Elezioni
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico
(art. 48 Costituzione)
Elezioni e legge elettorale
di Giovanni Sartori
13 maggio
Si tengono, al normale termine quinquennale di scadenza della XIII legislatura, le elezioni politiche per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato. Non si registrano incidenti, ma in molte sezioni elettorali le operazioni di voto si svolgono a rilento. Gran parte dei votanti deve fare due o tre ore di fila. I problemi si verificano in parte perché si era previsto un calo di affluenza che invece non c'è quasi stato (ha votato l'81,4 % degli elettori, soltanto l'1,5% in meno rispetto al 1996), e soprattutto perché la legge finanziaria aveva imposto un mal calcolato taglio di spesa che si è riflesso su un'eccessiva riduzione del numero dei seggi. L'ultimo elettore vota addirittura alle 4.30 del mattino, ma sono molti i seggi che restano aperti fin verso mezzanotte, mentre a termini di legge le urne si sarebbero dovute chiudere alle 22.
Risultati elettorali a confronto
I risultati elettorali sono riportati nelle figg. 2 e 3 (con un riepilogo in fig. 4), nelle quali i dati del 2001 vengono paragonati a quelli delle elezioni politiche del 1996. I paragoni potevano essere fatti anche con le precedenti elezioni amministrative e, volendo, anche con le elezioni europee. Ma questi sarebbero stati paragoni molto disomogenei e quindi poco significativi.
Poco significativi sia perché nel voto amministrativo il criterio del votante può essere diverso (anche se non è stato così quando il nostro elettorato era più ideologizzato di oggi), sia perché l'impegno è minore e si riflette, di solito, in una minore affluenza di votanti. Ma la ragione che più sconsiglia il paragone tra le elezioni politiche e le altre è che in Italia i sistemi elettorali sono ogni volta diversi, il che complica molto i raffronti, dato che ogni sistema elettorale comporta un diverso criterio di conversione dei voti in seggi.
Per le elezioni europee il voto è rigorosamente proporzionale, con voto di lista e assegnazione dei seggi in un collegio unico nazionale. Per le elezioni comunali (nei Comuni con più di 15.000 abitanti) si vota con un sistema di doppio turno di elezione diretta del sindaco, accompagnata da un premio di maggioranza eventuale assegnato alle liste o alle coalizioni a lui collegate. Per le elezioni regionali si usa ancora (perché siamo in fase di transizione) nella maggioranza dei casi il 'Tatarellum' - così detto perché escogitato dall'onorevole Giuseppe Tatarella di Alleanza Nazionale - che è un sistema complicatissimo ma in larghissima misura proporzionale (all'80%), che prevede un premio di maggioranza variabile (un 20% dimezzabile ma anche aumentabile). Si aggiunga che a partire dal 2000 il presidente della Regione è eletto direttamente a turno unico. Dunque l'insieme è un bailamme, che forse sarà ancora aggravato in futuro dalla facoltà concessa alle Regioni di scegliere il proprio sistema elettorale.
Invece il paragone tra elezioni politiche non presenta problemi. Il sistema elettorale per le due Camere è stato cambiato, in mezzo secolo, una sola volta nel 1993. Dal 1948 sino alle elezioni del 1992, entrambe le Camere sono state elette con un metodo proporzionale; dichiaratamente tale per la Camera bassa, e implicitamente tale per il Senato. Infatti il livello per l'elezione diretta di un senatore era del 65%, dal che discendeva che quasi tutti i seggi andavano anche a Palazzo Madama in distribuzione proporzionale (nel corso di 11 legislature i senatori maggioritari sono stati in tutto 40, in media meno di quattro per legislatura). Invece a valere dalle elezioni del 1994, entrambe le Camere vengono elette con un metodo prevalentemente maggioritario. Per il Senato questa trasformazione è avvenuta soprattutto per linee interne (passando dal quoziente del 65% all'elezione diretta per maggioranza relativa), mentre la discontinuità è risultata di tutta evidenza per la Camera dei deputati dove è approdata all'adozione di un sistema misto a prevalenza maggioritaria detto 'Mattarellum' dal nome dell'estensore, l'onorevole Sergio Mattarella della Democrazia Cristiana.
Nella percezione degli elettori l'elezione per il Senato è soltanto maggioritaria, mentre quella per i deputati è, si diceva, mista. In realtà anche l'elezione per il Senato è mista, e lo è nella stessa proporzione (tre quarti maggioritaria, un quarto proporzionale) del Mattarellum. L'elettore non si accorge della natura ugualmente mista di entrambi i sistemi perché al Senato vota una scheda sola (il riparto proporzionale avviene per meccanismi interni), mentre alla Camera vota due schede. Chiarito ciò, le differenze restano importanti. La scheda unica comporta che per il Senato l'elettore non può sdoppiare, come può avvenire per la Camera, i suoi criteri di scelta. Una seconda differenza è che per il Senato le circoscrizioni sono regionali, il che attenua la proporzionalità di questa elezione. Ciò precisato, soffermiamoci sul Mattarellum.
