ELENA di Epiro, regina di Sicilia
Figlia primogenita del despota di Epiro Michele II degli Angeli e di Teodora dei Pietralife, nacque, ignoriamo dove, nel 1242. La prima notizia che le fonti registrano sul suo conto si riferisce al 2 giugno 1259, quando appunto giungeva "in Apulia cu' octo galere la Zita de lu seniore re Manfridu, fillia de lu Despotu de Epiru, chiamata Alena" (cfr. Forges Davanzati, p. 11). E. era, allora, appena diciassettenne ed andava sposa a Manfredi di Svevia, re di Sicilia, di dieci anni più vecchio di lei e vedovo di Beatrice di Savoia. Le nozze furono celebrate a Trani con tale sfarzo e tale solennità da colpire la fantasia dell'anonimo autore di una cronaca locale; racconta infatti il cronista: "ze foro grandi feste et suoni, et la sera foro facti tanti alluminere, et tanti fanò in tutti li cantuni de la nostra terra, che paria che fosse die" (ibid., p. 12).
L'unione sanciva la convergenza, sul piano politico, tanto degli interessi di Manfredi - cui venivano confermate le occupazioni territoriali compiute sulla costa albanese intorno a Durazzo e a Valona, accresciute peraltro dall'annessione delle terre dotali - che di Michele degli Angeli, indubbiamente rafforzato dall'alleanza col re di Sicilia nella lotta contro Michele II Paleologo per la conquista di Nicea e del titolo imperiale. Purtroppo le fonti tacciono sui particolari dell'accordo. Non è difficile supporre, tuttavia, che obiettivo del despota, quando aveva trattato il matrimonio della figlia, fosse stato quello di trasformare in potente alleato chi si sarebbe altrimenti potuto dimostrare pericoloso avversario, e che Manfredi, dal canto suo, assicurandosi una salda posizione nei Balcani - dove in aggiunta alle zone già conquistate, otteneva per dote Corfú, Butrinto e Kanina, di considerevole importanza strategica - mirasse a coronare il disegno di espansione verso l'Oriente, che era stato dei sovrani di Sicilia fin dall'epoca normanna.
E. entrava in tal modo nel mondo fastoso della corte sveva, nella quale il suo consorte, seguendo l'esempio paterno, raccoglieva intellettuali, artisti e poeti. Proprio in quegli anni, d'altra parte, Manfredi, che era stato incoronato a Palermo re di Sicilia l'11 ag. 1258, aveva raggiunto l'apice della potenza e dell'autorità. Tutto lasciava intendere che egli avesse stabilmente rafforzato e consolidato la sua posizione, malgrado il duro antagonismo della Chiesa di Roma e nonostante le condizioni di instabilità della situazione interna del Regno. Da parte sua E., che era già avvezza al lusso della casa paterna, pare non abbia trovato alcuna difficoltà ad adattarsi al nuovo ruolo di sovrana ed agli obblighi che tale condizione comportava.
Significativo, al riguardo, è un episodio che sembra si sia verificato in occasione dell'arrivo a Napoli, nel maggio del 1262, degli ambasciatori aragonesi che dovevano condurre nella penisola iberica la principessa Costanza, nata dal matrimonio di Manfredi con Beatrice di Savoia e promessa sposa a Pietro II d'Aragona. Secondo quanto narra il cronista Matteo Spinelli, infatti, gli inviati aragonesi si presentarono in abiti cosi dimessi e trasandati che E., ormai abituata all'ambiente raffinato e sfarzoso della corte sveva, senza dubbio molto diverso da quello più semplice e austero della corte aragonese, si dimostrò "assai male contenta de tale parentezza" al punto da opporsi, benché senza risultato, alle nozze.
