verificarsi nella Conferenza mondiale di Fede e Costituzione svoltasi a Lund nel 1952.
Il movimento Vita e Azione conferì a sua volta una dimensione più vasta all'attività ecumenica fra le Chiese, garantendo che, al di sopra delle frontiere formali tra le Chiese, sarebbero stati discussi anche problemi pratici, sociali ed umanitari, e che quindi l'interdipendenza esistente tra la separazione delle Chiese e le radici della divisione nella realtà sociale e culturale - anche rispetto a problemi economici e politici - sarebbe stata immessa nel vivo della ricerca di giustizia sociale nel mondo e della pace e riconciliazione fra genti e Chiese divise. Inoltre, l'entusiasmo del movimento Vita e Azione nel fare del Vangelo di Gesù Cristo la forza decisiva in tutti i campi della vita umana significava che il movimento manteneva viva e promuoveva la visione ecumenica della coincidenza ultima della Chiesa universale con la comunità universale del genere umano redento e rinnovato in Gesù Cristo.
Un altro passo significativo nel progresso del movimento ecumenico fu compiuto nel 1937, quando le conferenze mondiali di Vita e Azione e di Fede e Costituzione, riunitesi rispettivamente ad Oxford e a Edimburgo, convennero di unirsi insieme per formare un Consiglio ecumenico. Questa iniziativa fu appoggiata al convegno del Consiglio internazionale delle missioni di Tambaram in India nel 1938 e nello stesso anno fu redatta a Utrecht una costituzione provvisoria e si fecero progetti per la convocazione della prima assemblea del Consiglio nel 1941. Rinviata a causa della seconda guerra mondiale, l'inaugurazione formale del Consiglio ecumenico e la sua prima assemblea ebbero finalmente luogo nel 1948 ad Amsterdam, e quivi il Consiglio si definì come un'associazione fraterna di Chiese che accettano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore. Fu però solo alla terza assemblea del Consiglio, tenuta a Nuova Delhi nel 1961, che venne l'adesione del Consiglio internazionale delle missioni, completando così la costituzione del Consiglio ecumenico come organismo ecumenico mondiale abbracciante sia il Nuovo che il Vecchio Mondo. Sebbene il movimento ecumenico sia stato specificamente protestante per origine e carattere, prelati e teologi greco-ortodossi e russo-ortodossi espatriati avevano già presenziato alla riunione conclusiva della Conferenza mondiale delle missioni tenuta nel 1910 a Edimburgo, e hanno sempre svolto da allora un ruolo particolarmente significativo, specialmente nelle discussioni di Fede e Costituzione prima e dopo la fondazione del Consiglio ecumenico, nel quale furono raggiunti da rappresentanti di altre Chiese ortodosse dell'Estremo e Medio Oriente. Col promuovere un costante confronto delle Chiese evangeliche con l'antica tradizione cattolica della Chiesa ortodossa orientale, essi sono riusciti non soltanto ad allargare l'orizzonte del movimento ecumenico ben oltre il protestantesimo, ma ancbe ad immettere nel progresso del pensiero ecumenico in seno al Consiglio una vigorosa componente di cattolicità teologica, attorno alla quale, e in tensione con la quale, si sta sviluppando una coesione cattolico-evangelica. Di particolare importanza a questo riguardo fu l'ingresso nel Consiglio ecumenico, nel 1961, delle Chiese ortodosse di Russia, Bulgaria, Romania e Polonia, come dimostra la loro influenza sulla quarta Conferenza mondiale di Fede e Costituzione, tenuta a Montreal nel 1963.
Dopo la fusione con il Consiglio internazionale delle missioni e in seguito al vigoroso influsso delle Chiese ortodosse a Nuova Delhi, la ‛base' del Consiglio ecumenico fu emendata come segue: ‟Il Consiglio ecumenico delle Chiese è un'associazione di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Scritture e si sforzano di rispondere insieme alla loro comune vocazione per la gloria dell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo". Se questo documento accentuava il carattere ecclesiale del Consiglio ecumenico è però chiaro che il Consiglio non presume affatto di possedere lo status sacro di Chiesa, né di costituire uno stadio intermedio verso la costituzione di una super-Chiesa, e neppure accampa alcuna pretesa allo status, e ancor meno alla giurisdizione, di un Concilio ecumenico della Chiesa. Esso è qualcosa di affatto unico nella storia della cristianità, una comunità funzionale di Chiese indipendenti unite dalla comune confessione dell'unica Fede Cattolica della Chiesa universale di Cristo; il suo è uno status che riflette semplicemente la fiducia che nel Consiglio pongono le Chiese che vi aderiscono, e il suo scopo è servire quelle Chiese nella loro comune dedizione al movimento ecumenico, promuovendo l'unità e il rinnovamento con tutti i mezzi possibili: mediante la ricerca teologica, la guida di iniziative in corso fra i suoi membri per l'unione della Chiesa, la carità cristiana e la cooperazione missionaria nel mondo. Data la sua natura, il Consiglio ecumenico non può prendere in nome delle Chiese decisioni che le impegnino, né può impartire direttive di qualsiasi natura: il suo rapporto con tali Chiese è aperto e libero, e qualsiasi dichiarazione possa essere emanata, o da un'Assemblea formale o dai Comitati o dalla Commissione Fede e Costituzione o dall'Istituto ecumenico, non ha altra autorità se non quella della verità intrinseca che può derivarle dal servigio reso alla Parola di Dio, interpretandola ed enunciando ciò che essa implica per la Chiesa di oggi. Il Consiglio ecumenico costituisce tuttavia un punto assai significativo di convergenza per le aspirazioni e attività ecumeniche delle Chiese evangeliche e ortodosse in tutto il mondo, fornendo così per la prima volta alle Chiese non romane istituzioni comuni e un comune strumento ecumenico e, cosa non meno importante, un foro permanente di dialogo, consultazione e collaborazione reciproca in un contesto che le coinvolge tutte in un impegno mondiale finora ad esse sconosciuto. Per questa ragione, nonostante il suo fermo intendimento di mantenere una posizione di ‛neutralità ecclesiologica', il Consiglio ecumenico sta progressivamente acquistando una certa rilevanza ecclesiologica, se non altro in quanto fornisce sotto una forma conciliare una struttura provvisoria aperta, mediante la quale la cattolicità universale potrà in futuro essere riconquistata attraverso un Concilio ecumenico nella tradizione classica, che riunisca Oriente e Occidente. Non si deve dimenticare, tuttavia, che sebbene il Consiglio ecumenico sia lo strumento principale del movimento ecumenico, ne resta sempre solo il servitore, giacché il movimento ecumenico, traendo la sua forza dalla presenza ineffabile e dall'attività creativa dello Spirito Santo, possiede un significato molto più ampio e profondo per la sua capacità di penetrare oltre i confini delle istituzioni delle Chiese e di produrre fermenti di fraternità universale fra i seguaci di Gesù Cristo.
