EDOARDO VII (Albert Edward), re della Gran Bretagna e d'Irlanda, imperatore delle Indie
Figlio primogenito della regina Vittoria d'Inghilterra e di Alberto-Francesco-Augusto, principe di Sassonia-Coburgo e principe consorte d'Inghilterra, nacque a Londra il 9 novembre 1841. Frequentò successivamente le due grandi università d'Oxford e di Cambridge, ma il suo vero educatore fu il padre che, schietto temperamento di principe tedesco, uomo di rigida coscienza, diresse la formazione morale e intellettuale del figlio e ne vigilò in tutti i più minuti particolari gli studi teorici e pratici. Bertie però (così veniva designato nell'intimità il principe E.) non fu allievo disciplinato né molto studioso: acquistò tuttavia abitudini di serietà e un concetto sano della missione d'un principe moderno, che si ritrovarono interi in lui quando a sessant'anni egli cinse la corona. Cosicché egli nel suo breve regno di nove anni poté segnare un'impronta personale che non era stata lasciata prima di lui da alcun sovrano inglese dopo Guglielmo III.
Alla morte del principe consorte, avvenuta quando E. era appena ventenne, la regina Vittoria, pur riservandosi intero l'esercizio delle sue prerogative regali, trasferì al principe di Galles il compito di rappresentare la corona in quasi tutte le cerimonie pubbliche. E. fu da giovane un instancabile viaggiatore e taluno dei suoi viaggi ebbe importanza politica non comune. Così a 19 anni visitò il Canada e in quell'occasione si recò a Washington, ospite del presidente Buchanan. Le colonie ribellatesi poco meno d'un secolo addietro all'Inghilterra e costituitesi in una grande nazione indipendente, ebbero così il miglior pegno di piena riconciliazione con l'antica metropoli. Dopo la morte del padre, il principe E. compì lunghe escursioni in Oriente, ma il più importante dei suoi viaggi fu la visita che egli fece nel 1875 ai possedimenti indiani, visita che fu preludio alla proclamazione della regina Vittoria a imperatrice delle Indie.
Nel 1863 sposò la principessa Alessandra di Danimarca, figlia di re Cristiano IX, matrimonio che doveva pochi anni dopo (1866) farlo cognato del granduca ereditario di Russia, che fu poi l'imperatore Alessandro III. Il matrimonio dell'erede del trono inglese, figlio d'un principe tedesco, con una principessa danese, mentre la questione dei ducati dell'Elba si trovava nello stadio più acuto riuscì mal gradito in Germania, e il principe Ernesto di Sassonia Coburgo, zio paterno di E., lo qualifica nelle sue memorie un colpo di fulmine. Timori infondati, perché la politica inglese, sempre informata sotto la regina Vittoria a simpatie germaniche, non si fece per quel matrimonio più favorevole alla Danimarca.
Nel dicembre del 1871 il principe E. fu colto da una grave malattia che mise la sua vita in pericolo. La sua guarigione diede luogo a grandi manifestazioni di giubilo, e la stessa rispondenza d'affetto trovò presso la nazione la sventura che lo colpì più tardi nella persona del suo primogenito, il duca di Clarence, morto nel 1891 dopo breve malattia. Nel 1899 E. fu oggetto a Bruxelles da parte d'un anarchico, certo Sipido, d'un attentato andato a vuoto.
La regina Vittoria morì il 22 gennaio 1901. Non era facile per il nuovo sovrano sostituirla degnamente sul trono; tanto meno facile che quel glorioso regno si chiudeva fra gli ultimi lampi della lunga guerra boera. Fu ventura grande per il nuovo sovrano di poter prontamente concludere, grazie all'abilità di lord Kitchener, la pace di Pretoria (31 maggio 1902), che assicurò alla Gran Bretagna tutti gli utili d'una vittoria rimasta fino all'ultimo momento indecisa. Il regno di E. s'iniziava in singolare contrasto con il regno precedente. A una sovrana più che ottuagenaria, chiusa nei concetti austeri della vecchia aristocrazia britannica, succedeva un principe che frequentava i campi di corse e altri sport, che manteneva amicizie personali e contatti assidui in circoli mondani inglesi ed esteri, che continuava a essere nel mondo cosmopolita l'arbiter elegantiarum, al quale si era perfino rimproverato di non essere abbastanza severo nella scelta delle persone che ammetteva nella sua società. Tutto ciò gli aveva creato una falsa riputazione di frivolezza che aveva fatto dubitare che egli potesse continuare sul trono le vecchie tradizioni vittoriane care al popolo inglese. Egli si rivelò invece fino dai primi mesi del suo regno all'altezza della sua missione, conquistandosi rapidamente l'animo della nazione.