Della vita condotta da E. a fianco di Manfredi sappiamo assai poco. Gli scarsi ragguagli forniti dalle fonti non permettono infatti di individuarne i momenti più importanti. Non conosciamo con certezza neppure quando e dove nacquero i figli, a proposito dei quali, anzi, tanto le fonti quanto la letteratura storica forniscono notizie vaghe e talvolta discordanti. L sicuro, ad ogni modo, che ella diede a Manfredi "filios et filias", come afferma Saba Malaspina. In particolare è stato ormai definitivamente accertato che alla nascita di una femmina, che fu la primogenita e venne chiamata Beatrice, ricordata da Bartolomeo da Neocastro, fecero seguito, negli anni successivi, quelle di altri tre figli, tutti maschi. Il 30 apr. 1262 venne infatti alla luce, forse a Napoli, il secondogenito, cui fu imposto un nome carico di significato politico, Enrico, lo stesso del nonno paterno, alla cui tradizione Manfredi si richiamava per legittimare il suo contestato diritto alla corona siciliana. Negli anni immediatamente successivi nacquero poi Federico e Anselmo, detto anche Azzolino. Tutti, tranne Beatrice, avrebbero condiviso il tragico destino di E., compiendo la loro vita nelle prigioni angioine.
La situazione politica diveniva intanto per i sovrani di Sicilia sempre più difficile. Alle incerte condizioni interne del Regno, dove tumulti e insurrezioni richiesero più volte interventi duramente repressivi, si aggiungeva il perdurante contrasto col Papato, nei cui confronti era fallito qualsiasi tentativo di mediazione. Urbano IV, infatti, dopo lunghe trattative con Luigi IX di Francia, risolse il problema della successione al trono di Palermo in favore di Carlo d'Angiò, che il 6 genn. 1266, a Roma, venne infine incoronato solennemente re di Sicilia col consenso del nuovo papa Clemente IV. Lo scontro armato si fece a quel punto inevitabile: battuto dall'Angioino il 26 febbraio, Manfredi perdeva a Benevento la corona e la vita.
Appresa la notizia della disfatta, E., che si era rifugiata a Lucera insieme con i figli, si recò scortata da alcuni fedeli a Trani, da dove sperava di poter più facilmente raggiungere l'Epiro. Una violenta tempesta precluse però alla regina la via della salvezza: complice il castellano della città, venne catturata dalle truppe angioine nel frattempo sopraggiunte. Il 6 marzo, scrive l'Anonimo di Trani, "la pigliaro cu li soi quattro figli et tutto lo tesoru che avia, et de noctu se li portaru, ne si seppe dove" (cfr. Forges Davanzati, p. 22).
Quanto non era noto al cronista è possibile invece ricostruire attraverso le successive disposizioni prese nei confronti della giovane regina e dei suoi figli da Carlo d'Angiò, che pare essersi comportato in quella circostanza con la spietata durezza che gli è stata da più parti attribuita. Prigioniera a Trani, E. venne immediatamente separata dai figli, almeno dai maschi, la cui sola esistenza poteva rendere problematica la stabilità stessa del nuovo regime. Strappati alla madre ancora piccoli, essi furono rinchiusi in Castel del Monte, dove trascorsero circa trerit'anni in condizioni di vita tristissime. Trasferiti nel 1299 nelle prigioni di Castel dell'Ovo, vi trovarono la morte: Federico e Anselmo appena qualche anno dopo, Enrico soltanto nel 1318, quando "per vecchiezza et disagio, acciecato della vista, miseramente fini la sua vita" (cfr. G. Villani, Cronica, I. VII, cap. XLI).
Altrettanto tragica fu la sorte di E., per quanto brevissima se paragonata a quella dei figli. Qualche tempo dopo la cattura, la giovane vedova di Manfredi venne condotta a Lagopesole (presso Avigliano, in prov., di Potenza) alla presenza del nuovo sovrano, che esigeva la sua approvazione per legittimare le pretese che egli avanzava sui territori e sulle città che ella aveva portato in dote al marito e che avrebbero costituito una via di accesso assai favorevole, attraverso i Balcani, verso Oriente. Il progetto ambizioso del re angioino era stato tuttavia seriamente compromesso da un accordo intervenuto tra Michele di Epiro, che tentava di rientrare in possesso dei beni concessi alla figlia, e il papa Clemente IV, preoccupato dalle sempre più incontenibili mire espansionistiche angioine. In tale ottica va letto senza dubbio l'atteggiamento del re di Sicilia che ostacolò sempre, anche se non apertamente, le trattative per un nuovo matrimonio tra E. e il principe Enrico di Castiglia, ricco avventuriero che era stato fra i più fedeli sostenitori della sua causa.
