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Il 2011 e il 2012 sono stati per l’Egitto anni di fondamentale trasformazione politica: dopo trent’anni di presidenza, nel febbraio 2011 Hosnī Mubārak è stato costretto a rassegnare le dimissioni in seguito alle grandi proteste che avevano sconvolto il paese a partire dal 25 gennaio.
Dopo circa un anno e mezzo di convulso processo di transizione governato dal Consiglio supremo delle forze armate, il 17 giugno 2012 si sono svolte le prime elezioni presidenziali del nuovo corso democratico del paese, che hanno consacrato la vittoria dell’esponente della Fratellanza musulmana Mohammed Mursi. Il nuovo presidente ha assunto sia i poteri previsti dalla Dichiarazione costituzionale – documento provvisorio approvato nel marzo 2011 dal Consiglio supremo delle forze armate – sia il potere legislativo, non avendo il paese ancora un parlamento eletto. Quello uscito dalle prime elezioni legislative democratiche della storia egiziana del gennaio 2012 è stato infatti sciolto dopo due mesi, ufficialmente a causa di vizi di forma, anche se l’episodio sarebbe da inscrivere nella lunga lotta per il potere tra militari e Fratellanza musulmana che ha caratterizzato la scena politica egiziana dopo la caduta di Mubārak. Nella transizione post-Mubārak i Fratelli musulmani sono emersi come la principale forza politica del paese e sembrano destinati a rimanerlo a lungo. Per quanto anche altri attori importanti – come i salafiti e i liberali – abbiano acquisito peso politico, la Fratellanza appare come l’unica organizzazione in grado di radunare intorno a sé un consenso tale da poter garantire un governo stabile per il nuovo corso politico-istituzionale.
Paese chiave negli equilibri mediorientali, per oltre trent’anni l’Egitto è stato l’alleato privilegiato degli Stati Uniti nella regione, nonché l’unico stato arabo, insieme alla Giordania, ad avere intrattenuto rapporti con Israele. Se è ipotizzabile che la riorganizzazione dei poteri e delle forze politiche in atto possa produrre un cambio nelle posizioni egiziane su alcune tematiche specifiche o modificare la temperatura di alcune relazioni bilaterali (è difficile per esempio che si riconfermi una sintonia con Israele come quella registrata negli ultimi anni, ma sono prevedibili novità anche nei confronti dell’Iran) è altrettanto plausibile aspettarsi che la politica estera del Cairo non subirà grandi sconvolgimenti nelle sue priorità e nelle sue linee direttrici. Oltre alla partnership con Washington, che ha finora appoggiato le spinte del cambiamento, l’Egitto è alla ricerca di nuove alleanze strategiche, come dimostrato dall’intensificarsi dei rapporti con le monarchie del Golfo e dal viaggio del presidente Mursi in Cina, il primo fuori dal Medio Oriente dopo l’elezione.
L’instabilità politica attraversata, seppur con notevoli differenze, tanto dalla Libia quanto dal Sudan aggiunge, inoltre, ulteriore incertezza anche per ciò che riguarda l’area del vicinato, aumentando l’attenzione internazionale e la posta in gioco sull’evoluzione politica egiziana. Se una Libia stabile risulta fondamentale per l’Egitto in considerazione del lungo confine condiviso tra i due paesi, il mantenimento di buone relazioni col Sudan è ugualmente di vitale importanza negli interessi del Cairo, vista la posizione chiave che esso ricopre nell’afflusso delle acque del Nilo. La relazione più al riparo dall’incertezza dell’attuale fase di trasformazione politica domestica è quella con l’Unione Europea. Negli anni l’Egitto ha sviluppato intensi rapporti con Bruxelles, con cui dal 2004 è in vigore l’Accordo di associazione per la liberalizzazione degli scambi dei prodotti industriali nell’ambito del Partenariato euromediterraneo.
Insieme agli altri partner mediterranei il paese è stato ammesso nella Politica europea di vicinato e dal 2008 nell’Unione per il Mediterraneo, di cui ha detenuto la copresidenza di turno, insieme alla Francia, fino alla caduta di Mubārak.