4. Ecumenismo cattolico-romano
Se il fine ultimo del movimento ecumenico, ivi includendo il Consiglio ecumenico, è certamente l'unione organica tra tutte le Chiese separate, l'ecumenicità ch'esso promuove tende però ad avere un carattere prevalentemente teologico e sociale, con un particolare accento da un lato sulla natura cristologica e pneumatica della Chiesa, e dall'altro sul popolo di Dio riconciliato ed affrancato nell'eguaglianza e nella comune umanità. ‛L'unione organica' cui esso mira, quindi, è un'unione che si sviluppa spontaneamente da un rapporto dinamico e fraterno delle Chiese operanti in koinonia, piuttosto che da un qualche sistema giuridico universale che derivi il proprio magistero dall'autorità e attività legislativa delle Chiese riunite. Un ecumenismo siffatto, frutto dell'intento evangelico della Riforma che s'era staccata da una struttura legalistico-monolitica, e derivante da una realtà e unità spirituale interiore, espressa da un'associazione fluida di Chiese sotto l'egida di una confessione cristologica, attrasse sin dall'inizio il clero e i teologi ortodossi, essendo non difforme dal modello di ecumenicità manifestata dai loro stessi sinodi, sebbene essi trovassero notevoli difficoltà a proposito dell'assorbimento nel Consiglio ecumenico del Consiglio internazionale delle missioni, e nutrissero qualche sospetto circa le pretese ecumeniche del Consiglio stesso. Era però del tutto naturale che la Chiesa cattolica romana reagisse in maniera alquanto diversa nei confronti del movimento ecumenico, coerentemente con la sua insistenza sul primato del romano pontefice e con la sua pretesa di essere l'unica vera Chiesa: essa opponeva infatti sia alle Chiese ortodosse che a quelle evangeliche un'ecumenicità e una cattolicità alquanto rigorosamente definite e rigidamente istituzionalizzate. Essa rifiutò quindi, in un primo tempo, qualsiasi rapporto con il movimento ecumenico e respinse l'idea di un Consiglio ecumenico delle Chiese. Per ben due volte, nel 1914 e nel 1919, Benedetto XV respinse gli inviti del movimento Fede e Costituzione a inviare rappresentanti alle sue riunioni, e il Sant'Uffizio prese provvedimenti per impedire ai cattolici romani di partecipare alle conferenze dei movimenti Vita e Azione a Stoccolma nel 1925 e Fede e Costituzione a Losanna nel 1927; nel gennaio del 1928, inoltre, Pio XI promulgò l'enciclica Mortalium animos, che condannava apertamente il movimento ecumenico. Fu in conformità con questa linea ufficiale di condotta che il Sant'Uffizio negò a prelati e teologi cattolici romani il permesso di partecipare alla prima assemblea del Consiglio ecumenico, tenuta ad Amsterdam nel 1948; e un atteggiamento molto simile fu adottato nei riguardi della seconda assemblea tenuta ad Evanston nel 1954. Nel frattempo, tuttavia, l'ideale ecumenico aveva provocato un irresistibile fermento all'interno della Chiesa romana, incitandola a rimeditare lo scandalo della divisione nella Chiesa e ad approfondire i contatti con altre Chiese cristiane, già iniziati durante la seconda guerra mondiale. I primi frutti cominciarono a manifestarsi nel sorgere di una ragguardevole spiritualità ecumenica, che trovò espressione in Germania con il movimento Una Sancta, e in Francia con la vasta diffusione dell'‛ottava per l'unità cristiana' (o settimana di preghiere per l'unità cristiana, dal 18 al 25 gennaio), che aveva avuto origine nella Chiesa d'Inghilterra già nel 1908 e fu adottata da Fede e Costituzione nel 1951. Di particolare importanza è il fatto che questi sviluppi, insieme con una crescente fioritura di letteratura ecumenica in volumi e riviste, si sono verificati in un clima già adeguatamente predisposto da un grande rinnovamento teologico promosso dall'attività di studiosi cattolici in campo biblico, patristico e liturgico; e fattore non ultimo in questo processo è stata l'influenza esercitata in tutta Europa sul pensiero dei teologi, sia protestanti che cattolici romani, dalla Kirchliche Dogmatik di K. Barth. Un significato di vasta portata ebbe la sua integrazione fra le teologie riformata e patristica, con la sua energica accentuazione delle classiche dottrine cattoliche cristologiche e trinitarie, integrazione che convinse protestanti e cattolici romani della necessità di formulare in termini genuinamente teologici la dottrina della Chiesa in quanto Corpo di Cristo, ‛la Sua forma storico-terrena di esistenza', come capitale articolo di fede salvifica da non lasciare esclusivamente ai manuali di teologia relativa alle devozioni o ai trattati formali dei canonisti.
Un mutamento dell'orientamento cattolico romano nei riguardi del movimento ecumenico apparve evidente nell'istruzione Ecclesia catholica del dicembre 1949, ma la vera svolta decisiva fu segnata dall'istituzione, voluta da Giovanni XXIII, di un Segretariato per l'unione dei cristiani, che conferì ufficialità all'ufficiosa Conferenza internazionale cattolica per i problemi ecumenici, fondata da J. G. M. Willebrands nel 1952. Ciò aprì la via alla partecipazione, col permesso ufficiale della Santa Sede, di quattro osservatori cattolici romani all'assemblea del Consiglio ecumenico tenuta a Nuova Delhi nel 1961, e alla definizione del principio secondo il quale osservatori ufficiali erano autorizzati a partecipare alle discussioni e alle commissioni, principio che da allora è stato osservato da entrambe le parti con immenso profitto. Tuttavia, fu solo quando il Concilio Vaticano II (1962-1965) fece seguire alla sua costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium) la pubblicazione nel 1964 del decreto De oecumenismo, il quale stabiliva ‛i principi cattolici dell'ecumenismo', che il movimento ecumenico si rafforzò saldamente nella nuova più aperta struttura della ecumenicità cattolico-romana, come si può constatare nell'opera del Segretariato per l'unione dei cristiani, cui è ora conferito lo status di commissione curiale per la coordinazione dell'attività ecumenica dei cattolici romani, ormai in crescente e rapido sviluppo. L'immenso mutamento insito in tutto ciò ha segnato una nuova era, non solo per l'ecumenismo cattolico romano, ma per l'intero movimento ecumenico, con l'apertura di un reciproco dialogo ecumenico coinvolgente l'intera cristianità, e con il riconoscimento che l'ecumenismo è unico e identico per tutti.
D'altro lato, bisogna notare che il Concilio Vaticano II non apportò alcuna modifica alla posizione ufficiale della Chiesa cattolica romana per quel che attiene alle sue pretese esclusive di essere l'unica vera Chiesa, depositaria della pienezza della grazia e della verità, di essere cioè ‛la' Chiesa cattolica, nella quale sussiste ovunque e in tutti i tempi l'unica Chiesa di Cristo e che, in quanto strumento universale di salvezza possiede ‛di diritto' tutte le prerogative e i doni dello Spirito, pur ammettendo che essi possano trovarsi ‟al di fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica". Al tempo stesso, la Chiesa cattolica romana riconosce ora pubblicamente, nel suo decreto sull'ecumenismo, che in virtù dell'opera dello Spirito di Cristo non solo esistono molti cristiani autentici al di fuori delle sue frontiere, persone incorporate in Cristo attraverso il battesimo e pervase della sua fede, ma anche gruppi associati, nei quali cristiani non cattolici hanno ascoltato il Vangelo, Chiese e Comunità ecclesiali, la cui opera può promuovere una vita di grazia e fornire l'accesso alla comunità della salvezza. Se è vero che profonde sono le divergenze fra Chiese e Comunità siffatte e la Chiesa cattolica, la promulgazione del decreto sull'ecumenismo mira evidentemente all'apertura di un genuino dialogo ecumenico e teologico con esse, sulla base di un fondamento e di una motivazione comuni: la confessione di Gesù Cristo come Dio e Signore e unico Mediatore tra Dio e l'uomo per la gloria dell'unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e la ricerca dell'unità con l'occhio fisso a Cristo come sorgente e centro di comunione ecclesiale. Sotto molti aspetti ciò rappresenta un considerevole progresso ecumenico da parte della Chiesa cattolica romana, almeno dal punto di vista delle cosiddette ‛Chiese separate e Comunità ecclesiali d'Occidente', segnando non solo il riconoscimento della loro ‛realtà ecclesiale' ma anche la volontà della Chiesa romana di impegnarsi con esse, in quanto compagni fraterni in Cristo, in un genuino dialogo ecumenico, in cui ognuno rispetti l'impegno e la coscienza dell'altro, e in cui entrambe le parti condividano un ‛ecumenismo spirituale' che consolidi la loro unità sottostante alle divergenze. Inoltre, non trattandosi semplicemente di un dialogo con i singoli cristiani, ma con Chiese e Comunità separate dalla Chiesa romana per peccati compiuti contro l'unità - peccati che anche quest'ultima condivide - ne deriva evidentemente che il risultato del dialogo è escatologicamente aperto, nel senso che la futura Chiesa riunita sarà diversa da qualsivoglia Chiesa attuale, con la sua forma storicamente condizionata, e, nella perfezione della sua pienezza, trascenderà qualsiasi concetto di cattolicità noto o rivendicato oggi. Giacché, come afferma il De oecumenismo ‟nulla è più alieno dall'ecumenismo quanto un falso irenismo", la leale partecipazione della Chiesa romana al movimento ecumenico non può essere semplicemente interpretata come una forma camuffata della sua vecchia soluzione al problema della separazione: cioè la ‛sottomissione' o il ‛ritorno' in seno alla Chiesa in quanto Madre della cristianità, ma come un impegno reciproco con le altre Chiese per il rinnovamento e la riforma nell'unico Corpo di Cristo, nel riconoscimento delle proprie imperfezioni e deficienze.