Il vigente sistema elettorale per la Camera dei deputati è - si diceva - un sistema misto maggioritario-proporzionale che l'elettore percepisce e utilizza come tale. Per il 75% dei seggi l'elettore esprime un voto uninominale (vota un singolo nome, anche se il nome del candidato è accompagnato da un simbolo di partito o di coalizione), mentre per il restante 25% di seggi assegnati con criterio proporzionale l'elettore vota liste di partito. I due voti sono collegati dal fatto che i candidati dei collegi uninominali si devono collegare a liste proporzionali della circoscrizione, e questo per rendere possibile un loro ripescaggio in sede proporzionale. Peraltro, per essere ammesso alla distribuzione proporzionale dei seggi un partito deve aver superato una soglia di esclusione, o di sbarramento, del 4%. Questa distribuzione dei seggi tra liste avviene a livello nazionale (mentre al Senato avviene su base regionale, regione per regione). Da notare infine che il Mattarellum è stato travagliato dal problema dello scorporo. Questo è la sottrazione dei voti con i quali un gruppo ha conseguito seggi uninominali, intesa a evitare che quei voti contino, per così dire, due volte. Lo scorporo si propone di avvantaggiare i partiti minori ed è previsto, con modalità diverse, anche per il Senato. Ma è alla Camera che ha creato impreviste complicazioni quando è stato contrastato, per neutralizzarlo, dalle cosiddette 'liste civetta'.
Perché abbiamo abbandonato il proporzionale e siamo passati a un sistema prevalentemente maggioritario? Il sistema proporzionale è stato ripudiato perché frammentava troppo il sistema partitico e perché (come conseguenza della frammentazione, e anche per altre ragioni) scoraggiava la costruzione di un sistema bipolare simile a quello adottato dalla maggior parte dei paesi occidentali. Ma vediamo partitamente. L'adozione di un sistema maggioritario, o comunque largamente maggioritario, si proponeva i seguenti obiettivi: primo, ridurre il numero dei partiti; secondo, facilitare, per ciò stesso, la governabilità; terzo, creare una configurazione bipolare del sistema politico e, con essa, di alternanza bipolare tra coalizioni alternative; quarto, assicurare governi stabili sostenuti da adeguate maggioranze.
Ma perché non adottare, a questi fini, un sistema interamente maggioritario? Perché un sistema misto? Il Mattarellum è spiegato dal fatto che la Democrazia Cristiana (che nel 1993 era ancora il partito maggiore) temeva di correre con il 'tutto maggioritario' un rischio eccessivo, e dal fatto che non si voleva rendere troppo drastica la temuta decapitazione dei partiti minori. Ma prima di spiegare perché e in che misura il Mattarellum non ha funzionato come si era previsto, guardiamo i dati elettorali.
Una prima osservazione è che le differenze tra le elezioni del 1996 e quelle del 2001 sono maggiori in termini di seggi di quanto non lo siano in termini di voti. Nel voto maggioritario del 13 maggio il vantaggio del centro-destra è stato di 1,7 punti percentuali, cioè di poco più di 620.000 voti. Quindi, in termini di voti l'Ulivo nel suo complesso ha tenuto (anche se ha tenuto meno bene nel voto proporzionale). Ma in termini di seggi l'Ulivo ha subito una secca sconfitta. Spiegheremo come mai tra poco. Intanto l'essenziale è: 1) che per la prima volta a partire dal 1994 una delle due coalizioni, la Casa delle Libertà, ha conseguito una maggioranza più che sufficiente in entrambe le Camere; e 2) che l'alternanza tra i due schieramenti, e cioè la sostituzione del centro-sinistra con il centro-destra è stata determinata dall'esito elettorale (mentre nel 1996 il cosiddetto 'ribaltone' dal governo Berlusconi al governo Dini fu causato, a monte, dalla defezione di Bossi e pertanto da una rottura interna). In ordine al primo punto il margine di maggioranza della Casa delle Libertà sull'Ulivo è alla Camera dei deputati di 107 seggi su un totale di 630, e al Senato di 46 seggi su un totale di 315 (più 8 senatori a vita). In ordine al secondo punto la considerazione è che mentre nel 1994 era chiaro che il governo Berlusconi era precario - sia perché Bossi era allora un alleato determinante, sia perché quel governo non disponeva di una vera maggioranza al Senato - nel 2001 è altrettanto chiaro che il governo Berlusconi è in grado di durare, salvo eccezionali imprevisti, per tutto l'arco della legislatura. E questo non soltanto perché dispone della larga maggioranza sopraddetta, ma anche perché la Lega Nord di Bossi non è più determinante, nemmeno se al governo venissero a mancare i suoi 17 voti al Senato. Si aggiunga poi che la Lega appare sempre più in calo.
Altri punti di analisi
Questi sono i punti essenziali. Altri punti meritevoli di analisi sono: il fatto che i sondaggi hanno tutti sovrastimato, sia pure in diversa misura, la vittoria del centro-destra e sottostimato la tenuta del centro-sinistra; la forte divaricazione, nel voto alla Camera con due schede, tra voto maggioritario e voto proporzionale; la valutazione di quali e quanti voti sono davvero cambiati.
