Ecumenismo
Sommario: 1. Fondamenti e significati del concetto. 2. Ecumenismo della comune testimonianza e del comune servizio. 3. Ecumenismo della fede comune. 4. La partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico. 5. Nuovi orientamenti e nuovi accenti dell'ecumenismo. □ Bibliografia.
1. Fondamenti e significati del concetto
Nell'ampio articolo ecumenismo precedentemente pubblicato in questa opera (vol. II, pp. 295-313), Thomas F. Torrance ha illustrato la dottrina della natura, dell'unità e della missione della Chiesa di Gesù Cristo (ecclesiologia) dai suoi inizi sino al moderno movimento ecumenico, analizzando in modo approfondito la nuova concezione dell'ecclesiologia cattolico-romana, scaturita dal Concilio Vaticano II, e dell'ecumenismo a essa connesso. Le riflessioni conclusive sull'ecumenismo del futuro riguardano in particolare il rapporto tra Chiesa e mondo, teologia e cosmologia. Il presente articolo si propone di completare e sviluppare questa ‛storia intellettuale' dell'ecumenismo attraverso una trattazione di tipo più storico, in cui si presterà particolare attenzione agli ultimi sviluppi intercorsi nell'ambito dell'ecumenismo a partire dalla fine degli anni settanta. Prima però sarà opportuno procedere a una chiarificazione concettuale e richiamare brevemente i presupposti e i fondamenti dell'ecumenismo.
La connotazione universalistica degli attuali concetti di ‛ecumenismo', ‛ecumene' ed ‛ecumenico' era già presente nel termine ‛οἰκουμένη' (da οἰκείν, ‛abitare'), che compare per la prima volta in Erodoto nel V secolo a.C. per designare l'intera terra abitata, il mondo. In questa accezione, o anche limitatamente all'Impero romano, il termine ricorre nel Nuovo Testamento. Esso acquista un significato specificamente cristiano nella Chiesa dei primi secoli, allorché si comincia a parlare di concili ‛ecumenici' della Chiesa (in particolare a partire dal 381, con il Concilio di Costantinopoli I) per denotarne il carattere sovralocale (concili imperiali), nonché la validità e l'autorità universali delle decisioni in essi espresse. Conseguentemente, le tre fondamentali confessioni di fede (apostolica, nicena e atanasiana) verranno chiamate ‛simboli ecumenici'.
I termini ‛ecumene', ‛ecumenico' vennero ripresi nel XIX secolo con un nuovo e più ampio significato. In associazioni cristiane come l'Alleanza evangelica (1846) e la Federazione delle associazioni cristiane giovanili (1855) - che possono essere considerate precorritrici del movimento ecumenico - si sviluppò la consapevolezza che tutti i cristiani e tutte le Chiese appartenessero a una casa comune. In questo contesto, il termine ‛ecumenico' venne impiegato per denotare un'attitudine, una comunione e una cooperazione capaci di superare le divisioni politiche e confessionali. Al significato geografico-politico e a quello di validità universale, si aggiunse quindi l'idea di uno spirito, di una coscienza e di una volontà ecumenici, e con ciò vennero poste le basi dell'attuale impiego dei concetti di ‛ecumene' ed ‛ecumenico' nel ‛movimento ecumenico' di questo secolo, i cui inizi vengono di solito individuati nella Conferenza mondiale delle missioni di Edimburgo (1910). ‛Ecumenico' designerà d'ora in poi la coscienza dell'unità di tutti i cristiani in Gesù Cristo e quindi l'impegno a rendere visibile l'unità universale della comunità cristiana. Da questa coscienza e da questo impegno, nonché dall'esperienza storica delle divisioni della cristianità, si sviluppano i molteplici sforzi ecumenici per esprimere in modo manifesto ed efficace l'unità della comunità cristiana attraverso il superamento delle divisioni.
Il termine ‛ecumenismo' è stato introdotto relativamente tardi, ed è radicato soprattutto nell'area cattolica di lingua latina. Esso compare per la prima volta nel titolo di uno scritto profetico dell'influente teologo francese Yves Congar (1904-1995), Chrétiens désunis. Principes d'un ‛øcuménisme' catholique, pubblicato nel 1937, ed è stato ripreso dal Concilio Vaticano II, che ad esso ha intitolato il primo capitolo del decreto conciliare (Unitatis redintegratio) dedicato ai principî cattolici dell'ecumenismo. Con ‛ecumenismo', afferma il decreto, si vuole intendere il ‛movimento ecumenico' nonché gli sforzi da esso intrapresi in direzione dell'unità e della comunione di tutti i cristiani e di tutte le Chiese. Nell'uso attuale, quindi, ‛ecumenismo', ‛ecumene' ed ‛ecumenico' sono parole equivalenti, che rinviano tutte alla natura universale e unitaria della Chiesa di Cristo, e al compito di rendere manifesta e operante l'unità cristiana nella storia della fede, della vita e dell'azione delle Chiese.
Questa storia mette in luce la dottrina teologica di fondo sulla natura della Chiesa di Gesù Cristo, e rispecchia altresì gli sviluppi storici a volte in linea con quelle idee, a volte in opposizione ad esse. Assai presto, già in epoca neotestamentaria, si delineano i contorni di una dottrina della universalità e cattolicità della Chiesa: universalità nel senso della vocazione missionaria in tutto il mondo allora conosciuto; cattolicità nel senso di una comunità che trascende ogni appartenenza etnica, linguistica, culturale e sociale. E assai presto si delinea anche una concezione dell'unità della Chiesa, in cui sono ricompresi questi caratteri dell'universalità e della cattolicità: unità nel senso di una comunità ‛in Cristo' - fondata in un solo battesimo e in una sola fede apostolica, e celebrata in una sola eucaristia - che con la sua esistenza e il suo servizio è immagine e istrumento dell'amore e della volontà salvifica del Dio uno e trino. Questi fondamenti dottrinali hanno trovato la loro formulazione definitiva nell'antico ‟credo", in cui si afferma la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica (Concilio niceano-costantinopolitano, 381).