Ordinamento istituzionale e politica interna
Dopo la caduta di re Farouk nel golpe militare del 1952, l’Egitto è stato trasformato in una repubblica, sebbene da allora nel paese sia stato di fatto in vigore un regime autoritario sostenuto dai militari. La Costituzione del 1971 – successivamente più volte emendata – conferiva al presidente ampi poteri: oltre al comando delle forze armate, infatti, al capo dello stato spettava la nomina del primo ministro e del consiglio dei ministri, nonché dei governatori provinciali, dei comandi delle forze armate e di sicurezza, delle più importanti figure religiose e dei giudici dell’Alta corte.
A ciò si aggiungeva anche un diritto di veto sulle leggi. Il processo di scrittura della nuova Costituzione a seguito della caduta di Mubārak ha subito vicende alterne a cominciare dal referendum del marzo 2011, che ha confermato alcuni cambiamenti costituzionali voluti dalla giunta militare in quel momento al potere. La Commissione costituente, nominata dal Parlamento dopo le elezioni del 2012, è stata tuttavia annullata da una sentenza dell’Alta corte a causa di irregolarità nella scelta dei membri. Precedentemente anche il Parlamento era stato sciolto per irregolarità nella legge elettorale. Tali manovre, che rientravano nella cornice del conflitto istituzionale in corso fra militari al potere e Fratellanza musulmana, hanno parzialmente trovato soluzione con la vittoria di Mohammed Mursi alle elezioni presidenziali della primavera 2012.
Il nuovo presidente, elemento di spicco della Fratellanza, ha infatti sconfitto al ballottaggio Ahmed Shafiq, ultimo primo ministro dell’era Mubārak e uomo vicino alla giunta militare. Una delle prime mosse di Mursi è stata quella di sostituire gli anziani vertici delle forze armate – che, presieduti dal generale Tantawi, avevano fino a quel momento guidato la transizione egiziana – con figure provenienti dalla nuova generazione di generali più vicini ai Fratelli musulmani, mettendo così fine alla lotta per il potere a favore della Fratellanza.
Nel frattempo una nuova Commissione costituente è stata nominata dall’assemblea parlamentare poco prima del suo scioglimento. La nuova carta redatta dalla Commissione dovrebbe essere definitivamente ratificata poco dopo la sua pubblicazione ufficiale tramite referendum popolare nel dicembre 2012. Essa è però oggetto di un procedimento giudiziario che nello stesso periodo potrebbe sancirne nuovamente l’incostituzionalità a causa di irregolarità nella nomina dei membri, segnando così un nuovo stallo nel processo di transizione e un nuovo picco nel conflitto istituzionale in corso tra Fratelli musulmani e magistratura. Quest’ultima, dopo l’esercito, è infatti rimasta l’altro baluardo del vecchio regime.
Popolazione e società
Con più di 80 milioni di abitanti, di cui più di un terzo sotto i 14 anni, l’Egitto è lo stato più popoloso del mondo arabo. La sua popolazione è quasi raddoppiata negli ultimi trent’anni e la crescita demografica continua a essere superiore alla capacità dell’economia nazionale di sostenerla. Inoltre, considerato che la maggior parte del territorio egiziano è desertico, più del 97% della popolazione egiziana vive in una ristretta area lungo la fertile valle del Nilo e intorno al delta del fiume (che costituisce meno del 5% del territorio del paese), con un tasso di densità molto elevato che in alcune zone della capitale raggiunge più di 100.000 abitanti per chilometro quadrato. Ciò spiega perché la riduzione della pressione demografica – il tasso di crescita della popolazione era stimato al 2% nel 2010 – costituisca uno degli obiettivi principali del governo. Il graduale processo di liberalizzazione dell’economia, se da una parte ha favorito la crescita economica del paese, dall’altra ha prodotto un rialzo dei prezzi e una caduta dei salari che, di fatto, hanno peggiorato le condizioni di vita della popolazione, metà della quale vive al di sotto della soglia di povertà.