Certamente la Chiesa cattolica romana si trova ora in una posizione difficile e ambigua rispetto al Consiglio ecumenico. Se dovesse diventarne membro effettivo, come è stata invitata a fare, la sua adesione equivarrebbe al riconoscimento che la Chiesa cattolica romana è solo parte di una Chiesa veramente cattolica, che è la Chiesa universale di tutti; ma se rifiuta l'invito - com'è appunto il caso - la collaborazione col Consiglio ecumenico, che tuttavia intende perseguire, implicherebbe evidentemente il riconoscimento del Consiglio come centro ecumenico avente uno status ecumenico analogo al suo. Il Consiglio ecumenico d'altra parte si trova anch'esso in una posizione singolare. Il rifiuto da parte della Chiesa cattolica romana di associarsi al Consiglio alla maniera della Chiesa ortodossa, significa che la piena universalità che esso persegue viene a mancare; d'altra parte, la partecipazione della Chiesa cattolica romana sommergerebbe il Consiglio ecumenico giacché, secondo il principio statutario della rappresentanza proporzionale delle Chiese in base al numero dei fedeli, i rappresentanti della Chiesa cattolica romana supererebbero per numero tutti gli altri messi assieme! E sarebbe forse la cosa migliore da fare; senonché, nella situazione attuale, verrebbe considerata dai più come un" assunzione di comando', il che potrebbe dimostrarsi controproducente non solo perché ostacolerebbe l'adesione al movimento ecumenico delle rimanenti Chiese protestanti (alcune Chiese importanti ne sono ancora al di fuori), e perché rafforzerebbe vari ecumenismi confessionali e perfino movimenti apertamente antiecumenici, ma anche ai fini della prosecuzione di un dialogo genuino fra Chiesa romana e Chiese non romane. In realtà, comunque, la Chiesa cattolica cerca di collaborare col Consiglio ecumenico senza impegnarsi con un'adesione formale, inviando cioè esperti a partecipare a numerose discussioni e iniziative sia teologiche che morali e sociali. Così, anche se la Chiesa cattolica non è membro del Consiglio ecumenico, teologi cattolici, designati ufficialmente dal Segretariato per l'unione dei cristiani, lavorano come partecipanti a pieno titolo nella Commissione del Consiglio formata da Fede e Costituzione: situazione che è stata formalmente ratificata dal Consiglio ecumenico nell'assemblea tenuta nel 1968 ad Uppsala. La piena partecipazione della Chiesa cattolica romana al Consiglio ecumenico sembra esigere qualche modifica dell'organizzazione del Consiglio stesso, se si vogliono superare le difficoltà esistenti da entrambe le parti, e avrebbe certamente l'effetto di rafforzare notevolmente la costante attrazione esercitata sulle Chiese evangeliche dal principio fondamentale e perenne della Chiesa cattolica totale, processo questo cui la Chiesa ortodossa ha già tanto contribuito in seno al Consiglio ecumenico.
Una testimonianza dell'attiva partecipazione della Chiesa cattolica romana al movimento ecumenico fu offerta dalla viva sollecitudine con cui si invitarono osservatori di altre Chiese, segnatamente teologi e prelati ortodossi, anglicani, riformati e luterani, ad assistere alle sessioni del Concilio Vaticano II, e si trovarono modi per consentire loro di partecipare alle discussioni e dare sostanziali contributi ai lavori del Concilio, contributi che furono realmente messi a frutto. Dopo la chiusura del Concilio, il Segretariato per l'unione dei cristiani si è posto all'opera per accelerare ed ampliare discussioni e contatti ecumenici tra cattolici e non cattolici in tutto il mondo, in armonia con i principi e l'esercizio dell'ecumenismo espressi dal Concilio per un dialogo libero e aperto, con l'ausilio della preghiera comune, dialogo nel quale, preservando l'unità sui punti fondamentali, ogni Chiesa possa trattare con le altre su un piano di parità. Per parte sua, la Chiesa cattolica romana si propone di impegnarsi in siffatte discussioni ammettendo che ‟alcune cose, sia nei costumi, che nella disciplina ecclesiastica e anche nel modo di enunciare la dottrina, siano state, secondo le circostanze, osservate meno accuratamente", ed operando una chiara distinzione tra l'immutabile deposito della fede e le elaborazioni teologiche della verità rivelata. Questo non solo consente una legittima varietà di formulazioni teologiche della verità, ma implica il principio di un ordine o ‛gerarchia' delle verità, in cui le diverse dottrine differiscano nel loro rapporto con il fondamento della fede cristiana, di modo che, nel rispetto dei dogmi basilari della fede cristiana concernenti la Trinità e il Verbo di Dio incarnato in Maria Vergine, possano essere riconosciute altre dottrine, più periferiche, che lasciano spazio a interpretazioni diverse in cui una tradizione può avvicinarsi più di un'altra alla conoscenza di un mistero rivelato, e a proposito delle quali non bisogna imporre pesi all'infuori di quelli necessari (Atti, 15, 28). Al tempo stesso il fine di queste discussioni ecumeniche, in conformità con l'indirizzo del De oecumenismo, è non solo quello di spiegare con più profondità ed esattezza la fede cattolica con un modo di esposizione e di espressione che possa essere prontamente compreso dai fratelli separati dalla Chiesa romana, ma anche un tentativo da parte della Chiesa di Roma di informarsi circa i convincimenti e la disciplina delle altre Chiese, così da trarne essa stessa beneficio. Nell'azione ecumenica il dovere principale dei cattolici ‟e quello di considerare con sincerità e diligenza ciò che deve essere rinnovato e fatto nella stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli Apostoli". Il dialogo ecumenico e interconfessionale, che la Chiesa cattolica romana ora vigorosamente persegue non soltanto attraverso le ben note istituzioni del Consiglio ecumenico, ma anche attraverso contatti bilaterali con rappresentanti ufficiali di diverse Chiese ed organismi ecclesiali mondiali, come la Comunione anglicana, la World Lutheran Federation e la World Alliance of Reformed Churches, nonché le Chiese ortodosse orientali (calcedoniana e monofisita), è condotto manifestamente nell'interesse del suo stesso rinnovamento e della sua stessa riforma, e promette di avere, sulla Chiesa romana stessa, effetti altrettanto notevoli che sulle altre Chiese. Se questo avverrà, sarà in armonia con le basi gettate dal Concilio Vaticano II, e ci riferiamo con ciò non solo alla spiritualità ecumenica che tutto lo pervase, ma anche alla natura di talune sue riformulazioni dottrinarie, specialmente la Lumen gentium.
Il Concilio Vaticano I (1869-1870) aveva evitato di incorporare nelle sue formulazioni ufficiali una trattazione specificamente dottrinale sulla Chiesa, ed era pertanto ricaduto nell'antico costume romano di accontentarsi delle definizioni canoniche circa la struttura giuridica della Chiesa e dell'amministrazione della sua vita sacramentale e disciplinare. Il concetto della Chiesa come Corpo di Cristo enunciato in uno schema De ecclesia riproponeva ancora essenzialmente l'idea del Corpo mistico, dualisticamente riferito alla realtà empirica della Chiesa istituzionale e storica; e venne respinto in quanto fondamentalmente devozionale - ed era in effetti un concetto alquanto immaginoso e metaforico -, non propriamente suscettibile di formulazione dogmatica, anche se in suo favore veniva addotto l'insegnamento agostiniano-tomistico sulla Chiesa come ‛Corpo di Cristo' inteso come la società spirituale vivificata dallo Spirito e concepita in base all'analogia del corpo vivificato dall'anima. Quel che mancava era un approccio alla Chiesa nella prospettiva dell'Incarnazione salvifica del Verbo di Dio nel tempo e nello spazio, e l'intelligenza della sua essenziale struttura cristologica: mancava cioè una dottrina della Chiesa come Corpo di Cristo, concepito come realtà ontologica e fisica con una forma umana e storica certo persistente attraverso i secoli - ma solo come anticipazione escatologica della sua perfezione finale - in cui però, già nella condizione della Chiesa peregrinante, si cominci a trascendere il dualismo tra corpo mistico e struttura visibile. In altre parole, mancava qualcosa di analogo alla dottrina riformata, introdotta da Calvino nella Riforma, della Chiesa come Corpo concreto di Cristo in cui il popolo di Dio è incorporato in virtù dello Spirito, attraverso una ‛reale e sostanziale unione e comunione' (cioè attraverso un rapporto sacramentale e meta-sacramentale) con Gesù Cristo; dottrina fatta rivivere da K. Barth nel XX secolo e da lui rielaborata in una forma più dinamica, cioè come storia della redenzione e, con maggior rigore cristologico, come duplice rapporto - anipostatico ed enipostatico - con Cristo crocifisso e risorto nella carne per la salvezza dell'umanità. Su questa base, fortemente rinvigorita dal rinnovamento biblico e liturgico, teologi cattolici romani - specialmente in Germania, Belgio e Francia (e segnatamente Y. Congar) - elaborarono nuove impostazioni della dottrina della Chiesa, che si sono notevolmente rafforzate con l'espandersi del movimento ecumenico all'interno della Chiesa cattolica romana, e hanno posto l'esigenza di una formulazione dogmatica ufficiale, nella quale si potesse garantire all'intera Chiesa di Cristo una sintesi ecumenica di questi sviluppi ecclesiologici. E questo, essenzialmente, è ciò che la Chiesa cattolica romana ha cercato di fare con la Constitutio dogmatica de ecclesia, la Lumen gentium, approvata durante la terza sessione del Concilio Vaticano II, la quale, almeno dall'inizio della Riforma è, sotto il profilo ecumenico, l'atto conciliare di maggiore importanza della Chiesa romana, in quanto comporta una profonda rivalutazione delle concezioni apostoliche e del cattolicesimo primitivo.