L'abbaglio dei sondaggi
I sondaggi davano da gran tempo scontata la vittoria di Berlusconi. Il suo vantaggio (in alleanza con Bossi) era variamente stimato dagli istituti demoscopici nell'ordine di 10-6 punti percentuali, e questo un po' da tutti (il che riduce, si presume, il normale margine di errori di campionamento di queste ricerche). Proprio sotto elezioni, a partire dai primi di maggio, quel vantaggio risultava un po' diminuito, ma non certo in misura sufficiente da far dubitare della vittoria della Casa delle Libertà. Ma nella notte elettorale man mano si intravide che le stime erano smentite dai dati che venivano affluendo. A conti fatti, sappiamo che al maggioritario della Camera lo scarto è stato di meno di due punti percentuali di contro ai cinque punti o anche più delle previsioni degli ultimi giorni. Come si spiega questa sovrastima della destra e sottostima dei consensi per l'Ulivo? Il professor Giacomo Sani dell'Università di Pavia prospetta varie ipotesi: 1) errori di campionamento; 2) ruolo degli indecisi; 3) conversioni dell'ultima ora; 4) orientamenti celati di chi non risponde. Ho già detto perché credo poco all'errore di campionamento, così come credo poco alle conversioni dell'ultima ora (perché mi sfugge quale evento le avrebbe prodotte). Semmai credo di più alle ipotesi sugli indecisi e sulle non-risposte. Infatti gli indecisi (secondo gli ultimi sondaggi il 10%) che si decidono non sono equidistanti tra destra e sinistra: indecisi sì, ma pur sempre con preferenze. Quanto alle non-risposte, è noto che sono sempre un problema. Alcuni le assimilano agli incerti, altri le attribuiscono alla categoria del non-voto e altri ancora le ignorano e basta. Ma tutte queste possibili spiegazioni non tolgono
che l'errore ci sia stato. Sbagliare tutti per due anni non è sbaglio da poco.
La divaricazione tra voto maggioritario e voto proporzionale
Si tenga presente che questa divaricazione non è avvenuta soltanto nel 2001; è un fatto costante per tutte le elezioni del Mattarellum. Né si tratta di uno scarto da poco. Nelle tre elezioni dal 1994 a oggi lo scarto si aggira sui nove punti percentuali di vantaggio per il centro-destra. Circa 3.300.000 votanti dividono mediamente il loro voto e lo spostano da sinistra a destra. Come mai? Saprei forse trovare una spiegazione per ogni singola elezione. Ma per tutte e tre proprio non saprei. A peggiorare il mistero - che potrebbe essere spiegato in qualche misura dal fatto che il Mattarellum divide il voto maggioritario dal voto proporzionale - interviene la scoperta che la divaricazione di nove punti che resta costante a livello nazionale è prodotta da due dinamiche inverse: un aumento del centro-sinistra al Nord e un suo declino al Sud. Dunque il sistema elettorale è lo stesso, l'aggregato dà gli stessi valori, ma la stabilità dell'aggregato copre andamenti differenziati e contrari.
Quali e quanti elettori hanno cambiato voto?
Non è facile rispondere anche perché il confronto tra le elezioni è disturbato da variazioni di alleanze. Nel 1994 e soprattutto nel 1996 non era sicuro se l'elettorato della Lega fosse un elettorato di destra o sottratto alla destra. L'incertezza veniva dal fatto che la dimensione competitiva nella quale si muoveva Bossi non era di tipo destra-sinistra ma di tipo centro-periferia, dal che si poteva ricavare che i leghisti avrebbero seguito il loro capo sia a destra sia a sinistra (tanto è vero che Bossi è stato corteggiato anche dalla sinistra). Sull'altro versante, nel 1996 Rifondazione Comunista era alleata - anche se soltanto in termini di desistenze elettorali - con l'Ulivo, mentre nel 2001 Bertinotti (senza Cossutta) si è presentato al proporzionale e al Senato da solo. Si deve ancora aggiungere che nelle ultime elezioni i due schieramenti sono stati disturbati da due tentativi di sfondamento al centro: l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, e Democrazia Europea di Sergio D'Antoni (sponsorizzato da Giulio Andreotti).
Per orientarsi conviene distinguere tra bacini elettorali e schieramenti politici. I bacini elettorali sono le aree di elettorato dalle quali i partiti attingono voti, e ciò a prescindere da come si alleano o da come si scindono. E questi bacini elettorali sono oramai definiti e ben identificabili. Sappiamo, per es., che se la Lega si dissolvesse il suo elettorato residuo di oggi rifluirebbe largamente nel centro-destra. Dai dati che mi sono stati cortesemente forniti dal professor Renato Mannheimer si ricava anche che il 3,9% di Di Pietro è stato in gran parte sottratto alla sinistra. Per ricostruire i bacini elettorali si può dunque aggiungere al bacino di sinistra tanto Bertinotti quanto Di Pietro e aggiungere al bacino di destra la Lega e due terzi dei voti di D'Antoni (che sono stati, nel proporzionale, soltanto un 2,4%). E se facciamo i conti sui totali di bacino ne risulta che gli attraversamenti di schieramento - e cioè i passaggi da destra a sinistra, o viceversa - sono stati nelle ultime tre elezioni modestissimi. I cambiamenti di voti sono quasi tutti avvenuti all'interno dei due bacini.