Re E. si rinchiuse per quanto riguardava la politica interna nella scrupolosa osservanza delle norme che presiedono ai regimi parlamentari, accettando, senza palesare preferenze o antipatie, l'avvicendarsi al governo dei due grandi partiti che si contendevano in quel tempo il potere. In ciò differì dalla madre, la quale manifestò in più occasioni le proprie simpatie ora all'uno ora all'altro dei due partiti in contesa. Ciò non impedi a E. di prendere vivo interesse all'evoluzione economico-sociale che, da tempo iniziata, assunse sotto il suo regno un ritmo più accelerato. La maggior crisi di politica interna del suo regno si produsse poco prima della sua morte, nel 1909, quando i due rami del parlamento si trovarono in conflitto circa i progetti finanziarî del governo liberale, e s'iniziò nella camera dei comuni e nel paese un'agitazione per la limitazione dei poteri della Camera dei lord. Questa campagna amareggiò gli ultimi mesi di vita di E., il quale non poté nascondere il suo rammarico nel vedere pericolanti le secolari prerogative della camera alta.
Ma il terreno sul quale E. diede tutta la misura del suo valore fu quello della politica estera. Egli fin dai primissimi anni di regno trasse profitto dalle relazioni di personale amicizia che esistevano tra lui e il re D. Carlos per rinsaldare la vacillante fedeltà portoghese, e lasciò, dopo la sua visita a Lisbona (1903), quel paese rassicurato sull'avvenire delle proprie colonie e più che mai stretto alla alleanza inglese. Nello stesso anno E. fece il viaggio a Roma, dove visitò il re d'Italia e il sommo pontefice, dando prova di molto tatto politico nella difficile situazione esistente allora nella capitale d'Italia a ragione del conflitto tuttora acuto tra la S. Sede e il governo nazionale. Compì il suo giro d'Europa con un breve soggiorno a Parigi, dove covavano ancora i risentimenti di Fashoda. Egli seppe attutirli ponendo le prime basi d'un ravvicinamento che doveva avere un giorno una capitale influenza sui destini d'Europa.
La nota principale del regno di E. fu infatti l'inversione completa della politica estera inglese. Orientata tradizionalmente contro la Francia fino alla metà del sec. XIX, essa si era, dalla crisi di Crimea in poi, rivolta contro la Russia. Fu merito di E. di vedere come il vero pericolo per la potenza britannica non venisse più da Parigi o da Pietroburgo, ma da Berlino, e dagli sforzi assidui e fortunati onde, dopo il ritiro del principe di Bismarck, l'imperatore Guglielmo II si adoperava a fare della Germania una grande potenza marittima e coloniale. L'Inghilterra aveva seguito per quasi due secoli una politica d'intima cordialità verso le potenze germaniche. E. cambiò interamente di rotta e ricercò l'amicizia francese, avviamento a quella russa. Così s'iniziò a Londra quella politica di nuove intese, abilmente condotta da lord Lansdowne e da sir Edward Grey, che, qualificata a Berlino insidioso accerchiamento, parve a Londra legittima difesa. Se ne videro i primi effetti nell'accordo franco-britannico dell'8 aprile 1905, che regolò le antiche Competizioni africane delle due potenze, e nell'appoggio che la Gran Bretagna portò alla Francia nella conferenza di Algesiras (1906) per gli affari del Marocco. Attraverso la rinnovata amicizia francese la politica di E. mise le basi d'un riavvicinamento alla Russia. Dopo il viaggio di re E. a Reval (luglio 1908) era nata la Triplice Intesa per fare equilibrio al binomio degl'Imperi centrali.
Questa geniale politica estera fu seguita da E. con metodi di rigida correttezza costituzionale, benché egli ne fosse a un tempo il primo ispiratore e un prezioso strumento nei contatti che, durante i suoi viaggi all'estero, egli prendeva con sovrani e uomini di stato. Questa politica non assunse mai carattere aggressivo, anzi uno degli ultimi atti del suo regno fu una visita ufficiale a Berlino (febbraio 1909), intonata a piena cordialità con il nipote rivale. Onde egli apparve ai contemporanei uno strenuo difensore della pace e i suoi Sudditi lo chiamarono a titolo d'onore Edward the peacemaker.
E. morì a Buckingham Palace il 6 maggio 1910, lasciando quattro figli; il principe di Galles, ora re Giorgio V, le principesse Luisa duchessa di Fife, Vittoria, e Maud, regina di Norvegia.
Bibl.: Dict. of. Nat. Biography, suppl. II, i, pp. 546-610; J. E. Vincent, The life of E. VII, Londra 1910; W. H. Wilkins, Edward the peacemaker, Londra 1911, voll. 2: J. Bardoux, Victoria I, Édouard VII, Georges V, 2ª ed., Parigi 1911; S. Lee, Life of King E. VII, Londra 1925-27, voll. 2; H. F. Eckardstein, Persönliche Erinnerungen an König Eduard, Dresda 1927; W. H. Edwards, Die Tragödie Eduards VII, nuova ed., Berlino 1928.