A ciò si aggiunge anche il problema della disoccupazione, nonostante i dati ufficiali l’attestino al 12,1% (2011). Prima delle rivolte che hanno portato alla caduta di Mubārak, l’Egitto era stato teatro negli ultimi anni di dure manifestazioni contro il governo, come per esempio la ‘rivolta del pane’ del 2008, provocata dal rialzo del prezzo dei cereali. Il paese non è estraneo neanche a tensioni di carattere religioso tra la maggioranza musulmano sunnita e la minoranza cristiano-copta, che conta circa il 10% della popolazione. Gli Egiziani, circa il 94% della popolazione, sono il gruppo etnico dominante. Il restante 6% è costituito da Beduini, che abitano nei deserti a est del Nilo e nel Sinai, da Berberi, che si concentrano nell’Oasi di Siwa a ovest del Nilo, e dai Nubiani, che vivono nell’Alto Nilo. Nel corso degli ultimi decenni in Egitto è confluito anche un numero difficilmente quantificabile di rifugiati politici provenienti dall’Iraq, dal Sudan, e più recentemente dalla Siria, che si sono aggiunti ai rifugiati palestinesi affluiti qui dal 1948.
La fase di avvicinamento alle elezioni presidenziali del 2011 aveva accentuato il controllo autoritario sulla vita politica del paese da parte di Mubārak. Ciò aveva comportato ulteriori restrizioni alla partecipazione politica, che in Egitto si attestava su livelli più elevati rispetto ad altri paesi arabi, determinando un declassamento del paese nei ranking mondiali per indici di democraticità, come confermato, per esempio, in quello dell’Economist Intelligence Unit in cui l’Egitto ha perso 19 posizioni dal 2008, collocandosi al 139° posto su 167 paesi nel 2010. In un contesto caratterizzato da repressione e controllo capillare, la protesta politica, la disaffezione nei confronti del regime e le istanze di apertura democratica degli egiziani hanno spesso trovato espressione su internet, che in Egitto non è soggetto a filtro, sebbene non siano mancati il blocco e l’oscuramento di alcuni siti considerati sensibili. Sono così stati sempre più frequenti i siti e i blog di esponenti delle opposizioni laiche ma anche religiose, oltre che di intellettuali indipendenti, tanto che la rete sembrava essere diventata lo strumento più naturale per aggirare la censura di stato. La rilevanza di questa ‘vitalità virtuale’, d’altra parte, è emersa con tutta le sue potenzialità proprio durante le proteste antiregime di inizio 2011, in cui social network come Facebook e Twitter si sono dimostrati mezzi fondamentali per diffondere la mobilitazione all’interno del paese specie tra le fasce più giovani della popolazione, e per darne visibilità al di fuori.
Sotto il regime di Mubārak, lo stato ha sempre dominato i media e mantenuto il monopolio della stampa e della distribuzione delle pubblicazioni: non sono stati rari i casi di giornalisti che hanno subito persecuzioni e arresti. Alle forti limitazioni della libertà di stampa e di informazione si è unito negli ultimi anni un aumento dei casi di tortura all’interno delle carceri. In Egitto è stata in vigore fino alla fine del regime di Mubārak la legge di emergenza nazionale, che limitava le garanzie costituzionali, attribuendo tra l’altro alla polizia ampi poteri discrezionali nel reprimere manifestazioni pubbliche, arrestare e detenere cittadini anche in mancanza di accuse o prove precise, nonché condurre indagini e perquisizioni senza autorizzazione. Il periodo di transizione è stato in generale caratterizzato da maggiori aperture per quanto riguarda i diritti civili e le libertà di espressione. Numerose manifestazioni e scioperi hanno avuto luogo a partire dalla deposizione del vecchio dittatore e sono state fondate molte testate indipendenti. Nonostante ciò non sono mancati, specialmente nel periodo dominato dalla giunta militare, sanguinose repressioni e arresti di giornalisti e attivisti per i diritti umani. In generale il quadro dei diritti civili e politici nel paese, anche se in miglioramento, ha ancora diverse ombre che solo la stesura della nuova
Costituzione e la conclusione della fase di transizione potranno dirimere.
Il livello di corruzione (il paese si trova alla 112° posizione su 183 secondo il Trasparency International Index) all’interno delle istituzioni e della pubblica amministrazione rimane un grande problema, sia per quanto riguarda i danni al bilancio statale sia per il malessere potenzialmente destabilizzante che crea fra la popolazione. Da esso, e più in generale dal miglioramento del sistema di redistribuzione e di giustizia sociale, dipende il successo o il fallimento del nuovo governo dominato dai Fratelli musulmani.
