EDITORIA
Il quadro di riferimento. Le tre parti dell’editoria libraria. Evoluzione recente e tendenze future. Orizzonti digitali. Bibliografia
Si può ragionevolmente ritenere che il millenario cammino del libro, o meglio del libro di carta, o, più precisamente ancora, del libro cartaceo nella sua ultima e più sofisticata versione, che è quella propria dell’e. industriale, abbia raggiunto un suo culmine attorno al 2007. Prima cioè che avesse inizio la recessione economica che si avvia, in varie forme e con varia intensità, a raggiungere una durata decennale. È improbabile, infatti, che, anche a recessione terminata, il libro cartaceo, prodotto dell’e. industriale, riesca non solo a riguadagnare le posizioni perdute per ragioni economiche, ma persino a sostituirsi al libro elettronico o digitale o e-book che dir si voglia. La cui crescita, anche se non impetuosa come molti avevano temuto e molti altri auspicato, è tuttavia con ogni evidenza inarrestabile. È dunque possibile far centro attorno al 2007 per descrivere sommariamente l’e. libraria classica, cioè prevalentemente cartacea, nel momento della sua massima fioritura e per seguirne poi il processo evolutivo come variazione e differenza rispetto a quel culmine.
Il quadro di riferimento. – Il principale merito storico dell’e. industriale è stato quello di cambiare l’ordine di grandezza dei lettori di libri. Già la stampa, a partire dalla metà del 15° sec., aveva permesso di passare dalle migliaia del mondo antico e del Medioevo alle decine e poi alle centinaia di migliaia. Ma solo la forma industriale dell’e., che si è affermata nella seconda metà del 19° sec. e ha raggiunto la sua piena compiutezza soltanto dopo il secondo conflitto mondiale, ha permesso di raggiungere i milioni. Sempre pochissima cosa, però, rispetto alla popolazione mondiale che oggi tocca i 6,6 miliardi.
Nella scala che congiunge la popolazione mondiale ai lettori di libri, il primo gradino è costituito dall’alfabetizzazione. Che grosso modo si articola in tre fasce. La prima comprende la quasi totalità dell’Europa e l’America Settentrionale, con una popolazione di circa 700 milioni di abitanti e un’alfabetizzazione attorno al 98-99%. La seconda, costituita dai Paesi emergenti, è di gran lunga la più rilevante, visto che conta 5,2 miliardi di abitanti. Gli alfabetizzati qui sono tra il 50 e il 60%, cioè poco più di metà della popolazione. La terza infine, composta di circa 622 milioni di persone e di Paesi in condizioni di forte arretratezza, si attesta su percentuali notevolmente inferiori. In sostanza, poco meno di metà della popolazione mondiale non ha mai avuto contatto alcuno con un libro, neppure nella versione elementare di un abbecedario. Ma quanti in questa metà scarsa hanno letto un libro non d’istruzione primaria? Non c’è una risposta scientificamente certa per mancanza di dati, di dati omogenei e di dati attendibili. Si può invece, con un semplice ragionamento, avanzare un’ipotesi sensata. Nei Paesi della prima fascia, dove l’alfabetizzazione è di fatto totale, la percentuale dei lettori di libri (un libro l’anno) oscilla, qualunque sia il sistema di calcolo, tra il 40 e il 60% della popolazione. Applicando (con molta generosità) le medesime percentuali agli alfabetizzati nel mondo, si giunge all’approssimatissima, ma interessante, conclusione che i lettori di libri (sempre un libro l’anno) oscillano tra un quarto e un terzo dell’umanità. Tra 1,6 e 2,2 miliardi. E, per converso, che i due terzi nella migliore e i tre quarti nella peggiore non leggono libri. Seguendo il medesimo ragionamento, ci si può anche approssimare al numero dei lettori abituali (da sei libri l’anno in su) nel mondo. Considerato che i lettori abituali oscillano a loro volta tra il 40 (un po’ meno in Italia) e il 60% dei lettori di almeno un libro l’anno, si può ragionevolmente ritenere che i lettori abituali di libri siano compresi tra il 10 e il 20% della popolazione mondiale (tra il 40% di un quarto e il 60% di un terzo). Tra 660 milioni e 1,2 miliardi. Non pochi, ma neppure molti, comunque una minoranza e una minoranza esigua. Da uno su dieci a uno su cinque.