Comunque, il 14 marzo 1267 E. era già stata confinata nel castrum di Nocera dei Cristiani, centro fortificato situato a poca distanza da Salerno. Da quella data si susseguirono con puntigliosa regolarità le ingiunzioni del re Carlo dirette a garantire la puntuale corresponsione delle 40 onze annue stanziate per il mantenimento della prigioniera e dei suoi familiari. La somma, in verità considerevole, consentiva alla deposta regina di fruire ancora di alcuni dei privilegi e delle comodità che il suo rango comportava. Oltre ad un ristretto numero di fedelissimi, nella sua prigionia E. poté infatti disporre di gioielli, vesti preziose, tappeti, scrigni, suppellettili di vario genere ed altri oggetti, che verosimilmente avevano fatto parte dei suoi arredi quotidiani. Del resto, lo stesso re Carlo dichiarava in una lettera del 4 dic. 1269 di non volere "quod dicta Principissa in expensis sibi necessariis defectum aliquem patiatur".
Ignoriamo, per la frammentarietà dei dati in nostro possesso, quando E. sia morta. Ciò dovette avvenire, ad ogni modo, prima dell'11 marzo 1271, quando i suoi familiari e le sue damigelle furono rimessi in libertà.
Dei quattro figli che E. aveva avuto da Manfredi solo la primogenita, Beatrice, venne liberata nel 1284, dopo lunghi anni di detenzione nel Castel dell'Ovo. Condotta in Sicilia presso la sorellastra Costanza, divenuta intanto regina dell'isola, andò sposa qualche tempo dopo al marchese Manfredi di Saluzzo, non senza aver prima dovuto rinunziare ufficialmente ad ogni suo diritto sul Regno di Sicilia.
Fonti e Bibl.: Bartolomeo da Neocastro, Historia Sicula (1250-1293), in Rer. Ital. Script., 2 ed., XIII, a cura di G. Paladino, pp. 2, 5; Cronaca di Matteo Spinelli da Giovinazzo, a cura di C. Minieri Riccio, Napoli 1865, p. 9; G. Del Giudice, Codice diplomatico del regno di Carlo I e Carlo II d'Angiò, I, Napoli 1863, docc. LVI, p. 193; CIII, p. 296; S. Malaspina, Rerum Sicularum historia (1250-1285), in G. Dei Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, II, Napoli 1868, p. 225; Registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, I-VII, Napoli 1950-1955, ad Indices; J. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, a cura di A. Canellas Lopez, I, Zaragoza 1967, p. 655; E. Martène-U. Durand, Thesaurus novus anecdotorum, Parisiis 1717, II, pp. 437 s.; R. Pirro, Chronologia regum penes quos Siciliae fuit imperium post exactos Saracenos, in Sicilia sacra disquisitionibus et notitius illustrata, Palermo 1783, p. XXXVI; D. Forges Davanzati, Dissertazione sulla seconda moglie del re Manfredi e su' loro figliuoli, Napoli 1791, passim; G. Del Giudice, La famiglia di re Manfredi, Bologna s. a., passim; C. Minieri Riccio, Alcuni fatti riguardanti Carlo I d'Angiò dal 6 di ag. 1252 al 30di decembre 1270, Napoli 1874, pp. 14, 24, 57; G. Del Giudice, Don Arrigo infante di Castiglia, Napoli 1875, pp. 10-17, e docc. I e II, pp. 89 s.; C. Minieri Riccio, Il regno di Carlo I d'Angiò negli anni 1271e 1272, Napoli 1875, p. 11; C. Cartellieri, Peter von Aragon und die sizilianische Vesper, Heidelberg 1904, pp. 70, 96; E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, p. 381; M. Dendias, Eleni Angeline Dukena Vasilissa Sikelias ke Neapoleos, in Epeirotika Chronika, I (1926), pp. 219-294; D. J. Geanakoplos, L'imperatore Michele Paleologo e l'Occidente (1258-1282), Palermo 1985, pp. 58 s., 65, 206-208, 213 s., 356.