Nello schieramento di centro-destra Forza Italia è molto cresciuta, ma questa crescita non compensa le perdite dei suoi alleati (specialmente della Lega, ma anche di Alleanza Nazionale e di Casini-Buttiglione). Ne deriva che nel voto maggioritario della Camera il totale Polo-Lega scende dal 51 al 45,4% rispetto alle elezioni precedenti. Per contro nel voto proporzionale Forza Italia balza dal 20,6 al 29,4% (quasi 9 punti in più), mentre i Democratici di Sinistra scendono dal 21,2 al 16,6%. Questa perdita è in parte compensata dal sorprendente successo della Margherita che sale al 14,5%; ma solo in parte, perché l'aumento della Margherita è stato, rispetto all'insieme delle sue componenti del 1996, del 3,4% (ed è probabilmente dovuto a un voto dell'ultima ora contro Berlusconi). Comunque, si deve ricordare che nel Mattarellum il voto proporzionale conta soltanto per un quarto dei seggi della Camera.
Ancora tre considerazioni di contorno. La prima è sull'estrema sinistra. Nel 1996, prima della scissione tra Bertinotti e Cossutta, Rifondazione Comunista ottenne nel proporzionale alla Camera l'8,6% dei voti. Nel 2001 Bertinotti ha avuto il 5% e Cossutta l'1,7%. L'insieme dei voti dell'estrema sinistra è quindi sceso dall'8,6 al 6,7% e cioè di quasi due punti. In realtà, però, quel serbatoio ha tenuto. Al Senato, Bertinotti ha vinto solo 3 seggi, ma resistendo sia all'argomento dei voti dispersi sia a quello del tradimento della sinistra. E siccome Rifondazione Comunista ha superato la soglia di sbarramento nel voto proporzionale alla Camera, lì Bertinotti mantiene una presenza significativa di 11 deputati che lo lascia in corsa per l'avvenire.
La seconda considerazione è sulla Lega. Che questo partito sia restato, seppure per un soffio, al di sotto del 4% nel voto proporzionale non dimostra ancora che Bossi costituisca ormai una forza da poco. Il fatto che abbia perduto due milioni e mezzo di voti (scendendo dal 10,1% del 1996 al 3,9% di oggi) non toglie che le percentuali sottostimano la sua forza, perché riflettono una media nazionale mentre la Lega Nord è un partito di forte concentrazione regionale che in Lombardia e vicinanze può restare determinante in una quarantina di collegi uninominali.
La terza considerazione è di insieme. Globalmente tanto la sinistra come la destra si sono rafforzate nei rispettivi settori di centro. Nel centro-sinistra la scesa dei Democratici di Sinistra e la crescita della Margherita porta le due formazioni vicino alla parità (lo scarto è ridotto a due punti). Alla stessa stregua, nel centro-destra Forza Italia si è molto rinforzata mentre la componente di destra della Casa delle Libertà, Alleanza Nazionale, ha perso quasi quattro punti, scendendo al 12%.
Dunque, per riassumere, in voti i due schieramenti sono restati abbastanza vicini. La vittoria della Casa della Libertà è stata in seggi. Come si spiega questo divario tra voto e seggi? In genere si fa riferimento al sistema elettorale. I sistemi elettorali proporzionali traducono i voti in seggi più o meno in proporzione, i sistemi maggioritari no. In questi ultimi in ogni collegio uninominale il primo (il più votato) prende tutto, e cioè prende il seggio. E così accade spesso che voti e seggi non siano in proporzione. Può capitare che un partito che vinca il 40% del voto conquisti la maggioranza assoluta dei seggi o anche, inversamente, che vinca il 51% del voto popolare e si ritrovi in minoranza in Parlamento. Ma nel caso in esame il sistema elettorale è invariato e i voti di schieramento sono variati di poco. Ne consegue che la variabile importante è stata il cambiamento di alleanze o le mancate alleanze. In sostanza l'Ulivo è stato battuto perché gli sono mancati i voti di Bertinotti e di Di Pietro. Sull'altro fronte, alla Casa delle Libertà è mancato solo il voto (un modesto 2%) di Democrazia Europea, ma si è aggiunto il voto della Lega. E l'effetto di queste nuove assenze o presenze è poi stato ingigantito dal sistema maggioritario (cosicché una cinquantina di collegi sono passati nel Mezzogiorno dall'Ulivo alla Casa delle Libertà).
Il peso del sistema elettorale
Da quanto si è detto sopra non si deve ricavare, peraltro, che questa volta il sistema elettorale sia stato ininfluente. In realtà il Mattarellum è stato dal 1994 a oggi, il regista occulto della politica italiana. Abbiamo indicato in precedenza quali ne fossero gli intenti. Giova ricordarli: riduzione della frammentazione, governabilità, alternanza bipolare, governi stabili di sicura maggioranza. Vediamo ora in che misura questi intenti siano stati conseguiti. Il successo delle elezioni del 1994 e del 1996 è stato di produrre una strutturazione bipolare del sistema politico. Ma niente di più. E l'insuccesso è stato clamoroso nei confronti della frammentazione partitica, che ha visto il numero dei partiti rilevanti moltiplicarsi per tre (invece di dimezzarsi, come si prevedeva). Le elezioni del 13 maggio sono invece da leggere come un passo avanti decisivo nel senso che questa volta i due obiettivi dell'alternanza bipolare e della stabilità sono stati raggiunti. Il che, però, è ancora lontanissimo dalla meta in chiave di frammentazione partitica e in mezzo al guado in sede di governabilità.
Vediamo prima il problema della frammentazione. Tutti convengono che una quindicina di partiti (due più, due meno) sono troppi, che producono coalizioni scollate e quindi ingovernabilità o, comunque, difficile governabilità. Qui le questioni sono due. La prima è quella di individuare bene la causa dell'esplosione di partitini. La seconda è di fare il punto della situazione nel contesto della nuova legislatura.