Non si va molto lontani dal vero se si stima tra i 65 e i 70 miliardi di euro il valore annuo del mercato mondiale del libro. Si ottiene questo risultato sommando dati abbastanza certi a congetture fortemente approssimate. Abbastanza certi sono i circa 23 miliardi dei cinque Paesi europei comparabili, tra i quali cioè ha senso fare confronti. Nell’ordine Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna. Aggiungendo con minor certezza e con qualche ottimismo tutto il resto d’Europa, si può arrivare a una stima di 32-33 miliardi di euro. Molto attendibili sono i 17 del mercato statunitense. I 15 o 20 miliardi mancanti si ottengono da tutto il resto del mondo, dove si stima a 7 il mercato giapponese, mentre non è possibile ipotizzare una dimensione attendibile per quello cinese. Si tenga inoltre presente che mercato e diffusione reale del libro spesso non coincidono: per es., i libri scolastici, spesso prodotti e forniti dallo Stato, non rientrano sempre nel mercato.
Infine, esistono in commercio al mondo tra gli 11 e i 12 milioni di libri, intesi come titoli. A essi andrebbero aggiunti tutti i libri ancora esistenti, ma non più in commercio, conservati nelle biblioteche. Un numero, quest’ultimo, allo stato impossibile da calcolare.
Le tre parti dell’editoria libraria. – Dei principali aspetti del libro – consistenza fisica, contenuto, pubblico e forma – il primo, ossia la fisicità, è quello che ha storicamente identificato il libro in quanto tale. Nulla, infatti, hanno in comune una raccolta di barzellette e un trattato di meccanica quantistica se non quell’oggetto fisico chiamato libro. Tolto il quale, tolto cioè l’aspetto fisico, si apre lo spazio di un’infinita eterogeneità che però, a ben vedere, si può ridurre a due categorie eterogenee, a due tipi di libri. È questa una distinzione fondamentale che fa riferimento all’uso, allo scopo, al telos, aristotelicamente parlando, del libro. Si danno due casi: o il libro serve a qualcosa di specifico, in genere a fare qualcosa, ma soprattutto a sapere qualcosa; o, a rigore, non serve a niente, nel senso che non ha alcuna utilità immediata. Alle due categorie corrispondono due tipi di lettura, la prima che chiamiamo funzionale e la seconda che chiamiamo non funzionale. Ma anche forme di business molto diverse, la prima guidata dalla domanda e la seconda dall’offerta. Un manuale per imparare la lingua inglese, un’enciclopedia, un dizionario rientrano nel primo tipo: servono a uno scopo specifico, vengono letti in funzione di questo scopo ed esiste una precisa domanda del mercato che li richiede. Viceversa Guerra e pace, i racconti del premio Nobel Alice Munro, ma anche il libro di un politico alla moda oppure un racconto della campagna di Napoleone in Russia non sono stati concepiti in vista di alcuno scopo se non quello appunto di scriverli. La loro lettura non è funzionale a null’altro che non sia la lettura stessa e non vi è alcuna domanda preesistente che richieda quello specifico libro. Si muovono dunque in un mercato guidato dall’offerta, ossia il mercato se lo crea il libro stesso nel momento in cui viene pubblicato. L’opposizione funzionale/non funzionale e quelle conseguenti e associate non sono accademiche ma pratiche. Se le traduciamo nei termini più comprensibili di e. di conoscenza e di e. d’evasione, possiamo dire che i libri dell’e. di conoscenza si fabbricano, quelli dell’e. d’evasione no. L’idea dei primi è dell’editore, dei secondi dell’autore. Lo stesso dicasi per la proprietà: nell’e. di conoscenza è dell’editore, nell’e. d’evasione dell’autore. Quest’ultima si viene così a trovare nella singolare posizione di essere l’unica industria che non fabbrica (nel senso che non crea) i propri prodotti e neppure li possiede. In effetti, l’editore di narrativa e di saggistica possiede, a rigore, la carta e l’inchiostro dei suoi libri, mentre ha solo in licenza, e temporaneamente, la cosa veramente importante, cioè il contenuto. I due mondi del libro, quello della conoscenza e quello dell’evasione da un punto di vista dimensionale – quanto sono grandi in termini di ricavi, ma non, come vedremo, di profitti –, grosso modo si equivalgono, sono eguali. Il che conferma e conforta la semplice e comune intuizione che le due cose vanno più o meno di pari passo. Occorre, tuttavia, precisare che la prima categoria, quella dei libri utili o funzionali ossia dell’e. di conoscenza, è divisa a sua volta in due parti che danno luogo a due distinte e specifiche forme di editoria. Da un lato vi è l’e. scolastica, che comprende le scuole di ogni ordine e grado e che negli Stati Uniti include anche il college. Dall’altro l’e. scientifica, denominata originariamente STM (Scientific Technological Medical), ma più di recente, in seguito alla sua estensione all’e. professionale – prevalentemente finanziaria e legale – ribattezzata APR (Academic Professional Reference). Nel suo insieme dunque l’e., come la Gallia di Cesare, si divide in tre parti. L’e. di evasione, che non ha un nome specifico, ma viene chiamata trade, cioè commerciale, in inglese, Belletristik in tedesco e spesso in italiano varia, un termine che tautologicamente afferma la genericità del generico. L’e. scolastica o educativa o, in inglese, educational. Infine l’e. scientifica e professionale, spesso abbreviata in STM o in APR.