Economia
Tra i paesi del mondo arabo l’Egitto è la terza più grande economia dopo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Dal 2006 al 2008 l’economia egiziana è cresciuta in media del 7%, registrando una flessione (4,7%) nel 2009 a causa delle ripercussioni della crisi economica internazionale, per poi riprendersi nel 2010 (5,1%). La forte domanda interna ha contribuito a fare uscire l’Egitto dalla crisi. La ripresa è stata accompagnata da un incremento degli investimenti privati a fronte di una riduzione degli investimenti pubblici, dall’aumento degli introiti del Canale di Suez, dalla crescita del settore turistico e delle esportazioni.
Alla buona performance economica dell’Egitto negli ultimi anni hanno contribuito le riforme economiche in senso liberista avviate a partire dal 2004. Nel 2008 il paese compariva tra i primi dieci ‘top reformer’ nella classifica di 183 paesi stilata da Banca mondiale nel rapporto Doing Business. La progressiva liberalizzazione dell’economia ha favorito l’afflusso di investimenti diretti esteri (ide) in Egitto che, nel periodo di boom (2003-08) degli ide verso la sponda sud del Mediterraneo, è stato il principale paese di destinazione degli investimenti, provenienti soprattutto dagli stati del Golfo e dall’Europa.
Tuttavia, lo scoppio delle rivolte interne e l’instabilità politica che ne è seguita hanno bloccato la ripresa della crescita economica prevista anche per il 2011, la quale si è attestata su un ben più modesto 1,8%. Il forte calo delle attività economiche ha infatti avuto un inevitabile impatto negativo sul quadro macroeconomico, evidenziando una forte contrazione degli investimenti e il conseguente deterioramento della bilancia dei pagamenti, che ha causato una repentina emorragia di riserve valutarie, le quali dai 32 miliardi di dollari di fine 2010 sono passate a poco più della metà a marzo 2012. Una ripresa si è comunque registrata in quasi tutti i settori a partire dal 2012. Finché la situazione politica interna non si stabilizzerà appare invece più lento il rilancio del settore turistico che, con introiti nel 2009-10 pari a 11,6 miliardi di dollari, costituisce una buona fetta del pil egiziano. In tale contesto, il proseguimento del processo di riforme economiche e delle liberalizzazioni, così come del piano di investimenti nel settore infrastrutturale attraverso partnership pubblico-private, non è tra le priorità del governo, maggiormente concentrato invece sulla fornitura di beni e servizi essenziali e sulla creazione di nuovi posti di lavoro attraverso progetti nel settore dei lavori pubblici. Se da un lato ciò potrebbe contribuire ad affrontare il problema della disoccupazione, dall’altro, unito all’incremento della spesa in sussidi, farà aumentare il deficit fiscale, appesantito soprattutto dall’estesa politica di sussidi su beni di prima necessità quali alimentari e carburante. Gli sviluppi economici futuri dipendono molto dall’esito delle trattative tra il Fondo monetario internazionale e il governo egiziano per l’elargizione di un prestito agevolato da 4,5 miliardi di dollari. Questo, oltre a dare fiato alle riserve valutarie, dovrebbe essere accompagnato da garanzie da parte dell’esecutivo egiziano, che dovrebbero servire a tranquillizzare gli investitori esteri e far riprendere i flussi finanziari verso il paese. Sebbene i costi delle rivolte e della transizione siano elevati, le prospettive di crescita appaiono incoraggianti per una ripresa economica del paese nel lungo termine.
Alla composizione del pil egiziano concorrono principalmente il settore manifatturiero (16,2%), petrolio e gas (14,1%), l’agricoltura (13,6%), la vendita al dettaglio e all’ingrosso (10,8%), il turismo e i trasporti (8,3%), i servizi finanziari (7,6%). Importanti sono anche il settore delle costruzioni (4,6%) e gli introiti del Canale di Suez (3,7%). Nonostante solo il 3% del territorio egiziano sia fertile, l’Egitto esporta prodotti agricoli (principalmente frutta, riso e cotone) per un valore di circa due miliardi di dollari all’anno.