Diverse caratteristiche di questo riorientamento della Chiesa di Roma, particolarmente significative per il dialogo con le Chiese non romane, meritano di essere sottolineate.
1. La Lumen gentium è la prima dichiarazione formale pienamente autorevole sulla dottrina della Chiesa che sia mai venuta dal cattolicesimo romano nella sua lunga storia (sebbene a rigor di termini non siano state promulgate definizioni), e ciò malgrado che alla Chiesa fosse stato riservato un posto basilare nel Credo niceno come articolo di fede salvifica incorporato nella confessione di fede nella Santissima Trinità. Questa circostanza fornisce da sola la misura dell'immenso cammino compiuto in campo teologico dalla Chiesa cattolica romana dopo il Concilio Vaticano I, durante il quale il suo interesse predominante verteva ancora sull'aspetto esteriore e giuridico della Chiesa, in particolare sull'autorità e sul magistero accentrati nel papato. Inoltre, a questo rinnovamento della Chiesa e al giusto posto dell'ecclesiologia fra le altre dottrine della fede salvifica, si perviene attraverso una vigorosa teologia della rivelazione che Dio ha fatto di sé e dell'Incarnazione del suo Verbo in Gesù Cristo; non solo, ma in tale trattazione si attinge quasi esclusivamente al patrimonio delle figure e formulazioni bibliche, anziché ricorrere semplicemente all'interpretazione allegorica della Scrittura per sostenere un concetto di Chiesa ottenuto per altra via. Questo fatto costituisce da solo un notevole riavvicinamento alla posizione biblica della Riforma, riavvicinamento che ha già modificato il clima complessivo delle relazioni tra la Chiesa cattolica romana e le Chiese evangeliche impegnate nel movimento ecumenico.
2. Nella sostanza si tratta di una dottrina della Chiesa in cui l'accento è posto fondamentalmente sul suo carattere cristologico e pneumatico, concepito come derivante dal rapporto totale di Dio col mondo attraverso la missione del Figlio procedente dal Padre adempiuta mediante l'Incarnazione e la Passione di Gesù Cristo per la redenzione e l'unificazione del genere umano, e per il tramite della missione santificante dello Spirito nel costituire il popolo di Dio come Corpo di Cristo, rendendolo partecipe del mistero di Cristo ed unendolo con vincoli d'amore e di comunanza eucaristica. In altre parole, questo concentrarsi del pensiero sul mistero della Chiesa, partecipante del mistero di Cristo, rappresenta un deciso capovolgimento dell'antichissima tradizione romana, nella quale il primato era conferito alla struttura giuridicamente organizzata, la quale tendeva inevitabilmente a deformare l'immagine che Roma presentava di sé al resto della cristianità in Oriente e in Occidente. Questo riorientamento della Chiesa cattolica incentrato su Cristo stesso e sul rinnovamento e la riunificazione di tutta l'umanità in Lui, insieme con il predominio dello Spirito sulla legge, inteso come l'effettivo principio unificatore nell'espansione cattolica della Chiesa, ha avuto il risultato di provocare un'apertura nuova della Chiesa romana sia verso le altre Chiese sia verso il mondo della vita e dell'attività umana al di fuori della Chiesa: in questa nuova prospettiva la Chiesa viene infatti ad essere considerata come una sorta di sacramento o segno dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutta l'umanità in Cristo. Nella Lumen gentium la Chiesa cattolica romana ha così finalmente presentato una dottrina della Chiesa come Corpo di Cristo che, nella sua attenta formulazione teologica, si avvicina molto alla critica protestante delle forme che tale dottrina aveva assunto in passato. Viene quindi rifiutata in modo discreto ma fermo l'identificazione agostiniano-tomistica dello Spirito con l'anima della Chiesa, trattando l'analogia ‛corpo-anima' come null'altro che un possibile confronto di funzioni (Lumen gentium, I, 7): si evita così l'accusa secondo la quale l'affermazione che lo Spirito è l'anima della Chiesa equivale a cadere o in una forma di eresia macedoniana (lo Spirito viene ridotto alla condizione di una realtà creata) o in una forma di apollinarismo (l'anima razionale umana della Chiesa viene sostituita con lo Spirito divino). Ed ancora, la concezione cristologica della natura della Chiesa come ‛una sola complessa realtà' risultante di un elemento divino e di un elemento umano come forme similari di servizio - viene spiegata in modo così accurato che il dualismo tra la società costituita da organi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo, o tra assemblea visibile e comunità spirituale, o tra la Chiesa terrena e la Chiesa detentrice dei beni celesti, viene eliminato senza violare per nulla la forma rigorosa e propria del rapporto analogico (un errore evidente invece nello schema De ecclesia), attraverso cioè una diretta identificazione ‛dell'elemento divino' nella Chiesa unicamente con ‛l'elemento divino' in Cristo, anziché con Cristo nella sua totalità, inclusa la sua natura umana, da cui la Chiesa attinge la sua sostanza essenziale (Lumen gentium, I, 8).
3. Un altro rilevante aspetto del nuovo orientamento nella dottrina cattolica romana sulla Chiesa è lo svolgimento del concetto biblico della Chiesa come popolo dell'alleanza con Dio destinato a diffondersi in tutto il mondo, cioè come l'unico popolo messianico che, in vivente continuità con l'Israele storico, fu rigenerato in Cristo e universalizzato attraverso la discesa dello Spirito che in esso prese dimora il giorno di Pentecoste. L'importanza di questo concetto di Chiesa nella Lumen gentium si rivela nella priorità riservatagli nell'ordine dell'esposizione rispetto al concetto di Chiesa come struttura gerarchica. E proprio in questa prospettiva va rintracciata la reale natura della continuità della Chiesa nella storia: nella continuità della vita del popolo di Dio rinnovato e redento dall'umanità di Gesù Cristo, continuamente ricostruito attraverso la proclamazione del Vangelo e l'ascolto della Parola di Dio, e continuamente strutturantesi e rinnovantesi nella sua crescita storica attraverso l'incorporazione in Cristo mediante il battesimo e la comunione eucaristica con Lui, per essere Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo. In altre parole, questa maniera di riunire le figure bibliche di ‛popolo' e di ‛corpo', consentendo lo sviluppo l'una dall'altra su una base cristologica e pneumatica, ha come effetto di rivelare che la vera struttura interiore della Chiesa deriva da Gesù Cristo stesso e, attraverso Lui, ha un fondamento trascendente nella comunione eterna della Santissima Trinità, e ancora può rivelare che la vera unità e continuità della Chiesa di Cristo nella storia sono essenzialmente spirituali, derivando dall'attività ordinatrice dell'unico Spirito di Dio in essa dimorante che, come principio interiore di koinonia, santifica e plasma la vita temporale e sociale del popolo di Dio in Cristo, rendendolo partecipe della stessa vita di Dio. Così la vita presente empirica della Chiesa, anche in quanto società umana, deve essere considerata unica, com'è unica la comunione eucaristica con Cristo e nello Spirito, in virtù della quale la Chiesa sulla terra vive di giorno in giorno e per il cui tramite partecipa al culto divino di tutte le cose create, visibili e invisibili, che circondano il trono di Dio. È difficile sopravvalutare l'importanza ecumenica di questo nuovo approccio al concetto di Chiesa, e del grande rinnovamento liturgico che a questo si accompagna, ai fini del dialogo fra cattolici romani e Chiesa ortodossa.
