Educazione
Nel primo volume della sua monumentale opera American education (1980) lo storico dell'educazione Lawrence Cremin osserva che spesso il concetto di educazione è stato definito in modo troppo ristretto e quasi esclusivamente in termini istituzionali, sicché nella maggior parte dei casi si tende a identificare l'educazione con la scolarizzazione formale. Sia in scritti programmatici quali Public education (v. Cremin, 1976), sia nel già citato American education Cremin propone una prospettiva ampliata e considera l'educazione in un contesto più generale. Egli conia l'espressione 'ecologia dell'educazione' per descrivere tutto ciò che soprattutto nella società moderna influisce sull'educazione.L'educazione viene definita da Cremin come "lo sforzo deliberato, sistematico e prolungato di trasmettere, stimolare o acquisire conoscenze, attitudini, valori, capacità e sensibilità, nonché ogni apprendimento che deriva da tale sforzo in modo diretto o indiretto, intenzionale o non intenzionale" (v. Cremin, 1979, p. 18).
Tale definizione è stata criticata per la sua eccessiva ampiezza; si è obiettato che l'educazione, concepita in questo modo, finisce per coincidere con quella che gli antropologi definiscono 'acculturazione' e i sociologi 'socializzazione'. Nel saggio citato Cremin nega tale identità e sostiene che il suo concetto è più ristretto di quello di socializzazione in generale. Ma anche in questa accezione piuttosto ampia proposta da Cremin, che cosa significa realmente 'educazione' in termini più concreti?
L'educazione è esistita all'interno della famiglia e della comunità chiusa assai prima che fossero istituite le scuole, e ha sempre avuto un carattere intergenerazionale. Sono i genitori e in generale i più anziani a educare i giovani, ma anche altri membri della famiglia - ad esempio fratelli e nonni - nonché coetanei e amici assolvono funzioni educative. Nelle società moderne chiese, biblioteche, musei, case editrici, reti radiofoniche e televisive svolgono funzioni educative; al pari delle scuole, queste organizzazioni hanno i propri curricula, sebbene meno sistematici rispetto alle istituzioni scolastiche.
L''educazione' riguarda il processo di trasmissione di conoscenze e di definizione dei valori, e in questo senso è una componente importante della socializzazione. Ciò però avviene in larga misura in modo sporadico e incidentale, ed è questa una delle ragioni per cui vengono create istituzioni di scolarizzazione formale in grado di garantire sistematicità e continuità al processo educativo. Obiettivo dell'educazione è quello di preparare i giovani a una serie di ruoli che esulano dall'ambito familiare e che in una società complessa non sempre possono essere previsti in anticipo.
Nelle società tradizionali, fondamentalmente statiche, l'educazione coincide con la trasmissione della cultura da una generazione all'altra. In una società in continuo cambiamento tale compito diventa talmente difficile e complesso che si rende necessario delegare importanti funzioni educative a istituzioni specializzate, tra cui la scuola. Al fine di integrare i giovani in una società che si trasforma più o meno rapidamente e di prepararli sia ai futuri ruoli professionali che al ruolo di cittadini responsabili, è indispensabile che il sistema educativo riesca a trovare un equilibrio tra flessibilità adattativa e stabile imitazione del passato. Karl Mannheim (v., 1950) definiva la scuola del passato come "una palestra per l'adattamento imitativo a una società prestabilita", mentre la scuola moderna ideale dovrebbe servire da "introduzione in una società già dinamica". Il dilemma cui si accenna emerge con chiarezza nei tentativi di riformare la struttura organizzativa e curriculare, specialmente della scuola secondaria, che si sono avuti in Europa nel secondo dopoguerra (v. Husén, 1990). Lo stesso fenomeno si può osservare nei paesi del Terzo Mondo sulla via di una rapida modernizzazione. Oltre a svolgere un ruolo cruciale nella costruzione dell'unità nazionale, i sistemi educativi di tali paesi danno la priorità alla formazione di una nuova élite in grado di mettere in discussione i valori della classe al potere tradizionale.
Il termine 'educazione' riferito al processo educativo designa l'arte di influenzare e/o plasmare deliberatamente il comportamento di bambini, adolescenti e adulti (nelle società moderne l'educazione degli adulti è diventata un nuovo campo di applicazione e di ricerca).
Come osservava William James nella famosa serie di lezioni Talks to teachers on psychology (1899), l'educazione non è una scienza ma "un'arte", un'arte pratica. "Fate un errore, un grave errore se pensate che la psicologia, in quanto scienza delle leggi della mente, sia qualcosa dalla quale si possano dedurre programmi, schemi e metodi definitivi di insegnamento da applicare direttamente nelle scuole. La psicologia è una scienza, l'insegnamento è un'arte, e le arti non sono mai state generate direttamente dalle scienze. Una facoltà inventiva che funga da tramite deve intervenire con la sua originalità". L'attività dell'educatore, il quale opera in un più ampio contesto politico-filosofico, sociale e storico, si basa su una serie di conoscenze scientifiche derivate da diverse discipline e sull'esperienza.
La teoria dell'educazione non è unitaria e circoscritta come il suo corrispettivo nella fisica o nella storiografia. Per designare la teoria educativa i Francesi impiegano l'espressione sciences pédagogiques, che ne mette in evidenza il carattere pluralistico di complesso di conoscenze derivate da numerose discipline. Nella lingua tedesca così come nelle lingue scandinave il termine Pädagogik (pedagogik) ha un significato assai più ristretto dell'inglese education, e si riferisce più specificamente all'insegnamento scolastico - come conferma del resto il fatto che le prime cattedre universitarie di Pädagogik furono istituite nella Germania del XVIII secolo (v. Willke, 1975) per preparare gli insegnanti della scuola secondaria. Il termine 'didattica' (Didaktik in tedesco) ha un significato ancora più circoscritto e designa specificamente i metodi di istruzione o di insegnamento. L'educazione come campo di studio e di ricerca che ha per oggetto i processi formativi e le tecniche d'insegnamento è quindi un'area pluridisciplinare o meglio interdisciplinare. I titolari delle prime cattedre di Pädagogik nelle università tedesche avevano una formazione storica o filosofica. Sino alla fine del XIX secolo fu la ricerca empirica - per lungo tempo soprattutto la psicologia sperimentale e in seguito la sociologia - a fornire i fondamenti della disciplina. La psicologia pedagogica (v. Meumann, 1907; v.Clifford, 1984), che fece la sua comparsa al principio del XX secolo, venne sviluppata in stretta associazione con la psicologia sperimentale, che cercava di emulare il paradigma di ricerca delle scienze naturali. Attualmente la scienza dell'educazione deriva i suoi 'fondamenti' da un'ampia gamma di scienze sociali quali la sociologia, la psicologia, l'economia, la scienza politica e l'antropologia, oltre che dalla filosofia e dalla storia.Nella sua prima fase il processo educativo persegue certi obiettivi che rappresentano determinati valori culturali, sociali e politici. Nei sistemi scolastici moderni questi obiettivi vengono stabiliti in genere dagli organi politici. I risultati del processo educativo, per esempio dell'insegnamento scolastico, possono essere oggetto di una valutazione. Gli obiettivi educativi, il modo in cui sono definiti, il loro ordine di priorità e la loro interdipendenza costituiscono l'oggetto della filosofia dell'educazione.
La scuola come istituzione sociale e i suoi rapporti con la società sono studiati dalla sociologia dell'educazione. Per comprendere a fondo gli attuali problemi dell'educazione si rende indispensabile studiarli nel loro contesto storico. Gli studi di questo tipo sono particolarmente fecondi se si basano sulla comparazione, ossia se i sistemi e metodi educativi vengono analizzati alla luce della situazione storica, economica e sociale delle diverse culture e aree geografiche. È questo il campo di ricerca della antropologia dell'educazione e della scienza comparata dell'educazione.
La seconda fase del processo educativo che ha luogo nella scuola consiste nell'offerta di opportunità di apprendimento organizzate in modo sistematico e intenzionale. È questo il compito assolto dall'insegnante, che deve conoscere la situazione familiare degli scolari, il modo in cui bambini e adolescenti si sviluppano e si comportano sia individualmente che nelle situazioni di gruppo. È necessario inoltre che il docente conosca le differenze individuali, le loro cause e la loro evoluzione. Queste conoscenze sono fornite dalla psicologia pedagogica. I metodi di insegnamento e l'organizzazione delle opportunità di apprendimento sono oggetto della didattica. L'istruzione istituzionalizzata, ossia la scolarizzazione, dipende in misura notevole dalla disponibilità di risorse sia finanziarie che di altro tipo. Il finanziamento del sistema educativo e il modo in cui le risorse sono impiegate in termini di costi e benefici è oggetto della economia dell'educazione, che ebbe un grande sviluppo nei primi anni sessanta, allorché gli economisti riuscirono a dimostrare empiricamente i benefici dell'"nvestimento in capitale umano" (v. Becker, 1964).
La terza fase del processo educativo riguarda il controllo e la valutazione dei risultati dell'opera didattica, che hanno il compito di accertare se e in che misura essa ha raggiunto i propri obiettivi. Gli strumenti di valutazione tradizionalmente utilizzati nella scuola sono i test effettuati dagli insegnanti e le prove d'esame predisposte dalla scuola o dallo Stato. In tempi recenti si è fatto sempre più ricorso a test di rendimento standardizzati per effettuare valutazioni su larga scala. La valutazione non è necessariamente circoscritta a materie specifiche o a determinate capacità, come ad esempio la lettura e la matematica, ma può riguardare anche aspetti della personalità quali il ragionamento critico, le attitudini e la capacità di assumere responsabilità. Le tecniche di valutazione si basano in larga misura su teorie e metodi psicometrici e costituiscono un ramo importante della psicologia pedagogica.
L'educazione come campo di studio e di ricerca. - Il primo titolare di una cattedra di scienza dell'educazione fu Friedrich August Wolf dell'Università di Halle, in Germania, verso il 1780. Al pari di quelli che gli succedettero, Wolf proveniva dagli studi di filosofia. In alcuni paesi, come ad esempio la Svezia, all'inizio del XIX secolo furono istituiti dei lettorati di scienza dell'educazione che avevano il compito di familiarizzare i futuri insegnanti del gymnasium con le teorie pedagogiche. La materia però incontrò molte difficoltà a essere accettata come campo di studio allo stesso titolo di altri ambiti disciplinari istituzionalizzati. Agli inizi del XX secolo esistevano solo quattro cattedre (Ordinarien) di scienza dell'educazione nelle università tedesche e ancora nel 1953 solo dieci delle diciotto università della Germania Occidentale possedevano cattedre di scienza dell'educazione (v. Husén e Kogan, 1983).
