Poeta inglese (Londra 1552 circa - ivi 1599). Studiò a Cambridge, dove si legò d'amicizia con G. Harvey, dedicandosi poi agli studî classici (soprattutto Platone, nell'originale e attraverso i neoplatonici fiorentini) e ai moderni (poeti italiani e francesi). Entrato (1578) al servizio del conte di Leicester (probabilmente per intercessione di Harvey), formò con Ph. Sidney, J. Dyer e altri un club letterario, l'Areopagus. Nel 1579 pubblicò una delle sue opere maggiori, The shepheardes calender, che dedicò a Sidney; sono dodici egloghe pastorali in cui, sotto lo pseudonimo di Colin Clout, esprime i suoi intimi sentimenti amorosi e morali, vibranti di fede protestante. Gli anni seguenti li trascorse in Irlanda, dove si era recato nel 1580 come segretario del governatore, lord A. Grey of Wilton. Per suggerimento di Sir W. Raleigh, si recò (1589) a Londra e fu presentato alla regina, cui dedicò poi i primi tre libri della Faerie queene (pubbl. 1591); scrisse varî componimenti poetici per altri personaggi (The ruines of time, l'elegia Daphnaida); ma deluso nelle sue speranze di avanzamento, tornò (1591) in Irlanda, dopo aver raccolto nel volume dei Complaints poesie varie, satire (tra cui The teares of the Muses, The ruines of time e Mother Hubberd's tale, una satira di gusto e stile chauceriano) e il poemetto Muiopotmos. I suoi viaggi, il suo ritorno a Londra e le sue impressioni d'Irlanda sono raccontati nel poemetto Colin Clout's come home againe, pubblicato (1595) con Astrophel, elegia in morte di Sir Philip Sidney. In una collana di sonetti, Amoretti, e nell'Epithalamion celebrò il suo corteggiamento e il suo matrimonio con Elizabeth Boyle (1594). Quindi (1596) pubblicò altri tre libri di The faerie queene con l'altra lirica nuziale Prothalamion, mentre scriveva (1598 circa) il trattato (pubbl., post., 1633) View of the present of Ireland, adattamento delle teorie machiavelliche alle contingenze irlandesi. Nel 1597 tornò al castello di Kilcolman nella contea di Cork che l'anno seguente gli fu incendiato dai ribelli; si ritiene che nell'incendio andassero perduti alcuni canti di The faerie queene. Ritiratosi a Londra in miseria, vi morì l'anno dopo. Il capolavoro di S., The faerie queene, composto in gran parte nella solitudine del suo soggiorno irlandese (1580-95), è ispirato dall'Orlando Furioso, ma mira a far opera di esaltazione nazionale e religiosa, per cui S. è assai più vicino allo spirito della Gerusalemme Liberata che anche imita. Gli episodî si succedono senza intimo legame, e le armoniose stanze (otto pentametri giambici e un alessandrino di chiusa, schema che da allora fu detto "strofe spenseriana") danno l'impressione di smarrirsi in un mare di fantastiche divagazioni. La finzione storica di The faerie queene riguarda re Artù, in cui si trovano riunite tutte le virtù che un grand'uomo deve possedere; la Regina delle Fate (la Gloria, in astratto, ma in particolare adombramento della regina Elisabetta) tiene corte per dodici giorni (quanti dovevano essere i libri del poema), ognuno dei quali porge occasione a un cavaliere di distinguersi: ogni cavaliere (12 in tutto) personifica una virtù. La figura di S., poeta colto, arcaicizzante e alessandrino, è complicata dal suo moralismo; nella sua mente si agita tra il Bello e il Bene un dissidio che egli cerca di comporre alla scuola del platonismo fiorentino (notevoli, a questo proposito, gli Hymnes in honor of Love and Beautie, composti circa all'epoca del Calender, ma pubbl. nel 1596). Non riuscendo a conciliare quell'apparente opposizione col vigore del pensiero e con una profondità d'intuizione fantastica, S. crea non simboli, bensì allegorie, i cui varî elementi non si fondono. Ma la sua tecnica poetica è squisita e molti poeti inglesi, da J. Milton ai romantici, ne hanno subito il fascino.