Siccome si è partiti nel 1993 dall'idea che i sistemi elettorali maggioritari (all'inglese) riducono il numero dei partiti, al cospetto della loro imprevista e rigogliosa moltiplicazione ci si è ostinati a sostenere che la colpa di questa moltiplicazione sia attribuibile alla quota proporzionale del Mattarellum. È una tesi che non regge. Come abbiamo avuto agio di constatare alle ultime elezioni, la soglia di esclusione del 4% del comparto proporzionale ha decapitato i partitini indipendenti, mentre quelli in coalizione si sono salvati nel comparto maggioritario. Il punto è semplicissimo: è che i partitini acquistano proprio nel sistema uninominale a un turno un potere di ricatto sui partiti maggiori che non avrebbero nel sistema proporzionale. Per es., non accordarsi con Bertinotti su uno scambio di desistenze elettorali è costato ai Democratici di Sinistra la perdita al Senato di 33 seggi. D'altro canto l'accordo con Bertinotti non poteva essere programmatico (di programma di governo) e sarebbe probabilmente costato all'Ulivo un'emorragia di voti al centro. E l'esempio fa capire come mai il problema della riforma elettorale dovrà restare sul tappeto anche negli anni che verranno.
Comunque sia, qual è oggi lo stato della nostra frammentazione partitica? È migliorato? I soli veri morti di rilievo del maggio scorso sono stati i Radicali. I nuovi partiti che non hanno sfondato lasciano il totale invariato. I progressi sono dunque avvenuti nell'Ulivo, dove la Margherita ha aggregato i Popolari di Castagnetti, i Prodiani di Parisi, l'UDEUR di Mastella e i Diniani, mentre il Girasole ha aggregato (ottenendo un modestissimo 2,2%) i Verdi e i Socialisti Italiani di Boselli. Non è sicuro se queste aggregazioni rifluiranno in un unico partito; ma qui un progresso c'è. Sull'altro versante la situazione numerica è immutata. La coalizione era di quattro partiti e tale resta: la riduzione determinata dalla ricompattazione di Casini e di Buttiglione nel Biancofiore, è stata controbilanciata dall'aggiunta della Lega. Però nel caso del centro-destra la coalizione è 'dominata' (mentre il dominus della sinistra non si sa più bene chi sia), anche se questo non vuol dire che sia una coalizione omogenea: senza Berlusconi, anzi, sarebbe scollatissima. Il che equivale a dire che il requisito della governabilità è assicurato solo dalla persona di Berlusconi e dai suoi poteri, diciamo, collaterali. In termini di governabilità il progresso non è, a tutt'oggi, strutturale. Strutturalmente parlando questo resta un obiettivo mancato, che deve ancora passare per una drastica riduzione del numero dei partiti. La governabilità dei prossimi anni sarà dunque di natura personale e non, invece, istituzionale.
Come si intende, il fatto che il sistema elettorale non abbia deciso l'esito delle elezioni del 2001 non toglie che il Mattarellum resta la premessa fondante del sistema politico che abbiamo.
repertorio
Tipologie sistemi elettorali
Per sistema elettorale si intende la modalità mediante la quale viene operata la scelta dei titolari di un mandato rappresentativo dai singoli componenti di un corpo elettorale. Tali sistemi sono molto numerosi, ma si possono ricondurre essenzialmente a due tipologie: il sistema maggioritario e il sistema proporzionale. Gli elettori sono suddivisi (su base territoriale) in collegi elettorali, che a seconda del sistema prescelto, possono essere uninominali o plurinominali. Nel primo caso ogni collegio elegge un rappresentante, nel secondo ne elegge più di uno. Nel sistema maggioritario uninominale il territorio dello Stato è suddiviso in tante circoscrizioni quanti sono i seggi da ricoprire e viene eletto in ogni circoscrizione il candidato che ha ottenuto la maggioranza dei voti. La maggioranza richiesta può essere relativa, per cui è sufficiente che il candidato eletto superi ogni altro candidato di almeno un voto, o assoluta, per cui il candidato deve conquistare almeno la metà più uno dei voti; quando questa condizione non si verifichi, si procede a una seconda votazione, ove gli elettori sono chiamati a scegliere tra i candidati che al primo scrutinio abbiano ottenuto il maggior numero dei voti (ballottaggio).
L'equivalente di questo sistema, nel caso di uno scrutinio di lista, sarebbe di attribuire i seggi alla lista che riporta la maggioranza di voti, ma tale meccanismo non è quasi mai adottato. Comunemente, invece, nel caso di uno scrutinio di lista, il termine maggioritario indica un sistema che assegni alla lista che ottiene più voti un forte premio di maggioranza, in modo da attribuirle una porzione di seggi nettamente superiore alla sua percentuale di voti. Il sistema proporzionale attribuisce i seggi in ragione dei voti ottenuti dalle diverse formazioni politiche. Per calcolare il numero dei seggi da attribuire, il metodo più usato è quello del quoziente elettorale, cifra che si ottiene dividendo il numero dei voti validamente espressi per il numero dei seggi. A ognuna delle liste concorrenti si assegnano tanti seggi quante volte il quoziente elettorale risulta compreso nel numero di voti validi da essa ottenuti. Tuttavia, poiché i voti ottenuti di regola non corrispondono esattamente al quoziente elettorale o ai suoi multipli, e determinate quantità di voti potrebbero rimanere inutilizzate e alcuni seggi non assegnati, si ricorre a diversi meccanismi di distribuzione dei resti (per es. metodo delle cifre più alte, assegnando i resti ai partiti che hanno riportato le cifre più alte; recupero dei resti mediante istituzione di un collegio unico nazionale e calcolo di un nuovo quoziente; metodo dei resti più alti, assegnando i seggi inutilizzati alle liste in ordine decrescente ecc.).