Al principio del secolo in alcuni paesi europei i docenti delle scuole primarie, provenienti dai seminari o dalle scuole magistrali, sentirono l'esigenza di elevare il proprio status e sollecitarono l'istituzione di corsi di studio professionali di livello universitario in scienza dell'educazione. In Svezia, ad esempio, un ministro liberale dell'Istruzione, egli stesso insegnante di scuola elementare, presentò in Parlamento un disegno di legge per l'istituzione di cattedre di 'pedagogia' nelle due Università statali di Uppsala e Lund. Nel discorso tenuto in occasione della nomina del primo titolare della cattedra, il rettore dell'Università di Uppsala mise in rilievo lo scetticismo col quale era stata accolta la scienza dell'educazione come disciplina accademica. "Sarà compito del professor Hammer [il nuovo titolare della cattedra] - concludeva il rettore - dimostrare quanto siano infondate queste perplessità".
L'affermarsi dei metodi della psicologia sperimentale nello studio dei processi di apprendimento, dello sviluppo del bambino e delle differenze individuali influenzò profondamente l'orientamento della ricerca empirica e teorica nel campo dell'educazione. Tutti questi problemi vennero affrontati nell'ambito della ricerca psicologica, e per molto tempo la psicologia divenne la disciplina dominante nello studio dei problemi educativi, tanto che in molte università europee l'intero campo venne designato 'psicologia pedagogica'. In Germania, ad esempio, i titolari delle poche cattedre di scienza dell'educazione con una formazione storica o filosofica costituivano un mondo a parte, mentre i problemi empirici dell'educazione venivano studiati negli istituti di psicologia o di sociologia.
Verso la fine dell'Ottocento molti dei ricercatori americani - tra i quali citiamo G. Stanley Hall, Charles Judd e McKeen Cattel - avevano studiato in Germania. Negli Stati Uniti la scienza dell'educazione divenne una disciplina accademica autonoma poco prima della fine del secolo. Il Teachers College della Columbia University fu fondato nel 1887 e divenne un importante centro di studi d'avanguardia, con figure pionieristiche quali Edward L. Thorndike e William Kilpatrick (v. Clifford, 1984). L'Università di Chicago aveva una 'scuola laboratorio' fondata da William James intorno al 1890, e numerosi studi sull'apprendimento e su altri problemi dell'educazione fiorirono in seguito sotto la guida di Charles Judd. Stanford divenne un importante centro di ricerca grazie agli studi sull'intelligenza e sui bambini dotati condotti da Lewis M. Terman e alla elaborazione della cosiddetta 'versione Stanford' del test di intelligenza di Binet. Judd, il quale aveva studiato a Lipsia sotto la guida di Wilhelm Wundt, pubblicò nel 1918 The science of education con l'intento di dimostrare che l'educazione, nonostante le perplessità dimostrate da molti, era una vera e propria scienza. Questa tesi, come abbiamo visto, venne messa in discussione da William James.
In Gran Bretagna, nelle antiche e prestigiose Università di Oxford e Cambridge, le cattedre di scienza dell'educazione, intesa come didattica, furono ricoperte per lungo tempo da insegnanti o presidi con una lunga esperienza alle spalle, cui era affidato il compito di istruire i futuri docenti delle scuole secondarie sui metodi di insegnamento. L'Institute of Education dell'Università di Londra e la Morey House dell'Università di Edimburgo, fondati all'inizio del secolo, furono importanti per le ricerche condotte sull'impiego di tecniche psicometriche per la messa a punto di metodi di misurazione del rendimento e dell'apprendimento. Le differenze individuali vennero studiate da Francis Galton nell'ambito delle sue ricerche di 'antropologia fisica'; egli fu il primo a proporre la costruzione di test di intelligenza e a introdurre inoltre i metodi statistici nella psicologia dell'educazione collaborando con studiosi quali Karl Pearson.
Istituzionalizzazione della scienza dell'educazione. - Dipartimenti o istituti autonomi per lo studio di problemi empirici dell'educazione vennero fondati assai più tardi rispetto ai corrispondenti istituti di psicologia. La ricerca empirica di fatto era considerata appannaggio degli istituti di psicologia. Nella sua monumentale opera in tre volumi, Vorlesungen zur Einführung in die experimentelle Pädagogik (1907), Ernst Meumann, allievo di Wilhelm Wundt, si occupò diffusamente dell'applicazione dei metodi e dei risultati della psicologia sperimentale ai problemi dell'educazione e dell'insegnamento. Nei primi decenni del XX secolo la psicologia costituiva il retroterra disciplinare di molti insigni ricercatori europei che condussero studi empirici rilevanti per i problemi educativi, come ad esempio William Stern ad Amburgo, Karl e Charlotte Bühler a Vienna, Alfred Binet a Parigi. Lo stesso vale per Charles Spearman, Cyril Burt e Godfrey Thomson nel Regno Unito.
Nel secondo dopoguerra sia in America che nel continente europeo si affermò un orientamento interdisciplinare negli studi sull'educazione. Mentre sino agli anni quaranta, come abbiamo visto, i metodi da applicare allo studio dei problemi educativi erano desunti principalmente dalla psicologia, dopo la metà del secolo si cominciarono ad applicare in misura crescente i metodi e i concetti della sociologia, della scienza politica e dell'economia. Tipiche problematiche interdisciplinari, assai diverse da quelle didattiche tradizionali, erano la programmazione educativa, il processo di socializzazione e il rapporto tra politica e programmazione nel settore dell'istruzione, terreno proprio dei sociologi dell'educazione. L'affermarsi del concetto di 'capitale umano' ebbe notevoli ripercussioni sulla politica e sulla programmazione educativa. All'Università di Chicago, ad esempio, vennero istituite delle collaborazioni (joint appointments) tra il dipartimento di scienza dell'educazione e i dipartimenti di sociologia e di economia.
Un'altra tappa importante nello sviluppo dell'approccio interdisciplinare fu segnata dal programma di studi empirici comparativi varato nei primi anni sessanta dell'International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA). Tali studi rivestivano un notevole interesse per alcune organizzazioni intergovernative quali l'UNESCO, l'OECD e il Consiglio d'Europa. I problemi della programmazione educativa e dell'assistenza economica nei paesi in via di sviluppo hanno dato origine a nuove specializzazioni, come l'educazione relativa allo sviluppo. Queste ricerche sono state condotte nell'ambito dei programmi di educazione internazionale, che furono istituzionalizzati in molti centri, quali il London Institute of Education, il Center of Comparative Education dell'Università di Chicago e lo Stanford International Development Center (SIDEC). Un Istituto internazionale per la pianificazione dell'istruzione venne fondato a Parigi dall'UNESCO nel 1963. Altri istituti per la ricerca nel campo dell'educazione internazionale vennero creati al Teachers College e nelle Università di Columbia e di Stoccolma.In Germania, nel 1964, la Max Planck Gesellschaft - che sino ad allora si era occupata esclusivamente della promozione della ricerca nel campo delle scienze naturali e della medicina - fondò a Berlino un istituto per la ricerca sull'educazione (Bildungsforschung). Tale istituto aveva una organizzazione interdisciplinare e comprendeva dipartimenti di psicologia, sociologia ed economia dell'educazione, nonché di diritto e amministrazione della scuola.Nel secondo dopoguerra gli enti statali divennero i principali promotori della ricerca nel campo dell'educazione, finanziando programmi di studi su vasta scala che avrebbero dovuto gettare le basi per una riforma del sistema di istruzione. L'Elementary and secondary education act approvato dal Congresso statunitense nel 1965 assicurò al Ministero della Pubblica istruzione federale lo stanziamento di cospicui fondi per il finanziamento della ricerca sui problemi dell'educazione condotta nelle università. Altri provvedimenti in favore di numerosi centri per la ricerca e lo sviluppo di alcune importanti università consentirono a un nutrito gruppo di ricercatori di dedicarsi a tempo pieno allo studio di problemi fondamentali dell'educazione, quali ad esempio i metodi di insegnamento e apprendimento (Università di Stanford) e le tecniche di valutazione (Università di California a Los Angeles). Alla base di questa politica vi era la convinzione che una serie di sforzi concentrati nel campo della ricerca avrebbe dato risultati cruciali per la prassi educativa. Anche nel continente europeo gli enti statali, quali i ministeri della pubblica istruzione e le commissioni governative, divennero i principali protagonisti della promozione della ricerca nel campo dell'educazione, soprattutto quando si trattò di elaborare i progetti di riforma della scuola. Negli anni sessanta in Gran Bretagna la Commissione Plowden sovvenzionò una serie di indagini su vasta scala sugli studenti della scuola primaria. Nel 1957 in Svezia la Commissione per la scuola secondaria finanziò un esteso programma di ricerca sugli aspetti sociologici della differenziazione organizzativa e curriculare della scuola superiore.
Nell'organizzazione della società moderna sussiste una interrelazione reciproca tra il sistema educativo, la struttura occupazionale e il sistema politico. Lo Stato affida alla scuola il compito di trasmettere contenuti cognitivi comuni alla maggior parte dei cittadini nonché norme e valori condivisi che costituiscono una componente essenziale del sistema di riferimento collettivo. La struttura occupazionale della società, ossia il settore commerciale e industriale, chiede alla scuola di preparare i giovani al mondo del lavoro e alle qualificazioni professionali richieste dalla società. La scuola, dal canto suo, ha il compito di influenzare la struttura sia politica che economica della società, svolgendo un ruolo importante nella formazione politica del cittadino e contribuendo allo sviluppo economico.
Il sistema educativo delle società moderne di conseguenza è oggetto di politiche che oscillano tra l'adattamento e la riforma, il conservatorismo e l'innovazione.La storia moderna offre numerosi esempi di tentativi di promuovere l'economia attraverso la politica educativa. Nel XIX secolo, allorché la supremazia dell'industria tedesca nel settore delle esportazioni divenne evidente, in Gran Bretagna vi fu una campagna per l'introduzione di una istruzione tecnica superiore la quale, si sosteneva, avrebbe contribuito a portare il paese allo stesso livello della Germania (v. Cardwell, 1957). In Giappone, negli anni cinquanta, vennero attuate delle riforme del sistema educativo con l'obiettivo di duplicare il prodotto nazionale lordo negli anni sessanta, obiettivo che venne effettivamente raggiunto con ampio margine. Il primo lancio in orbita dello Sputnik sovietico indusse gli Stati Uniti ad approvare nel 1958 il National defense education act, che prevedeva una serie di misure atte a migliorare l'insegnamento della scienza e della matematica nelle scuole, nel presupposto che la superiorità sovietica nel campo della tecnologia spaziale fosse dovuta alla qualità dell'istruzione. In seguito la superiore competitività del Giappone sul mercato mondiale è stata attribuita principalmente all'ottimo livello dell'insegnamento e agli standard elevati imposti agli studenti (v. Leestma e Walberg, 1992).