Evoluzione recente e tendenze future. – Tradizionalmente l’e. libraria aveva spiccate caratteristiche nazionali dovute principalmente alla barriera linguistica. Nell’ultimo decennio tuttavia almeno tre fattori hanno interagito trasformando quello librario in un business tendenzialmente globalizzato. Il principale di questi fattori è stato la crescita e la sempre maggiore profittabilità del settore scientifico e professionale, STM o APR che dir si voglia. Si tratta di una produzione difficilmente riconducibile al concetto classico di libro, costituita in prevalenza da un flusso pressoché continuo di informazioni on-line, tutte in lingua inglese.
Un secondo fattore, riguardante l’e. educational, è stato quello del crescente diffondersi di modelli educativi anglosassoni con la conseguente adozione dei medesimi testi, anche se tradotti nelle lingue nazionali, in una sempre più larga varietà di Paesi. Per non dire del rilievo, anch’esso sempre crescente, dell’ELT (English Language Teaching), vero e proprio, ossia di tutti i testi legati all’apprendimento della lingua inglese.
Il terzo e ultimo fattore, che tocca invece l’e. trade o di varia, è la crescente concentrazione di case editrici di nazionalità diverse in gruppi sovranazionali. L’e. libraria non è oggi globalizzata, ma non c’è dubbio che si stia muovendo in questa direzione. Nell’insieme questo processo tende a ridurre di numero e ad aumentare di dimensione le case editrici o i gruppi dell’e. libraria. Nel 2013 vi è stata nel mondo una cinquantina di gruppi e case editrici che hanno toccato o superato i 150 milioni di euro di ricavi netti. I primi dieci hanno da soli superato la metà dei ricavi di tutti i cinquanta. Di questi primi dieci, quattro, che si classificano dal quinto all’ottavo posto, sono gruppi di e. trade o di varia. Nell’ordine Random House, Hachette Livre, Holtzbrinck, Planeta, rispettivamente tedesco, francese, tedesco, spagnolo. Tre, che si classificano al secondo, terzo e quarto posto, sono di e. scientifica e professionale, STM o APR. Nell’ordine Reed Elsevier, anglo-olandese-statunitense, Thomson Reuters, statunitense, Wolters Kluwer, dei Paesi Bassi. Infine tre, che si classificano al primo, nono e decimo posto, sono di e. scolastica o educational: Pearson, inglese, Cengage, statunitense, Mc-Graw Hill Education, statunitense. Pearson, primo gruppo di e. libraria al mondo, ha nel 2013 registrato ricavi per 5,655 miliardi di euro. Si noti che il capitale statunitense non è più presente nel capitale dei grandi gruppi dell’e. di varia, nonostante che il mercato statunitense sia di gran lunga il più vasto e fiorente.