Poiché il sistema proporzionale può comportare un'eccessiva frammentazione della rappresentanza parlamentare, alcuni sistemi (proporzionali corretti) prevedono l'introduzione di una clausola di sbarramento, che esclude dal procedimento di ripartizione dei seggi quelle liste che non hanno ottenuto una prestabilita percentuale di voti.
L'ordinamento elettorale italiano
Partecipazione all'elettorato attivo
La prima legge elettorale del Regno d'Italia risale al 1882, essendo fino ad allora rimasta in vigore quella emanata in Piemonte nel 1859, che a sua volta lasciava pressoché inalterato il regime elettorale codificato nel 1848. La l. 22 gennaio 1882 ammise all'elettorato tutti i cittadini maschi maggiorenni che fossero in possesso di almeno uno di due requisiti: avessero superato l'esame del corso elementare obbligatorio oppure pagassero un tributo annuo di £19,80. Con la l. 30 giugno 1912 l'elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini di età superiore ai 30 anni, senza alcuna distinzione di censo né d'istruzione; ai maggiorenni di età inferiore ai 30 anni, il diritto di voto fu concesso a condizione che soddisfacessero determinati requisiti di censo, o avessero prestato servizio militare. Successivamente, con la l. 16 dicembre 1918, furono dichiarati elettori tutti i cittadini maschi maggiorenni e, prescindendo dal limite di età, coloro che avevano preso parte a operazioni belliche. Caduto il fascismo, il diritto di voto fu esteso anche alle donne (d. lgs. lgt. 2 febbraio 1945, nr. 23).
Nell'ordinamento repubblicano, l'elettorato attivo per le elezioni della Camera dei deputati e quelle amministrative spetta a tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età e quello per il Senato agli elettori che hanno superato i 25 anni. Non sono elettori: gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente; i commercianti falliti finché dura lo stato di fallimento; i sottoposti a misure di prevenzione, a misure di sicurezza detentive o a libertà vigilata; gli interdetti dai pubblici uffici; coloro che siano stati condannati per determinati reati (d.p.r. 20 marzo 1967, nr. 233).
Il sistema elettorale
Dal 1848 fino al 1919 il sistema elettorale in vigore in Italia fu quello maggioritario a collegio uninominale (salvo una parentesi fra il 1882 e il 1891, nella quale si tennero tre elezioni maggioritarie a doppio turno). Con la l. 15 agosto 1919 fu adottato il sistema proporzionale.
I provvedimenti introdotti dal fascismo portarono progressive limitazioni alla consultazione elettorale. La l. 18 novembre 1923 (la cosiddetta legge Acerbo, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo) costituì il territorio dello Stato in collegio unico nazionale e stabilì che al partito che avesse ottenuto una quantità di voti superiore a quella di ciascuno degli altri partiti, ma non inferiore al 25% dei voti espressi, sarebbero stati assegnati i 2/3 dei seggi, essendo il restante terzo diviso proporzionalmente fra le minoranze. Il Testo Unico del 2 settembre 1928, nr. 1993, ridusse le elezioni all'approvazione di una lista unica nazionale, prevedendo la presentazione di liste concorrenti solo nel caso in cui la lista unica non fosse stata approvata dal corpo elettorale. Il sistema elettorale fu del tutto abbandonato con l'abolizione della Camera dei Deputati, che fu sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni (19 gennaio 1939).
La Costituzione repubblicana stabilisce che la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, che il numero dei deputati è di 630 e che la ripartizione dei seggi in circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per 630 e distribuendo seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (art. 54, modificato dalla l. cost. 9 febbraio 1963, nr. 2). Il Senato della Repubblica, di cui fanno parte 315 senatori elettivi, è invece eletto a base regionale: nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a 7 a eccezione del Molise, che ne ha 2, e della Valle d'Aosta, che ne ha uno (art. 57 Cost., modificato dalla l. cost. 9 febbraio 1963, nr. 2 e dalla l. cost. 27 dicembre 1963, nr. 3). Per le elezioni dell'Assemblea Costituente del 1946 e per quelle della prima Camera dei deputati del 1948 fu adottato il sistema proporzionale. La l. 31 marzo 1953, nr. 148 vi introdusse la 'correzione' di un premio in seggi, da attribuire alle liste collegate che avessero raggiunto la maggioranza assoluta dei voti validi. Nessuna lista riuscì a conquistare tale maggioranza nelle elezioni di quell'anno e la legge fu abrogata l'anno successivo, quando si decise di reintrodurre il sistema del 1948, poi parzialmente modificato dal Testo Unico 30 marzo 1957, nr. 361.
Per il Senato la l. 6 febbraio 1948, nr. 29, prevedeva un sistema complesso, basato sul collegio uninominale, ma per il quale solo il candidato che avesse ottenuto il 65% dei voti era eletto in primo grado, mentre i seggi residui erano assegnati su base regionale secondo particolari criteri di proporzionalità.