Nelle moderne società democratiche il principale problema organizzativo e curriculare del sistema educativo è quello di mantenere un adeguato equilibrio tra la preparazione al ruolo di cittadino in una società sempre più 'globalizzata' e la preparazione a un mondo del lavoro in continuo cambiamento. L'istruzione inoltre è diventata uno dei principali fattori di mobilità sociale e influenza in misura crescente la carriera occupazionale e lo status sociale dell'individuo.Non sembra esservi alcun elemento automatico e autoregolativo nel rapporto tra il sistema economico e la sua struttura occupazionale da un lato e il sistema educativo dall'altro. Quest'ultimo non è un semplice riflesso del primo. Il sociologo russo F.R. Filippov ha messo in luce il carattere autonomo del sistema educativo, che può svilupparsi in diverse direzioni a partire dalla struttura economica ed è determinato in larga misura dalle previsioni sugli sviluppi futuri della società e sui nuovi bisogni che occorre prefigurare con largo anticipo.
Le esigenze del sistema politico e i bisogni della società tendono a convergere allorché utilizzano l'istruzione istituzionalizzata per favorire il processo di formazione dell'unità nazionale. È quanto si osserva ad esempio nell'Europa del XIX secolo, quando l'istruzione primaria fu resa obbligatoria in molti paesi. Quando il lavoro minorile fu proibito in Gran Bretagna e in altri paesi, fu la scuola a doversi prendere cura dei bambini. Ancor prima della legge del 1832 vennero istituiti degli asili infantili sovvenzionati da enti di carità.Il sistema educativo, al pari di altre istituzioni sociali, ha una propria dinamica con caratteristiche sociali peculiari, e per questo motivo costituisce un importante campo d'indagine sociologica. La sociologia dell'educazione è entrata relativamente tardi nel novero delle scienze sociali. Pionieri di questo ramo della disciplina furono Émile Durkheim (v., 1938) in Francia, Max Weber (v., 1922) in Germania e Thorstein Veblen (v., 1918) negli Stati Uniti, mentre tra gli studiosi di epoca più recente possiamo citare James Coleman (v., 1961, 1968, 1990), Burton Clark (v., 1983) e Martin Trow (v., 1973) negli Stati Uniti, e Pierre Bourdieu (v. Bourdieu e Passeron, 1964) e A.H. Halsey (v., 1961) in Europa. Le principali aree di ricerca sociologica sono: 1) il rapporto tra il sistema educativo e la società nel suo complesso (v. Clark, 1983); 2) l'aspetto istituzionale del sistema educativo, in particolare della scuola (v. Husén, 1979); 3) l'organizzazione interna di singole istituzioni educative, ad esempio le scuole e le università (v. Clark, 1987).
Nelle società tradizionali, come si è detto, l'educazione riguarda principalmente la trasmissione di contenuti culturali e competenze da una generazione all'altra. In tali società i cambiamenti nelle condizioni di vita che l'individuo affronta nel corso della sua esistenza sono piuttosto limitati. Il mutamento costante costituisce invece una delle principali caratteristiche delle moderne società industrializzate. Per far fronte al suo ambiente sia come cittadino che come titolare di una professione l'individuo deve continuare ad apprendere durante tutta la sua esistenza. Anche la struttura sociale muta costantemente, e ciò significa che l'istruzione svolge un ruolo importante nel determinare la carriera professionale e lo status sociale dell'individuo. Questo fatto, in associazione alle politiche egualitarie nel settore dell'istruzione, ha fatto sì che il rapporto tra educazione e stratificazione sociale diventasse uno dei principali campi d'indagine della sociologia (v. Husén, 1974).Il ruolo dell'educazione, e in particolare della scolarizzazione formale, è strettamente legato al tipo di società in cui opera il sistema educativo. In Francia esso fu profondamente influenzato dalla Rivoluzione del 1789, così come quello russo lo fu dalla Rivoluzione del 1917. Nuovi gruppi politici impressero una direzione a sistemi economici che non si trasformavano così rapidamente come la sfera politica.
La famiglia è sempre stata l'unità sociale che ha svolto il ruolo più importante nella vita dell'individuo in tutti i tipi di società. A seguito delle trasformazioni intercorse nella struttura familiare - il lavoro extradomestico delle donne, la riduzione del numero dei figli, l'incremento dei divorzi - l'attenzione si è focalizzata sul ruolo della famiglia come 'capitale sociale' (v. Coleman, 1990; v. Bourdieu e Passeron, 1964; v. Kellaghan e altri, 1993).La cultura di una singola istituzione scolastica o universitaria può essere studiata nella stessa prospettiva in cui si studia la cultura dell'ambiente di lavoro locale (v. Coleman, 1961).
L'educazione nelle società moderne è un compito altamente differenziato. Nella tipica società moderna urbanizzata i bambini vengono affidati in età assai precoce a istituzioni prescolari quali gli asili nido o le scuole materne. All'età di cinque-sette anni iniziano a frequentare la scuola primaria e tendono a restare nella scuola per un numero crescente di anni. In quasi tutte le società altamente industrializzate la scolarizzazione per la grande maggioranza dei giovani copre un periodo di almeno dieci-dodici anni. Mentre l'istruzione primaria nella maggior parte dei paesi è unificata, la scuola secondaria superiore è andata sempre più diversificandosi man mano che aumenta la percentuale dei gruppi d'età che riceve una scolarizzazione prolungata. Circa un terzo della popolazione giovanile accede a programmi di studio di livello universitario, mentre la maggioranza sceglie corsi di orientamento professionale.Prima degli anni cinquanta in Europa solo il 2-5% di una coorte d'età passava dalla scuola secondaria a istituti di istruzione superiore, soprattutto di livello universitario. Con un certo ritardo la cosiddetta 'esplosione della scolarità' verificatasi al livello di istruzione secondaria ha contribuito ad accrescere in misura considerevole le iscrizioni universitarie, tendenza incentivata anche dalla richiesta di personale altamente qualificato nel settore economico.
Nella sociologia del secondo dopoguerra la scuola dominante è stata quella del cosiddetto funzionalismo strutturale. In un saggio assai noto Talcott Parsons (v., 1959), il principale esponente del funzionalismo, affermava che lo studio della scuola come entità sociale dovrebbe incentrarsi sulla funzione che essa svolge sia nel processo di apprendimento da parte dei giovani "delle responsabilità e delle capacità richieste dai loro futuri ruoli", sia nell'allocazione di queste risorse umane nella struttura dei ruoli della società adulta. Le nozioni chiave della concezione struttural-funzionalista della società erano stabilità, armonia, integrazione, conservazione e consenso. Inculcando le norme e i valori della società esistente viene garantita la conservazione del sistema sociale. Per quanto sia stato messo in discussione negli anni sessanta dalla sociologia marxista e neomarxista, all'approccio funzionalista va riconosciuto il merito di aver ampliato la prospettiva sulla scuola come istituzione mettendo in rilievo il suo ruolo nella società. I sociologi vicini ai movimenti riformisti hanno privilegiato un approccio incentrato sulla nozione di conflitto nell'analizzare il ruolo del sistema educativo nella società.
Un altro approccio dominante nell'ambito della ricerca sociologica positivista è quello della cosiddetta aritmetica politico-sociale. Nel solco dell'antica tradizione liberale britannica, gli esponenti di tale indirizzo si sono proposti di descrivere le condizioni sociali servendosi dei metodi statistici e analitici più precisi e sofisticati al fine di individuare i problemi e le ingiustizie sociali esistenti e di indicare delle possibili soluzioni. Tipico di tale approccio è l'uso di sofisticati modelli causali per analizzare i fattori sociali che condizionano il rendimento scolastico o la riuscita professionale (v. Blau e Duncan, 1967; v. Munck, 1980). Gran parte della ricerca nell'ambito dell'aritmetica politico-sociale è stata condotta su incarico di commissioni governative. Ne sono un significativo esempio gli studi condotti in Svezia sulla 'riserva di talento' e sull'incidenza delle condizioni sociali nell'accesso all'istruzione superiore (v. Halsey, 1961; v. Husén e Boalt, 1968; v. Härnqvist, 1958; v. Svensson, 1980). Il principale difetto rilevato in questo indirizzo è l'utilizzazione esclusiva di metodi strettamente quantitativi. Esso è stato quindi messo in discussione dagli esponenti di una sociologia dell'educazione basata su una prospettiva ermeneutica. Gli approcci 'interpretativi' sono di natura eminentemente qualitativa e si basano sui contributi di vari altri indirizzi sociologici quali l'etnometodologia, la sociologia fenomenologica, la sociologia cognitiva, ecc. Un elemento che accomuna la prospettiva ermeneutica e quella etnografica è l'importanza attribuita alla struttura sociale entro la quale agisce l'individuo.
La ricerca basata su ampi rilevamenti a livello internazionale relativi al rendimento scolastico, condotta dalla International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA) a partire dai primi anni sessanta, costituisce un esempio dell'applicazione del metodo statistico-quantitativo basato sull'analisi causale (v. Postlethwaite, 1990). Questa indagine è stata condotta su campioni rappresentativi di scolari a vari livelli d'età in un gran numero di paesi, utilizzando test di rendimento costruiti secondo le tecniche più sofisticate; i dati ricavati dai questionari sono stati trasferiti direttamente su nastri magnetici. L'analisi statistica multivariata è stata impiegata per istituire una correlazione tra i punteggi ottenuti nei test e fattori quali il livello di istruzione e l'occupazione dei genitori, le risorse e i metodi d'insegnamento della scuola; i dati su queste ultime variabili sono stati ricavati da una serie di questionari. L'obiettivo principale di tale indagine era quello di stabilire in che misura il rendimento scolastico dipenda da fattori di ordine economico-sociale.