Ma negli scritti di epoca apostolica e postapostolica, la Chiesa primitiva non ha solo definito e interpretato la propria natura; in essi si rispecchia, infatti, anche la lotta per preservare l'unità in Cristo nella realtà storica della Chiesa cristiana in rapida espansione. Questa esigenza fu presente sin dagli inizi, sin dalla nascita delle comunità dei credenti in Cristo, poiché le differenze di orientamento religioso e di appartenenza etnica, culturale e sociale, le diverse posizioni dottrinali di influenti maestri, nonché l'influenza di concezioni extra-cristiane (come ad esempio la gnosi) determinarono ben presto tensioni, conflitti e in ultimo divisioni all'interno della cristianità appena costituita. Si delineava così una caratteristica strutturale dell'esistenza della Chiesa che ne avrebbe improntato la storia successiva: la tensione tra i fondamenti dottrinali e la loro realizzazione storica, la distanza tra le esigenze poste dalla professione di fede e i frequenti errori della Chiesa come istituzione umana, la contraddizione tra la dichiarazione dell'unità della Chiesa e lo scandalo delle divisioni all'interno della cristianità.
Le idee della universalità (estensione a tutta la terra abitata) e cattolicità (superamento di tutte le frontiere) e quindi della unità della Chiesa di Gesù Cristo, nonché i fenomeni storici di disgregazione di tale unità, costituiscono le premesse e le basi di ciò che oggi indichiamo con i termini ‛ecumenismo', ‛ecumene' ed ‛ecumenico'. Questo carattere strutturale della realtà ecclesiale - la coesistenza conflittuale e spesso l'aperta contrapposizione tra i principî della fede e la realtà storica - risulta in ultima analisi ineliminabile, poiché scaturisce dalla limitatezza e dall'ambivalenza di ogni realtà storica e umana. E tuttavia nel movimento ecumenico del XX secolo esso ha assunto una nuova qualità. A seguito degli sviluppi della storia mondiale, e in parte anche per loro influenza, è emersa la consapevolezza e la volontà di non accettare più la contraddizione tra la professione di unità della Chiesa e la realtà storica della divisione delle Chiese, ma di superarla per quanto possibile. Così nacque il movimento ecumenico e così il termine ‛ecumenico', oltre a designare la dimensione cattolica e universale della Chiesa di Gesù Cristo, si allargò a esprimere anche una protesta contro lo scandalo delle divisioni, nonché la volontà di ricostituire in modo visibile l'unità e la comunione di tutti i cristiani e di tutte le Chiese. Questa protesta e questa volontà hanno profondamente mutato il corso della storia della Chiesa nel nostro secolo. Il movimento ecumenico è diventato di fatto il più importante tratto distintivo della storia ecclesiale del XX secolo, sino a costituire il contributo essenziale del mondo cristiano alla modernità. Soffermiamoci ora su alcuni degli eventi e degli sviluppi più significativi nell'ambito del movimento ecumenico dopo il 1977.
2. Ecumenismo della comune testimonianza e del comune servizio
A partire dal 1910 sono state le grandi conferenze ecumeniche, e dal 1948 le assemblee generali del Consiglio ecumenico delle Chiese (World Council of Churches, WCC), a rappresentare i momenti più significativi di presa di coscienza ed elaborazione degli indirizzi del movimento ecumenico. Di fronte alla proliferazione delle conferenze cristiane internazionali o di altro livello, le conferenze ecumeniche sono andate acquistando negli ultimi vent'anni un'importanza crescente. Esse restano tuttavia solo una sorta di ‛termometro' dell'ecumenismo, grazie al quale si possono individuare le tendenze, gli sviluppi, le speranze e gli impulsi che contraddistinguono i vari sforzi ecumenici e da cui si possono trarre indicazioni per il futuro. È un'osservazione che vale anche per la VI e la VII assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, tenutesi rispettivamente a Vancouver nel 1983 e a Canberra nel 1991. A Vancouver sono state denunziate e discusse la miseria e la disperazione in cui versa gran parte dell'umanità, nonché la minaccia nucleare cui è esposta l'intera terra abitata; il crescente divario economico tra il Nord e il Sud del mondo, e la conseguente sudditanza in cui versa quest'ultimo; la miseria, la fame e la disperazione dei profughi; lo sfruttamento e la mancanza di libertà di innumerevoli persone; le varie forme di discriminazione e la violazione dei diritti umani; il trattamento spesso disumano cui sono sottoposte le popolazioni indigene nel Nord- e Sudamerica, dell'Australia e di altre zone del pianeta; la spaventosa corsa agli armamenti atomici delle due superpotenze a Oriente e a Occidente. Questo era il panorama della situazione mondiale che si presentava agli occhi dei partecipanti alla conferenza di Vancouver; esso conteneva una rinnovata sfida a realizzare un ecumenismo centrato su una testimonianza e un servizio comune ben oltre l'ambito della cristianità. La successiva riunione di Canberra del 1991 ha ulteriormente ampliato questo panorama, dando particolare rilievo al pericolo dell'esaurimento delle risorse naturali e invocando prese di posizione e passi concreti comuni in favore della tutela dell'ambiente e della garanzia dei fondamenti della vita per le generazioni future.