4. Occorre menzionare una ulteriore caratteristica della nuova visione romana che si riferisce alla Costituzione sulla Sacra Liturgia ancor più che alla Costituzione sulla Chiesa: la restaurazione di Gesù Cristo come unico Mediatore in ogni aspetto del rapporto dell'uomo con il Padre celeste, ma soprattutto in quello della vita sacramentale e liturgica della Chiesa. Dietro questo orientamento c'è la scoperta fatta da studiosi di patristica e di liturgia (segnatamente J.A. Jungmann) della progressiva riduzione del ruolo riservato al sacerdozio umano di Gesù nell'evoluzione delle liturgie classiche in Oriente e in Occidente. Tale tendenza ebbe inizio con la reazione della Chiesa alla pericolosa diffusione dell'arianesimo, che svalutava la piena divinità di Cristo, attribuendogli solo la funzione di Mediatore tra Creatore e creatura. Secondo l'arianesimo, ‟vi fu un quando in cui il Figlio non era": in quanto Logos-Figlio, Egli fu infatti solo la prima - sebbene la più alta - delle creature di Dio, attraverso la quale Dio creò tutte le altre. Cominciò così ad essere abbandonato l'uso, normale nella Chiesa cattolica primitiva e riconfermato da diversi Concili in Occidente, di dirigere tutte le preghiere liturgiche pubbliche al Padre attraverso il Figlio (che tuttavia era egualmente oggetto di adorazione, insieme col Padre e con lo Spirito nella Santissima Trinità). Al tempo stesso, si cominciò a rivolgere la preghiera liturgica sempre più direttamente al Figlio in quanto Dio, cioè al Figlio inteso unicamente come destinatario e non anche come intermediario della preghiera, di modo che si sviluppò una sorta di ‛monofisismo liturgico': il sacerdozio umano di Gesù restò oscurato dalla maestà della sua divinità, con l'inevitabile conseguenza di tendere ad interporre un qualche terzo fattore fra l'orante e il suo Salvatore. Ciò influenzò la concezione della Chiesa romana - sia del suo sacerdozio sia del sacrificio eucaristico - proprio a proposito di quei punti cruciali sui quali si accentrarono le istanze riformatrici dei protestanti nel sec. XVI. Ci sono scarsi motivi di dubitare, quindi, che il recupero del sacerdozio umano di Gesù Cristo - unico Mediatore fra Dio e l'uomo - nella vita sacramentale e liturgica della Chiesa, come anche la più profonda comprensione dell'umanità di Cristo come sacramento per eccellenza (entrambi questi elementi palesemente pervadono la rinnovata dottrina della Chiesa nella Lumen gentium), siano destinati ad avere frutti considerevoli nel sanare la frattura fra la Chiesa romana e le Chiese della Riforma, in particolare se la prima mediterà le implicazioni che il sacerdozio vicario di Cristo ha per la gerarchia della Chiesa con lo stesso rigore dimostrato nei confronti della liturgia, e se le seconde saranno disposte a ripensare la loro concezione ‛evangelica' del ministero in termini di consociazione con l'unico sacerdozio di Gesù Cristo. Può darsi che in tal caso verrà a cadere la distinzione che il De oecumenismo traccia tra ‛Chiese' e ‛Comunità ecclesiali' a seconda che vi sia o meno la presenza di quello che allo status quo Roma definisce ‛sacerdozio episcopale'.
Tuttavia, dopo la chiusura del Concilio Vaticano II è emerso un altro documento, il recente Schema legis ecclesiae fundamentalis, che rappresenta a un tempo un riordinamento e un consolidamento della costituzione giuridica della Chiesa cattolica romana, resi necessari da nuovi sviluppi. A prima vista lo Schema sembrerebbe mettere in pericolo i sorprendenti progressi del Concilio Vaticano II, non ultimi quelli relativi ai rapporti ecumenici della Chiesa romana con le altre Chiese. Esso oppone infatti al riorientamento spirituale e teologico della Chiesa, in cui alla natura cristologica e alla vita eucaristica della Chiesa viene accordato il primato sulla sua costituzione esteriore di organismo giuridicamente organizzato, una nuova struttura canonica che, a causa del suo carattere rigorosamente costituzionale (escludente come non valido tutto ciò che non sia formalmente costituito) potrebbe agire come una camicia di forza sul riorientamento teologico della Chiesa, tarpando o quanto meno neutralizzando proprio quegli elementi che hanno una così gran risonanza ecumenica. Al momento attuale, la Lex fundamentalis è solo un progetto, ma il fatto che uno schema siffatto possa essere stato redatto con l'appoggio di tante eminenti autorità curiali, senza che sia in preparazione alcun nuovo studio in armonia con le conquiste spirituali del Concilio sulla vera natura e sullo status teologico della Costituzione della Chiesa, solleva ancora una volta e in modo energico il problema fondamentale del rapporto fra Spirito e legge, o tra grazia e opere della legge. L'interrogativo che in realtà bisogna porre è se la Chiesa cattolica romana abbia veramente affrontato il capitale problema del rapporto tra il principio interiore dell'edificazione della Chiesa in Cristo e la sua organizzazione esteriore nel mondo, e quindi il problema se le istituzioni giuridiche siano adeguate alla crescita della Chiesa come Corpo di Cristo vivente nella storia; interrogativo che trova il proprio corrispettivo antitetico in quello altrettanto fondamentale che tuttora si pone costantemente di fronte alle Chiese evangeliche, e cioè se esse abbiano veramente affrontato il problema basilare del rapporto tra verità e storia, o tra continuità teologica e continuità storica nella Chiesa di Cristo.
Una delle immense conquiste del Concilio Vaticano II fu il recupero dell'intuizione della Patristica greca, secondo la quale il fondamento della Chiesa va ricercato al di là d'essa stessa, nella natura divina e umana di Cristo e, attraverso Cristo, nella comunione trascendente della Santissima Trinità, dalla quale la Chiesa deriva la sua essenziale struttura intelligibile, cui sono subordinate tutte le sue visibili strutture istituzionali terrene. In altre parole, la Chiesa continua a vivere e a crescere, in tutti i mutamenti e le vicende della storia, attraverso un rapporto non solo sacramentale ma metasacramentale con Cristo, e un rapporto non solo canonico ma metacanonico con la sua origine divina nel Dio Uno e Trino: sacramenti e leggi in quanto tali passeranno con il disvelarsi della nuova creazione in Cristo, ma le realtà di cui erano i segni sacramentali o canonici non passeranno, perché sono la sostanza essenziale della comunione della Chiesa con Cristo in Dio. Nella misura in cui è già unita al Cristo risorto e glorificato, la Chiesa può solo affrettare il suo pellegrinaggio terreno, conscia di non essere ancora quel che dovrà essere e che la sua futura perfezione, in riferimento alla quale viene giudicato il suo stato attuale, trascenderà completamente ciò che è stata: può quindi assolvere la sua missione nella storia solo volgendo lo sguardo da se stessa verso Cristo che ritorna per rinnovare tutte le cose, nell'attesa escatologica del definitivo disvelamento del proprio stesso mistero nascosto con Cristo in Dio. E, giacché per tutto il corso della sua continuità storica la Chiesa vive, attraverso l'intima unione con Cristo nella sua morte e resurrezione, in una realizzazione prolettica del proprio mistero, essa deve vivere e operare nell'ambito delle forme storico-sociali terrene come Corpo del Cristo vivente, nella libertà e nella potenza della sua resurrezione, e non può quindi permettersi, senza tradire il proprio mistero essenziale o rinunziare alla propria natura peculiare, trascendentale, di restare impedita o costretta entro le strutture statiche di un sistema canonico prescrittivo o incanalata entro gli stretti binari di una successione rigidamente e giuridicamente definita.
Se quindi deve essere presa sul serio la teologia della Lumen gentium, secondo la quale la società costituita da organi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo non devono essere considerati come due realtà, ma come formanti un'unica realtà complessa nella quale la struttura comunitaria della Chiesa serve lo Spirito di Cristo, bisogna allora tracciare una netta distinzione tra la struttura essenziale - cristologica - della Chiesa nello spazio e nel tempo e la struttura - creata dall'uomo - espressa nel diritto canonico. È implicito nella Lumen gentium che la seconda deve essere considerata piuttosto come l'intelaiatura esteriore temporanea entro la quale si sviluppa la crescita della Chiesa come Corpo vivente di Cristo, destinata in ultima analisi a scomparire con il disvelarsi della realtà essenziale della Chiesa in Cristo. Nella Lex fundamentalis è invece implicito che l'intelaiatura esteriore temporanea, per lo meno a tutti i fini pratici, viene a identificarsi con la struttura sostanziale della Chiesa come Corpo di Cristo, come se dovesse permanere insieme con essa nella nuova creazione. Ora è stato soprattutto nell'emancipazione della vita spirituale ed eucaristica della Chiesa da una siffatta Gleichschaltung con le rigide strutture esteriori di una società giuridicamente organizzata, che il rinnovamento teologico e liturgico ha portato, attraverso il Concilio Vaticano II, alla nuova apertura carismatica della cattolicità della Chiesa e alla rinnovata visione dinamica della sua ecumenicità.
Dove sta dunque l'ostacolo? Paradossalmente, esso sembra trovarsi nel modo in cui legge divina e legge umana sono così strettamente intrecciate da diventare praticamente indistinguibili, con il risultato che molto di quanto è solo creazione umana temporale viene scambiato per legge divina eterna, esercitando così una sorta di tirannia sulla vita del credente. Con ciò non si vuole affermare che la Chiesa, nella sua natura essenziale, possa fare a meno di una estrinsecazione sociale o di una struttura concreta: questo è infatti proprio ciò che la Chiesa originata dall'Incarnazione del Verbo nello spazio e nel tempo non può fare; né ciò implica una ricaduta nell'antica tensione dualistica tra la Chiesa come comunità di fede e la Chiesa come organismo visibile, anche ciò risultando incompatibile con l'Incarnazione. La legge umana nella Chiesa è certo, culturalmente e storicamente, condizionata dai transeunti modelli terreni, e deve essere riconosciuta in quanto tale; ma, essendo in ultima analisi creata intenzionalmente dall'uomo in accordo con norme rivelate da Dio, tale legge umana deve essere formulata in modo da indicare, al di là di se stessa, la legge divina. In altre parole, le strutture della legge umana devono essere strutture aperte, fornite di una dimensione metacanonica, e devono essere mantenute aperte mediante una critica e un rinnovamento teologico costanti che attingano alle fonti della rivelazione divina, in modo da rimanere al servizio dello Spirito e da non diventare invece le tiranne della vita carismatica e della comunione eucaristica della Chiesa, per non parlare delle coscienze dei fedeli.