Queste tecniche statistico-quantitative tuttavia si rivelano inadeguate quando si tratta di spiegare perché, ad esempio, gli scolari giapponesi riescono meglio in determinate materie come la matematica rispetto agli scolari europei e statunitensi. Per comprendere la sottile interazione che si instaura in classe tra allievi e insegnanti si rendono necessarie informazioni di tipo qualitativo, ottenibili attraverso il metodo dell'osservazione partecipante.Le teorie della riproduzione sociale hanno avuto un ruolo importante nella sociologia dell'educazione a partire dagli anni sessanta. Tali teorie - di orientamento più o meno marxista - sono state sviluppate da Althusser (v., 1972), Bourdieu e Passeron (v., 1970) e Bernstein (v., 1973). La posizione più radicale è quella di Althusser, il quale individua nello Stato il principale agente formativo che 'avviluppa' i bambini nella ideologia dominante e poi a un determinato stadio (in genere alla fine della scuola dell'obbligo) dirotta la maggioranza dei giovani verso il mondo del lavoro come operai o contadini, mentre un altro gruppo ha la possibilità di continuare gli studi ancora per alcuni anni e andrà a formare la piccola borghesia dei colletti bianchi e dei tecnici di medio livello. La restante élite che accede ai livelli più elevati del sistema educativo formerà la classe degli ideologi professionisti (religiosi e insegnanti) e quella degli 'sfruttatori' (dirigenti). La teoria della riproduzione sociale di Bowles e Gintis (v., 1976) è abbastanza vicina alle posizioni di Althusser. La classe scolastica è un microcosmo della società globale, ed è caratterizzata da modelli di interazione analoghi a quelli operanti nel mondo del lavoro della società capitalistica. La scuola ha il compito di preparare i giovani ai ruoli che rivestiranno in questa società, e "riproduce i rapporti sociali da una generazione all'altra" (v. Gintis, 1972, p. 85).Bernstein (v., 1961) ha studiato il ruolo del linguaggio nella riproduzione sociale. Egli distingue tra codici linguistici ampi e ristretti: i primi prevalgono nelle famiglie dei ceti medio-alti, i secondi nelle famiglie delle classi sociali inferiori. Le distinzioni di classe vengono perpetuate dalle barriere che la scuola oppone a coloro che dispongono di codici limitati.
Bourdieu e Passeron (v., 1970) sostengono che la scuola contribuisce a conservare le differenze di classe favorendo coloro che vi accedono dotati in partenza di un considerevole capitale culturale. La scuola quindi agisce nel senso di una gerarchizzazione basata sulla classe sociale. Coloro che provengono dai ceti privilegiati possiedono un capitale culturale che favorisce la riuscita nel sistema educativo e salvaguarda l'eredità dello status sociale originario.
Se si considera la sociologia dell'educazione dell'ultimo cinquantennio in una prospettiva d'insieme, si può osservare come nella sociologia europea siano risultati prevalenti gli orientamenti di tipo ermeneutico, basati sulla nozione di conflitto, mentre l'aritmetica politico-sociale, con la sua marcata impronta empirica e quantitativa, ha costituito la corrente dominante nella sociologia dell'educazione americana.
Il sociologo dell'educazione americano James Coleman (v., 1987) ha elaborato il concetto di capitale sociale, che è stato di grande importanza per comprendere, tra le altre cose, il ruolo della famiglia nella carriera scolastica degli individui. Diversamente da quanto assumevano gli esponenti dell'economia classica e neoclassica, l'azione degli individui non è del tutto indipendente, ma si inserisce in un sistema di scambi e di interrelazioni con diversi contesti: quello familiare, quello lavorativo e quello dei rapporti interpersonali. "Il capitale sociale è definito dalla sua funzione. Non si tratta di una singola entità, ma di un insieme di differenti entità che hanno due caratteristiche in comune: ognuna di esse rappresenta un qualche aspetto di una struttura sociale e agevola determinate azioni degli individui inseriti in tale struttura" (v. Coleman, 1990, p. 302). Un esempio di capitale sociale è la disponibilità di fonti di informazione, che ha un'importanza cruciale per i giovani nella scuola.
La teoria del capitale umano, le cui radici possono essere fatte risalire ad Adam Smith, è stata rielaborata e verificata empiricamente in epoca moderna dagli economisti americani interessati al ruolo dell'educazione nello sviluppo economico e sociale. Il premio Nobel Theodore Schultz in un famoso discorso del 1961 ha sottolineato come l'educazione non sia solo consumo ma anche investimento, che si traduce in un beneficio non soltanto per l'individuo ma per tutta la società in quanto fornisce la base del sapere tecnologico necessario alla crescita economica. La teoria di Schultz ha influenzato la programmazione educativa nei paesi in via di sviluppo; essa fu ulteriormente elaborata e applicata ad ampi segmenti delle società moderne da Gary Becker, il cui Human capital (1964) è divenuto un classico tra gli studiosi dell'economia dell'educazione.
Per comprendere il ruolo dell'istruzione nei paesi del Terzo Mondo può rivelarsi utile studiare la situazione di tali paesi alla luce dell'evoluzione storica del sistema di istruzione europeo ai suoi vari livelli. Non solo infatti l'Europa ha attraversato un processo di industrializzazione i cui rapporti con il sistema educativo istituzionalizzato sono già stati studiati, ma il sistema di istruzione europeo - caratterizzato da un livello primario obbligatorio, che inizia a una certa età e copre un certo numero di anni, da una scuola secondaria di massa e, non da ultimo, da un livello universitario associato alla ricerca - è stato emulato in tutto il mondo. Sebbene sussistano dei parallelismi, che riguardano sia l'evoluzione del sistema educativo sia il modo in cui questa si collega con i cambiamenti sociali, esistono però anche importanti differenze che occorre tener presenti allorché si generalizzano i risultati della ricerca relativi all'Europa estendendoli ai paesi del Terzo Mondo.Le università in Europa vennero create nel Medioevo, in una società feudale fondamentalmente ascrittiva in cui l'aristocrazia disponeva di proprie istituzioni per formare le generazioni più giovani. Tuttavia le università divennero l'unico canale della scarsa mobilità sociale allora esistente, in quanto avevano il compito di formare le categorie professionali: il clero, i pubblici funzionari, gli insegnanti della scuola secondaria e i medici. I principali datori di lavoro erano la Chiesa e lo Stato. Le competenze dei laureati li rendevano indispensabili nel clero e nell'amministrazione pubblica: in questo modo essi acquistavano potere e influenza, e alcuni venivano accolti nella nobiltà.
Occorre menzionare anche il ruolo della scienza nell'Europa del Seicento e del Settecento. Nel corso di questi secoli vennero fondate varie accademie, come la Royal Society britannica, per promuovere la ricerca e favorire lo scambio di informazione scientifica. Nell'Europa mercantile, al principio del XVIII secolo, la scienza era vista come uno strumento di progresso e di sviluppo economico; agli occhi dei mercantilisti le accademie avevano la funzione di fornire conoscenze in grado di promuovere le invenzioni tecniche e, a lungo termine, la produzione e lo scambio di cui avrebbe beneficiato l'economia nazionale. All'epoca le università non conducevano attività di ricerca nel senso moderno, sebbene fossero ritenute i centri deputati del sapere accademico. A svolgere attività di ricerca erano soprattutto le accademie e i loro membri.
L'esperienza dei paesi in via di sviluppo fu diversa a causa della colonizzazione. Prima dell'avvento della civiltà industriale e commerciale dell'Occidente questi paesi erano caratterizzati da un'economia agricola di sussistenza. Nel processo di socializzazione dell'individuo la trasmissione di determinate competenze e quella del sistema di valori della società costituivano componenti indissolubili di un unico sistema di apprendimento. La famiglia, il luogo di lavoro, i centri di istruzione formale e le istituzioni religiose concorrevano a educare l'individuo insegnandogli il modo di vivere, di lavorare e di seguire le norme della società. L'insegnamento era affidato ai capi della società - gli anziani, gli artigiani esperti e i capi religiosi - che ne stabilivano le modalità e i contenuti. Il mondo del lavoro era tutt'uno col mondo dell'educazione.
Durante il periodo della dominazione coloniale tale sistema rimase prevalente, soprattutto nelle aree rurali, in cui viveva la maggioranza della popolazione, rimaste in larga misura immuni dalla civiltà occidentale portata dagli stranieri. Tuttavia nelle aree urbane e nel ristretto settore moderno dell'economia, cioè quello commerciale e amministrativo, i colonizzatori avevano bisogno di personale locale per le mansioni di livello inferiore, e di conseguenza vennero creati appositi centri per addestrare tale personale. Il sistema di istruzione che formava questi nuovi quadri dell'esecutivo era elitario e generalmente la lingua dell'insegnamento era quella dei colonizzatori. L'istruzione secondaria era limitata sia quantitativamente che qualitativamente per rispondere alle esigenze dei dominatori.
Nello stesso tempo, quel piccolo settore dell'economia organizzato in modo moderno cominciò a esigere il conseguimento di un titolo di studio per l'accesso ai posti di lavoro, graduati forse arbitrariamente in base al tipo e alla durata degli studi. In questo modo si stabilì una certa corrispondenza tra educazione e occupazione, ma il legame intrinseco tra i due momenti andò perduto: il mondo dell'educazione era stato separato dal mondo del lavoro.
Con la conquista dell'indipendenza molti dei paesi del Terzo Mondo dovettero sviluppare i propri sistemi educativi. Il processo di modernizzazione creava una forte domanda in termini quantitativi di istruzione di livello superiore. Poiché la domanda superava l'offerta, e poiché venivano privilegiati i tipi di istruzione superiore nei quali si registrava una carenza di diplomati/laureati, si prestò scarsa attenzione alla disoccupazione. La distribuzione del reddito e dell'occupazione veniva considerata implicitamente un problema che sarebbe stato risolto da una rapida espansione economica e da una mobilità verso l'alto dei più poveri attraverso le maggiori opportunità di istruzione. Nello stesso tempo lo sviluppo industriale venne anteposto a quello dell'agricoltura, sia perché si pensava che in questo settore l'esigenza di personale qualificato fosse minore, sia perché i responsabili della programmazione educativa e i politici ritenevano che solo una crescita dinamica del settore industriale potesse assorbire le masse di disoccupati, favorendo un 'decollo' economico che avrebbe incrementato il consumo e migliorato le condizioni economiche generali.