Le due assemblee, al pari di altre conferenze ecumeniche degli ultimi anni, sono state anche contrassegnate da una viva e intensa vita liturgica e dalla ricerca di una spiritualità ecumenica in cui confluissero le esperienze spirituali delle varie tradizioni cristiane. La grande importanza attribuita alla liturgia e alla spiritualità e il vivo interesse per esse costituiscono una caratteristica nuova dell'ecumenismo degli anni ottanta, in cui trovano espressione anche la testimonianza della speranza cristiana e la preghiera per il mondo contemporaneo, nonché l'esperienza e la celebrazione di una nuova comunità cristiana che trascende le differenze di confessione, di tradizione e di cultura.
La situazione del mondo e dell'umanità che aveva costituito il tetro sfondo di discussione nelle conferenze di Vancouver e di Canberra spingeva a intensificare gli sforzi ecumenici sul piano etico e sociale. Già nel 1979 una conferenza mondiale sul tema ‟Fede, scienza e futuro", organizzata a Boston dal WCC, si era occupata dei problemi fondamentali della civiltà moderna: il rapporto tra la fede cristiana e la moderna visione tecnologica del mondo, le questioni etiche legate alla manipolazione biologica della vita, la posizione delle Chiese nei confronti del problema delle risorse energetiche, la scienza e la tecnologia come strumento di potere sugli uomini e sulle nazioni. Dopo Vancouver, queste questioni di principio furono collegate con i problemi relativi a ‟Giustizia, pace e salvaguardia del creato" nel processo ecumenico, discussi in quella sede. Di questi tre problemi dell'umanità tra loro interrelati si sono occupate numerose Chiese rappresentate nel WCC e moltissimi gruppi all'interno di esse, con lo scopo di stimolare una presa di coscienza e l'impegno per un'azione comune. Questo approccio ecumenico alle prospettive future dell'umanità trovò conferma nella conferenza mondiale di Seul del 1990 e venne recepito dall'assemblea generale di Canberra del 1991 come riaffermazione di un attivo ed efficace impegno cristiano per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In quest'ambito rientra anche l'assemblea ecumenica europea sul tema ‟Pace nella giustizia", tenutasi a Basilea nel 1989. Il fatto che una conferenza di tali proporzioni e rilevanza potesse contare per la prima volta sulla partecipazione ufficiale della Chiesa cattolica - essa fu tenuta, infatti, dalla Conferenza delle Chiese europee e insieme dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (cattolico-romane) - rappresentò un significativo passo avanti nell'ecumenismo. Una seconda assemblea ecumenica europea si è tenuta nel 1997 a Graz. Il suo tema, ‟Riconciliazione", richiama un altro compito ecumenico che negli ultimi anni è apparso sempre più urgente, ossia quello di creare un terreno d'intesa per i vari conflitti etnici, sociali e religiosi del nostro tempo, trovando e percorrendo strade che conducano a una risoluzione pacifica. La collaborazione ecumenica in questo servizio di riconciliazione è stata intrapresa negli ultimi anni in occasione dei conflitti esplosi in Armenia-Azerbaigian, Georgia, San Salvador, Irlanda del Nord, Sudan e, soprattutto, nell'ex Iugoslavia. In futuro essa dovrà essere considerata e perseguita con forza ancora maggiore, quale compito essenziale dell'ecumenismo. Più di qualsiasi altra organizzazione, le Chiese sono già presenti in molte situazioni di conflitto, che rappresentano per esse una sfida a mettere in pratica concretamente il loro messaggio centrale di riconciliazione.
La testimonianza e il servizio comuni, quali forme d'espressione essenziali dell'ecumenismo, hanno ampiamente caratterizzato il movimento ecumenico a partire dal 1977, e non solo nell'ambito della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, ma anche sul piano pratico dell'assistenza prestata in tutte le situazioni in cui gli uomini soffrono e i loro diritti e la loro dignità vengono negati. Questo impegno concreto ha contribuito in modo decisivo al superamento dell'apartheid in Sudafrica e, nel 1989, in alcuni paesi dell'Europa centrale e orientale ha avuto un ruolo considerevole nello smantellamento dei sistemi comunisti.
3. Ecumenismo della fede comune
Fin dagli inizi, il movimento ecumenico di questo secolo ha avuto il suo tratto distintivo nel triplice impegno per la fede comune, per una testimonianza comune e per un servizio comune. Questi tre obiettivi dell'ecumenismo sono strettamente legati, anzi indissolubilmente intrecciati tra loro. Dal 1977, e forse sin dagli inizi del movimento ecumenico in generale, l'evento più significativo nell'ambito degli sforzi per superare le differenze sul modo di intendere e vivere la fede - che sono state e in parte sono tuttora causa di divisione della cristianità - è stato il documento Battesimo, eucaristia, ministero (BEM), messo a punto e pubblicato dopo un lungo lavoro preparatorio nel 1982, a Lima, dalla Commissione Fede e Costituzione del WCC. L'importanza di questo documento sta nel fatto che in esso vengono formulate in sintesi tutte le concordanze e le convergenze raggiunte nel dialogo ecumenico con riguardo a queste tre forme fondamentali della vita ecclesiale, e che a questo processo di convergenza hanno partecipato tutte le Chiese cristiane, compresa quella cattolica, ufficialmente rappresentata nella Commissione Fede e Costituzione a partire dal 1968. Il documento di Lima ha avuto una diffusione straordinaria e del tutto eccezionale nella storia del movimento ecumenico, con mezzo milione di copie in 33 lingue, ed è stato discusso in innumerevoli gruppi, seminari, facoltà teologiche, commissioni ecumeniche e organi ecclesiastici. Oltre 180 Chiese, tra il 1983 e il 1988, hanno elaborato una presa di posizione ufficiale rispetto a questo documento, e tra queste anche la Chiesa cattolica, che nel 1987 per la prima volta ha risposto ufficialmente a un testo ecumenico. Sebbene non sia stato ancora raggiunto un accordo generale, soprattutto in merito alla questione della successione apostolica dei vescovi, il BEM è stato nel complesso accolto positivamente come un passo decisivo verso l'unificazione delle Chiese e verso un rinnovamento della loro vita e del loro pensiero. Nel frattempo esso è diventato anche un testo di riferimento ecumenico, costantemente citato nei dibattiti e soprattutto nelle trattative bilaterali tra le Chiese. Per queste ragioni Battesimo, eucaristia, ministero può considerarsi anche una indicazione e una fonte di ispirazione che apre molte speranze per il cammino futuro dell'ecumenismo.
