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EGITTO

di Jean Richard - Federiciana (2005)
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Egitto

Jean Richard

La conquista della Siria da parte dei turchi, poi dei crociati, aveva ridotto la dinastia fatimide al possesso del solo Egitto. Fra il 1163 e il 1169 i franchi e gli ayyubidi si disputarono il paese; i secondi ebbero il sopravvento e il loro capo, il Saladino, nel 1171 depose il califfo che l'aveva nominato suo visir, mantenendo per sé il titolo di sultano. Eliminò i partigiani dei fatimidi e il partito sciita in nome del califfo abbaside. Le sue conquiste lo resero padrone di Damasco, di Aleppo, dello Yemen e infine di Gerusalemme, ma la terza crociata mise un freno alla sua espansione. In Egitto il Saladino costruì la fortezza del Cairo; richiamò turchi e curdi per costituire il suo esercito, riducendo il contingente arabo; cercò anche di allontanare i cristiani dalla sua amministrazione, ma senza troppo successo. Ai capi militari conferì, a titolo di iqṭā῾, dotazioni sulle rendite dello stato. Si adoperò per rafforzare il suo controllo sul Sinai, luogo di passaggio fra l'Egitto, la Siria e i luoghi santi dell'Islam, in un primo tempo combattendo contro Rinaldo di Châtillon, poi con la costruzione di fortezze e la sottomissione dei beduini, assicurando in tal modo le comunicazioni vitali fra le diverse parti del suo Impero.

Alla sua morte (3 marzo 1193) lasciò i suoi territori ai figli e l'Egitto spettò al maggiore, al-Aziz; ma le dispute che contrapposero i suoi discendenti diedero allo zio al-Malik al-῾Ādil, che aveva governato l'Egitto per conto del Saladino, l'opportunità di diventare sultano nel 1200. Anche lui fu costretto a spartire tra i figli un territorio che si estendeva fino all'Alta Mesopotamia, paese d'origine della dinastia. Dovette affrontare inoltre i crociati di Enrico VI e di Andrea d'Ungheria, ma soprattutto le armate della quinta crociata che sbarcarono a Damietta nel 1218. Suo figlio al-Malik al-Kāmil gli succedette in quello stesso anno e riu-scì a recuperare Damietta. Stabilì ben presto rapporti con Federico II, che già nel 1215 aveva inviato il vescovo di Cefalù al Cairo per rinnovare antichi trattati. Questa volta al-Kāmil cercò l'appoggio dell'imperatore contro le mire del fratello, il sultano di Damasco, che aspirava a impadronirsi dell'Egitto. Il suo inviato, l'emiro Fakhr al-Dīn, si conquistò il favore di Federico II, che forse lo nominò cavaliere e gli permise di portare le sue armi. Al-Kāmil sembra avesse offerto all'imperatore, per contraccambiare il suo aiuto, la restituzione del Regno di Gerusalemme, senza dubbio amputato delle piazze al di là del Giordano che rappresentavano un punto nevralgico dell'Impero ayyubide; ma essendo sopravvenuta la morte del sultano di Damasco, l'alleanza con Federico II aveva perso importanza. Di conseguenza il trattato di Giaffa (11 febbraio 1229) lasciò all'imperatore soltanto i Luoghi Santi dei cristiani e le rispettive strade d'accesso. Tuttavia le relazioni tra Federico e al-Kāmil si mantennero cordiali e le ambasciate si susseguirono. L'imperatore ratificò anche il trattato stipulato nel 1240 fra il sultano e Riccardo di Cornovaglia che estendeva le rioccupazioni franche in Siria.