Una importante differenza tra l'Europa e i paesi del Terzo Mondo è legata allo sviluppo del sistema di istruzione e a quello della scolarizzazione ai vari livelli. Nei paesi europei la scolarizzazione venne introdotta dalla Chiesa con l'istituzione delle scuole cattedrali per la formazione del clero e solo marginalmente dei pubblici funzionari. Da queste scuole si svilupparono le università. Per secoli non vi furono scuole primarie, e tanto meno tentativi di rendere l'istruzione elementare universale e obbligatoria. Nei paesi protestanti la Chiesa era interessata all'alfabetizzazione di tutta la popolazione che sarebbe stata così in condizione di leggere le Scritture. Una norma ecclesiastica svedese del 1686 affidava al clero il compito di insegnare a leggere ai parrocchiani (v. Johansson, 1973). Nella maggior parte dei paesi europei la scuola dell'obbligo non fu istituita sino alla metà del XIX secolo, e spesso incontrò notevoli resistenze da parte dei contadini che dovevano sostenerne i costi. Ma agli occhi dei governanti l'estensione dell'istruzione primaria a tutta la popolazione non solo costituiva un importante elemento nel processo di formazione dell'unità nazionale, ad esempio promuovendo una lingua nazionale comune, ma rappresentava anche un importante strumento di indottrinamento e di controllo sociale (v. Isling, 1980). Un fenomeno analogo si può osservare nei nuovi Stati nazionali del Terzo Mondo.
Un'altra importante differenza tra i paesi industrializzati e quelli del Terzo Mondo è legata allo sviluppo della scolarizzazione ai vari livelli. Nella maggior parte dei paesi europei l'istruzione primaria venne estesa a tutta la popolazione e/o resa obbligatoria nella seconda metà dell'Ottocento. Alla fine del secolo la quasi totalità dei bambini in età compresa tra i sei e i dodici anni frequentava la scuola primaria, non necessariamente in modo continuo. In molti paesi la frequenza scolastica era limitata a brevi periodi nel corso dell'anno, soprattutto nelle aree rurali dove i bambini erano necessari alla famiglia per il lavoro nei campi. La preparazione per l'accesso alla scuola secondaria avveniva di solito attraverso l'insegnamento privato, il che significa che l'istruzione secondaria riguardava principalmente le classi medio-alte. Vi furono delle eccezioni allorché venne istituito un regolare passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria (v. Husén, 1962).
Alla fine del secolo nei paesi dell'Europa occidentale il tasso di scolarità era di circa il 5% per il livello di istruzione secondaria inferiore e del 2-3% per quello superiore. Il tasso di scolarità aumentò piuttosto lentamente e con un andamento lineare per più di mezzo secolo, passando dal 5% verso il 1900 a circa il 10% nel 1930 e al 20-25% negli anni cinquanta. Da questa data in poi si è verificato un incremento esponenziale, definito spesso 'esplosione della scolarità'; la frequenza della scuola secondaria inferiore divenne universale e quella della scuola secondaria superiore, più tardi, quasi universale. Questo fenomeno ebbe a sua volta delle ripercussioni sulle iscrizioni all'università, che risultarono più che quadruplicate dopo gli anni sessanta per stabilizzarsi poi tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta.
Nei paesi in via di sviluppo la scolarizzazione al livello di istruzione superiore e universitario ha avuto un'espansione talmente rapida che si può dire che sia stato 'saltato' il lungo processo lineare che ha caratterizzato l'incremento della scolarità nei paesi europei. In alcuni paesi in via di sviluppo, in cui continua a prevalere l'economia agricola, la scolarizzazione media superiore ha raggiunto il livello tipico dell'Europa industrializzata negli anni cinquanta. In altre parole, l'esplosione della scolarità nel Terzo Mondo si è verificata ai livelli di istruzione superiori prima ancora che si avesse un'istruzione primaria di massa.
Analizzando il concetto di eguaglianza nell'educazione Coleman (v., 1968) mette in luce alcune differenze di fondo tra le società moderne e quelle tradizionali nel modo di intendere l'eguaglianza. Nelle società preindustriali essenzialmente ascrittive, caratterizzate da una scarsissima mobilità geografica, occupazionale e sociale, da un sistema parentale di tipo patriarcale e dal predominio della famiglia come unità di produzione e centro responsabile del benessere sociale, non ha senso parlare di eguaglianza nella sfera dell'educazione. Solo con le società industrializzate, in cui la famiglia cessa di essere un'unità economica che si autoriproduce e il centro principale del processo di educazione e di formazione dell'individuo, l'educazione diventa una funzione della comunità o società in senso lato. Si viene a creare una mobilità occupazionale dei giovani al di fuori della famiglia; la collettività diventa responsabile della formazione professionale dell'individuo e del benessere sociale, e vengono create le scuole come istituzioni separate al di fuori del contesto della famiglia estesa.
Nell'Europa industrializzata alla metà del XIX secolo l'istruzione elementare fu resa obbligatoria per tutta la popolazione. Lo Stato aveva bisogno di rafforzare la sua presa sui cittadini, e questo scopo poteva essere raggiunto più facilmente attraverso il controllo esercitato sulle scuole e sui contenuti dell'insegnamento. Nelle aree urbane, dove i genitori lavoravano fuori casa per quasi tutto il giorno, si rese necessaria un'istituzione che potesse prendersi cura dei bambini, soprattutto dopo che venne approvata la legge che proibiva il lavoro minorile. I ceti superiori potevano contare su un sistema di scuole private che preparavano l'accesso alle scuole secondarie inferiori e superiori. Nel periodo dell'industrializzazione si affermò un duplice sistema di istruzione legato alle divisioni di classe.
La richiesta di una riforma strutturale della scuola da parte dei liberali e dei socialdemocratici europei, che auspicavano l'introduzione di un sistema scolastico unificato, scaturiva da una filosofia egualitaria secondo la quale l'obiettivo principale era quello di assicurare l'eguaglianza di accesso ai curricula disponibili. Stava poi allo scolaro e alla sua famiglia trarre vantaggio da tale opportunità; il bambino soltanto sarebbe stato responsabile di un eventuale fallimento. In termini politici l'ideale liberale mirava a istituire un sistema che garantisse a tutti i bambini, indipendentemente dall'estrazione sociale, un libero ed eguale accesso a una gamma di indirizzi diversificati dopo aver seguito un programma di istruzione comune (un tronc commun, come viene chiamato in Francia) nei primi anni della scolarizzazione. Secondo i liberali la scuola doveva essere una struttura polivalente che inglobava tutti i programmi e alla quale dovevano avere accesso tutti i bambini.
Realizzare una scuola polivalente con programmi diversificati in cui ciascun individuo possa seguire quello che meglio si adatta alle sue esigenze non è un'impresa tanto semplice e ovvia come potrebbe sembrare in una società - come quella europea del secondo dopoguerra - in cui la scolarizzazione è in continua espansione. Coleman (v., 1968) osserva che l'idea di una scuola polivalente si fonda su un assunto che dà per scontato il futuro del bambino. L'idea stessa di un orientamento educativo si basa su tale assunto, ossia che esistano un determinato indirizzo di studi e una determinata occupazione che si riveleranno i più adatti per il bambino. Il problema reale tuttavia è che proprio ciò che viene dato per scontato costituisce il problema. Questo crea una certa confusione sul modo in cui viene intesa l'eguaglianza, come punto di partenza oppure come obiettivo. La crescente consapevolezza del problema reale spiega la maggiore attenzione per l'eguaglianza dei risultati piuttosto che per l'eguaglianza delle opportunità.
La rivendicazione dell'eguaglianza in termini di accesso all'istruzione, al potere politico e alle risorse materiali fu sostenuta per lungo tempo dopo la Rivoluzione francese dai liberali e dai socialisti. Si riteneva generalmente che l'accesso all'istruzione - in primo luogo all'istruzione primaria per tutti e a quella superiore per i più capaci, a prescindere dalle condizioni sociali - potesse contribuire alla creazione di una società più giusta. L'istruzione era considerata uno strumento di promozione sociale, in grado di assicurare che siano le capacità innate, e non l'estrazione sociale, a determinare chi avrà le risorse per progredire.
La concezione liberale classica dell'eguaglianza delle opportunità di apprendimento ha le sue radici nella filosofia politica del XVII e del XVIII secolo, sviluppata da Locke, da Helvétius e da Rousseau; quest'ultimo pubblicò nel 1755 il famoso Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini. Thomas Jefferson, che preparò la prima stesura della Dichiarazione d'indipendenza nella quale si afferma che "tutti gli uomini sono creati uguali e indipendenti", in altri suoi scritti parlava di "aristocrazia naturale". Essa sarebbe formata da quegli individui che in virtù delle loro capacità innate - e non dell'estrazione familiare - hanno diritto a uno status sociale adeguato.Nel Contratto sociale (pubblicato nel 1762, lo stesso anno in cui apparve il suo libro sull'educazione, Emilio), Rousseau sostiene che nello "stato di natura" tutti gli uomini nascono eguali e con gli stessi diritti. L'eguaglianza naturale si trasforma in eguaglianza morale e giuridica attraverso il "contratto sociale". In questo testo Rousseau affronta anche il problema delle differenze innate tra gli individui. Queste non metteranno in pericolo l'eguaglianza se la società ricompenserà le persone in base ai meriti effettivi anziché in base alla nascita e alla ricchezza. In una società che elimina i privilegi della sua "aristocrazia artificiale" emergerà automaticamente una "aristocrazia naturale".
Le idee egualitarie di Rousseau influenzarono profondamente il pensiero sociale nei due secoli successivi. Libertà ed eguaglianza diventarono due 'principî fondamentali' nelle teorie dell'educazione occidentali sino ai nostri giorni (v. Sjöstrand, 1973); tali principî influenzarono inoltre l'ordinamento costituzionale di molti paesi e diedero origine a un movimento per l'eguaglianza politica il cui obiettivo è riassunto nella formula 'una persona, un voto'. Ma anche nella sfera economica si affermò in tale periodo un movimento per un eguale diritto di accesso alle posizioni sociali più elevate. Agli inizi del XVIII secolo il mercantilismo aveva intuito l'importanza delle capacità individuali non solo nella sfera pubblica e politica, ma anche nel settore dell'industria e del commercio. L'idea di una selectio ingeniorum, di una selezione dei più dotati, fu prontamente accettata nell'Europa del XVIII secolo dalle categorie sociali in ascesa - pubblici funzionari, industriali, mercanti e accademici. L'individuazione e la promozione del talento erano considerate uno strumento per rafforzare il potenziale politico ed economico di una nazione.