Le ampie concordanze e convergenze in tema di battesimo, eucaristia e ministero sono completate da un processo ecumenico che ha come obiettivo la professione comune della fede apostolica. Sin dagli inizi dell'epoca neotestamentaria, ma già con prefigurazioni nel Vecchio Testamento, la professione di fede rappresentò un elemento caratteristico essenziale della comunità cristiana. Attraverso di essa la comunità acquisì identità e coesione, e insieme espresse la propria opposizione ai falsi profeti e ai falsi capi, alla tirannia e alla crudeltà. Il poter disporre di un credo espressamente formulato rappresentò per l'antica Chiesa un importante aiuto nel consolidamento della propria unità, ed è quindi comprensibile che la comune professione della fede apostolica sia considerata espressione dell'unità cristiana e condizione imprescindibile per il raggiungimento di quest'ultima. Gli ultimi vent'anni hanno visto un intensificarsi degli sforzi all'interno del movimento ecumenico per raggiungere un'interpretazione e una formulazione comune dei punti centrali della fede. A questo riguardo, nell'ambito di uno studio della Commissione di Fede e Costituzione sul tema ‟Verso un'espressione comune della fede apostolica oggi" è emersa una significativa concordanza nell'interpretazione delle affermazioni del Simbolo di Nicea-Costantinopoli (381) - l'unico credo comune della cristianità occidentale e orientale - una concordanza che comprende anche quelle comunità che per motivi storici o di principio rifiutano di adottare le formulazioni storiche del credo. Si è aperta così la strada verso una professione comune della fede cristiana, strada sulla quale, come suggerito da più parti, un gesto rappresentativo e di grande risalto - come un atto comune di fede cristiana da effettuarsi nel 2000, magari a Gerusalemme - potrebbe costituire una pietra miliare e un incoraggiamento per l'ecumenismo della fede comune.
Un altro elemento essenziale e nuovo nell'ecumenismo della fede è costituito, a partire dagli anni settanta, dai dialoghi teologici bilaterali tra le comunità cristiane mondiali a livello internazionale e tra le loro Chiese a livello nazionale. Resi possibili dal Concilio Vaticano II, questi dialoghi furono in un primo tempo la forma privilegiata della partecipazione cattolica all'ecumenismo. Ben presto, tuttavia, accanto ai dialoghi della Chiesa cattolica con gli ortodossi, gli anglicani, i luterani, i riformati, i metodisti e i battisti, si intrecciarono anche dialoghi tra queste varie comunità. Tali dialoghi, in numero sempre crescente (solo nel 1995 si contano ben 48 dialoghi e giri di consultazione a livello mondiale), hanno dato luogo a un vasto corpus di relazioni e dichiarazioni, in cui le Chiese partecipanti hanno espresso le loro concordanze e convergenze sui seguenti temi: sacramenti, ministero sacerdotale, essenza e missione della Chiesa, autorità nella Chiesa, giustificazione per fede, teologia del matrimonio e problema dei matrimoni misti, forme di unità cristiana, problemi etici, ecc. Al pari del documento di Lima, tali dialoghi hanno contribuito ad ampliare gli orizzonti della riflessione teologica nelle singole Chiese, favorendo nel contempo un arricchimento e un rinnovamento della loro liturgia e della loro vita spirituale nonché l'istituzione di più strette relazioni interecclesiali.
Risultati ancora più concreti i colloqui bilaterali hanno prodotto a livello nazionale o sovranazionale. Tra questi figurano l'accordo sulla comunione eucaristica tra anglicani e luterani negli Stati Uniti (1982), tra la Chiesa metodista tedesca (1986), la Chiesa vetero-cattolica tedesca (1985) e la Chiesa anglicana d'Inghilterra (dichiarazione di Meissen, 1988) da un lato, e le Chiese tedesche, luterana, di Unione e riformista, dall'altro; sono previsti inoltre ulteriori accordi sulla realizzazione di una completa unità dei luterani con gli anglicani e i riformisti negli Stati Uniti.