Qual è oggi, dunque, la posizione delle Chiese evangeliche a tale riguardo? Indubbiamente, uno dei principali fattori che ostacolano il loro riavvicinamento ecumenico alle Chiese cattoliche storiche in Oriente e in Occidente è il fatto che il rapporto tra Dio e legge e fra essere e struttura, così come tra verità e storia, si è sempre più deteriorato a causa del costante logoramento derivante dal dualismo insito nella cultura europea e (fattore non ultimo) nella società protestante. Ne è derivata una credenza diffusa nella relatività storica e convenzionalità sociale di tutte le leggi, le quali in definitiva sarebbero poco più che la codificazione di utili intese pragmatiche atte a soddisfare i bisogni sociali dell'uomo, gli usi e la procedura variando da epoca a epoca in concomitanza con i fattori culturali volta a volta dominanti. A questo proposito, ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno è la riconquista di un appropriato concetto della legge divina, fondato sulla natura e sulla volontà di Dio, e mediato all'uomo attraverso l'intera economia della rivelazione che Dio ha fatto di sé in Israele e in Gesù Cristo, mediato cioè attraverso la forma aperta in cui la verità eterna, derivante dalla trascendente razionalità di Dio, si struttura nel nostro mondo spazio-temporale interagendo con esso. Ed occorre inoltre una nuova intelligenza del fondamento oggettivo o della base ontologica che la legge umana ha nell'intelligibilità intrinseca dell'ordine creato, cioè del primato della verità dell'essere sulla verità delle definizioni, enunciazioni o convenzioni, il quale primato si riferisce egualmente, sebbene in modi adeguatamente diversi, ai settori delle scienze naturali e morali, conferendo necessariamente anche alle loro ‛leggi' un carattere aperto. È in questa duplice prospettiva che viene alla luce la natura particolare della legge della Chiesa. Ci troviamo qui di fronte alla struttura concreta ma dinamica della Chiesa nel continuum spazio-temporale di questo mondo, struttura derivante in parte dall'economia della divina rivelazione nella storia e in parte dalle forme terrene dell'esistenza degli uomini in quanto creature sociali, e poggiante quindi sulla duplice base dell'intelligibilità intrinseca dell'ordine della redenzione e dell'intelligibilità intrinseca dell'ordine della creazione. Ed è l'interazione fra l'ordine della redenzione e l'ordine della creazione, e la loro apertura reciproca in virtù dell'opera creativa dello Spirito Santo, che conferisce all'aspetto giuridico della Chiesa un carattere sui generis.
Per la sua natura particolare la legge della Chiesa è ben lungi dall'essere completamente specificabile e può essere strutturata soltanto in forme dinamicamente aperte, giacché oltre alla componente di non specificabilità che le deriva dalla fondazione ontologica della legge umana, possiede una non specificabilità trascendente insita nella sua struttura interiore come Corpo di Cristo e dovuta alla presenza dinamica e all'indefinibile attività dello Spirito Santo. Questo rende impossibile una reale assimilazione della legge della Chiesa a forme o ordinamenti giuridici mutuati da società e istituzioni secolari, anche se è stato proprio questo tipo di assimilazione che ha conferito all'evoluzione del diritto canonico il rigido positivismo che l'ha reso così inflessibile, causando gravi fratture nella vita della Chiesa e dando origine al protestantesimo delle Chiese evangeliche. D'altronde ciò non significa che la legge della Chiesa possa ridursi semplicemente a un qualche tipo di regole pratiche e procedure codificate in base allo sviluppo della coscienza e della tradizione della Chiesa in quanto ‛guidata dallo Spirito', la qual cosa conduce quasi inevitabilmente al sistema impraticabile della legge funzionante in base ai precedenti, come avviene presso molte Chiese evangeliche. Né, naturalmente, l'aspetto giuridicamente non specificabile della struttura della Chiesa conduce di necessità alla posizione adottata dai quaccheri o da altri movimenti avversi alla ‛religione organizzata', sempre più imperversanti nei paesi protestanti. Al contrario, il carattere in definitiva non specificabile della legge della Chiesa è il corrispettivo antitetico del grado di specificabilità derivante dall'intelligibilità intrinseca sia dell'ordine della redenzione sia dell'ordine della creazione, entrambi presenti nella base ontologica che deriva alla Chiesa in quanto Corpo di Cristo, dall'Incarnazione del Figlio di Dio nello spazio e nel tempo. È perché la missione dello Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio, e si compie nella Chiesa grazie all'opera espiatrice dell'Incarnazione di Cristo dalla quale la Chiesa è nata, che l'aspetto pneumatico e quello cristologico, ovvero l'aspetto carismatico e quello dipendente dall'Incarnazione sono concatenati nella vita, missione e struttura effettiva della Chiesa, nessuno dei due potendo essere ciò che è senza l'altro. Così la struttura concreta della Chiesa nella storia è coerente solo se, pur incoerente in sé e per sé, viene completata, al di là di se stessa, in quanto attraverso lo Spirito partecipa al mistero di Cristo. Ma, per converso, la partecipazione della Chiesa al mistero di Cristo attraverso lo Spirito le conferisce un carattere cristologico altrettanto che pneumatico in quanto Corpo di Cristo, rendendo la continuità della Chiesa strutturantesi nella storia parte della sua realtà concreta nello spazio e nel tempo. Inoltre, è proprio in virtù del suo trascendersi e aprirsi verso un livello più alto nell'economia dello Spirito che la continuità strutturantesi a livello della storia terrena è tanto più saldamente fondata sulla base ontologica della Chiesa nello spazio e nel tempo. Ciò vale parimenti per una successione canonicamente definita nella Chiesa storica, che è accettabile in quanto ecclesiologicamente significativa solo se, a causa della sua mancanza di coerenza in sé e per sé, viene integrata, al di là di se stessa, da un orientamento metacanonico verso lo Spirito: è solo nella promessa presenza dell'unico Spirito, infatti, che risiede il vero principio e il vero pegno della continuità della Chiesa, e non in una qualche successione giuridica. Se le Chiese cattoliche devono rendersi conto della suprema importanza di questa componente metacanonica delle strutture ecclesiali, le Chiese evangeliche devono certamente rendersi conto della necessaria funzione della componente canonica nella coerenza interiore e nella continuità strutturantesi della Chiesa, se vogliono sfuggire al dannoso dualismo esistente tra continuità teologica e continuità storica, o tra Chiesa invisibile e Chiesa visibile. Se la legge interiore o il principio strutturale dell'unità e continuità della Chiesa nella sua crescita e sviluppo storico come Corpo del Cristo risorto è di una specie unica e opera attraverso l'intima unione della Chiesa con Dio, cioè attraverso la koinonia dello Spirito, siffatta legge o principio non può essere identificato né con strutture dell'unità e continuità della Chiesa giuridicamente definite, improntate ai modelli dell'esistenza sociogiuridica del mondo secolare, né con un qualche eterno ideale spirituale al di sopra dei modelli dell'esistenza sociogiuridica nello spazio e nel tempo del mondo in cui Dio ci ha fatto vivere. L'interazione del Dio vivente col nostro mondo umano e storico in Israele e in Gesù Cristo ha dato origine a strutture concrete e permanenti nello spazio e nel tempo, che furono palesemente approvate da Dio, alle quali il Vangelo è indissolubilmente legato e alle quali pertanto una Chiesa evangelica è non meno indissolubilmente legata, nella sua vita e missione terrena e storica, fino alla fine dei tempi. Dunque, sia la continuità teologica che la successione storica hanno la medesima base ontologica nell'Incarnazione del Figlio di Dio nella nostra esistenza umana, sociale e storica, e nella Chiesa del Figlio Incarnato la quale, unita a Lui come Suo Corpo, è da Lui inviata ad adempiere la propria missione evangelica nella medesima esistenza umana, sociale e stonca.