Energia
Tra i paesi del Nord Africa, l’Egitto è fra i primi produttori di petrolio e di gas. Nonostante un costante calo nei livelli della produzione di petrolio – 725.000 barili al giorno, mentre alla fine del 2012 le riserve si attestavano ormai a 4,4 miliardi di barili – l’estrazione del greggio continua a rappresentare una voce importante dell’economia egiziana. L’impoverimento dei giacimenti del Golfo di Suez ha portato all’avvio di attività esplorative nelle aree di frontiera, come il Deserto Occidentale al confine con la Libia, le aree off-shore del Mediterraneo e i territori del Sinai. Le esplorazioni sono state intraprese da compagnie straniere (in primis Bp e Eni) in collaborazione con la compagnia statale Egyptian General Petroleum Corporation (Egpc). Un’importante infrastruttura per l’esportazione del petrolio è la Suez-Mediterranean Pipeline (Sumed), detenuta al 50% dall’Egitto. Essa rappresenta una via di transito alternativa e complementare rispetto al Canale di Suez per il petrolio proveniente dal Mar Rosso e destinato nel Mediterraneo. Il calo della produzione di petrolio è compensato dalle riserve di gas naturale, stimate a 2190 miliardi di metri cubi (2011). Il governo, che incoraggia nuove esplorazioni, ha incentivato l’utilizzo del gas naturale, in particolare per le centrali elettriche, anche concedendo licenze ad aziende private che si occupano dell’estensione della rete di trasmissione e di distribuzione del gas. Ben oltre la metà della produzione giornaliera di gas – proveniente prevalentemente dal delta del Nilo e dal Deserto Occidentale – viene utilizzata per generare elettricità. Il governo egiziano, inoltre, ha provveduto a sviluppare un’articolata rete per l’esportazione del gas naturale. Attraverso l’Arab Gas Pipeline il gas egiziano giunge in Israele, Giordania, Siria e Libano e in prospettiva dovrebbe arrivare anche in Turchia. A partire dal 2005 il gas egiziano viene esportato anche come gas naturale liquefatto (Gnl), di cui l’Egitto è oggi tra i primi dieci maggiori esportatori al mondo. Infine, il paese sta puntando sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Secondo gli obiettivi stabiliti dal governo prima della caduta di Mubārak, entro il 2020 il settore delle energie rinnovabili dovrebbe coprire circa il 20% della produzione totale di energia: più della metà dovrebbe essere rappresentata dall’eolica.
Difesa e sicurezza
Un primo importante riorientamento geostrategico dell’Egitto, da campione del panarabismo e del socialismo arabo a pilastro della strategia statunitense in Medio Oriente, era avvenuto alla fine degli anni Settanta con il presidente Anwar al-Sa¯da¯t, successore di Nasser. Successivamente le relazioni strategiche con Washington sono state rafforzate sotto la presidenza di Hosnı¯ Muba¯rak, che ha fatto dell’Egitto il baluardo contro la penetrazione sovietica in Medio Oriente e nell’Africa orientale e la base per la proiezione delle forze statunitensi nel Golfo. Nell’attuale contesto di trasformazione del mondo arabo, è difficile dire se l’Egitto sarà in grado di continuare a giocare il ruolo di pilastro dell’ordine mediorientale delineato da Washington. L’influenza egiziana nell’area appare infatti in declino, così come il suo ruolo di media potenza regionale di fronte all’emergere di paesi come la Turchia e l’Iran. Inoltre, proprio l’indiscusso allineamento agli Stati Uniti e a Israele mantenuto negli ultimi decenni dal Cairo, anche in occasioni particolarmente controverse come nel caso dell’attacco israeliano a Gaza (dicembre 2008-gennaio 2009), non ha giocato, da una prospettiva araba, a favore dell’Egitto. Se poi è vero che la stessa uscita di scena del presidente Muba¯rak sembrerebbe aver privato gli Stati Uniti di un partner storico e affidabile, è vero altresì che l’Egitto rimane un paese di importanza strategica nell’area e che l’alleanza tra il Cairo e Washington sopravvivrà alla caduta del regime di Muba¯rak. Saranno piuttosto la sua intensità e il suo grado di sintonia a dipendere dal tipo di politiche adottate sia dal nuovo governo del Cairo, sia dall’amministrazione americana, soprattutto riguardo al conflitto israelo-palestinese.