Nell'ambito di queste convenzioni interecclesiali in vista di una più stretta comunione delle Chiese, un particolare rilievo assume la cosiddetta Dichiarazione di Porvoo (Finlandia) del 1992, elaborata dai rappresentanti di otto Chiese luterane dell'Europa del Nord, dall'Islanda alla Lituania, e di quattro Chiese anglicane dell'Inghilterra e dell'Irlanda del Nord. Scopo di tale dichiarazione è la realizzazione di una completa unione ecclesiale tra le Chiese partecipanti, includendo anche la soluzione del problema della successione apostolica dei vescovi. Diverse Chiese hanno già aderito alla dichiarazione, e ciò fa sperare che la maggioranza dei cristiani dell'Europa settentrionale possa convivere presto in piena unità e comunione. Un ulteriore, significativo passo verso l'unione nella fede è anch'esso frutto dei dialoghi bilaterali: il progetto, elaborato congiuntamente dalla Federazione luterana mondiale e dalla Chiesa cattolica, di una dichiarazione bilaterale nella quale si proclamino superate le reciproche condanne (risalenti al XVI secolo) relative alla dottrina della giustificazione. In questo modo una delle principali controversie che data dall'epoca della Riforma non dovrebbe più costituire un ostacolo sulla strada di una più salda unione tra le Chiese.
4. La partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico
Se il movimento ecumenico costituisce il fenomeno più significativo nella storia ecclesiale del XX secolo, l'ingresso della Chiesa cattolica in questo movimento con il Concilio Vaticano II è senza dubbio il risultato più significativo nella storia dell'ecumenismo. Significativo non solo perché ora, a partire dagli anni settanta, anche la più grande comunità cristiana è coinvolta nella lotta per realizzare l'unità cristiana nella fede, nella testimonianza e nel servizio, ma anche perché la Chiesa cattolica si è inserita in un movimento ecumenico già costituito, anziché creare un proprio ecumenismo separato. Certo, la Chiesa cattolica non ha potuto finora entrare a far parte del Consiglio ecumenico delle Chiese, perché per la sua ecclesiologia essa non può che concepirsi e considerarsi come una Chiesa mondiale e non già come un semplice membro di una comunità di Chiese nazionali. Essa, inoltre, ha sviluppato i propri ‛principî cattolici dell'ecumenismo' (titolo del primo capitolo del decreto conciliare sull'ecumenismo, promulgato il 21 novembre 1964). E tuttavia la Chiesa cattolica si concepisce come parte del movimento ecumenico globale, con cui ha molteplici collegamenti a livello internazionale, regionale, nazionale e locale.
Negli anni ottanta questa tendenza si è ulteriormente rafforzata, non da ultimo grazie a Giovanni Paolo II, che ha sottolineato la partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico con la sua visita al Consiglio ecumenico delle Chiese tenutosi a Ginevra nel 1984. A Roma l'anno successivo sarà il sinodo straordinario dei vescovi a dichiarare nel suo documento conclusivo (Exeunte coetu secundo, II C. 7): ‟dopo vent'anni [dalla conclusione del Concilio Vaticano II] possiamo affermare che l'ecumenismo è profondamente e indelebilmente impresso nella coscienza della Chiesa. Noi vescovi auspichiamo sentitamente che la reale, per quanto ancora incompleta unione con le Chiese e le comunità non cattoliche con l'aiuto di Dio trovi completa realizzazione". L'idea qui espressa di una ‟reale, per quanto incompleta unione" tra le Chiese è un motivo ricorrente in molte dichiarazioni della Chiesa cattolica sull'ecumenismo, sino all'enciclica Ut unum sint del 1995 (sez. 96), e ben esprime il carattere dinamico e l'apertura del rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese. L'unità della cristianità non è solo una speranza per il futuro, ma è già una tendenza del presente e preme per una completa realizzazione.
In questo cammino verso la completa unità dei cristiani, gli strumenti privilegiati della Chiesa cattolica sono il dialogo teologico e l'‛ecumenismo spirituale'. Il dialogo teologico avviene attraverso la presenza stabile nella Commissione Fede e Costituzione e i dialoghi bilaterali condotti sotto la propria responsabilità con tutte le grandi comunità cristiane. Dal 1977 la Chiesa cattolica ha preso parte a livello internazionale a 18 dialoghi e giri di consultazione - una partecipazione superiore a quella di ogni altra Chiesa. Tutti questi dialoghi hanno come obiettivo quello di mettere da parte le condanne reciproche, le differenze fonte di divisione e le gravose controversie del passato, al fine di pervenire a una ‛riconciliazione delle memorie' (reconciliation of memories) che riporti in primo piano la comune fede cristiana. Tra i dialoghi bilaterali, quello con le Chiese ortodosse si è rivelato il più promettente, perché qui esistono già ampie concordanze in materia di fede. Il ritorno alla legalità (dal 1989) delle Chiese ortodosse in comunione con la Chiesa cattolica, che erano state proibite e perseguitate dai regimi comunisti nell'Europa orientale, ha dato luogo in molti casi a una serie di contrasti tra cattolici e ortodossi sull'appartenenza di edifici e di fedeli, inficiando gravemente i rapporti tra le due comunità. Ma pur tra queste difficoltà, non si è cessato, nel dialogo bilaterale, di ricercare la strada per un'intesa. Con la Dichiarazione di Balamand (Libano), del 1993 (Uniatism, method of union of the past), secondo cui l'uniatismo deve essere considerato come un metodo di unione appartenente al passato, il dialogo ufficiale ortodosso-cattolico ha dato un contributo decisivo all'allentamento delle tensioni.