La Costituzione di Weimar del 1919 proponeva una riorganizzazione della società tedesca sulla base delle capacità individuali. Un nuovo ordine sociale avrebbe soppiantato quello tradizionale basato su privilegi sociali ereditari. Uno degli articoli della Costituzione affermava che la carriera scolastica dovrebbe essere determinata dalle "inclinazioni" e dalle "attitudini innate" (Anlage), non dall'estrazione sociale. La promozione doveva avvenire sulla base della "capacità" e della "volontà" nel quadro di una interazione tra libera competizione ed eguali opportunità, garantite attraverso un programma di aiuti finanziari ai più capaci. È evidente che la Costituzione venne elaborata nello spirito della filosofia liberale classica dell'eguaglianza di opportunità. Nel 1931 il socialista britannico R.H. Tawney pubblicò un testo, Equality, divenuto ormai un classico, nel quale analizzava tutti gli aspetti del concetto di eguaglianza, inclusi quelli relativi all'educazione. Tawney esprimeva scetticismo nei confronti del sistema educativo britannico dell'epoca: "La tara ereditaria che grava sul sistema educativo britannico è il fatto di avere un'organizzazione basata sulle divisioni di classe [...]. I bambini sono propensi a considerare se stessi negli stessi termini in cui i genitori mostrano di considerarli. La public school incoraggia i ragazzi a considerarsi membri della classe dominante, ad acquisire, in sostanza, tanto le virtù aristocratiche dell'iniziativa e della fiducia in se stessi quanto i vizi aristocratici dell'arroganza, della pigrizia intellettuale e dell'autocompiacimento" (v. Tawney, 1952⁴, pp. 154-155).
Il dibattito suscitato dallo studio sull'eguaglianza delle opportunità di istruzione condotto da Coleman su commissione del Congresso statunitense (v. Coleman e altri, 1966) diede luogo a un'analisi filosofica più sofisticata del significato dell'eguaglianza. Coleman, che partecipò in prima persona a tale dibattito, focalizzava l'attenzione sulla distinzione menzionata in precedenza tra eguaglianza di opportunità ed eguaglianza di risultati. In A theory of justice John Rawls (v., 1971) rielaborò tale distinzione integrandola con un'altra, ossia quella tra "eguaglianza correttiva" e "eguaglianza redentiva", secondo una definizione che non risale a Rawls stesso ma a uno dei suoi critici, Charles Frankel (v., 1973). Il fatto che alcuni siano favoriti alla nascita sul piano genetico è dovuto ad una "lotteria naturale" e di conseguenza "arbitraria dal punto di vista morale". I liberali si sono limitati a propugnare misure correttive di tipo economico per promuovere quanti sono dotati di capacità naturali ma sono sfavoriti sul piano dell'estrazione sociale. Ma il compito principale - e il problema morale centrale - secondo Rawls è quello di 'redimere' coloro che sono nati svantaggiati sul piano genetico e/o sul piano sociale.
Solo verso gli anni cinquanta i sociologi cominciarono a condurre studi empirici su larga scala allo scopo di accertare in che misura fosse stata raggiunta l'eguaglianza delle opportunità di istruzione. Floud e altri (v., 1956) studiarono l'influenza dell'Education act britannico del 1944. Coleman e altri (v., 1966) effettuarono una estesa indagine campionaria sul territorio nazionale. Indagini mirate a valutare la 'riserva di talento' furono condotte in Svezia tra la fine degli anni quaranta e la metà degli anni cinquanta (v. Husén, 1948; v. Härnqvist, 1958). Negli anni sessanta e settanta fiorirono numerosi studi concernenti il problema dell'eguaglianza. Sia i governi che gli organi intergovernativi inoltre promossero una serie di ricerche basate sul metodo dell'osservazione partecipante.
Nel corso degli ultimi decenni l'attenzione dei sociologi si è incentrata sul ruolo dell'educazione come fattore di eguaglianza socioeconomica, o al contrario di stratificazione sociale (v. Halsey, 1961). Le riforme del sistema educativo attuate dai paesi industrializzati nel secondo dopoguerra si ispiravano a una concezione egualitaria. Si riteneva che le trasformazioni strutturali avrebbero ampliato le possibilità di accesso all'istruzione superiore, e che ciò a sua volta avrebbe favorito l'eguaglianza sociale ed economica.Una serie di ricerche, gran parte delle quali a carattere intersettoriale, hanno dimostrato che il problema non è così semplice. La massiccia espansione della scolarità e la politica di sostegno finanziario per la scuola secondaria non hanno prodotto i risultati attesi negli anni sessanta, un decennio che ha visto una straordinaria espansione dell'istruzione media e superiore in molti paesi industrializzati. Alla Conferenza dell'OECD del 1970 il ministro dell'Istruzione svedese osservava: "È possibile che siamo stati troppo ottimisti, forse, per quel che riguarda il tempo necessario affinché si realizzino dei cambiamenti" (v. OECD, 1971, p. 68). Le indagini statistiche condotte sulle disparità di partecipazione all'istruzione tra i vari gruppi, sulle differenze tra rendimento scolastico e opportunità di accesso, nonché sul rapporto tra istruzione e distribuzione del reddito, hanno dimostrato che l'espansione della scolarità non ha avuto l'impatto atteso. D'altro canto, però, non è trascorso molto tempo dacché sono state varate le riforme intese ad ampliare le opportunità di accesso all'istruzione. Come rilevava il ministro dell'Istruzione svedese nel discorso citato in precedenza, "è pressoché impossibile cambiare la società esclusivamente attraverso il sistema educativo [...], eguagliare le opportunità di istruzione senza agire sulle condizioni del lavoro, sui livelli salariali, ecc. [...]. Le riforme nel settore dell'istruzione devono essere associate alle riforme in altri campi: il mercato del lavoro, la politica economica, sociale, fiscale, ecc." (ibid., p. 69).
All''euforia' degli anni sessanta quindi è subentrata una crescente consapevolezza dei limiti della politica educativa. La scuola da sola non può "costruire un nuovo ordine sociale" (v. Emmerij, 1974). Si comincia a prendere atto della distanza che intercorre tra la realtà e la retorica delle politiche egualitarie nel settore educativo (v. Husén, 1986). I dati di numerose ricerche empiriche hanno dimostrato che l'incremento della scolarità non riduce affatto, e tanto meno elimina, la selettività e la competizione. Al contrario, nonostante il numero di posti sia enormemente aumentato la competizione tende a essere più dura che mai. La 'sindrome del diploma' si aggrava. Nelle società industrializzate alle soglie dell'era postindustriale (v. Bell, 1973), si può parlare di una sindrome della 'meritocrazia' (v. Husén, 1974). Nemmeno l'istruzione secondaria inferiore di massa - che comporta una perfetta perequazione delle opportunità di accesso a questo livello - e l'estensione della scolarizzazione medio-superiore alla maggioranza della relativa coorte d'età può garantire l'eguaglianza in una prospettiva sociale più ampia. La selettività si è spostata al livello più elevato, sicché per esempio, come ha dimostrato Mählck (v., 1980), aprire l'accesso agli istituti di istruzione superiore a un'accresciuta porzione dei corrispondenti gruppi d'età porta a una differenziazione tra un settore d'élite e il resto del sistema.
L'istruzione per tutti e la democratizzazione delle opportunità d'istruzione hanno costituito un importante obiettivo politico al quale però è stata data un'adesione puramente formale. Le disparità e le ineguaglianze nelle opportunità di istruzione sono ancora una grave fonte di preoccupazione, specialmente per i responsabili della programmazione politica nel settore educativo.La crescente preoccupazione per il ruolo dell'istruzione, in particolare dell'istruzione superiore, come fattore di stratificazione sociale è subentrata al precedente ottimismo che vedeva in essa un fattore di eguaglianza. Ciò non significa che l'euforia e il grande ottimismo degli anni sessanta si siano trasformati in totale pessimismo. L'idea che l'educazione sia un fattore di eguaglianza e di cambiamento sociale è diventata però più complessa e articolata, e ciò in larga misura grazie al lavoro empirico e analitico dei sociologi che hanno contribuito a chiarire le problematiche di fondo (v. Halsey, 1961; v. Coleman e altri, 1966; v. Coleman, 1990; v. Husén, 1986). In particolare, si è compreso che: 1) la scuola non opera in un vacuum socioeconomico, e quindi non può essere l'unico fattore di cambiamento; 2) il sistema educativo è diventato sempre più 'meritocratico', vale a dire sempre più competitivo e selettivo. Le industrie e le imprese all'avanguardia della crescita economica necessitano di personale altamente qualificato la cui formazione è demandata a istituti di istruzione superiore sempre più selettivi e competitivi, che preparano i propri studenti a ruoli professionali altamente qualificati in termini sia di prestigio che di livello retributivo; 3) le differenze nel rendimento scolastico sono determinate in larga misura dal retroterra familiare dello scolaro. I risultati ottenuti dal bambino in alcune materie fondamentali nella scuola, come ad esempio la lingua madre, influenzano il suo rendimento in misura minore rispetto al livello di istruzione e all'occupazione dei genitori, nonché al livello culturale generale della famiglia. Ciò significa che al momento dell'accesso alla scuola primaria sono in larga misura già fissati i presupposti per la differenziazione individuale nel profitto e nel rendimento (v. Bloom, 1964).
Nelle società agricole tradizionali la famiglia costituiva l'unità sociale primaria che provvedeva ai mezzi di sussistenza nonché all'educazione e alla preparazione per i ruoli adulti dei giovani. Giovani e adulti erano associati nella produzione e nel consumo. L'industrializzazione determinò un cambiamento radicale. La scuola primaria per tutti, spesso obbligatoria, assunse in parte la responsabilità dell'educazione per un determinato periodo dell'infanzia, un'evoluzione favorita dall'introduzione delle leggi che proibivano il lavoro minorile. In Gran Bretagna la scuola materna era stata istituita in precedenza per coloro i cui genitori lavoravano entrambi e quando i bambini al di sopra dei sette anni potevano ancora essere impiegati nelle miniere e nelle fabbriche.