Negli ultimi dieci anni lo sfruttamento delle acque del Nilo è stato oggetto di contesa tra i dieci paesi rivieraschi. In particolare, i paesi dell’Africa orientale dove nascono il Nilo Blu e il Nilo Bianco lamentano i privilegi di cui godono l’Egitto e il Sudan sul controllo delle acque del fiume. Infatti, in virtù degli accordi firmati dal Regno Unito nel 1929 con l’Egitto e nel 1959 con il Sudan, ai due paesi spetterebbe circa l’87% delle acque del Nilo, oltre a un diritto di veto sulla costruzione di dighe, stazioni di pompaggio e sistemi di irrigazione volti a ridurre o a modificare a loro sfavore il flusso di acqua. Al contrario degli altri paesi rivieraschi, che possono contare anche su altre risorse idriche quali le abbondanti piogge, il Nilo – che fornisce il 90% dell’acqua – è una risorsa vitale per l’Egitto. Temendo una riduzione del proprio approvvigionamento idrico, l’Egitto insieme al Sudan si è opposto all’accordo firmato a maggio 2010 da Etiopia, Tanzania, Ruanda e Uganda per una ripartizione più equilibrata delle acque del fiume tra tutti i dieci paesi. Il nuovo accordo – cui hanno aderito altri paesi rivieraschi – eliminerebbe il diritto di veto egiziano e sudanese. Sul piano pratico esso sostituisce l’Iniziativa del bacino del Nilo con una Commissione permanente del bacino del Nilo, deputata alla risoluzione delle controversie tra le parti.
In seguito alla deposizione del presidente Muba¯rak avvenuta l’11 febbraio 2011, il processo di stesura di una nuova Costituzione ha visto numerosi passi in avanti e battute di arresto a causa degli scontri di potere fra le principali forze della politica egiziana. Nel marzo 2011 sono state ratificate da un referendum popolare alcune modifiche alla carta costituzionale in vigore sotto il regime di Muba¯rak. Esse prevedevano elezioni parlamentari entro la fine del 2012, che portassero poi alla nomina da parte del nuovo parlamento della Commissione costituente deputata a redigere la nuova carta. Il referendum di approvazione di tali modifiche ha diviso il panorama politico tra Fratelli musulmani, in questo caso alleati coi militari allora al potere e a favore dell’approvazione, e le forze liberali e progressiste, contrarie a elezioni parlamentari così ravvicinate. La vittoria con il 77% del fronte del sì ha segnato la prima grande vittoria politica della Fratellanza dopo la caduta del dittatore. All’inizio del 2012 la prima Commissione costituente nominata dal parlamento eletto a gennaio è stata sciolta da una sentenza giudiziaria che ne sanciva l’irregolarità nei criteri di scelta dei membri. Poco prima che lo stesso parlamento fosse sciolto, una nuova Commissione costituente è stata nominata. La nuova Commissione ha rilasciato a fine ottobre 2012 la prima bozza di Costituzione, nella quale però non sono stati sciolti alcuni nodi cruciali riguardanti soprattutto il ruolo della legge islamica nel nuovo ordinamento.
La società dei Fratelli musulmani opera in Egitto dal 1928, unendo alle attività politiche iniziative sociali e caritatevoli. Bandita nel 1948 a causa della violenta opposizione contro il governo, la Fratellanza musulmana si è riorganizzata negli anni Settanta, rinunciando ufficialmente alla violenza e prendendo le distanze dai gruppi islamici più radicali. Nonostante il divieto di formare partiti su base religiosa, ai Fratelli musulmani è stato consentito di appoggiare candidati indipendenti, tanto che nel 2005 sono diventati la principale forza di opposizione in seno all’Assemblea del popolo. Tuttavia, la stretta autoritaria che ne è seguita ha impedito al mo-vimento di ottenere un risultato simile alle elezioni parlamentari del novembre 2010. I Fratelli musulmani hanno così rinunciato all’unico seggio conquistato in segno di protesta. Nonostante ciò la loro popolarità è rimasta alta e la loro presenza diffusa tra la popolazione egiziana, soprattutto nelle ampie fasce più povere e marginalizzate, grazie anche a una straordinaria capacità organizzativa che gli consente di elargire servizi sociali e risorse e di sopperire alle carenze dei servizi pubblici. In genere i Fratelli musulmani non hanno avuto strette relazioni con le altre forze di opposizione, anche se non sono mancate alleanze ad hoc. In seguito alla deposizione di Hosnı Mubarak nel 2011 la Fratellanza è entrata da subito a pieno titolo tra i protagonisti della nuova scena politica egiziana attraverso il suo nuovo partito Libertà e Giustizia, vincitore delle elezioni parlamentari, poi annullate, del gennaio 2012. Nonostante le incertezze della transizione, la Fratellanza musulmana sembra destinata a rimanere il principale protagonista della scena politica egiziana ancora per molto tempo.