Nell'ambito dell'‛ecumenismo spirituale' la Chiesa cattolica ha sempre sottolineato, nel concerto delle voci ecumeniche, l'importanza della preghiera comune e della riflessione e meditazione collettive sulla Bibbia. La ricerca dell'unità cristiana nel dialogo teologico, nella comune testimonianza cristiana di fronte ai bisogni, ai problemi e alle incertezze dell'uomo contemporaneo e nel comune servizio per tutti coloro che soffrono, deve essere sorretta da un'intima forza spirituale. Per questo motivo la Chiesa cattolica partecipa ufficialmente e attivamente alla settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Negli ultimi vent'anni, e in particolare nell'Europa orientale dopo il 1989, questa settimana di preghiera ha dato luogo ai primi contatti ecumenici nei paesi in cui, sino a quel momento, non sussisteva alcun rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese. Dall'ecumenismo spirituale possono dunque derivare impulsi decisivi per la realizzazione di una più salda unione dei cristiani.
Gli anni ottanta hanno visto l'intensificarsi della partecipazione e della cooperazione ecumenica della Chiesa cattolica a livello regionale e nazionale. In tale ambito un pieno inserimento nelle organizzazioni ecumeniche è più facile, in quanto a questi livelli sono le Chiese cattoliche locali (e non già la ‛Chiesa mondiale') che si incontrano con le Chiese locali di altre confessioni. Le Chiese cattoliche locali sono così diventate membri a pieno titolo di tre organizzazioni ecumeniche regionali (ad esempio, della Conferenza delle Chiese del Pacifico) e di 35 Consigli nazionali delle Chiese. All'interno di queste organizzazioni ha luogo sia uno scambio teologico che una cooperazione pratica nella sfera del sociale, nei media e in altri ambiti. Gli incontri tra le comunità locali, la preghiera collettiva e lo studio della Bibbia costituiscono oggi in molti luoghi le forme naturali di ‛ecumenismo locale'. La ricchezza e l'estensione della cooperazione ecumenica e le molteplici possibilità di realizzare e promuovere una comunità ecumenica sono illustrate nella nuova edizione del Direttorio per l'applicazione dei principî e delle norme sull'ecumenismo (25 marzo 1993). Questa nuova edizione riveduta offre un panorama degli sviluppi ecumenici intervenuti dopo la prima edizione del Direttorio (1967-1970), e prospetta in modo molto concreto le possibilità pratiche di cooperazione, di dialogo, di testimonianza e di unione spirituale. Un rilievo particolare viene dato, a questo proposito, a un compito ancora trascurato da molte Chiese: la formazione ecumenica di laici e sacerdoti. A partire dal 1965 la cooperazione tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese è coordinata, interpretata e promossa dal Gruppo di lavoro comune (Joint Working Group) del Consiglio ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica. La Quinta relazione (1983) e la Sesta relazione (1990) di questo gruppo di lavoro offrono un buon panorama degli sviluppi della cooperazione nei seguenti ambiti: il dialogo teologico, i rapporti regionali e nazionali, i matrimoni misti, l'educazione ecumenica, la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, la riflessione e l'azione sul piano etico-sociale, il rinnovamento e la spiritualità della vita ecclesiale, la cooperazione internazionale nelle situazioni di bisogno in diverse parti del mondo.
La comunione eucaristica tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese ufficialmente non è ancora possibile. Molti sperano che essa, come espressione di una ‟reale, per quanto incompleta unione", sia presto attuabile, magari come atto conclusivo dell'ecumenismo di questo secolo, perlomeno in determinate situazioni e occasioni (ad esempio, i matrimoni misti, i gruppi e le conferenze ecumeniche, gli istituti ecumenici, gli ospiti ecumenici nei conventi, ecc.). Questa speranza è stata rafforzata dall'ultima enciclica di Giovanni Paolo II, Ut unum sint (1995), in cui non solo viene riconfermato l'impegno ecumenico della Chiesa cattolica, ma viene anche chiaramente riconosciuta la natura ecclesiale delle Chiese e delle comunità non cattoliche, come già era avvenuto nei testi del concilio Vaticano II. L'enciclica assume un carattere particolare per il fatto che il pontefice, pienamente consapevole dell'ostacolo che il suo ministero, nella forma attuale, rappresenta per le altre Chiese, invita a pensare con lui nuove forme da conferire a tale ministero, più adeguate di quelle attuali all'unità universale di tutti i cristiani. L'idea che l'ecumenismo non sia solo un ‛aggiornamento' tra Chiese, ma debba comprendere anche una riforma e un rinnovamento della vita e del pensiero ecclesiale, potrebbe trovare realizzazione in questa riflessione comune.
5. Nuovi orientamenti e nuovi accenti dell'ecumenismo
L'ecumenismo e il movimento ecumenico non sono solo un complesso di idee, sforzi e attività ecumeniche. Al pari di tutti i fenomeni e i movimenti storici, anche l'ecumenismo - la lotta per l'unità della Chiesa di Gesù Cristo nella vita e nella fede, nella testimonianza e nel servizio - è sempre stato improntato e definito da orientamenti e accenti particolari. Senza di essi un movimento, nella complessità della storia contemporanea, perderebbe la sua dinamica e i suoi obiettivi, il suo profilo e la sua specifica identità. E poiché l'ecumenismo è un movimento dinamico, si rendono necessari sempre nuovi orientamenti e nuovi accenti, quali li ritroviamo appunto a partire dal 1977.
Negli ultimi anni in molti studi e dichiarazioni ecumenici è emersa sempre più in primo piano una determinata concezione della Chiesa e della sua unità, che potrebbe rivelarsi di importanza decisiva per l'ulteriore cammino del movimento ecumenico. Si tratta della concezione della Chiesa e dell'unità ecclesiale come communio, comunione. L'importanza di questo concetto, non certo nuovo, per l'ecumenismo risiede nel fatto che esso è particolarmente adatto a orientare le varie attività ecumeniche verso una visione comune, integrandole, interpretandole e unificandole nella sua cornice teologica globale. Prima d'ora non si era mai dato un siffatto concetto unificante. Ma quali sono i suoi elementi e i suoi aspetti più significativi?