L’aspetto più importante è la diversa evoluzione negli ultimi anni dei tre segmenti dell’e. libraria, facendo sempre riferimento ai primi dieci gruppi o case editrici al mondo. Nel 2008 l’e. scientifica e professionale, STM o APR, contava per il 40% dei ricavi totali. Il restante 60% era equamente, 30 e 30, diviso tra education e trade. Nel 2013 l’STM è rimasta pressoché stabile, passando soltanto dal 40 al 42%. Ma tra education e trade si è aperto un abisso. L’education è salita dal 30 al 35%, mentre la trade crollava dal 30 al 23%. Tra i due vi sono oggi ben dodici punti di differenza. Nel suo insieme, e per quanto ridotto ai soli dieci protagonisti maggiori, il panorama è di una chiarezza cristallina. L’e. scientifica e professionale, forte insieme della sua altissima profittabilità (margini di profitto superiori al 20%) e del carattere necessitato del proprio prodotto (i suoi fruitori non ne possono assolutamente fare a meno) è quantitativamente la più importante. È vero che solo con un notevole sforzo di fantasia quel che produce può ancora essere chiamato libro, ma è anche vero che le informazioni di grandissimo valore che vengono così veicolate per essere concretamente fruibili devono essere, e al massimo grado, editate. L’e. scolastica o educational è in impetuosa espansione. In tutti i Paesi, nei più avanzati come nei più arretrati, la domanda di istruzione cresce vertiginosamente. E, soprattutto, non conosce limiti. I libri scolastici non sono un’appendice, ma la sostanza dell’istruzione. Non è difficile prevedere un’accelerazione della loro crescita. Si tenga conto che, per finanziare i forti investimenti richiesti da un settore in grande espansione, il gruppo Pearson non ha esitato a vendere a Bertelsmann (le cui attività di e. libraria sono raccolte sotto il marchio Random House) la perla assoluta dell’e. inglese, ossia Penguin. Altrettanto evidente è il declino, non drammatico, non catastrofico, ma costante dell’e. trade o di varia. Esclusa la piccola parte dell’e. di varia che ha o aspira ad avere valore artistico, ossia la (possibile) letteratura, tutto il rimanente, destinato all’evasione, all’intrattenimento o anche all’informazione e alla riflessione, si trova a competere non solo con una ricchissima e spesso sofisticata offerta televisiva, ma anche con la crescente abitudine all’offerta e alla comunicazione on-line. Con lo svantaggio, rispetto all’offerta televisiva (si pensi alle serie), di richiedere una presenza attiva e quindi faticosa. E rispetto all’offerta on-line di non consentire alcuna forma di interattività, di presenza e intervento del fruitore. Stretta in quest’angolo l’e. di varia attraversa uno dei momenti più difficili della sua esistenza. Di fronte alla lenta, ma allo stato inesorabile contrazione dei propri ricavi cerca di reagire riducendo i costi. E tra i costi ci si appunta particolarmente su quelli non direttamente coinvolti nel processo editoria le, che riguardano le funzioni amministrative, finanziarie, in genere gestionali, oppure la commercializzazione e distribuzione dei prodotti. È questo il senso delle aggregazioni tra gruppi dell’e. di varia che si sono susseguite negli ultimi anni. Oltre a quella tra Penguin e Random House, in Francia quella tra Gallimard e Flammarion, in Spagna ancora tra Random House e Santillana, in Italia quella, probabile, tra Mondadori e RCS.
Orizzonti digitali. – A conti fatti e a circa vent’anni dalla comparsa del termine e-book si può fondatamente asserire che la rivoluzione elettronica è nell’insieme più lenta e meno sconvolgente di quella determinata 450 anni fa dall’avvento della stampa a caratteri mobili. La prospettiva messianica e apocalittica più volte annunciata, spesso auspicata e a volte temuta, non si è fino a ora realizzata. Il che non significa che l’applicazione delle tecnologie digitali alla produzione e alla diffusione di libri sia un fatto secondario o, tantomeno, trascurabile, ma che sta avvenendo con tempi e con modalità diverse da quelle, per fare un esempio, che hanno accompagnato l’affermazione – esplosiva – dei telefoni cellulari. Rifacendosi ancora una volta alla tripartizione dell’e. libraria in scientifica e professionale (STM o APR), scolastica/educativa o educational e di varia o trade, balzano immediatamente agli occhi la diversità e la peculiari tà di comportamento di ciascuno di questi tre settori rispetto alla rivoluzione elettronica. Nell’e. scientifica e professionale, settore tendenzialmente maggioritario nei ricavi e con profitti che si aggirano tra il 20 e il 22% per raggiungere a volte il 25%, il passaggio all’e-book è in larga misura un fatto compiuto. Nei maggiori gruppi editoriali i suddetti ricavi provengono dal 60 al 90% da prodotti digitali. Hanno relegato i prodotti spregiativamente definiti cartacei, ossia i libri comunemente intesi, a una funzione secondaria e ancillare. La stessa nozione di libro è divenuta qui del tutto obsoleta. I prodotti sono forme di testualità le più varie che si distinguono per la tempestività e l’accuratezza con cui vengono editate e rese disponibili all’interno di un flusso in linea di principio continuo. Con un’interessante ibridazione tra l’idea classica di libro e quella di periodico – le altrettanto classiche riviste scientifiche – quando non addirittura di quotidiano.