Salito al potere dopo l’assassinio di al-Sadat di cui era il vice, Mubarak – anch’egli militare di carriera come i suoi predecessori – è stato il dominatore indiscusso della scena politica egiziana per quasi un trentennio: dal 1981 fino all’11 febbraio del 2011, giorno in cui è stato costretto a dimettersi a seguito delle diffuse proteste popolari che da settimane stavano attraversando, negli scontri con gli apparati di sicurezza interna, le strade e le piazze egiziane. Il ‘Faraone d’Egitto’, questo l’appellativo in voga tra i suoi oppositori, aveva fatto del mantenimento dell’ordine e della sicurezza domestici e della lotta ai movimenti islamici radicali i due obiettivi cardinali della sua politica interna, ricorrendo diffusamente nel lungo trentennio di presidenza a strumenti di repressione e controllo sociale, primo tra tutti quello stato di emergenza, che è stato in vigore dal 1981 fino alla sua caduta. Sotto la crescente pressione interna e internazionale per l’avvio di un corso politico più liberale, il presidente aveva aperto a tentativi embrionali di riformare il suo regime: la nomina nel 2004 di un nuovo governo, formato in gran parte da tecnocrati e riformatori legati a suo figlio, Gamal Mubarak, e l’introduzione del suffragio universale per le elezioni presidenziali del 2005, le prime con una pluralità di candidati e in cui aveva vinto con l’88,6% dei voti. Oltre che su una stretta cerchia familiare e clientelare, che deteneva le redini degli interessi politici e economici più rilevanti del paese, il potere di Mubarak poteva contare anche sulla forza del suo partito, il Partito nazionale democratico. Questo, infatti, ha sempre esercitato un dominio assoluto all’interno degli organi rappresentativi egiziani, grazie tanto ai suoi rapporti esclusivi con l’esecutivo quanto al controllo esercitato sui processi elettorali.
I copti d’Egitto sono la più ampia comunità cristiana del Medio Oriente e rappresentano la minoranza religiosa più consistente nel paese. Essa attualmente conta nelle sue fila fra i sei e gli otto milioni di fedeli che abitano nelle regioni meridionali dell’Egitto. La Chiesa copta ortodossa è stata guidata dal 1973 al 2012 da papa Shenouda che, oltre a essere la guida religiosa, non ha mancato di svolgere un ruolo politico non solo a favore della propria comunità, ma anche come mediatore tra Egitto ed Etiopia nella controversia sulle acque del Nilo. Alla fine del 2012 alla guida della comunità è stato eletto il vescovo Tawadros, che ha davanti a sé l’arduo compito di riformare la Chiesa e le istituzioni copte nel paese. Nonostante non vi sia repressione da parte del governo, i copti sono di fatto discriminati rispetto alla maggioranza musulmana. Essi sono sottorappresentati nelle posizioni di governo, a livello politico e nelle forze armate. Nell’ultimo decennio le divisioni settarie all’interno dell’Egitto si sono acuite sfociando sempre più di frequente in episodi di violenza, soprattutto ai danni dei cristiani.
A partire dalla caduta di Mubarak, lo stato della sicurezza nella penisola del Sinai ha subito un netto peggioramento. Il collasso degli apparati di sicurezza a seguito della caduta del dittatore ha portato allo scoppio di rivolte delle tribù beduine autoctone e ad infiltrazioni da parte di gruppi terroristici legati ad al-Qaida. Dalla penisola hanno cominciato a partire attacchi diretti su Israele, fenomeno che ha comportato anche gravi incidenti di frontiera. Il più grave si è verificato nell’agosto 2011, quando 8 soldati egiziani sono stati uccisi per errore da un bombardamento israeliano. Il governo di Hamas nella striscia di Gaza ha cercato intanto di approfittare dell’anarchia presente nel Sinai per intensificare i traffici attraverso il confine con l’Egitto. Il governo di Mursi ha comunque avviato trattative con le tribù locali al fine di far rientrare la situazione sotto il controllo delle istituzioni.