Nel Nuovo Testamento il termine koinonía/communio designa la comunione dei credenti con il Dio uno e trino, e l'unione reciproca dei credenti che da essa si sviluppa. Questa koinonía si esplica sia come partecipazione alla parola di Dio e al corpo e al sangue di Cristo, sia anche come condivisione di beni materiali e spirituali. In questo modo la dimensione ‛verticale' e quella ‛orizzontale' della comunità cristiana vengono intrecciate tra loro. La koinonía è dono del Dio uno e trino, non opera dei cristiani. Essa consente di partecipare alla vita divina, alla grazia e ai doni spirituali (charismata), e modella tutti gli aspetti della vita della comunità. Questa comprende la celebrazione della liturgia, nonché la comunione e la reciprocità nella fede, nel credo, nel servizio verso i bisognosi, nello scambio di beni spirituali e materiali, nella partecipazione di tutti a pieno titolo alla comunità: donne e uomini, giovani e vecchi, sacerdoti e non sacerdoti, uomini di ogni razza, nazionalità e classe sociale. Con il concetto di koinonía si viene dunque a definire una visione della Chiesa che include sia il suo fondamento divino, sia la qualità della sua vita e della sua missione nella storia dell'umanità.
La communio come tratto strutturale della Chiesa viene realizzata in concreto dalle istituzioni divine della Parola di Dio, dei sacramenti e del ministero sacerdotale, che contribuiscono tutti alla costruzione e alla coesione della comunità in ogni luogo e nello stesso tempo all'unione, alla comunione universale di tutte le comunità locali in tutti i luoghi. Il concetto di koinonía/communio può unificare e collegare tra di loro gli elementi istituzionali e personali, individuali e collettivi, locali e universali, spirituali-intellettuali e materiali della Chiesa. Nello stesso tempo la koinonía/communio trascende i confini ecclesiali e si rivolge a tutti gli uomini nell'assistenza, nella compassione e nella solidarietà. Essa è ‛comunità per gli altri', uno strumento della volontà divina redentrice e trasmutatrice per tutti gli uomini, una prefigurazione di quella koinonía che Dio vuole per tutti alla fine dei tempi.
Questo concetto è stato assunto come orientamento di fondo dalla Settima assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese tenutasi a Canberra nel 1991, nel quadro di una nuova definizione dell'obiettivo dell'unità della Chiesa. Già il titolo della importantissima dichiarazione dell'assemblea, Unità della Chiesa come koinonía: dono e vocazione (v. Signs of the Spirit, 1991, pp. 172-174), ha un carattere programmatico. Esso indica che il concetto tradizionale, ma anche ambiguo e abusato, di ‛unità', il motivo conduttore del movimento ecumenico, d'ora in poi deve essere inteso sulla base di quello dinamico, globale e integrante di ‛koinonía'. In questa dichiarazione, dunque, la lotta per l'unità della Chiesa come ‛koinonía' viene inserita nel disegno salvifico di Dio per il creato e l'umanità e nella storia del movimento ecumenico con le sue importanti, positive trasformazioni e le molteplici possibilità, non ancora recepite dalle Chiese, di una più stretta comunione. L'obiettivo di una koinonía improntata alla molteplicità nella comune professione della fede apostolica, nei sacramenti e nei ministeri, nella comune liturgia e testimonianza, nelle assemblee conciliari e nel servizio comune nel mondo, sarà dunque veramente - e questa è l'affermazione culminante della dichiarazione - ‟una comunità completa" in cui ‟tutte le Chiese potranno riconoscere nelle altre la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica in tutta la sua pienezza" (ibid., p. 173).
Rispetto a questa dichiarazione relativamente breve e pregnante, il concetto di koinonía si ritrova due anni più tardi, nel 1993, quale motivo dominante di tutti i contributi, le discussioni e le relazioni della Quinta Conferenza mondiale di Fede e Costituzione, tenutasi a Santiago de Compostela, in Spagna. Questo orientamento era già indicato chiaramente dal tema della Conferenza: ‟Verso la koinonía nella fede, nella vita e nella testimonianza", che presentava un bilancio degli sviluppi e dei progressi ecumenici verificatisi nei trent'anni dalla Quarta Conferenza mondiale di Fede e Costituzione (Montreal, 1963). Venivano menzionati con gratitudine i profondi, positivi mutamenti avvenuti nei rapporti tra le Chiese cristiane: il fatto che la conferenza si svolgesse in un luogo tradizionale di pellegrinaggio spagnolo poteva essere considerato una testimonianza vivente di una già raggiunta koinonía, e un'ulteriore conferma in questo senso era data dal fatto che la Chiesa cattolica partecipava per la prima volta in forma ufficiale a una Conferenza mondiale del movimento ecumenico. Dal bilancio e dall'esperienza attuale della comunità ecumenica si traevano nello stesso tempo indicazioni per il pellegrinaggio futuro dell'ecumenismo, che nella realizzazione della koinonía, della comunione completa, ha il suo obiettivo fondamentale. Ciò significa che dopo Santiago de Compostela, con l'ausilio del concetto di koinonía è possibile superare la tendenza dominante in passato a privilegiare in maniera unilaterale questa o quella dimensione dell'ecumenismo: l'ecumenismo della fede o della missione, o della comune azione sociopolitica. Come nel tema della conferenza, così anche nei suoi risultati, fede, vita, testimonianza e servizio si affermano come elementi collegati e inseparabili della koinonía/communio, già sperimentata dalla Chiesa, ma che si rende necessario definire, approfondire e ampliare ulteriormente.