Il criterio proporzionale cominciò a essere messo in discussione dalla fine degli anni Settanta per la progressiva frantumazione del sistema politico italiano causata dall'indebolimento dei partiti storici e dal parallelo aumento delle formazioni alternative, difficilmente in grado di convergere su un programma e, quindi, di garantire la governabilità del paese. Negli anni Novanta le voci favorevoli al maggioritario sono divenute sempre più pressanti e le proposte di modifica si sono moltiplicate, finché il principio proporzionale è stato abbandonato a seguito della consultazione referendaria del 18 aprile 1993 sulle modalità di elezione del Senato. L'esito referendario ha portato all'abolizione - con d.p.r. 5 giugno 1993, nr. 170 - del quorum del 65% fissato dalla legge del 1948, determinando l'assegnazione dei seggi sulla base del sistema uninominale maggioritario. Ha favorito, inoltre, una radicale revisione delle norme per l'elezione di entrambe le Camere, nella prospettiva di una globale modifica del sistema elettorale in senso maggioritario.
Per la Camera dei deputati, la l. 4 agosto 1993, nr. 277, ha stabilito la divisione del territorio nazionale in 26 circoscrizioni elettorali: in ciascuna di esse il 75% del totale dei seggi è attribuito nell'ambito di collegi uninominali nei quali risulta eletto il candidato che ha riportato il maggior numero di voti, mentre il 25% è attribuito con criterio proporzionale mediante riparto tra le liste concorrenti nella circoscrizione (con un meccanismo di detrazione di voti - il cosiddetto scorporo - per le liste il cui candidato sia stato eletto in un collegio uninominale della circoscrizione). Il voto è espresso in un unico turno mediante due schede, una per l'elezione del candidato nel collegio uninominale (collegato a una o più liste) e l'altra per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi su base proporzionale. Per l'assegnazione di questi ultimi seggi l'ufficio centrale nazionale, acquisiti gli atti dagli uffici centrali circoscrizionali, determina la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista e procede al riparto tra le sole liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi. Le elezioni che si svolgono nel collegio Valle d'Aosta, che è circoscrizione elettorale, sono regolate da specifiche disposizioni.
Per il Senato, la l. 4 agosto 1993, nr. 276, ha stabilito che il territorio di ciascuna regione, con eccezione del Molise e della Valle d'Aosta, è ripartito in collegi uninominali, pari ai 3/4 dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento per difetto, mentre per l'assegnazione degli ulteriori seggi ciascuna regione è costituita in unica circoscrizione elettorale. I seggi nei collegi uninominali sono attribuiti con il sistema maggioritario (è eletto il candidato che ha riportato il maggior numero di voti validi), mentre gli altri seggi sono attribuiti proporzionalmente nelle circoscrizioni regionali tra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali. Per ciascun gruppo, dalla somma dei voti dei candidati nella regione sono sottratti quelli dei candidati già proclamati eletti.
Sia per il Senato sia per la Camera dei deputati, in caso di vacanza di un seggio attribuito con il sistema maggioritario, si procede a elezione suppletiva nel collegio interessato. Il governo, con d. lgs. 20 dicembre 1993, nr. 535 e 536, ha individuato i collegi elettorali uninominali nell'ambito di ciascuna regione per il Senato e di ciascuna circoscrizione per la Camera.
Possono essere eletti a deputati gli elettori di età superiore ai 25 anni, mentre sono elegibbili a senatori quelli che hanno compiuto 40 anni.
Le operazioni elettorali
Le operazioni elettorali si aprono con il decreto di convocazione dei comizi e si chiudono con la proclamazione degli eletti. La Costituzione dispone che l'elezione delle nuove Camere abbia luogo entro 70 giorni dalla fine della legislatura precedente e che la prima seduta abbia luogo entro 20 giorni dalle elezioni (art. 61); il compito di indire le elezioni e di fissare la prima riunione delle Camere spetta al presidente della Repubblica (art. 87).
Dopo il decreto di convocazione, le liste dei candidati, con i loro contrassegni, vengono presentate agli uffici elettorali circoscrizionali che ne accertano la regolarità. Gli elettori iscritti alle liste elettorali esprimono il loro voto presso l'ufficio elettorale sezionale al quale sono assegnati in base alla loro residenza. Secondo i dettami della Costituzione il voto deve essere personale ed eguale, libero e segreto. Le leggi ordinarie tutelano il rispetto di questo precetto.
Terminate le votazioni, ogni ufficio elettorale sezionale procede allo scrutinio delle schede, redigendone il relativo verbale; le schede scrutinate e i verbali sono poi inviati all'ufficio elettorale circoscrizionale. Il nominativo degli eletti è comunicato agli interessati, alle prefetture, che dispongono la pubblicazione dei risultati, e alle segreterie delle Camere. Queste provvedono alla convalida delle elezioni, affidando ad apposite giunte il compito di giudicarne la regolarità, in merito a eventuali contestazioni e reclami.
