NIMBY, effetto
Espressione (Not In My Back Yard, «non nel mio giardino») coniata negli anni 1980, attribuita a W. Rodger dell’American Nuclear Society e legata al politico inglese N. Ridley (1929-1993), che fu segretario di Stato del partito conservatore per l’ambiente. Identifica l’opposizione di uno o più membri di una comunità locale a ospitare opere di interesse generale sul proprio territorio, pur riconoscendone, a volte, la desiderabilità sociale (l’installazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, una scuola, un centro commerciale, un ospizio, grandi vie di comunicazione ecc.). In altri casi l’opera è assolutamente indesiderata, perché considerata una minaccia alla salute o alla sicurezza, oppure perché a essa si associa una riduzione dello status di un quartiere o di un’area geografica. Tali opere possono includere, per es., la realizzazione di una discarica di rifiuti pericolosi o lo stoccaggio di materiale radioattivo, a cui sono associate forti proteste e manifestazioni. Il termine NIMBY è utilizzato anche per descrivere le persone che sostengono alcune proposte (come l’aumento della tassazione), ma si oppongono alla loro applicazione in quanto richiedono a loro stessi un sacrificio.
L’effetto NIMBY può condurre a una inefficiente allocazione delle risorse (➔ allocazione), poiché, a fronte di benefici ampiamente distribuiti, il costo dell’esternalità negativa (➔ esternalità) si concentra sulla comunità ospitante (M. O’Hare, 1977). Le caratteristiche tecniche e di gestione dell’opera e le preferenze della comunità ospitante giocano un ruolo essenziale nell’individuazione del meccanismo ottimale di gestione dell’effetto NIMBY. Si affida (approccio top down) la scelta del sito al costruttore (o al decisore politico), lasciando alla trattativa bilaterale (che interviene ex post) la definizione delle eventuali compensazioni o di varianti del progetto, se le differenze nei costi di costruzione e gestione dell’opera sono più rilevanti di quelle nelle preferenze delle diverse comunità. I rischi di lock in (capacità della comunità locale di estrarre rendita attraverso la richiesta di compensazioni elevate o di non intraprendere affatto la realizzazione dell’opera), insiti in questo tipo di trattativa, sono particolarmente elevati nelle comunità in cui il consenso è un elemento necessario o che appartengono a un contesto molto decentrato. Laddove le differenze nelle preferenze delle diverse comunità siano più rilevanti di quelle nei costi di costruzione e gestione dell’opera, si configura un problema simile a quello relativo alla fornitura di beni pubblici: l’asimmetria informativa (➔) tra costruttore dell’opera e comunità sulle vere preferenze di quest’ultima porterebbe la comunità a gonfiare i propri sacrifici, così da evitare di essere scelti per ospitare l’opera o a richiedere compensazioni più elevate. È più opportuno, in questa circostanza, utilizzare meccanismi di corretta rivelazione delle preferenze, come quelli d’asta (➔ asta ) o negoziali, allo scopo di individuare la comunità con disutilità inferiore (approccio bottom up). Si deve tuttavia tenere presente che la difficoltà per le comunità di reperire informazioni credibili sulle caratteristiche tecniche dell’opera e quella di inserire all’interno di una procedura d’asta richieste di varianti al progetto riducono l’operabilità delle aste come meccanismo disvelatore delle preferenze.