EGEMONE (‛Ηγήμων) di Taso
Poeta greco, vissuto a quanto pare, ai tempi di Cratino e di Epicarmo (sec. V a. C.) è annoverato fra i poeti della commedia antica e se ne porta come prova la commedia Filina (Φιλίνα o Φιλίννα) di cui ci sono pervenuti due trimetri. Quale ne fosse il contenuto non è dato arguire: certo essa non doveva mancare di quell'acre umorismo e di quella scurrilità di linguaggio proprî della commedia antica. Ma più che con le commedie, Egemone, acquistò fama con le Parodie. Aristotele (Poet., 2, 1448 a 12) attesta senz'altro che egli fu il primo a comporne, ma questa asserzione si deve intendere non nel senso che Egemone inventò la parodia, già nata in tempi antichi, come dimostrava il Margite attribuito a Omero e l'uso fattone da Ipponatte, ma ne costituì una forma letteraria particolare che traeva motivo di riso non soltanto dal contrasto fra la solennità dei versi imitati e l'argomento per cui erano travisati, ma anche da facezie, motti di spirito, scherzi, scurrilità fra le quali non mancavano allusioni ai fatti contemporanei. Tali parodie erano recitate negli agoni timelici e nelle Panatenee in Atene. Un lungo frammento di 21 versi è conservato da Polemone presso Ateneo (XV, 695 e) e Cameleonte ne ripete (Aten., IX, 406 e) tre versi (vv. 18-21). Tale frammento deriva forse dall'introduzione di una parodia, in cui Egemone, come facevano spesso i poeti della commedia antica, parla di sé stesso e ci racconta che da Taso era stato costretto a partire perché malvisto dai concittadini e tormentato dalle strettezze economiche, deciso, secondo un consiglio della dea Atena, di recarsi altrove a cercare fortuna. In Atene fece il rapsodo, l'istrione e soprattutto acquistò popolarità con le sue parodie, con le quali vinse anche premî negli agoni, ma non arricchì come egli desiderava, e condusse vita stentata. Per questo egli stesso s'attribuì il nomignolo di "Lenticchia" (Φακῆ) e ne traeva argomento di gioco. La più importante delle sue parodie fu la Gigantomachia. Pare che egli abbia composte parodie anche in giambici.
I frammenti in Meineke, Fragm. Comic. Graec., II, 743; T. Kock, Comic. Attic. Fragm., Lipsia 1880, I, 700; P. Brandt, Corpusculum poesis epicae gr. ludibundae, Lipsia 1888, I, pp. 37-49.
Bibl.: Veland, De praec. parod. homer. script. apud Graecos, Gottinga 1833; B. J. Peltzer, De parod. Graec. poësi et de Hippon. Hegem. Matr. parod. fragm., Münster 1855; H. G. Paessens, De Mat. parod. reliq., ivi 1856; H. Schrader, Die parod. Verse des Heg. aus Thasos in Athen, in Rh. Mus., XX, p. 186 seg.; v. Leutsch, in Philol., X, p. 704; U. v. Wilamowitz, in Hermes, XL, p. 173; W. v. Christ, Gesch. gr. Litter., 6ª ed., Monaco 1912 segg., I, p. 415; A. Körte, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII, coll. 2595-96.