Il voto degli italiani all'estero
I cittadini italiani che vivono all'estero hanno diritto di voto ma per esercitarlo, fino a oggi, sono dovuti rientrare in Italia e recarsi nel Comune nelle cui liste elettorali sono iscritti. Una legge di revisione costituzionale, approvata il 29 settembre 1999, in modifica dell'art. 48 della Costituzione, ha sancito il principio che gli italiani residenti all'estero possono esercitare il loro diritto nei paesi dove si trovano. La circoscrizione Estero, prevista da tale norma, è stata istituita con la legge costituzionale 17 gennaio 2000, nr. 1. La legge costituzionale di revisione degli artt. 56 e 57 della Costituzione, approvata il 18 ottobre 2000 e la cui applicazione è subordinata all'entrata in vigore dei decreti attuativi, ha sancito che i parlamentari della circoscrizione Estero siano 12 per la Camera dei deputati e 6 per il Senato.
Elezioni amministrative e regionali
L'elezione ai consigli comunali e provinciali, soppressa dal fascismo e ripristinata nell'immediato dopoguerra, è attualmente regolata dalla l. 25 marzo 1993, nr. 81 (modificata dalla l. 30 aprile 1999, nr. 415), che ha innovato le norme in materia, introducendo il principio dell'elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia.
Per l'elezione del sindaco e degli organi comunali la legge prevede due distinti sistemi:
a) nei Comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti viene eletto sindaco il cittadino che ha ottenuto il maggior numero di voti, mentre alla lista che allo stesso è collegata sono attribuiti i 2/3 dei seggi (i restanti sono attribuiti proporzionalmente fra le altre liste);
b) nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti è eletto sindaco il candidato che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi. Nel caso in cui questa non sia stata ottenuta, si procede a un secondo turno elettorale con ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti. Al secondo turno è proclamato sindaco il candidato che ottiene il maggior numero di voti. A ogni candidato sono collegate una o più liste, ma l'elettore può votare per un candidato alla carica di sindaco non legato alla lista prescelta. Per i candidati ammessi al ballottaggio rimangono fermi i collegamenti con le liste per l'elezione del consiglio dichiarati al primo turno; essi hanno anche facoltà di dichiarare il collegamento con ulteriori liste rispetto a quelle con cui è stato effettuato il collegamento nel primo turno. In caso di parità di voti, è eletto il candidato collegato con la lista o il gruppo di liste che abbia conseguito il maggior numero di voti. Se anche in questo caso si verificasse una situazione di parità elettorale, è proclamato sindaco il candidato più anziano di età. Per la formazione del consiglio comunale, alla lista o al gruppo di liste collegate al candidato eletto è assegnato il 60% dei seggi, se non ha naturalmente conseguito una percentuale superiore di voti, mentre i restanti seggi sono assegnati proporzionalmente alle altre liste.
Un sistema analogo si usa per l'elezione del presidente della Provincia, che ha luogo a suffragio universale e diretto, e per quella del consiglio provinciale, che è effettuata sulla base di collegi uninominali con l'assegnazione del 60% dei seggi alla lista o al gruppo di liste collegati al candidato eletto presidente, nel caso in cui non abbia conseguito tale percentuale o una percentuale superiore.
Per quanto riguarda le elezioni regionali, la normativa introdotta dalla l. 23 febbraio 1993, nr. 43, prevede un sistema elettorale misto proporzionale e maggioritario. È eletto presidente della giunta il candidato che ottiene il maggior numero di voti, anche se non raggiunge la maggioranza assoluta. Non è previsto infatti il ballottaggio. Per il consiglio regionale, l'80% dei seggi è ripartito in maniera proporzionale tra le liste dei partiti, mentre il 20% è attribuito in blocco alla lista del candidato presidente vincitore.
I sistemi elettorali in Europa
Fra i 15 paesi dell'Unione Europea non ne esistono due che presentino un identico sistema elettorale. Nonostante tutti gli ordinamenti mirino ad assicurare, da un lato, un'adeguata rappresentanza delle forze politiche e delle diverse istanze territoriali esistenti e, dall'altro, la governabilità del paese, la tipologia dei sistemi elettorali riflette le differenti peculiarità storiche, politiche e istituzionali, dando vita a scelte diverse. Nel complesso, 12 Stati adottano il sistema proporzionale e solo tre quello maggioritario, ma con notevoli differenziazioni. Nei quattro paesi con sistema proporzionale puro, la ripartizione dei seggi avviene attraverso metodi differenti, che assicurano comunque un vantaggio alle formazioni maggiori; inoltre, tre prevedono il voto di preferenza (Belgio, Finlandia e Lussemburgo) e uno no (Portogallo); tutti e quattro, invece, prevedono la ripartizione dei seggi solo in sede circoscrizionale senza recupero dei resti in sede nazionale. Per quanto concerne i sei paesi con sistema elettorale proporzionale con sbarramento, questo opera solo a livello circoscrizionale in Grecia (3%), Olanda (0,67%), Spagna (3%); opera a livello nazionale in Austria (4%) e Danimarca (2%); in Svezia opera sia a livello circoscrizionale (4%) sia a livello nazionale (12%) per la quota di seggi della circoscrizione unica nazionale. In Germania vige un sistema misto di proporzionale e maggioritario (ma interamente proporzionale nella ripartizione dei seggi), mentre in Irlanda vige un meccanismo particolare, il single transferable vote. Due soli paesi dell'Unione Europea adottano un sistema maggioritario, ma nel Regno Unito vige un maggioritario puro a turno unico, mentre in Francia vige il maggioritario a doppio turno.