Diverso è il caso dell’e. educativa. Anche qui la tendenza è all’ibridazione, ma in un senso completamente diverso. L’ibrido qui è il singolo prodotto che ha una parte testuale classica e cartacea che presume un processo di apprendimento tradizionale, in forma enunciativa ed espositiva. Ma che è supportato da una parte digitale che non solo comprende ogni sorta di ipertesto e di materiale a corredo, ma consente anche di verificare e controllare l’avvenuto apprendimento. In sostanza, per il crudo imparare pare che il vecchio libro non abbia eguali; per esercitarsi e sapere quel che davvero si è imparato, è meglio ricorrere sempre più ampiamente al digitale. Se, com’è assolutamente verosimile, la domanda di istruzione e di conoscenza s’impennerà nei prossimi decenni, è molto probabile che per economicità di produzione e per facilità di diffusione si rivolgerà soprattutto a prodotti digitali o ad alta componente digitale. Il settore che nonostante le più o meno interessate profezie e nonostante il massiccio apparato ideologico si è finora mostrato più refrattario alle nuove tecnologie è quello della varia o trade. Qui le vendite di e-book sono sì cresciute impetuosamente giungendo a occupare circa il 25% del mercato, ma solamente in due Paesi, Stati Uniti e Regno Unito, e soprattutto anche in questi due Paesi, una volta raggiunto quell’alto livello, sembra che si siano stabilizzate o che crescano a un ritmo decisamente meno sostenuto. In tutti gli altri Paesi (tra cui l’Italia, che si attesta sui valori più bassi) la percentuale di e-book è decisamente inferiore, tra il 5 e il 10%, e nulla fa pensare che in un futuro ragionevolmente prossimo possa superare il valore dei Paesi anglosassoni. Dunque, nell’e. di varia gli e-book paiono muoversi entro un perimetro largo – un quarto del mercato non è poco – ma precisamente delimitato.
Non è tuttavia questo l’aspetto più rilevante. Le caratteristiche più interessanti sono altre due. La prima riguarda il fatto che nel caso dei libri di varia la versione digitale è appunto solo una versione, cioè una copia uno a uno, del libro tradizionalmente inteso, ossia cartaceo. Esistono certamente libri di varia solo digitali, ma o restano confinati all’interno di una sorta di nicchia e riserva o raggiungono un pubblico più vasto (a volte molto più vasto) solo quando, invertendo la tendenza che sembrerebbe naturale, vengono trasferiti nel tradizionale formato cartaceo. La seconda caratteristica è che nonostante la sconfinata libertà della rete, non sono nate case editrici in formato solo digitale né si è diffusa la tendenza da parte di autori affermati a pubblicare autonomamente i propri libri in formato digitale. In sostanza, per quanto riguarda il fronte dell’offerta e dei suoi protagonisti, cioè gli editori, la situazione è rimasta immutata. Con l’unica differenza semmai che gli editori tradizionali trovano piuttosto vantaggioso vendere e-book anziché libri tradizionali e, se fosse per loro, gradirebbero uno sviluppo di questo mercato ben oltre gli attuali confini. È questa, a ben vedere, la fondamentale differenza con l’avvento, quasi cinque secoli fa, della stampa. Quando i precedenti attori del mondo del libro vennero in brevissimo tempo spazzati via e sostituiti da figure completamente nuove e fin lì, è il caso di dirlo, inedite.
Bibliografia: Una sintesi generale sull’editoria libraria contemporanea negli ultimi capitoli della seconda parte e in tutta la terza parte di G.A. Ferrari, Libro, Torino 2014. I dati e il metodo di calcolo del numero dei lettori derivano, con qualche minore modifica, dal saggio di G.A. Ferrari, Libri e futuro, in XXI Secolo. Comunicare e rappresentare, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2009, pp. 185-203. Le informazioni concernenti le performance economiche di società e gruppi editoriali derivano da Le classement de l’édition mondiale, rassegna pubblicata annualmente da «Livres hebdo» in Francia (per il 2012 nel nr. 959 del 21 giugno 2013) e ripresa in Germania da «Buchreport», negli Stati Uniti da «Publisher’s weekly», nel Regno Unito da «The bookseller» e in Brasile da «Publish News Brazil». Per il 2014, con dati relativi al 2013, è stato pubblicato solamente on-line il rapporto di Rüdiger Wischenbart, The global ranking of the publishing industry 2014 (http://www.wischenbart.com/upload/ GlobalRanking-of-the-Publishing-Industry_2014_Analysis. pdf). Infine, per quanto riguarda presente e probabile futuro del libro elettronico, G. Ronacaglia, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Roma-Bari 2010.