La famiglia 'primordiale' è la principale istituzione educativa nelle società in cui domina l'economia agricola di sussistenza, ed è parte integrante di una vasta gamma di attività che si svolgono in questa unità fortemente coesa. Produzione, consumo, procreazione e tempo libero sono attività proprie della famiglia. Con la prima grande ondata di industrializzazione e di urbanizzazione fecero la loro comparsa una serie di "attori sociali" (Coleman) - imprese, istituzioni e associazioni di volontariato. Gli enti pubblici al livello nazionale, regionale e locale divennero sempre più influenti. L'azione privata individuale perse di conseguenza potere rispetto agli attori sociali pubblici e privati. L'industrializzazione comportò per le famiglie un allontanamento del marito verso un posto di lavoro esterno, mentre la maggior parte delle mogli continuò a stare a casa. Coleman (v., 1990) ha dimostrato come negli Stati Uniti la diminuzione della percentuale di padri di famiglia occupati nell'agricoltura andasse di pari passo con l'incremento del numero di bambini che frequentavano la scuola elementare. Allorché i bambini non furono più necessari alla famiglia per svolgere i lavori domestici, la scuola assunse parte delle funzioni educative proprie dell'unità familiare. Oltre a fornire l'istruzione di base, racchiusa nella formula 'leggere, scrivere e far di conto', la scuola serviva allo Stato come agenzia di controllo sociale, in quanto contribuiva a imporre una lingua nazionale comune e fungeva occasionalmente da asilo nido. Il successivo importante cambiamento nella struttura e nel ruolo della famiglia, che determinò un corrispondente aumento dei compiti educativi delegati alla scuola, si ebbe nel secondo dopoguerra. In questo periodo si è avuto un costante aumento del lavoro femminile; in alcuni paesi tra il 1950 e il 1990 il numero delle donne che lavorano fuori casa è addirittura raddoppiato (v. Husén e altri, 1992). Un incremento ancora più massiccio si è avuto nel numero dei divorzi. A seguito del declino della natalità, il numero di figli per famiglia è notevolmente diminuito, e in alcuni paesi industriali avanzati le famiglie con figli rappresentano la minoranza. Le dimensioni medie del gruppo domestico si sono ridotte e il nucleo familiare tende a ridursi a due soli membri.Tradizionalmente la famiglia è stata caratterizzata dalla sua struttura compatta incentrata su persone e dall'assunzione di responsabilità nei loro confronti. Gli 'attori sociali' cui viene via via delegata la funzione educativa hanno invece una struttura incentrata su attività. La famiglia si prende cura della persona nella sua interezza e di tutte le sue attività, mentre le agenzie specializzate come la scuola, gli asili o i centri per la gioventù si occupano solo di determinati 'segmenti' della vita di una persona o di determinate attività. La riduzione delle funzioni della famiglia è andata di pari passo con l'incremento della scolarità. I problemi legati al rapporto tra scuola e ambiente familiare hanno assunto un'importanza centrale, e sono affrontati da una unità operativa istituita dalla International Academy of Education (v. Kellaghan e altri, 1993).
Sia nei paesi industrializzati che nei paesi in via di sviluppo l'istruzione svolge un ruolo importante come fattore della stratificazione sociale dato lo stretto legame che sussiste tra istruzione e occupazione. Tale legame assume forme differenti nelle varie fasi dello sviluppo economico e sociale.
Nell'Europa feudale, allorché si formarono gli Stati nazionali e i governi centrali ebbero bisogno di personale esperto per i propri apparati amministrativi, i membri della nuova classe di funzionari vennero reclutati nelle famiglie di mercanti, artigiani e contadini, non principalmente nella nobiltà. Le scuole secondarie e/o l'istruzione universitaria favorirono così una certa mobilità sociale verso l'alto, e tale tendenza si rafforzò ulteriormente nel primo periodo dell'industrializzazione, allorché il possesso di un titolo di studio divenne indispensabile per un numero crescente di mansioni sub-professionali. La classe emergente degli operai nel migliore dei casi aveva accesso solo all'istruzione primaria, che divenne obbligatoria in molti paesi europei alla metà dell'Ottocento.
Nella fase successiva dell'industrializzazione l'istruzione secondaria superiore divenne sempre più una prerogativa del nuovo ceto medio oltre che dell'alta borghesia e dell'aristocrazia tradizionali. Una quota assai ridotta di giovani della classe operaia accedeva all'istruzione secondaria superiore o universitaria.
Una terza fase si ebbe nel secondo dopoguerra, allorché si verificò la cosiddetta 'esplosione della scolarità' al livello di istruzione medio-superiore e universitario. Nel giro di pochi decenni la popolazione formalmente scolarizzata aumentò notevolmente allorché l'istruzione media superiore venne resa accessibile pressoché a tutti i giovani fino ai diciotto anni. Ma in una società alle soglie dell'era postindustriale, caratterizzata dall'espansione dell'informatica e dalla crescente competitività nel mercato del lavoro, si è rafforzata l'incidenza delle condizioni socio-familiari non tanto in termini di risorse materiali quanto piuttosto in termini di capitale culturale, e ciò ha favorito l'affermarsi di una società meritocratica (v. Young, 1958; v. Bell, 1973; v. Husén, 1974).
Il legame tra istruzione e occupazione nei paesi altamente industrializzati è stato quindi rafforzato dalla competitività nel mercato del lavoro e dalle conseguenti tendenze meritocratiche che si sono sviluppate in breve tempo. Ciò si riflette nelle statistiche sulla disoccupazione: la disoccupazione prolungata tende a essere strettamente associata al livello di istruzione.
Il rapporto tra occupazione e istruzione ha avuto un'evoluzione per certi versi differente nei paesi in via di sviluppo. Dopo il conseguimento dell'indipendenza si è posto qui il problema di creare una struttura amministrativa moderna e di espandere vari settori della pubblica amministrazione: sanità, istruzione, ecc. I colonizzatori dovettero essere rimpiazzati, e l'esigenza di fornire un'adeguata preparazione professionale ai nuovi quadri mise sotto pressione il sistema di istruzione universitaria locale.
In molti paesi in via di sviluppo quanti accedono agli studi universitari provengono spesso dai ceti sociali inferiori. In queste società la percentuale di giovani che passano dal settore agricolo al settore terziario attraverso gli studi universitari è assai più alta che nelle società industrializzate. Ciò si spiega in parte col fatto che una volta formatasi una classe di professionisti e di pubblici funzionari, questa nuova élite tende a 'cristallizzare' un sistema di sostegno per i propri figli che determina un vantaggio nella competizione per i livelli più elevati di istruzione. La nuova classe tende a perpetuarsi attraverso l'istruzione, ossia attraverso il capitale sociale acquisito.
Sia nei paesi industrializzati che nei paesi in via di sviluppo si punta molto sui benefici derivanti dall'espansione dell'istruzione superiore; per i secondi questa riveste un'importanza ancora maggiore, in quanto le differenze salariali sono più strettamente legate al livello di istruzione. Sia i genitori che gli studenti vedono nella scolarizzazione un mezzo per sfuggire alla povertà e al duro lavoro dei campi.
La stretta connessione che sussiste tra livello di istruzione e mercato del lavoro ha determinato quella che Dore (v., 1976) definisce la "sindrome del diploma": il possesso di un titolo di studio assume un'importanza fondamentale per l'accesso ai posti di lavoro e per la determinazione del livello salariale. Nei paesi industrializzati, in cui di solito il divario tra la percentuale dei diplomati e laureati e il resto della popolazione è minore, vi è nondimeno una notevole competizione per i posti di lavoro, soprattutto per quelli più qualificati. A incentivare la competizione non sono solo considerazioni di prestigio, ma anche l'ampiezza e la varietà di opportunità che si offrono a quanti riescono ad arrivare ai livelli di istruzione più elevati. Il possesso di un titolo di studio superiore riduce la probabilità di diventare disoccupati.
Nonostante le ovvie differenze che sussistono tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo per quanto riguarda il rapporto tra istruzione e occupazione, si può quindi affermare che attualmente essi vivono la stessa esperienza. L'istruzione diventa sempre più un fattore decisivo ai fini della selezione per i posti di lavoro e per le possibilità di carriera. I vantaggi che derivano dal possesso di un titolo di studio sono tali che la competizione per l'accesso ai livelli più elevati del sistema educativo viene considerata opportuna anche quando gli incentivi materiali sono piuttosto modesti.
Per la sua stessa natura la sociologia moderna è stata chiamata a partecipare attivamente alla formulazione dei programmi politici, fornendo una base conoscitiva per le riforme nel campo dell'educazione (v., ad esempio, Kogan, 1973). I governi e le commissioni governative di esperti hanno affidato ai sociologi il compito di condurre delle ricerche in grado di chiarire alcune problematiche essenziali. Citeremo a titolo di esempio il lavoro svolto dalla Commissione Plowden in Gran Bretagna (v. HMSO, 1967) negli anni sessanta, nonché le diverse commissioni incaricate di preparare la riforma della scuola in Svezia (v. Husén e Boalt, 1968). I programmi di riforma della 'grande società' promossi dall'amministrazione Johnson alla metà degli anni sessanta si basavano in misura notevole sull'apporto dei sociologi (v. Aaron, 1978).
Le esperienze acquisite attraverso questi programmi politici stimolarono una serie di studi sulla dinamica delle riforme del sistema educativo e sul rapporto tra attività di ricerca e formulazione dei programmi politici nel settore (v. Husén e Kogan, 1983). Un'attenzione particolare è stata dedicata al modo in cui i responsabili politici vengono aggiornati sui risultati della ricerca nel campo dell'educazione e interagiscono con i ricercatori. Un altro problema sul quale si è focalizzata l'attenzione riguarda l'individuazione di quegli elementi che possono determinare la riuscita di una strategia di riforma del sistema educativo. Quale ruolo hanno il momento, il grado di stabilità politica e di consenso, le risorse, l'influenza dei gruppi di interesse restii al cambiamento, ecc.? Carol Weiss (v., 1979) ha analizzato il modo in cui i politici 'utilizzano' la ricerca e vari modelli di comunicazione tra il settore politico e il mondo accademico. Il modello classico, quello di tipo 'lineare', in cui si passa dalla ricerca di base alla ricerca applicata per arrivare infine all'applicazione sul campo, è stato sviluppato nell'ambito delle scienze naturali, ma si rivela poco adatto nelle scienze sociali, i cui esiti conoscitivi raramente si prestano a una conversione in tecnologie riproducibili, sia materiali che sociali. Il modello di comunicazione più importante, che trova spesso applicazione nella politica sociale, è quello della chiarificazione o della 'filtrazione'. La ricerca permea il processo decisionale non tanto attraverso risultati specifici, quanto piuttosto attraverso le sue generalizzazioni e gli orientamenti che fornisce, 'filtrando' attraverso gruppi informati e influenzando il modo in cui vengono percepite le questioni sociali. Un altro modello che trova spesso applicazione nei programmi di politica sociale è quello politico. Opinioni e punti di vista radicati vengono ulteriormente consolidati attraverso il riferimento alla 'ricerca' (per un'analisi approfondita del rapporto tra ricerca e programmi politici, v. Husén e Kogan, 1983). (V. anche Cultura; Eguaglianza; Istruzione e sistemi scolastici; Socializzazione).