Lo scopo, il sogno del movimento ecumenico è stato ridefinito e chiarito, ma anche per il cammino e i compiti futuri dell'ecumenismo sono emersi negli ultimi anni nuovi problemi e nuovi accenti. Tra questi figurano: a) l'esortazione sempre più pressante alle Chiese affinché con un coraggio e una coerenza assai maggiori che in passato traducano e applichino sul piano concreto gli esiti del dialogo ecumenico, e affinché si impegnino più attivamente nel compito della ‛recezione'; b) la crescente importanza del dialogo interreligioso in un mondo in cui molti conflitti sono accompagnati o ulteriormente acuiti da componenti religiose; c) la discussione ecumenica sui ministeri e i servizi della donna nella Chiesa, e l'avvio di un dialogo più serrato sulle diverse concezioni e decisioni a ciò connesse in rapporto al sacerdozio e all'episcopato delle donne; d) l'istituzione di relazioni e forme di cooperazione ecumeniche nei paesi ex comunisti dell'Europa orientale; e) una partecipazione ancora più intensa della comunità ecumenica alle riflessioni filosofiche, politiche e scientifico-tecnologiche sul futuro dell'umanità.
Altre due nuove problematiche meritano di essere menzionate. In primo luogo, è ormai chiaro che il movimento ecumenico, il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica non possono più ignorare i movimenti, le comunità e le Chiese evangeliche, carismatiche e pentecostali. Questi movimenti e comunità si diffondono rapidamente, anche all'interno delle grandi Chiese, ed entro pochi anni costituiranno la parte più cospicua della cristianità non cattolica nell'emisfero meridionale. Accanto ai gruppi fondamentalisti, che dimostrano il loro antiecumenismo anche attraverso un proselitismo senza scrupoli, esistono gruppi carismatici, evangelici e pentecostali che si occupano seriamente di questioni teologiche, evidenziando sorprendenti affinità, ad esempio, con la tradizione orientale ortodossa. Questi gruppi cercano inoltre di unirsi alle più grandi comunità ecumeniche per non ritrovarsi in un isolamento pericoloso. Il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica hanno cominciato a instaurare dei contatti con tali gruppi, ma questi contatti devono diventare più estesi e più intensi, perché è in gioco la configurazione futura dell'ecumenismo e della cristianità.
In secondo luogo, in questi ultimi anni è emerso chiaramente come tanto le grandi comunità cristiane mondiali (ad esempio, la comunità anglicana, la Chiesa cattolica) quanto il movimento ecumenico debbano affrontare il problema di un crescente pluralismo. È ormai convinzione diffusa che l'unità della Chiesa come koinonía vivente deve includere una molteplicità di forme d'espressione teologiche, liturgiche e pastorali. E nella koinonía dovranno trovare alimento lo scambio volto al reciproco arricchimento e le spinte al rinnovamento della vita e della testimonianza cristiane. È altresì convinzione diffusa che il rapporto assai discusso negli ultimi anni tra ‛vangelo e cultura' implica tra l'altro che l'annuncio e l'interpretazione della fede cristiana e le forme di vita cristiana ed ecclesiale debbano assumere forme diverse nei diversi contesti culturali, religiosi e sociali, se vogliono conquistare gli uomini e acquistare significato ai loro occhi. Ma questa realtà e questa volontà di pluralismo pongono il problema dei limiti da assegnare alla molteplicità e al rapporto tra particolare e universale. Quali devono essere i fondamenti della fede universalmente validi e quindi vincolanti? E in quali ambiti e in quali forme il pluralismo si dimostra possibile e significativo? All'interno del dibattito ecumenico dei prossimi anni si dovranno trovare soluzioni convincenti a queste questioni, onde evitare che un giorno alle divisioni confessionali ormai superate subentrino ulteriori divisioni, questa volta legate alle diversità dei contesti socioculturali. In un mondo diviso da particolarismi etnici, nazionali, sociali e religiosi, all'ecumenismo spetta il compito di trovare soluzioni esemplari per la coesistenza di pluralismo e unità/comunione, e di contribuire altresì ad attuare tali soluzioni nei diversi paesi e regioni.
Guardando indietro, l'umanità del Duemila ricorderà come il movimento ecumenico abbia profondamente modificato il volto della cristianità nel XX secolo, come in molti luoghi sia nata e stia tuttora nascendo una koinonía là dove prima dominavano conflitti, tensioni e contrasti non cristiani, o forme di coesistenza improntate all'isolamento reciproco. Grazie a queste trasformazioni e all'impegno comune per un mondo più umano, la storia dell'ecumenismo ha esercitato un'influenza sulla storia mondiale che va ben oltre l'ambito circoscritto delle Chiese. Ma l'umanità del Duemila chiederà anche alla cristianità se essa, all'inizio del terzo millennio, sarà in grado di realizzare e vivere finalmente una piena comunione, una koinonía che sia un segno verace della riconciliazione all'interno della cristianità e dell'impegno cristiano per la conciliazione dell'umanità. Con ciò però l'ecumenismo non sarà giunto al termine del suo cammino, poiché una piena e perfetta unità non esisterà mai in una Chiesa che reca l'impronta della debolezza umana e della complessità della storia. E tuttavia l'ecumenismo avrà ottenuto che una parte della cristianità più ampia e rappresentativa di quella attuale sia legata in una koinonía di fede, testimonianza e servizio, compiendo così la volontà di Dio e contribuendo al benessere dell'umanità.
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