La successione di al-Kāmil si presentò difficile: ebbe il sopravvento il secondogenito, al-Ṣāliḥ Ibn Ayyūb, che, diffidando di coloro che avevano servito il padre, allontanò gli emiri curdi per accordare fiducia ai suoi mamelucchi, in maggioranza turchi, per i quali fece costruire la fortezza di Rawḍa su un'isola del Nilo (da qui il nome di bahriti, ossia 'quelli del fiume'). I corasmi che aveva assoldato gli permisero di sconfiggere il sultano di Damasco e i franchi a La Forbie (17 ottobre 1244); ma si trovò ben presto ad affrontare la crociata di Luigi IX re di Francia, di cui sarebbe stato avvertito da un emissario di Federico. Morì poco dopo la presa di Damietta da parte dei crociati (24 novembre 1249). La vedova Shaǧar al-Durr e Fakhr al-Dīn seppero nasconderne il decesso per concedere al figlio al-Mu῾aẓẓam Tūrānshāh il tempo di arrivare. Ma all'indomani della vittoria di Fariskūr, il 12 maggio 1250, al-Mu῾aẓẓam fu assassinato dai mamelucchi che si era inimicato, e la sultana sposò uno di loro, Aybeg: questi trionfò sui sultani ayyubidi, si assicurò il possesso della Palestina e stroncò una rivolta araba. Aybeg fu assassinato su istigazione della sultana, la quale fu a sua volta uccisa, e il potere toccò a Quṭuz (1254-1260). Questi aveva allontanato gli emiri più importanti, tra cui Baybars al-Bunduqdārī, che dovette però richiamare all'avvicinarsi dei mongoli. Fu proprio quest'ultimo l'artefice della vittoria di ῾Ayn Ǧālūt nel 1260; ma poi assassinò Quṭuz e divenne sultano. Baybars respinse i mongoli fino all'Eufrate, indebolì il Regno armeno di Cilicia e ridusse i franchi al possesso di una fascia costiera; nel 1268 prese Antiochia. Questo sovrano energico e brutale riorganizzò la difesa delle coste, ripristinò la viabilità, istituì un sistema postale; ridistribuì le circoscrizioni territoriali per spartire gli iqṭā῾ tra i mamelucchi che rappresentavano l'ossatura militare del paese. Questi schiavi comprati dal sultano o dagli emiri, convertiti all'Islam e affrancati, legati ai loro padroni da vincoli di fedeltà, ebbero accesso alle cariche più prestigiose. A loro si devono numerose fondazioni e costruzioni. Baybars morì nel 1277; Qalāwūn (1279-1290) ne completò l'opera in Siria. Il primo aveva accolto al Cairo un discendente degli abbasidi che proclamò califfo e che era il sovrano di diritto di quello che veniva chiamato l'"Impero dell'Islam"; era alla testa della gerarchia dei teologi e degli uomini di legge. Come nel passato, nell'amministrazione erano impiegati i cristiani, che tuttavia dovettero subire a più riprese una serie di vessazioni. I due patriarchi, copto e melchita, che portavano il titolo di Alessandria, mantenevano comunque la loro gerarchia; il primo estendeva la propria giurisdizione sulle Chiese di Nubia e di Etiopia, circostanza che gli assicurava qualche riguardo da parte del sultano, mentre il secondo ebbe relazioni con il papa, in particolare in merito al soccorso religioso portato ai numerosi cristiani prigionieri in Egitto.

L'Egitto appariva agli occhi degli occidentali una 'terra ricca' frequentata da mercanti veneziani, pisani, genovesi, come pure da siciliani e catalani, che pagavano ingenti diritti doganali; inoltre i mercanti kārimī portavano ad ῾Aydhāb i prodotti dell'India. L'industria tessile, soprattutto quella serica, continuava a prosperare, in particolare a Damietta e a Tinnis. Questa ricchezza spiega le bramosie che si manifestarono in occasione delle crociate: alcuni aspiravano alla conquista dell'Egitto, mentre altri vedevano nelle campagne organizzate in questo paese un mezzo per costringere il sultano a rinunciare alla Terrasanta.

La prosperità dell'Egitto restava nondimeno fragile, perché mancavano alcune materie prime, come il legname, mentre la piena del Nilo, essenziale per i raccolti e le risorse alimentari, poteva essere troppo debole; infatti, specialmente nel 1200-1201, gravi carestie si abbatterono sul paese. Fu questa fragilità a suggerire al papato l'idea di attuare un blocco delle terre del sultano per costringerlo ad abbandonare la presa sulla Terrasanta: proclamato nel 1289-1291, tale blocco fu comunque applicato in maniera assai sommaria.

fonti e bibliografia

G. Wiet, L'Égypte arabe, de la conquête arabe à la conquête ottomane, 642-1517 de l'ère chrétienne, Paris 1934.

H.L. Gottschalk, Al-Malik al-Kamil von Egypten und seine Zeit, Wiesbaden 1958.

R. Irwin, The Middle East in the Middle Ages: the Early Mamluk Sultanate. 1230-1282, London 1986.

Y. Lev, Saladin in Egypt, Leiden 1998.

L.S. Northrup, From Slave to Sultan: the Career of al-Mansūr Qalawūn and the Consolidation of Mamlūk Rule in Egypt and Syria (678-689 A.H./1279-1290 A.D.), Freiburg 1998.

J.-M. Mouton, Le Sinaï médiéval, un espace stratégique de l'Islam, Paris 2000.

(traduzione di Maria Paola Arena)

Vedi anche
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