Dovrebbe ora apparire chiaro che il grave problema sollevato all'interno della Chiesa cattolica romana dalla progettata Lex ecclesiae fundamentalis, il problema cioè del modo in cui connettere il nuovo riorientamento dinamico ed ecumenico in seno alla Chiesa di Cristo con la rigida intelaiatura giuridica da essa ereditata dalla sua lunga storia, riflette in un più vasto orizzonte il suo rapporto, in quanto totalità, con le altre Chiese le quali, per comune accordo, costituiscono la ‛associazione di Chiese' formante il Consiglio ecumenico. E la soluzione interna che la Chiesa cattolica romana darà al suo problema inciderà certamente sui rapporti con le altre Chiese, forse negativamente, ma può ben darsi che una soluzione soddisfacente emergerà con chiarezza solo dall'evolversi del suo perseverante attivo riavvicimento ecumenico a quelle Chiese. La massiccia presenza delle Chiese ortodosse in seno al Consiglio ecumenico assicura che il problema, fondamentalmente lo stesso già sollevato durante la prima assemblea del Consiglio ecumenico ad Amsterdam in seguito al confronto tra le tradizioni protestanti e quelle cattoliche sulla natura della Chiesa, non sarà evitato, ma sarà trattato con sempre maggior serietà. Inoltre la continua partecipazione degli ortodossi assicurerà anche che qualsiasi soluzione possa essere raggiunta, essa sarà tale da escludere un'uniformità giuridica e da consentire lo sviluppo di una cattolicità a maglie aperte, che permetta una ragionevole varietà nell'ambito di una comunione cattolica di Chiese centrata nel mistero di Cristo e della Santissima Trinità, nella quale la supremazia sia accordata agli aspetti pneumatici ed eucaristici della Chiesa e della vita redenta del popolo di Dio che essa abbraccia. In altre parole, come già nella fondazione apostolica della Chiesa, la caratteristica eminente della Chiesa unita di Cristo sarà la perseverante continuità nell'insegnamento degli Apostoli, nella comunanza o partecipazione collettiva a una vita comune di fede, nella comunione eucaristica, nella preghiera e nel culto, e nel comune aiuto cristiano ai poveri e ai bisognosi del mondo (Atti, 2, 42 ss.).
Nell'eventualità di una tale evoluzione, la perseverante collaborazione della Chiesa cattolica romana col Consiglio ecumenico non potrebbe che approfondire e rafforzare il suo proprio rinnovamento teologico e liturgico, così profondamente rinsaldatosi nel recente Concilio, e aiutarla a trovare una soluzione dei suoi problemi interni tale che il suo nuovo spirito di apertura e la sua visione dinamica non vengano soffocati da provvedimenti del genere di quelli prospettati nel progetto della Lex fundamentalis. D'altro lato, continuando a rimanere fuori del Consiglio ecumenico - partecipando però energicamente al movimento ecumenico - la Chiesa cattolica romana potrà contribuire al riavvicinamento delle Chiese evangeliche e ortodosse sia sul piano teologico sia su quello del moderno sviluppo di una tradizione unitaria riallacciantesi alla Chiesa apostolica e cattolica primitiva, creando così un modello di confronto - tra se stessa e le Chiese evangeliche e ortodosse - tale da consentire, attraverso una sorta di osmosi ecumenica, l'avviamento di un costante processo di riconciliazione. Il tipo di unità che potrà scaturire da ciò non deve tuttavia essere considerato come un compromesso raggiunto gradualmente tra posizioni contrastanti, ma come l'unità di tutta la Chiesa a un livello più alto, che trascenda le differenze tradizionali in modo però da rivelare quanto di fondamentale vi sia in tali differenze, le quali potranno allora essere considerate come contributi necessari, e reciprocamente complementari, all'unità complessiva a quel più alto livello.
5. L'ecumenismo e l'avvenire
Con il sorgere del movimento ecumenico si è avuto un progressivo recupero della visione globale e dinamica propria del cristianesimo primitivo, in cui la missione e l'espansione della Chiesa erano considerate parte di un movimento universale in seno al creato, in virtù del quale tutte le cose visibili e invisibili si riconciliano e si raccolgono in unità nel Cristo. Per la legge interiore della propria natura, acquisita attraverso l'unione con Cristo, la Chiesa è costantemente sospinta nel mondo e nella sua storia verso il compimento del disegno divino di riconciliazione e di unificazione del mondo, attraverso il quale essa mira a realizzare nel mondo la futura οἰκουμένη, la comunità universale in cui la vita redenta del popolo di Dio e la vita di tutto il genere umano saranno una sola e medesima cosa. Ma nel XX secolo il ‛mondo', nel quale e per il tramite del quale tutto questo accade, si presenta come una realtà sempre più complessa a causa non soltanto dell'enorme progresso della conoscenza scientifica del mondo che ci circonda, ma anche del prepotente manifestarsi dell'idea secondo la quale possiamo comprendere e verificare solo quello che possiamo fare e realizzare da noi stessi, idea che tende a permeare le prospettive della moderna società industriale e tecnologica. Il mondo pertanto tende ad essere equiparato all'universo in quanto concepito e plasmato nella mente dell'uomo, cioè alla totalità dei fenomeni ordinati dalle capacità costruttive dell'umano intelletto e costituiti in un sistema di concetti operativi: l'intelletto umano infatti - si pretende - non trae le proprie leggi dalla natura ma impone alla natura le proprie leggi. Dietro quest'idea c'è però una concezione più classica del mondo, in quanto universo della realtà creata considerata oggettivamente come un tutto interconnesso, come la totalità delle cose e degli eventi nello spazio e nel tempo costituente in se stessa un sistema ordinato. Lungi dall'essere completamen te superata, questa concezione del mondo è stata notevolmente consolidata dai progressi della scienza pura, non ultimo fra questi la scoperta della forza universale regolatrice della struttura metrica continua dello spazio-tempo, mettendo in luce più chiaramente ciò che Einstein chiamò ‟la insita comprensibilità dell'universo", cioè l'intrinseca intelligibilità di rapporti ed eventi nell'universo, la quale rende possibile la scoperta e la descrizione scientifica della struttura e dell'ordine immanenti nel mondo reale, indipendentemente dal nostro modo di concepirlo. È il conflitto, e la confusione, fra questi due modi di guardare all'universo e di ampliarne la conoscenza - l'uno prevale nelle scienze tecnologiche e sociali e l'altro nelle scienze pure ed esatte - che rende il concetto moderno del ‛mondo' così difficile e complesso. Purtuttavia, è nella lotta per comprenderlo che diveniamo capaci di intendere in modo più completo ciò che la missione evangelica ed ecumenica della Chiesa nel mondo deve significare per noi, oggi e in avvenire.
Tale missione deve significare che la Chiesa, nel suo compito di riconciliazione e unificazione, deve penetrare molto più a fondo nel cuore dell'esistenza e del pensiero dell'uomo in questo mondo, ove sono radicate le forze disgregatrici del peccato e dell'errore. Fu proprio ‛questo mondo' che Dio tanto amò da inviarvi il Suo Figlio unigenito perché ne fosse il Salvatore, e fu proprio in ‛questo mondo' che la Chiesa fu inviata da Cristo fin dalla sua fondazione: ‛questo mondo' il quale, in contrapposizione al ‛mondo a venire', è il mondo che per tutto il corso della storia viene contagiato dalle forze oscure e irrazionali del male che ne disgregano l'ordine e ne frantumano l'unità; il mondo che si aliena da Dio e si mostra perfino ostile al suo amore; il mondo che l'uomo, estraniato da Dio, ‛crea' sempre a propria immagine e cerca di manipolare ai propri fini. Il mondo in cui Cristo inviò la sua Chiesa e questo nostro mondo sono essenzialmente lo stesso mondo, salvo che in ‛questo mondo' oggi le forze disgregatrici e separatrici del male sembrano avere grandemente aumentato il loro potere radicandosi nelle profonde interconnessioni che avvincono la tecnologia alla struttura sociale, ove sembrano aver soverchiato la nostra capacità di dominarle e controllarle. Anche se la Chiesa ‛non è di questo mondo', ma appartiene al ‛mondo a venire', che già permea la sua esistenza in Cristo, essa è tuttavia inviata in questo mondo per proclamare e portare in sé ‛il nuovo ordine divino', nel quale la riconciliazione e unificazione dell'intero mondo, perfino nella nostra moderna concezione di esso, sarà portata a compimento. Nonostante tutto ciò che è divenuto, o potrà ancora divenire nella sua folle autodisgregazione e autodistorsione, questo mondo resta il mondo che Dio ama, e diventerà il mondo che, in virtù del suo amore incarnato, raggiungerà una coordinazione e perfezione di struttura, ordine e bellezza che trascenderà l'armonia della sua creazione originaria.
Questa è la prospettiva ultima dell'ecumenismo; ma, mentre una meta siffatta può essere realizzata solo dall'opera trascendente di Dio stesso, l'itinerario che l'ecumenismo deve oggi fermamente percorrere in questo mondo verso quel traguardo futuro può ben essere indicato riferendosi a diversi importanti elementi di questo mondo, con i quali l'esistenza della Chiesa empirica si e inevitabilmente intrecciata.
