Edoardo I.
- Re d'Inghilterra (n. 1239, incoronato nel 1272, m. 1307), menzionato da D. in Pg VII 132 come eccezione al più frequente fenomeno del declino della stirpe (Rade volte risurge per li rami / l'umana probitate) essendo lui figlio valentissimo del debole re Enrico III: infatti non si sarebbe potuto trovare migliore esempio fra i reali dell'epoca di un re inetto seguito sul trono da un figlio virtuoso e valoroso. Alcuni commentatori credono inoltre che l'Inghilese di Pd XIX 122 sia E., ma l'espressione potrebbe adattarsi altrettanto bene, e forse meglio, a Edoardo II.
Per parte di madre imparentato alla casa reale di Francia (E. era infatti figlio di Eleonora di Provenza figlia a sua volta di Raimondo Berengario IV che quattro figlie ebbe e ciascuna reina [Pd VI 133]) e sposo in prime nozze di Elisabetta figlia di Alfonso X di Castiglia, egli fu da D. e dai suoi contemporanei in genere considerato non solo re di una piccola isola del nord, bensì un sovrano di rilevanza europea. La sua prima fama fu probabilmente quella di fervido crociato in un periodo in cui le crociate avevano perso parte del loro fervore originale. Nel 1270 infatti partì al seguito del santo re Luigi di Francia e andò prima in Tunisia e poi a Trapani da dove, dopo la morte del re Luigi e il naufragio della flotta francese, i crociati inglesi proseguirono da soli per l'isola di Cipro e poi per Acri. Dopo poche incursioni nel territorio del Soldano i cristiani orientali conclusero una tregua che E. non volle firmare. Partì quindi nel 1272 e tornò in patria passando per la Sicilia e l'Italia; a Roma infatti visitò il suo buon amico papa Gregorio X. Frattanto il re suo padre era morto (1272) ed E. salì sul trono d'Inghilterra. Qui mise in luce tutte le sue qualità di saggio amministratore, nonché di abile politico sia all'interno che all'esterno. Si trovò infatti a dover subito fronteggiare una rivolta nel Galles che gli costò anni di lotte e non fu mai definitivamente domata, anzi si riaccese ogni volta con maggior violenza. Fece quindi riconoscere dai baroni scozzesi i suoi diritti sovrani su quella regione (1292), ma ben presto questi si ribellarono e la lotta proseguì con alterne vicende accompagnando tutta la vita del re. Altra fonte di difficoltà furono per E. i suoi domini francesi. Questi oramai erano limitati alla sola Guascogna, che Filippo IV nel 1294 riuscì con l'inganno a farsi cedere dal rappresentante del re inglese. Da questo momento, nonostante i vari tentativi sia bellici che diplomatici di E. per tornarne in possesso, la Guascogna rimarrà nell'ambito della corona francese. La morte colse di lì a poco E. a Cardiff (7 luglio 1307) mentre si accingeva a una nuova spedizione contro i ribelli scozzesi.
La bella fama di E. presso i suoi contemporanei è attestata dalle cronache e dai trovatori. G. Villani (VIII 90) lo chiama " uno de' più valorosi signori e savio de' cristiani al suo tempo, e bene avventuroso in ogni sua impresa di là da mare contra i Saracini, e in suo paese contra gli Scotti e in Guascogna contra i Franceschi ". In un sirventese scritto nel 1272 il poeta lo chiama " la miglior lanza del mondo ". Più tardi, Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo (IV XXV 79-81) lo descrive: " Come un gigante fu del corpo e in vista / Grande e fiero e d'animo sì forte, / Che per avversità mai non s'attrista ".
Dopo le titubanze e debolezze del re Enrico III, l'incoronazione di un uomo sano e forte come E. fu un gran bene per l'Inghilterra, e D., considerando le difficoltà cagionate dalle successioni fra i regnanti, ha creduto bene di accennare a questa come a una delle notevoli eccezioni al più comune declino delle stirpi, del quale ha dato prima esempi.