Aaron, H., Politics and the professors: the Great society in perspective, Washington 1978.
Althusser, L., Ideology and ideological State apparatures, in Education: structure and society (a cura di B. R. Cosin), Harmondsworth 1972, pp. 242-280.
Apple, M.W., The new sociology of education: analyzing cultural and economic reproduction, in "Harvard educational review", 1978, XLVIII, pp. 495-503.
Apple, M.W., Redefining equality: authoritarian populism and conservative restoration, in "Teachers college record", 1988, XC, pp. 167-184.
Becker, G.S., Human capital, New York 1964.
Bell, D., The coming of post-industrial society: a venture in social forecasting, New York 1973.
Bernstein, B., Social class and linguistic development, in Education, economy and society: a reader in the sociology of education (a cura di A.H. Halsey, J. E. Floud e C.A. Anderson), New York 1961, pp. 288-314.
Bernstein, B., Class, codes and control, 2 voll., London 1973.
Blau, P., Duncan, O.D., The American occupational structure, New York 1967.
Bloom, B., Stability and change in human characteristics, New York 1964 (tr. it.: Stabilità e mutamento delle caratteristiche personali, Roma 1983).
Bourdieu, P., Passeron, J.-C., Les héritiers: les étudiants et la culture, Paris 1964 (tr. it.: Gli studenti e la cultura, Rimini-Firenze 1976).
Bourdieu, P., Passeron, J.-C., La reproduction, Paris 1970 (tr. it.: La riproduzione, Rimini 1972).
Bowles, S., Gintis, H., Schooling in capitalist America: educational reform and the contradiction of economic life, New York 1976.
Cardwell, D.S.L., The organisation of science in England: a retrospect, London 1957.
Clark, B., The higher education system, Berkeley, Cal., 1983.
Clark, B., The academic life: small worlds, different worlds, Princeton 1987.
Clark, B., Anderson, C.A., Halsey, A.H., Education, in International encyclopedia of the social sciences (a cura di D. L. Sills), vol. IV, New York 1968, pp. 509-533.
Clifford, J.G., Edward L. Thorndike: the sane positivist, Middleton, Conn., 1984.
Coleman, J.S., The adolescent society: the social life of the teenager and its impact on education, New York 1961.
Coleman, J.S., The concept of equality of educational opportunity, in "Harvard educational review", 1968, XXXVIII, pp. 7-37.
Coleman, J.S., Families and schools, in "Educational researcher", 1987, XVI, pp. 32-38.
Coleman, J.S., Foundations of social theory, Cambridge, Mass., 1990.
Coleman, J.S. e altri, Equality of educational opportunity, Washington 1966.
Collins, E., Conflict sociology: toward an expanded science, New York 1975.
Cremin, L., Public education, New York 1976.
Cremin, L., Changes in the ecology of education: the school and other educators, in The future of formal schooling (a cura di T. Husén), Stockholm 1979, pp. 18-29.
Cremin, L., American education, New York 1980.
Curle, A., Strategy for developing societies: a study of educational and social factors in relation to economic growth, London 1963.
Dahrendorf, R., Soziale Klassen und Klassenkonflikt in der industriellen Gesellschaft, Stuttgart 1957 (tr. it.: Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari 1963, 1977³).
Dore, R., The diploma disease: education, qualification and development, London 1976.
Duncan, O. D., Featherman, D.L., Duncan, B., Socioeconomic background and achievement, New York 1972.
Durkheim, É., L'évolution pédagogique en France, Paris 1938.
Emmerij, L., Can the school build a new social order?, Amsterdam 1974.
Filippov, F.R., Social structure and systems of education, in Education in a changing society (a cura di A. Koklowska e G. Martinotti), London 1977, pp. 59-71.
Floud, J.E., Halsey, A.H., Martin, F.M., Social class and educational opportunity, London 1956.
Fourastié, J., Les trente glorieuses, ou la revolution invisible de 1946 à 1975, Paris 1979.
Frankel, C., The new egalitarianism and the old, in "Commentary", 1973, LVI, pp. 54-66.
Gintis, H., Towards a political economy of education, in "Harvard educational review", 1972, XLII, pp. 70-96.
Goldschmidt, D. e altri (a cura di), Forschungsgegenstand Hochschule: Überblick und Trendbericht, Frankfurt a. M. 1984.
Gorzka, G., Heipcke, K., Teichler, U. (a cura di), Hochschule - Beruf - Gesellschaft, Frankfurt a. M.-New York 1988.
Halsey, A.H. (a cura di), Ability and educational opportunity, Paris 1961.
Halsey, A.H., Floud, J. E., Anderson, C.A. (a cura di), Education, economy and society: a reader in the sociology of education, New York 1961.
Härnqvist, K., Beräkningar av reserver för högre utbildning, in Reserverna för högre utbildning: 1955 års universitetsutredning, Stockholm 1958, pp. 7-92.
Härnqvist, K., Individual demand for education, Paris 1978.
HMSO (Her Majesty's Stationery Office), Children and their primary schools: a report of the Central Advisory Council for Education, vol. II, Research and surveys, London 1967.
Husén, T., Begåvning och miljö, Stockholm 1948.
Husén, T., Problems of differentiation in Swedish compulsory schooling, Stockholm 1962.
Husén, T., Talent, equality and career: a twenty-six year followup of 1500 individuals, Stockholm 1969 (tr. it.: Attitudine, possibilità, carriera: una ricerca di 26 anni su 1500 persone, Firenze 1974).
Husén, T., Social influences on educational attainment, Paris 1974.
Husén, T., The school in question: a comparative study of the school and its future in Western societies, Oxford 1979.
Husén, T., The learning society revisited, Oxford 1986.
Husén, T., Education and the global concern, Oxford 1990.
Husén, T., Boalt, G., Educational research and educational change: the case of Sweden, New York-Stockholm 1968 (tr. it.: Ricerca educativa e riforme scolastiche: l'esempio svedese, Firenze 1973).
Husén, T., Kogan, M. (a cura di), Educational research and policy: how do they relate?, Oxford 1983.
Husén, T., Tuijnman, A., Halls, W.D. (a cura di), Schooling in modern European society, Oxford 1992.
Illich, I., Deschooling society, New York 1970 (tr. it.: Descolarizzare la società, Milano 1972).
Inkeles, A., Advances in sociology: a critique, in Advances in the social sciences, 1900-1980: what, who, where, how? (a cura di K. W. Deutsch, A. S. Markovits e J. Platt), Lanham, Md., 1986.
Inkeles, A., Smith, D. H., Becoming modern: individual change in six developing countries, Cambridge, Mass., 1974.
Isling, A., Kampen för och emot en demokratisk skola, Stockholm 1980.
Jencks, C. e altri, Inequality: a reassessment of the effect of family and schooling in America, New York 1972.
Johansson, E., Literacy and society in a historical perspective, Umeå 1973.
Karabel, J., Halsey, A.H., Educational research: a review and an interpretation, in Power and ideology in education (a cura di J. Karabel e A. H. Halsey), New York 1977, pp. 1-85.
Karabel, J., Halsey, A.H. (a cura di), Power and ideology in education, New York 1977.
Kellaghan, T. e altri, The home environment and school learning, San Francisco 1993.
Kogan, M., The politics of education, London 1973.
Kölher, J., Bildungsbeteiligung und Sozialstruktur in der Bundesrepublik: zu Stabilität und Wandel der Ungleichheit von Bildungschancen, Berlin 1992.
Leestma, R., Walberg, H. (a cura di), Japanese educational productivity, Ann Arbor, Mich., 1992.
Lesourne, J., Éducation et société: les défis de l'an 2000, Paris 1988.
Mählck, L., Choice of post-secondary studies in a stratified system of education, Stockholm 1980.
Mannheim, K., Freedom, power and democratic planning, New York 1950.
Marjoribanks, K., Families and their learning environment: an empirical analysis, London 1979.
Marjoribanks, K., Sociology of education, in International encyclopedia of education: research and studies (a cura di T. Husén e T. N. Postlethwaite), Oxford 1985, pp. 4680-4700.
Meumann, E., Vorlesungen zur Einführung in die experimentelle Pädagogik, 3 voll., Leipzig 1907.
Mosteller, F., Moynihan, D.P., On equality of educational opportunity, New York 1972.
Munck, I., Model building in comparative education, Stockholm 1980.
OECD (Organization For Economic Cooperation And Development), Reviews of national policies for the 1970s, Paris 1971.
Parsons, T., The school class as a social system, in "Harvard educational review", 1959, XXIX, pp. 434-455.
Postlethwaite, T.N., Achievements in science education in 1984 in 23 countries, in Issues in science education: science competence in social and ecological context (a cura di T. Husén e J. P. Keeves), Oxford 1990, pp. 35-59.
Rawls, J., A theory of justice, Cambridge, Mass., 1971 (tr. it.: Una teoria della giustizia, Milano 1982).
Schultz, T.W., Investment in human capital, in "American economic review", 1961, LI, 5, pp. 1-17.
Shimbori, M., Sociology of education, in "International review of education", 1979, XXV, pp. 393-413.
Sjöstrand, W., Freedom and equality as fundamental educational principles in Western democracy, Stockholm 1973.
Svensson, A., Relative achievement: school performance in relation to intelligence, sex, and home environment, Stockholm 1971.
Svensson, A., On equality and university education in Sweden, in "Scandinavian journal of educational research", 1980, XXIV, pp. 79-92.
Svensson, N.E., Ability grouping and scholastic achievement, Stockholm 1962.
Tawney, R.H., Equality, London 1931, 1952⁴.
Teichler, U., Das Dilemma der modernen Bildungsgesellschaft: Japans Hochschulen unter den Zwängen der Statuszuteilung, Stuttgart 1976.
Trow, M., Problems in transition from elite to mass higher education, Berkeley, Cal., 1973.
Veblen, T., The higher learning in America: a memorandum on the conduct of universities by businessmen, New York 1918.
Weber, M., Wirtschaft und Gesellschaft: Grundriss der verstenhenden Soziologie, 2 voll., Tübingen 1922 (tr. it.: Economia e società, 2 voll., Milano 1961).
Weiss, C.H., The many meanings of research utilization, in "Public administration review" , 1979, settembre, pp. 426-431.
Willke, I., Lärostolar i pedagogik vid europeiska universitet, Stockholm 1975.
Young, M., Rise of the meritocracy, London 1958.
Young, M., Knowledge and control, new directions for the sociology of education, London 1974.