1. L'assorbimento da parte della Chiesa della teoria cosmologica legata alla cultura nella quale essa ha messo radici e si è sviluppata storicamente. Due tipi di cosmologia hanno prepotentemente influenzato la Chiesa occidentale, lasciando una profonda impronta su quasi tutti gli aspetti della sua vita e del suo pensiero. Per più di un millennio la cosmologia tolemaica permeò la cultura europea, specialmente nei paesi che avevano profonde radici nella civiltà classica. Furono quelli i secoli formativi essenziali, in cui la Chiesa cattolica romana assunse la sua forma terrena definita e caratteristica. Le forme della sua attività, sia teorica che pratica, nelle varie sfere - sociale, giuridica, ecclesiastica e teologica - subirono tutte egualmente l'influsso di tale cosmologia, mentre la grande sintesi medievale ebbe l'effetto di fissarle nel durevole tessuto della sua esistenza istituzionale e costituzionale. Poi, per circa quattrocento anni, la cosmologia copernicano-newtoniana ha dominato la cultura scientifica dell'Europa moderna, nei paesi in cui la Riforma aveva preso piede non meno che negli altri. Sono questi i secoli formativi essenziali; in cui le Chiese protestanti assunsero la loro forma definita e caratteristica, per entro uno sviluppo socio-nazionale pluralistico. La nuova visione cosmologica permeò così profondamente il tessuto della cultura protestante da determinare l'ambito in cui doveva dispiegarsi l'intera sua attività teorica e pratica, religiosa e profana. Ora, queste due cosmologie, per quanto molto diverse non solo in sé, ma anche nei modelli di pensiero che comportavano (evidenti soprattutto nelle implicazioni di vasta portata dei rispettivi concetti di spazio), erano entrambe essenzialmente dualistiche nel loro orientamento verso il mondo e nelle abitudini mentali che ingeneravano. Così per vie diverse diedero entrambe origine a situazioni in cui il modello prevalente di pensiero e di vita fu segnato dallo sviluppo di tensioni dualistiche e di dicotomie, col risultato che le strutture teologiche e quelle ecclesiastiche furono modellate su stampi diversi. È ora evidente, quindi, che le differenze tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa protestante, che si accentuarono sempre più con l'affermarsi, nella cultura protestante, della nuova cosmologia e della filosofia ed epistemologia relative, non sono dovute a una divergenza basilare circa la sostanza perenne della fede, ma alla diversa struttura delle connessioni al cui interno la fede è stata interpretata ed elaborata. Questa conclusione, che l'analisi scientifica e logica rende sempre più evidente, non è stata ancora presa in seria considerazione dai teologi ecumenici, ma la sfida ch'essa lancia alle Chiese, di ricondurre cioè la propria missione di riconciliazione e unificazione al livello radicale dei concetti e dei paradigmi di fondo, non può essere elusa più a lungo ed è destinata a incidere sul corso futuro dell'ecumenismo.
2. La capitale transizione, in corso nel pensiero occidentale, dalle cosmologie dualistiche del passato a una prospettiva cosmologica nettamente diversa, introdotta dalla formulazione della teoria della relatività. Diversamente dalle precedenti, questa ‛cosmologia einsteiniana', come potremmo definirla in opposizione a quella newtoniana, non è dualistica, e neppure monistica. Essa pone bruscamente in questione le nette dicotomie nella natura e nel pensiero che hanno afflitto la scienza, la filosofia e la teologia occidentali - segnatamente la perniciosa scissione tra soggetto e oggetto, forma e essere, struttura e sostanza - ed esige un approccio assolutamente globale, in cui la conoscenza si fondi sull'interconnessione insita nell'universo, e quindi sulle strutture e trasformazioni oggettive del mondo reale. Un siffatto mutamento nella prospettiva cosmologica, se ha avuto un effetto critico e distruttivo, svelando quanto profondamente le nostre abitudini mentali siano state condizionate dai paradigmi delle strutture dualistiche e dagli pseudoconcetti da essi generati, ne ha avuto però anche uno costruttivo, quello cioè di sostituire modi di pensare analitici e disgregatori con modi di pensare globali, sintetici, correlati con i modelli organizzativi per natura latenti nel mondo, e contemporaneamente quello di apportare una chiarificazione e una semplificazione di vasta portata dei concetti e nessi fondamentali dei nostri sistemi di pensiero. Siamo lungi dal poter prevedere tutte le conseguenze che una rivoluzione così radicale dei fondamenti della cultura scientifica moderna comporta, tra l'altro, anche per il movimento ecumenico, se vuol restare fedele al suo compito in questo mondo. In particolare, due sono gli aspetti che potranno avere ripercussioni sull'ecumenismo. In primo luogo, la scoperta del campo dinamico continuo è destinata a imporre alle Chiese un riesame delle loro istituzioni tradizionali (teologiche e socio-giuridiche) alla luce dell'interazione tra ordine della redenzione e ordine della creazione, a mano a mano che quest'ultimo viene sempre più illuminato dai progressi della conoscenza scientifica delle strutture oggettive del mondo. È già evidente che il ritorno a una ontologia genuina, in cui forma e essere, struttura e sostanza, siano intimamente fusi insieme, farà compiere grandi passi verso l'eliminazione della frattura esistente fra la Chiesa evangelica e la Chiesa cattolica nell'interpretazione biblica e nel pensiero teologico, mentre il rapporto intrinseco fra questa ontologia e il continuum dello spazio-tempo potrà aiutare sia il protestantesimo a superare la dannosa frattura tra verità e storia in cui è rimasto così a lungo invischiato, sia il cattolicesimo per una comprensione più profonda e più spirituale della successione storica, intesa come l'opera e il servizio continuo indivisibile e dinamico della Chiesa in quanto Corpo vivente di Cristo nella storia. In secondo luogo, l'invito a ricostruire la teologia tradizionale occidentale entro un modello non dualistico, più appropriato alla sostanza perenne della fede, non mancherà di indirizzare l'attenzione sia della Chiesa evangelica che della Chiesa cattolica verso un ritorno alla fondazione ebraica della Chiesa apostolica e alla grande teologia greca, in particolare quella del periodo tra il IV e il VII secolo, in cui i dogmi fondamentali della Creazione, Incarnazione e Trinità ricevettero la loro classica formulazione cattolica solo attraverso il superamento del dualismo cosmologico e di quello epistemologico latenti nella scienza, filosofia e cultura greca. Questo sortirà l'effetto di conferire alle Chiese ortodosse orientali, fondate su quella elevata teologia patristica (prevalentemente di Atanasio e Cirillo d'Alessandria) un posto di cruciale importanza nella riunificazione della Chiesa, come anche l'effetto di includere nell'attività ecumenica della Chiesa cristiana in Oriente e Occidente un serio dialogo con Israele, che potrebbe costituire l'importantissima componente catalizzatrice necessaria per la riconciliazione e unificazione dell'intero popolo di Dio.
3. Il carattere unitario della nuova cosmologia scientifica, insieme con l'invisibile struttura universale dello spazio-tempo che regola il comportamento di tutto quello che abbraccia, inevitabilmente riduce sempre più questo mondo ad unità. La cosmologia newtoniana aveva certamente dato vita al concetto dell'universo fisico come un'unità sistematica tenuta assieme da una catena continua di cause meccaniche, ma l'applicazione delle sue strutture e dei suoi metodi analitici dualistici all'esistenza umana ha inevitabilmente portato alla situazione presente, cui diamo il nome di ‛società pluralistica' e ‛mondo pluralistico'. Entro tale contesto la Chiesa, comprensibilmente, tende anch'essa a divenire pluralistica (il che senza dubbio contribuisce a rivelarne la natura poliedrica datale da Dio) e invero a frammentarsi in comunità chiuse, col risultato che una notevole pressione viene costantemente esercitata sul movimento ecumenico, col fine di limitarne l'orizzonte così da accogliere solo una ‛unione federale' di Chiese. Ma ora tutto questo sta per essere superato, grazie non solo al concetto che il mondo è una ‛unità globale', concetto che viene imposto dalla diffusione universale della tecnologia che facilita comunicazioni, viaggi e scambi in tutto il mondo, ma anche al concetto che il mondo è una unità intrinseca in cui le strutture visibili e invisibili coesistono e operano avvinte in un legame indissolubile. Anche questo è un elemento che il movimento ecumenico non potrà eludere in avvenire, specie quando le scienze sociali cominceranno a fornire nel loro campo risultati validi paragonabili ai risultati ottenuti dalle altre scienze nei propri campi, spostandosi da metodi analitici positivistici verso la teoria dei campi. Con questo non si vuole intendere che l'ecumenismo debba farsi guidare dalle scienze naturali o sociali, ma che, nel contesto in mutamento del pensiero umano impostogli dalla natura intrinseca del creato, non soltanto esso si troverà affrancato dal perseguire obiettivi meno nobili o perfino falsi, ma sarà spinto dalle forze di un mondo sempre più unificato a proiettarsi verso il suo stesso traguardo, assegnato da Dio, di un'unica comunità di fede e di amore, alla quale l'intero genere umano è chiamato a partecipare.
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